Tornato dal vertice UE a Bruxelles, Il Bischero di Frignano si è saldamente attestato su tutte le TV (non si riusciva a sfuggirgli neanche sintonizzandosi su Tele Val Brembana), per declamare il lungo elenco di cose ottenute. Il lungo elenco delle "vittorie di pirlo".
"Noi abbiamo ottenuto, questo, e poi ancora questo, e poi quest'altro, e quest'altro ancora"
La verità è che Renzi torna da Bruxelles con la cassetta delle elemosine desolatamente vuota, con un capo del governo UE (Junker) che è il peggio che potessimo aspettarci, e con delle belle, bellissime parole:
"...non abbiamo niente in contrario sul fatto di concedere all'Italia maggior flessibilità, a patto che sia rispettato il patto di stabilità, e che si facciano le riforme..."
Junker è il ventriloquo della Merkel, ed è il fortificatore del più imponente paradiso fiscale del vecchio continente: il Lussemburgo; nonchè esponente espresso non già dai socialisti europei, ma dai più beceri rappresentanti del vecchio centrismo confessionale: la CDU, la DC italiana, Forza Italia. Cos'ha a che fare il PD con questa gente? Renzi sarebbe così gentile da spiegarlo a noi (che peraltro lo sappiamo: NIENTE), quanto agli accattoni di poltrone e strapuntini che sono saliti in corsa sul suo carro? Ed ai suoi sprovveduti cagnolini da lecco? Quelli che ti compri in liquidazioni, copn soli 79,99 euri?
Dunque, al netto delle parole lanciate nel tubo catodico, Renzi torna da Bruxelles a mani vuote. Anzi, forse a mani più vuote che non durante il viaggio d'andata. Perchè gli è stato negato persino il premio di consolazione di una poltrona importante. "Ragazzo, avete già Mario Draghi, e un debito pubblico che dal mese prossimo sarà il terzo al mondo in valore assoluto, si dia una calmata" Questo, ad occhio e croce, il senso delle cose "ottenute"
Generosi, Junker e Merkel: ci consentono maggior "flessibilità", a patto di rispettare, dalla prima all'ultima riga, il patto di stabilità. Ma il rispetto del patto di stabilità non solo non concede alcuna flessubilità, quanto obbliga, già forse entro ottobre, a varare una "manovrina correttiva" da 25 miliardi (i.e.: 50.000 miliardi di vecchie lirette).
E sulle riforme non ci chiedono buoni propositi, slides, tweets, e cronoprogrammi da 8, 120 o 1000 giorni, ma l'elenco delle leggi di riforma approvate. Insomma, questi beceroni di Junker e Merkel sono gentilissimi, con Renzi. Ma, alla maniera araba, "prima vedere cammello". Alla maniera napoletana: "accà nisciuno è fesso".
Queste cose le dice il Tafanus, che è risaputamente fazioso, e visceralmente anti-renziano? Macché! le scrive, nero su bianco, un giornale che una volta era serio, e che da quando è arrivato Renzi sulla scena (e sono arrivati al pettine i nodi finanziari del suo editore, folgorato da alcune "scariche elettriche") dedica marchette su marchette a Renzi. Non fanno eccezione neanche i migliori: Ezio Mauro, Eugenio Scalfari (con qualche distinguo), Massimo Giannini.
Oggi però persino Repubblica (come previsto a suo tempo dal fazioso Tafanus) è costretta ad ammettere che la mancetta degli 80 euro non ha generato nessun visibile risultato sui consumi, che continuano a scendere anche dopo la mancetta. Non lo scrivono i maggiorenti del giornale, che continuano con ambiguità a sostenere Renzi, ma uno dei pochi giornalisti degni di questo nome che ancora - per quanto ancora? - scrive su Repubblica: Federico Fubini. Ecco cosa scrive su Repubblica di oggi:
La Ue all'Italia: pareggio di bilancio nel 2015 - Malgrado l'accordo sulla flessibilità, le raccomandazioni del Consiglio sono più rigide di quelle di inizio giugno. Così il nostro Paese rischia di dover varare in autunno una manovra correttiva da almeno 25 miliardi (Fonte: Federico Fubini - Repubblica)
ROMA - C'è un negoziato parallelo che si sta sviluppando a Bruxelles in queste settimane, più al riparo dai riflettori. Non attrae l'attenzione forse perché si gioca più sui dettagli tecnici che sulle grandi dichiarazioni di principio. Ma per l'Italia e per le dimensioni della manovra finanziaria in arrivo a ottobre, fa un'enorme differenza. E per il momento non sta andando come il governo avrebbe voluto: i documenti ufficiali dicono che sul proprio specifico piano di finanza pubblica il governo non ha ottenuto la "flessibilità" che chiedeva.
La posta in gioco è quella che ha dichiarato Pier Carlo Padoan nella sua lettera alla Commissione europea del 16 aprile scorso. In quella comunicazione, il ministro dell'Economia annunciava che l'Italia avrebbe rallentato il passo del risanamento di bilancio: l'obiettivo del pareggio "strutturale", ossia scontando l'impatto della recessione da cui il Paese è appena uscito, sarebbe slittato di un anno. Padoan scrisse che l'Italia avrebbe raggiunto il pareggio nel 2016, non nel 2015 come concordato in precedenza.
Non si tratta di un dettaglio da poco, perché ne va della taglia della correzione che dovrà imporre la Legge di bilancio in arrivo ad ottobre. Con lo slittamento degli obiettivi al 2016, poteva essere meno pesante. Senza, la manovra d'autunno rischia di profilarsi invece come un'operazione da circa 25 miliardi: quanto serve a coprire il bonus Irpef e gli altri impegni presi dal governo, senza perdere il controllo del debito pubblico.
Lo spazio sul debito del resto è ridotto: ieri è emerso che nei primi quattro mesi dell'anno il debito è cresciuto di 77 miliardi, ossia quasi quanto in tutto il 2013. Quest'anno il volume dell'onere dello Stato salirà a quota 2150 miliardi e, superando la Germania, sarà terzo l mondo per volume finanziario dopo Stati Uniti e Giappone. Solo l'anno scorso, i contribuenti hanno pagato 82 miliardi solo in interessi sul debito dello Stato e nel 2014 replicheranno.
Matteo Renzi firma la resa a Bruxelles, e proclama la vittoria ai microfoni della EIAR - Il negoziato in corso a Bruxelles si innesta qui. La novità passata sottotraccia nel vertice appena concluso è che la proposta del governo di rinviare il pareggio di bilancio per ora è stata respinta. Addirittura i leader, incluso il premier Matteo Renzi, hanno dato il loro "endorsement" (appoggio, approvazione) a un documento ufficiale che raccomanda all'Italia di fare l'opposto di ciò che aveva chiesto: il pareggio già l'anno prossimo, non nel 2016. Si tratta del testo della "raccomandazione del Consiglio" (cioè dei governi) su proposta della Commissione europea riguardo al programma di stabilità italiano. Si tratta di una risposta ragionata degli altri Paesi al piano finanziario dell'Italia, come si fa per tutti i governi.
Quella raccomandazione contiene una sorpresa importante, perché è più intransigente persino di quanto suggerito dalla Commissione europea. Quest'ultima aveva chiesto all'Italia il due giugno: "Nel 2015 (bisogna, ndr) rafforzare in modo significativo la strategia di bilancio per garantire le esigenze di riduzione del debito". Quel testo ora è stato inasprito e ieri i capi di Stato e di governo hanno dato il loro "endorsement" al più alto livello politico-legale in Europa. Le modifiche sono state apportate in una riunione del Comitato Economico e Finanziario a Bruxelles. Presieduto dall'austriaco Thomas Wieser, il Comitato Ecofin riunisce i direttori del Tesoro di tutti i Paesi per preparare le conclusioni dei vertici dei ministri finanziari: per l'Italia partecipa il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via, anche se la cooperazione fra Palazzo Chigi con le strutture tecniche del ministero dell'Economia in questi mesi è stata molto meno che eccellente.
Di solito nel Comitato Ecofin si negozia fra sherpa per diluire, non per inasprire, le proposte di raccomandazione ai Paesi avanzate dalla Commissione europea. Questa volta all'Italia è accaduto l'opposto. Il testo ora recita: "Nel 2015 (...) Il Consiglio raccomanda all'Italia di garantire le esigenze di riduzione del debito e così raggiungere l'obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio strutturale, ndr)". Non solo. Si chiede anche di "assicurare il progresso" verso il pareggio già nel 2014. In sostanza si chiede una maggiore correzione dei conti già quest'anno e si respinge la richiesta di slittamento del pareggio per il prossimo.
Era stato evidente dall'inizio che la strategia di bilancio del governo Renzi sollevava forti perplessità nel resto d'Europa, come anticipato da Repubblica ("I dubbi di Bruxelles sul piano Renzi", 20 aprile). Il fatto che la lettera di Padoan in aprile non ebbe una prima risposta a livello politico, ma burocratico, era già una prima spia proprio di un problema politico, non uno sgarbo personale al ministro. Adesso i nodi sono venuti al pettine. Non sarà facile ribaltare gli equilibri, dopo il via libera di ieri dai capi di Stato e di governo dell'Unione. Ma il vertice Ecofin del prossimo mese si annuncia tempestoso, perché tutto si deciderà lì.
Federico Fubini
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