Recensione del film "SNOWPIERCER" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Seolguk-yeolcha
Regia: Bong Joon-ho
Principali interpreti: Chris Evans, Kang-ho Song, Ed Harris, John Hurt, Tilda Swinton, Jamie Bell, Octavia Spencer, Ko A-sung, Kenny Doughty, Ewen Bremner – 126 min. – Corea del sud, USA, Francia 2013.
Una glaciazione inattesa impedisce all’umanità di sopravvivere, ma pochi fortunati si mettono in salvo su un’Arca dei nostri tempi, un treno che percorre a folle velocità il pianeta innevato e ospita sui suoi vagoni i salvati. All’interno dell’Arca si trovano i mezzi necessari per la sopravvivenza, che un occulto potere ha predisposto e organizzato, sulla base di avanzate conoscenze scientifiche, grazie alle quali è possibile sfruttare quelle poche risorse che la natura è in grado di offrire ancora: l’acqua principalmente, ricavabile dalla neve e riciclabile con severi criteri di razionamento. Analogamente, le risorse alimentari, distribuite con razionalità, senza nulla sprecare e molto riciclando (anche troppo!), si rivelano sufficienti per i superstiti. Non tutto, però, funziona secondo le previsioni del misterioso ideatore del congegno, Wildorf (Ed Harris): vediamo, fin dalle prime scene di questo film, che una quantità considerevole di sopravvissuti, laceri, sporchi e macilenti, sono anche molto scontenti della loro vita e si stanno organizzando per ribellarsi contro di lui, responsabile delle miserevoli condizioni in cui vivono. I criteri con i quali l’inavvicinabile Wildorf ha organizzato il convoglio sono, a ben vedere, assai poco trasparenti, ma si ispirano in primo luogo alla durissima repressione di qualunque forma di dissenso: la salvezza è possibile solo a patto che venga mantenuta una ferrea disciplina (chi si ribella verrà punito con inaudita efferatezza), e in secondo luogo a una organizzazione rigidamente classista dei diversi vagoni che non può, per nessuna ragione, essere discussa. Nel lunghissimo treno, infatti, vivono, ignorandosi, uomini, donne, bambini, vecchi, che sono poco o mediamente o molto privilegiati, a seconda della classe sociale di appartenenza. Quelli dell’ultimo vagone, cui vengono affidati i compiti più umili e faticosi, e che ora vogliono ribellarsi, hanno il solo “privilegio” di essere sopravvissuti e di continuare a vivere, ma la loro vita si fa sempre più pesante e dolorosa, ai limiti dell’insopportabilità. Gli ospiti degli altri vagoni vivono, invece, in condizioni meno terribili, poiché Wildorf ha creato per loro ambienti più accettabili e consoni alle abitudini di quel ceto medio da cui provengono: serre bellissime, ricche di fiori e frutti, biblioteche e scuole dove una volonterosa insegnante spiega ai bambini che la cosa più riprovevole è quella di non accettare la propria condizione sociale. Vicini alla locomotiva guidata da Wilford, poi, viaggiano gli ospiti di riguardo, nel lusso di sempre. Solo una persona si può spostare dal primo all’ultimo vagone con grande libertà, poiché gode della fiducia incondizionata del guidatore: la signora Mason (Tilda Wilson), portavoce e distributrice di punizioni feroci, affiancata e aiutata da soldati ubbidienti e minacciosi.
Durante le due ore di proiezione, dunque, il film ci offre non tanto un quadro fantascientifico post apocalittico, che lo farebbe assomigliare, sia pur lontanamente a The Road, dal romanzo di Cormac McCarty, quanto una metafora del mondo d’oggi e delle ingiustizie su cui si fonda la gerarchia del potere, dei privilegi e dei privilegiati della Terra, incalzati da popoli che non accettano più di subire il dominio di chi si ritiene meritevole, per nascita, dei vantaggi e dei lussi che lo differenziano dal resto degli uomini nel mondo: quasi un monito per l’Occidente.
Il film esce nelle nostre sale preceduto dall’attesa di molta parte del pubblico e degli addetti ai lavori, anche per il gran nome del regista, poco conosciuto in Italia, ma molto apprezzato a livello della critica specializzata. Ispirato a un fumetto francese, “Le Transperceneige”, di Jacques Lob, e girato col concorso determinante della produzione americana, il lavoro di Bong Joon-ho è costato un occhio: è infatti il film coreano più caro della storia; ha richiesto un enorme lavoro anche solo la costruzione di quel treno lunghissimo; ha impegnato un grandissimo numero di attori, alcuni dei quali di grande richiamo internazionale; contiene, inoltre, sequenze molto belle, grazie anche allo spettacolare scenario di ghiaccio e di neve (il paesaggio è quello dei dintorni di Praga) e alla accurata ricostruzione delle città disseccate dal gelo e rese inabitabili. Un Kolossal, dunque, che sviluppa un tema inquietante, molto attuale, in modo spesso molto sgradevole, il che può anche avere il suo perché.
Angela Laugier
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