Recensione del film "LE MERAVIGLIE" (di Angela Laugier)
Regia: Alice Rohrwacher
Principali interpreti: Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani, Monica Bellucci – 111 min. – Italia 2014.
IlGrand Prix Spécial della Giuria, al Festival di Cannes che si è appena concluso, è andato al film italiano di Alice Rohrwacher, di cui mi accingo a parlare.
Alice Rohrwacher, la regista che aveva egregiamente diretto Corpo Celeste, la sua opera prima, piccolo e riuscito film di qualche anno fa, ispirato a un romanzo di Annamaria Ortese, ritorna sul tema dell’adolescenza e della difficoltà di crescere, che sembra quindi essere una caratteristica costante della sua ispirazione creativa. In questo secondo film, però, l’indagine sui turbamenti dell’adolescenza è condotta all’interno di una realtà sociale molto più angusta: un nucleo familiare che vive nell’isolamento tenacemente voluto dal padre, quasi un patriarca a cui tutta la famiglia si assoggetta. E’ tedesco e si chiama Wolfgang questo padre-padrone (Sam Louwyck); è acculturato e animato da una profonda volontà, che è anche una scelta ideologica, di isolarsi nella bellezza della natura un po’ selvaggia e anche di isolarvi i suoi cari: egli ha messo in piedi, a questo scopo, in una cascina vicino al Trasimeno, una comunità agricola che dovrebbe diventare autosufficiente, scambiando con altri prodotti il frutto del lavoro familiare, dedicato principalmente all’ apicultura e all’allevamento di ovini.
Ci sono quattro figliolette, in questa piccola comunità familiare, tra cui la sola Gelsomina (Maria Alexandra Lungu) è abbastanza grande per lavorare e seguirlo nel lavoro delle api, nel controllo e nella pulizia delle arnie; le sorelline, anche se assai più piccole, aiutano, tuttavia, dopo la smielatura, come possono e come sanno, raccogliendo il miele e badando bene di non farlo uscire dal secchio, perché questo padre è anche molto severo e non tollera il minimo spreco. La madre, Angelica (Alba Rohrwacher), che ha un ruolo marginale nella gestione economica della piccola azienda, perché tutte le scelte, anche le più strampalate, spettano a Wolfgang, ha tuttavia una funzione preziosa per le figlie, che teneramente ama, poiché in qualche misura le protegge dagli scoppi d’ira di Wolfgang. La famigliola, purtroppo, non vive nel migliore dei mondi possibili, perciò la realtà del mondo esterno che il padre avrebbe voluto ignorare e comprimere si insinua nel gruppo familiare senza troppi complimenti: i cacciatori invadono con i loro spari la quiete e il silenzio del luogo; i pesticidi, usati dagli agricoltori non lontani, avvelenano i fiori e le api che ne succhiano il nettare; gli adeguamenti igienici ormai vengono richiesti, a tutela della salute pubblica a tutti quelli che vendono prodotti alimentari; il turismo di massa, invadente e vorace, cerca luoghi nuovi che fagociterà e distruggerà. La televisione, con i suoi concorsi a premi, diventa l’apri-pista di migliaia di turisti in cerca del nuovo, del genuino, del prodotto tipico, e anche di qualche stanza in un posto “rustico”, ma pieno di comfort, da utilizzare magari solo per un weekend. Non per nulla il vicino, quello dei pesticidi, al passo con i tempi, si dedicherà all’agriturismo!
Eppure quella TV, volgare e tanto demonizzata dal padre, a Gelsomina piace, perché porta un po’ di novità nella vecchia cascina e anche perché lei aspira, come ogni adolescente, a crearsi un modello di vita diverso da quello familiare; perché, inoltre, vi scorge un simulacro di quella libertà di cui sente l’urgenza per allontanarsi dal mondo dell’infanzia e per progettare il suo futuro. Anche se continua a fare il suo dovere, aiutando il padre, la vita che fa le sta molto stretta. Nella descrizione delle sue inquietudini troviamo le cose migliori del film: la regista è, infatti, davvero bravissima nel rappresentare le emozioni più delicate, i conflitti non detti, e spesso indicibili in quanto non solo generazionali: sono conflitti fra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, non sapendo bene, però, che cosa si vorrebbe essere davvero. Gelsomina è allora sorella di Marta, la protagonista del film precedente, nonché di tutti noi che da adolescenti ci siamo sentiti lacerare dalle inquiete contraddizioni di un’età assai difficile, in cui l’amore per la famiglia è ancora forte, ma l’esigenza di emancipazione comincia a farsi sentire, anche violentemente, creando sensi di colpa e molta sofferenza. L’isola del Trasimeno, lontana ma raggiungibile, diventa allora l’emblema di uno spazio privato, tutto da conquistare e da vivere in piena libertà, senza padri, senza madri e anche senza le pesanti responsabilità che Wolfgang le aveva affidato, contando un po’ troppo sulla propria autorità e sulla sua timida remissività.
Ho tralasciato di parlare di altri personaggi, pur presenti nella storia, come Martin, il giovanissimo in affidamento alla famiglia, a sua volta isolato da un probabile e autistico mutismo elettivo, che tuttavia trova un modo per comunicare, persino con le api… attraverso la sua sopraffina capacità di fischiare e Cocò, la giovane che insieme ad Angelica si occupa di ovini, di cui non mi è sembrata chiara la funzione nella famiglia. Il film, d’altra parte, presenta non pochi difetti, fra i quali, principalmente l’assenza di una spiegazione un po’ più approfondita del comportamento paterno e della sua sciagurata propensione a imporre a tutti la propria volontà, anche quando, sprecando troppi soldi (l’acquisto di un cammello!), accelera la rovina economica della sua piccola comunità.
Si tratta in ogni caso di un film bello, spesso poetico, capace di tener viva l’attenzione dei molti spettatori che seguono trepidanti le vicende di Gelsomina.
Angela Laugier
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