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Scritto il 09 settembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (4)
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Le misure per beni artistici e pubblica istruzione ricordano la deregulation del presidente Usa. Un riciclaggio di progetti del centro-destra. Che mette a rischio il nostro patrimonio
LA RESISTIBILE ASCESA DI MATTEO RENZI si regge su due opposte liturgie: da un lato, un nervoso movimentismo presentista fatto di quotidiane promesse e spiritosaggini (coni gelati, ice bucket). Dall'altro, il tenace attaccamento a una rendita di posizione fondata sul mantra di Mrs. Thatcher: "non c'è alternativa". Fra l'una e l'altra liturgia, un abisso: la distanza fra le parole e i fatti. La grande sveltezza del premier, un treno in corsa dove «il traguardo è nulla, il movimento è tutto» (E. Bernstein, 1899), proclama rottamazioni, rivoluzioni, innovazioni. Ma la rendita di posizione ha una regola ferrea: venire a patti coi soliti noti. Dunque rottamare tutti, salvo il Gran Non-Rottamabile Berlusconi eleggendolo, anzi, a consorte di una Costituente a due, al servizio dei diktat della finanziaria J.P. Morgan; spacciare per rivoluzione il riciclaggio di progetti del centro-destra; sbandierare "riforme" che condannano il Paese alla stagnazione.
Principale instrumentum regni è l'effetto-annuncio, dove l'annuncio non solo precede il fatto, ma ne prende il posto. Le leggi si travestono da slide show o si comprimono in slogan, meglio se in inglese. I noiosi provvedimenti d'antan, che avevano la pessima abitudine di entrare nel merito, soppiantati da scattanti tweet: e come si può dare la copertura di bilancio in 140 caratteri? Ogni disegno di legge è preceduto da un pulviscolo di comunicati e anticipazioni: una manna per giornalisti e professori che non studierebbero mai un vero articolato, ma chiosano seriosamente i flash d'agenzia. In questa fuga in avanti non è chiaro quanto sia dovuto alla scarsa familiarità del premier con la macchina dello Stato e quanto, invece, sia calcolato per dirottare la pubblica opinione. In ogni caso, quando dopo infinite doglie fuoriesce da Palazzo Chigi un testo compiuto, ogni energia critica è già logorata dalla discussione preventiva su indiscrezioni e bozze.
Proprio questo è successo ai Beni Culturali: prima un vago schema della riforma, che poi rimbalza da un Consiglio dei Ministri all'altro, fino al trionfale annuncio: approvata il 29 agosto. E il testo? Non c'è, arriverà tra un po', «salvo intese». Formula che, spiega il "Corriere", vuol dire che «c'è accordo di massima nel governo ma la questione verrà definita solo nella stesura vera e propria del testo, con modifiche possibili fino alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale». Ma allora che cosa mai ha approvato il governo? E quali sono i dissidi da risolvere? Renzi, pare, vuole accrescere il ruolo dei privati: impresa disperata, dopo che perfino l'Art Bonus, che dovrebbe generare modesti introiti (2,7 milioni nel 2015), è stato sfigurato dal codicillo che consente donazioni da farsi ai concessionari privati. Una donazione fra privati avrà dunque il beneficio di uno sconto fiscale pubblico.
Intanto il decreto "sblocca-Italia" ricicla la menzogna secondo cui l'edilizia rimette in moto l'economia. Questa "novità", che data dal primo condono edilizio (Craxi 1985), è stata ripetuta da Berlusconi con condoni e sanatorie. Apostolo della cementificazione era allora Maurizio Lupi, che oggi, con altra casacca, rappresenta gli stessi interessi: e infatti il decreto ripropone, aggravato, un ventaglio di norme di deregulation: silenzio-assenso per lavori ferroviari e autorizzazione paesaggistica, mano libera per la costruzione di prefabbricati senza alcun permesso, esautorazione delle soprintendenze che fermino i lavori per scoperte archeologiche: in tal caso il costruttore fa ricorso, e interviene una commissione di "esperti indipendenti", pagati dal costruttore stesso, con esito prevedibile.
Identiche le impronte digitali nella riforma della pubblica amministrazione, che (per esempio) abolisce il Magistrato alle Acque, insigne istituzione veneziana fondata nel 1505 e sopravvissuta alla fine della Serenissima, ai domini francese e austriaco, ai governi italiani, ma non allo scandalo Mose. Ma dov'è la novità? Le stesse competenze sono trasferite al Provveditorato alle Opere Pubbliche (dipendente da Lupi), il numero uno della struttura è lo stesso, e tanto per proteggere la Laguna l'8 agosto il governo ha accolto le richieste degli armatori delle grandi navi, dando il via al devastante ampliamento del Canale di Contorta Sant'Angelo: una decisione «da barbari», commenta il massimo esperto degli equilibri lagunari, Luigi D'Alpaos.
Quanto alla scuola, a parte la farsa di centomila assunzioni rimangiate in un giorno, le dichiarazioni del ministro Giannini fanno trasecolare: la scuola pubblica risorgerà grazie a capitali privati; intanto, per «garantire la libertà di scelta educativa» bisogna archiviare il «pregiudizio ideologico» che privilegia la scuola pubblica su quella privata. Giannini copia impudicamente la sua predecessora Gelmini, secondo cui «la Costituzione dice che la scuola, sia statale sia paritaria, è sempre pubblica». Ma la Costituzione dice il contrario (art. 33): «la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato».
In questi ambiti, Renzi è un innovatore o no? Non lo è, perché innovare non è riciclare i progetti del centro-destra e la deregulation reaganiana. Lo è, invece, per uno stile di governo che punta tutto sull'effimero e nulla sul permanente. Metafora dell'Italia di Renzi è Cinecittà: l'attività degli stabilimenti è quasi nulla, ma in compenso c'è una copia conforme, un parco a tema, Cinecittà World. Finzione anziché lavoro, intrattenimento in luogo della produzione. Come rivoluzione non c'è male.
Salvatore Settis - l'Espresso
0109/0630/0930
Scritto il 08 settembre 2014 alle 21:06 | Permalink | Commenti (4)
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Scritto il 08 settembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Il nuovo Senato, la legge elettorale, il ruolo del capo dello Stato. Sempre pensando più al "cosa" che al "come". Un errore. Bilanciato da un fiore all'occhiello... restyling istituzionale (di Michele Ainis)
RIVOLUZIONE FA RIMA CON COSTITUZIONE - E infatti Matteo Renzi ha cominciato da lì, nel suo progetto di rivoltare l'Italia come un calzino usato. Ci sta riuscendo? Ed è in grado di rispettare i tempi da centometrista che aveva promesso agli italiani? Il governo Renzi 1° ha prestato giuramento il 22 febbraio; la riforma costituzionale ha ottenuto l'assenso del Senato l'8 agosto. Dunque in 168 giorni, meno di 6 mesi. Diciamolo: si può fare di peggio. Anche di meglio, però. Dopotutto, lo Statuto albertino fu scritto in appena un mese, dal 3 febbraio al 4 marzo 1848. Mentre l'Assemblea costituente ci mise un anno e mezzo, per approvare la Carta del 1947. Siccome fin qui siamo alla prima lettura, siccome ne servono minimo altre tre, siccome l'esecutivo ci ha promesso di celebrare un referendum dopo il timbro finale delle Camere, difficilmente i nostri ri-costituenti saranno più veloci dei costituenti.
D'altronde, se Renzi puntava a guadagnare un posto nel Guinness dei primati, avrebbe dovuto rinunziarvi fin da subito. Quel posto è del generale de Gaulle, nessuno può insidiarlo. E infatti: in quanto tempo avvenne il passaggio dalla quarta alla quinta Repubblica francese? In meno di 90 ore. De Gaulle ricevette l'incarico di formare un nuovo governo il 31 maggio 1958, che per giunta era di sabato. Alle 21.20 del giorno successivo l'Assemblea nazionale gli aveva già conferito la fiducia, e tre quarti d'ora dopo lui riuniva il Consiglio dei ministri, che in altri tre quarti d'ora approvava la proposta di modificare le procedure per la revisione costituzionale. La commissione parlamentare competente ne era investita a propria volta alle 11 di sera di quella stessa domenica, e l'Assemblea nazionale nel suo insieme la votava nella notte fra il 2 e il 3 giugno. Dopo di che il Consiglio della Repubblica, che era già al lavoro su un testo provvisorio, licenziava la nuova Costituzione, il presidente Coty la promulgava immediatamente, e la mattina del 4 giugno il Journal Officiel ne dava pubblicazione.
Ma non è dallo sprint che si giudica questo tipo d'imprese. Si giudica nel merito, e si giudica altresì per il metodo adottato. Giacché ogni Costituzione serve per unire, per affratellare un popolo attorno a un catalogo di valori condivisi. Se diventa l'occasione per esercizi muscolari, se la sua riforma viene imposta a muso duro dalla maggioranza di turno all'opposizione di turno, allora tanto vale farne senza. È questo il peccato mortale commesso dal centrosinistra nel 2001, dal centrodestra nel 2005. Ma Renzi no, non ci è caduto. L'accordo con Berlusconi è il suo fiore all'occhiello, benché gli sia costato scomuniche e anatemi. Poi, certo, sarebbe stato meglio appuntarsi sul petto un altro fiore, o meglio un Grillo; tuttavia per sposarsi bisogna essere in due.
Anche la flessibilità mostrata dal presidente del Consiglio segna un punto a suo favore. Per esempio: nel nuovo Senato era prevista una rappresentanza paritaria delle Regioni e dei Comuni; strada facendo i sindaci sono diventati un quarto del totale. C'erano 21 corazzieri (troppi) nominati dal Quirinale; ora ne restano 5. Sempre il Senato finiva per essere estromesso dalla potestà legislativa, con l'unica eccezione delle leggi costituzionali. Da qui l'obiezione: a che serve abolire il Cnel, organo consultivo mai consultato da nessuno, per rimpiazzarlo con un Senato di superconsulenti? Obiezione accolta, sicché adesso i senatori votano pure le leggi d'autorizzazione alla ratifica dei trattati, la disciplina dei referendum, la legge sull'elezione del medesimo Senato, la legislazione elettorale e l'ordinamento degli enti decentrati, le norme sulla famiglia, quelle sul diritto alla salute.
PERÒ, ATTENZIONE: C'È UN DIAVOLETTO NASCOSTO nei 40 articoli di questo restyling costituzionale. Non per le sue intenzioni manifeste: d'altronde chi mai difenderebbe il bicameralismo paritario o il federalismo sanguinario? Il primo ci ha donato la signoria dei veto players, con esecutivi esposti agli starnuti di Mastella; il secondo ha fatto lievitare la spesa pubblica di 90 miliardi nell'arco d'un decennio, innescando inchieste giudiziarie che negli ultimi tempi hanno travolto 17 Regioni e oltre 300 consiglieri regionali. Sennonché il problema è il "come", non il "cosa"; gli strumenti, non i fini. Specie se gli strumenti indeboliscono le garanzie costituzionali, assottigliandole come un'acciuga.
Vale per il capo dello Stato: respinto l'emendamento Gotor-Casini (che avrebbe allargato la platea dei suoi elettori), diventa preda della coalizione di governo, e perciò diventa il maggiordomo della maggioranza. Vale per i 5 giudici della Consulta nominati dal presidente-maggiordomo. E vale, in ultimo, per il Parlamento, a sua volta maggiordomo del governo: 60 giorni per trasformarne in legge le proposte, e guai a chi sgarra. Tanto più con la legge elettorale che si profila all'orizzonte, con il mix di liste bloccate e partitini strangolati che è il sale dell'Italicum. Insomma: bene la riforma, male la sua forma.
Michele Ainis
(Continua)
3108/0630/1500
Scritto il 07 settembre 2014 alle 23:05 | Permalink | Commenti (0)
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L'ECONOMIA - Da tre giorni a questa parte i casi nostri si concentrano in un nome, quello di Mario Draghi e sulla sua politica contro la deflazione che sta massacrando l'Europa e l'Italia in particolare. La strategia di Draghi è stata da lui stesso illustrata in modo molto chiaro e si può riassumere così: ha già ridotto al minimo il tasso di sconto e sotto al minimo quello sui depositi a breve termine delle banche presso la Bce. Metterà a disposizione del sistema bancario europeo una quantità illimitata di liquidità con contratto a quattro anni; sconterà obbligazioni cartolarizzate di imprese europee; se necessario acquisterà titoli di debiti sovrani sui mercati secondari dei paesi in difficoltà.
Questa politica ha un obiettivo primario: rialzare il tasso di inflazione in prossimità al 2 per cento (attualmente in Europa è prossimo allo zero) e un obiettivo secondario ma interconnesso che è quello di abbassare il tasso di cambio dell'euro-dollaro almeno verso l'1,25 ma possibilmente all'1,20 contro dollaro. Questo risultato potrà essere anche attuato con interventi sui mercati di paesi terzi con monete diverse dall'euro, vendendo quote della nostra moneta e deprimendo così il cambio con riflessi sulle quotazioni del dollaro. L'insieme di questi intenti non è di facilissima esecuzione ma la Bce e le Banche centrali nazionali dell'area europea sono perfettamente in grado di effettuarli con rapidità ed efficienza. Ma c'è un aspetto molto problematico: le imprese europee sono parte attiva di questo programma, debbono cioè essere disponibili a indebitarsi con le banche, sia pure a tassi di interesse abbastanza ridotti rispetto a quelli attuali. Se hanno progetti di investimenti e se i governi le incentivano a investire, il sistema delle imprese farà quello che ci si aspetta; ma attualmente questa disponibilità non c'è o è comunque insufficiente, sicché questa seconda parte della strategia di Draghi rischia di non dare i risultati attesi.
La motivazione è evidente: la Bce, come tutte le Banche centrali, può agire sulla deflazione, ma gli strumenti per combattere la recessione-depressione non sono nelle sue mani ma in quelle dei governi ai quali non a caso Draghi raccomanda riforme adeguate sul lavoro, sulla competitività e sulla distribuzione più equa della ricchezza. La Banca centrale è perfettamente consapevole di questa situazione e lo è anche la Commissione europea e in particolare la Germania. Di qui l'alternativa (che non consente alibi) ai paesi più colpiti dalla depressione tra i quali al primo posto c'è purtroppo l'Italia: le riforme economiche sui temi che abbiamo prima indicato debbono essere fatte subito; soltanto dopo, quando saranno state varate e rese esecutive l'Italia potrà ottenere quella flessibilità che gli consenta d'avviare un rilancio della domanda e della crescita consistente e duraturo. Perdere tempo in altre iniziative è letale se ritarda questo tipo di riforme. Meglio in tal caso cedere alla Commissione una parte della propria sovranità nazionale affinché sia l'Ue ad avere la possibilità di emettere direttive direttamente applicate in materia di lavoro e di fisco.
Questo è ora il bivio di fronte al quale il nostro governo si trova. Finora non sembra sia pienamente consapevole della drammaticità della situazione e delle proprie responsabilità. Renzi si sente politicamente forte nel Partito Socialista Europeo e per conseguenza anche di fronte all'altro partito, quello Popolare, che con i socialisti fa maggioranza nel Parlamento dell'Unione. Pensa - o almeno così dice di pensare - d'essere in grado di fare la voce grossa a Bruxelles e di ottenere così, almeno in parte, quella flessibilità che gli consenta di alleviare il ristagno della nostra economia. Le riforme le farà ma ci vuole tempo. Il bivio configurato da Draghi è vero solo in parte e non si può bloccare la forza politica di Renzi. La nomina della Mogherini, secondo lui, ne è stata la prova.
A me, osservando i movimenti del nostro presidente del Consiglio, viene in mente quella vecchia canzone americana nota e canticchiata in tutto il mondo occidentale: "Noi siamo bravi ragazzi e nessuno ci può fermar". E l'altra: "Quando i santi marciano tutti insieme a me piacerebbe marciare con loro". Ma bisogna essere bravi ragazzi o santi. Francamente non mi pare che siamo né l'una né l'altra cosa e basta guardarsi intorno per capirlo fin dalla prima occhiata.
MATTEO RENZI E "LA MOSSA" - Dunque siamo arrivati a Matteo Renzi, al suo governo, alla montagna di problemi che si sono accumulati sulle sue spalle. Debbo dire che li porta molto bene, non perde l'allegria, le battute, la mossa. La mossa per lui è importante, gli viene spontaneamente e riesce quasi sempre a bucare il video delle tivù e le prime pagine dei giornali. Pensate: sono tre giorni che i media hanno tra gli argomenti principali la decisione di Renzi di non andare al "salotto buono" di Ambrosetti a Cernobbio. Ci saranno cinque dei suoi ministri, due o tre premi Nobel, i principali industriali italiani e la stampa di mezzo mondo ma lui ha deciso che andrà a Brescia per festeggiare la ripresa d'attività d'una azienda che aveva avuto alcuni incidenti di percorso. Tre giorni e ancora se ne parla. Mi sembra incredibile.
Mi piace citare un passo scritto da Giuliano Ferrara sul Foglio di venerdì: "Non vorrei che tutti gli elogi alle grandi doti di comunicatore, per Renzi oggi come per Berlusconi ieri, alludano all'artista compiaciuto di sé che prende il posto dello statista. Finché non faremo un discorso alla nazione, sorridente quanto si voglia, ma pieno di verità, non ce la caveremo. Renzi ha già metà del piede nella tagliola che in Italia non tarda mai a scattare".
Così Ferrara. Personalmente mi auguro che la tagliola non scatti perché allo stato dei fatti non abbiamo alternative. L'ho scritto più volte. Criticavo Renzi per parecchi errori compiuti ma al tempo stesso dicevo: votate per lui, che altro si può fare? Erano in vista le elezioni europee del 25 maggio dove infatti prese il 40,8 per cento dei voti. Non certo per merito mio, ma ne fui contento sperando che cambiasse. Invece è peggiorato. È un artista della comunicazione come scrive Ferrara, io lo definirei un seduttore come Berlusconi, ma tutti e due si credono statisti e questo è il guaio grosso del paese.
L'ANNUNCIAZIONE - L'ultimo mutamento renziano è stato quello dell'annunciazione (meglio che chiamarla "annuncite", come dice lui) del programma dei mille giorni che durerà fino alla fine della legislatura.
Vi ricordate la fase dell'annunciazione? Un giorno diceva: nel prossimo giugno faremo la riforma del lavoro e in un mese la porteremo a termine; io ci metto la faccia, se non si fa me ne vado.
Il giorno dopo annunciava per il mese di luglio la semplificazione della pubblica amministrazione con le stesse parole e metteva sempre la faccia in gioco. Il giorno successivo annunciava per settembre la riforma della scuola. Idem come sopra.
La sola volta in cui riuscì fu la prima approvazione della riforma costituzionale del Senato: la voleva per l'8 agosto e l'ottenne. Quella era a mio avviso una sciagura e si vedrà nei prossimi mesi se e come finirà, ma la ottenne anche perché ci furono i voti di Berlusconi. Due seduttori uniti insieme possono fare uno statista ma di solito di pessima qualità.
Dunque dall'annunciazione ai mille giorni, perché si è capito che in un mese una riforma che mira a cambiare una parte dello Stato non è neppure pensabile. La faccia non ce l'ha messa. È una fortuna perché oggi ci troveremmo senza un governo, senza un programma, schiacciati dalla recessione e della deflazione proprio nel momento in cui spetta all'Italia ancora per tre mesi la presidenza semestrale dell'Unione europea.
È una fortuna, ma anche una sciagura perché il nostro Renzi, che snobba Cernobbio (e chi se ne frega), adesso interferisce anche con Draghi. All'esortazione di fare subito almeno la riforma del lavoro per trattare con la Commissione (e con la Merkel) una dose accettabile di flessibilità, ha risposto: "Subito? Ma che dice Draghi? Ci vuole il tempo che ci vuole per una riforma di quell'importanza". Ma lui non ci aveva messo la faccia per farla in un mese? Io so in che modo la si può far subito: con i voti di Berlusconi il quale altro non vuole che stare nella maggioranza non solo per le leggi costituzionali ma anche per quelle economiche. Per tutte. E non pretende nemmeno che Renzi glielo chieda. Anzi, Renzi dirà che non chiede niente a nessuno, è un bravo ragazzo e nessuno lo fermerà.
Ma Berlusconi si sente un santo, anzi un padre della Patria che vuole marciare con tutti gli altri fino al 2018. Così poi lo vedremo inserito nell'album della storia d'Italia accanto ai volti di Mazzini, Garibaldi e Cavour. Uno schifo, ma temo assai che finisca così.
E MENTRE RENZI FA UNA "GRANDE RIFORMA AL MESE"... - Ci sarebbero tante altre cose da trattare, sulle coperture finanziare che non ci sono, sul taglio lineare di tutti i ministeri, sul blocco per il quinto anno agli stipendi degli statali e sul taglio a quelli delle Forze dell'ordine. Ma tralascio.
Una notizia però viene dalla Calabria, anzi due. È una delle regioni più povere d'Italia ed anche purtroppo delle più corrotte. Non a caso la 'ndrangheta è la mafia più forte d'Europa ed ha ormai i suoi centri più attivi a Milano, Torino, Lione, Amburgo, Bogotà.
La prima notizia arriva dal sindaco di Locri che l'ha resa pubblica, l'ha affissa sui muri della città e l'ha comunicata al presidente della Repubblica e anche a papa Francesco: il Comune ha 125 dipendenti e da tre anni quelli in servizio (non sempre gli stessi) sono 25; gli altri cento stanno a casa o in ospedale perché ammalati o perché l'autobus non funzionava o perché la moglie li ha abbandonati o per altre ragioni più o meno comprensibili. Il sindaco li ha ammoniti, puniti, ne ha proposto il licenziamento ma il consiglio comunale, la segreteria, i partiti, le famiglie, lo hanno di fatto impedito. I 125 ci sono sempre, i 25 al lavoro anche, i cento assenti pure. Il sindaco si chiama Calabrese ed ama la sua terra. Forse papa Francesco farà un miracolo. Speriamo bene.
La seconda notizia riguarda una sentenza del Tar di Catanzaro ottenuta dall'avvocato Gianluigi Pellegrino che a suo tempo ne aveva ottenuta una analoga sul consiglio comunale di Roma presieduto dalla Polverini. Nel caso di Catanzaro si trattava della Regione, presieduta da Scopelliti (stesso partito del pregiudicato di Arcore e alleato di Renzi nella "rifondazione dell'Italia. NdR). Indagato per malversazioni varie, Scopelliti fu condannato in primo grado e sei mesi dopo la condanna si dimise dalla Regione. Per automatismo anche il consiglio regionale si sciolse ma prima approvò un atto in extremis: tolse al prefetto il potere di indire le elezioni e lo affidò al vicepresidente del consiglio regionale nonostante anche lui fosse dimissionario.
Nel frattempo il Consiglio dimissionario continuò a riunirsi regolarmente, votare progetti, assunzioni, appalti, incarichi, senza che né la destra (che governava il Comune) né i consiglieri Pd si astenessero da comportamenti indebiti. A quel punto un comitato di cittadini da tempo esistente, che ha per fine quello di combattere i soprusi e gli illeciti della Pubblica amministrazione, incaricò Pellegrino di citare dinanzi al Tar quanto accadeva a Catanzaro. Contemporaneamente il suddetto comitato e il suddetto avvocato informarono di quanto avveniva la presidenza del Consiglio chiedendone l'intervento. La lettera e l'intera pratica furono passate al capo del Dipartimento uffici giudiziari di Palazzo Chigi, diretto da certa Antonella Manzione, già capo dei vigili urbani di Firenze quando il sindaco era Renzi.
Come un capo dei vigili possa assumere la guida dell'ufficio legislativo della presidenza del Consiglio è un fatto misterioso. Forse si sperava in un mistero gaudioso ma non sembra che sia così. Infatti di fronte al ricorso contro il consiglio regionale di Catanzaro la Manzione non ha trovato di meglio che rivolgersi al ministero dell'Interno per suggerimenti sul da fare e la pratica è ancora ferma lì. Per fortuna il Tar ha provveduto: le elezioni sono state indette per il 10 ottobre e il commissario ad acta è di nuovo il prefetto.
Malgrado la 'ndrangheta, anche alcuni calabresi sono bravi ragazzi e testardi per natura. Sicché "nessuno li può fermar". Meno male.
Eugenio Scalfari
3108/0630/0830
Scritto il 07 settembre 2014 alle 12:57 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 07 settembre 2014 alle 08:01 | Permalink | Commenti (1)
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Recensione del film "L’isola del Mississipi" (Mud) - di Angela Laugier
Regia: Jeff Nichols
Principali interpreti: Matthew McConaughey, Tye Sheridan, Sam Shepard, Reese Witherspoon, Jacob Lofland, Ray McKinnon, Sarah Paulson, Michael Shannon, Joe Don Baker, Paul Sparks, Bonnie Sturdivant, Stuart Greer, John Ward Jr., Kristy Barrington, Johnny Cheek, Kenneth Hill, Michael Abbott Jr. – 130 min. – USA 2012.
Finalmente approdato anche nelle nostre sale dopo due anni di attesa, eccoci al terzo film di questo giovane regista americano.
Ellis (Tye Sheridan) è un adolescente infelice: si sente tradito dai genitori che, non amandosi più, sono tutti presi dal gioco dei rinfacci e e delle accuse tanto da non accorgersi neppure delle sofferenze che gli infliggono. Il piccolo, che da sempre condivideva la loro condizione di povertà su una casa galleggiante, in un’ ansa paludosa del Mississipi nello Stato dell’Arkansas, non va più a scuola e passa la sua giornata lavorando con l’intrattabile padre pescatore, per conto del quale consegna il pescato alla clientela. Ha un inseparabile amico di giochi, un orfanello che si chiama Neckbone (Jacob Lofland), il quale vive con uno zio lunatico. I due ragazzini, insieme, progettano di spostarsi su una barca a motore, per esplorare l’isola sul grande fiume: hanno saputo di un motoscafo che si trova lì, impigliato fra i rami della foresta e che , forse, potrebbe servire come rifugio provvisorio, lontano da casa. La traversata del Mississipi, l’arrivo all’isola, l’avvistamento dell’imbarcazione sull’albero e l’incontro con Mud hanno il carattere favoloso dell’inizio di una avventura, condotta anche sulle orme della scrittura di Mark Twain e ci introducono nel cuore del film.
Mud (Matthew McConaughey), uomo singolare, è ricercato dalla polizia poiché si era macchiato, qualche tempo prima, di un delitto, per difendere Juniper, la donna che egli amava da sempre. Approdato sull’isola, aveva trovato la barca che ora considerava una propria piccolissima abitazione e, per sopravvivere nel luogo inabitato e inospitale (su cui intendeva restare, in attesa che Juniper lo raggiungesse), si dedicava alla pesca. Aveva sviluppato, come Robinson Crusoe, molte abilità, nonché una buona conoscenza della natura, ma non disdegnava un po’ di superstizione: certi particolari tatuaggi porta-fortuna, i chiodi incrociati sotto le scarpe, contro gli spiriti maligni… E’ lui stesso a narrare, un po’ alla volta, ai due ragazzini i particolari della propria vita, tranquillamente, dando prova di grandi doti affabulatorie, che affascinano da subito il piccolo Ellis, cui non par vero di aver trovato un uomo come questo, che aveva creduto nell’amore tanto da affrontare le prove più difficili, compresa l’ estrema sfida sull’isola, solitario e braccato dai tutori della legalità, ma anche dai parenti dell’uomo ucciso, assetati di vendetta. Gli pare, anzi, che Mud possieda quelle doti di tenera e affettuosa pazienza che vorrebbe vedere nel padre, poiché potrebbero testimoniare quanto duraturo sia l’amore vero nel tempo: così come dovrà essere per lui, certamente, in futuro! L’aspetto interessante del film, che ne fa un racconto di formazione per certi aspetti anomalo, è nell’avvicendarsi dei viaggi di andata con quelli di ritorno, perché ogni volta i due bambini rientrano alle loro case, cosicché il mondo ideale, quasi edenico, della vita secondo natura si confronta continuamente con la realtà, che non esce mai di scena e che infine ha la meglio: la natura non è, infatti, così buona come aveva creduto il piccolo Ellis (lo imparerà a proprie spese); l’amore (come potrà constatare) è, d’altra parte, un sentimento assai più complicato di quanto gli era sembrato.
Il film potrebbe ricordare, per il paesaggio rappresentato e per la presenza di protagonisti adolescenti, il bellissimo Re della terra selvaggia, di Benh Zeitlin, oppure anche Moonrise Kingdoom di Wes Anderson, ma la diversità del modo di raccontare mi sembra superare di molto queste analogie. Qui, infatti il regista, molto lontano dal mondo onirico e leggendario del film di Zeitlin, nonché da quello fantasioso dei due adolescenti di Wes Anderson, ci introduce nei problemi delle famiglie povere degli Stati Uniti del Sud, con poetico realismo, e si lascia guidare soprattutto dai tempi lenti della presa di coscienza di Ellis, rappresentandone perciò l’ardua crescita, senza mitizzare la difficile realtà degli stati del Sud. Bravissimo Matthew McConaughey; eccezionali i due attori adolescenti. Un film sicuramente da vedere.
Angela Laugier
3008/0630/1400
Scritto il 07 settembre 2014 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Questa la email inviata da don Aldo, e in calce la lettera con la quale ha informato il suo vescovo. La lettera trasuda amarezza, ma non resa. Credo, spero che lo ritroveremo ancora sul campo di battaglia, armato di altri strumenti. Tafanus
Da tempo si è affacciato nella mia coscienza il dovere di dismettere il mio servizio come parroco. Ho quindi ritenuto opportuno scrivere al mio vescovo la lettera che vi allego.
Soldi e poltrone non solo non mi hanno mai nemmeno “tentato” e li ho sempre combattuti, ma non ho mai considerato “poltrona” l’essere parroco e non ho mai, in 46 anni di servizio, preso soldi dalla parrocchia, nemmeno da quelli che i preti chiamano “diritti di stola”, intenzioni di messe comprese.
Pulito e schietto, almeno in questo. Ieri sera mi sono incontrato con la comunità, informandola e coinvolgendola in questo processo di cambiamento. Un abbraccio a tutte e tutti.
Aldo
Da: Aldo Antonelli
Oggetto: Nè soldi né poltrone
A: Mons. Pietro Santoro
Vescovo di Avezzano (AQ)
Caro Pietro,
premetto che quanto andrò scrivendo non è il frutto di improvvise ed affrettate decisioni, né il portato di stanchezze e disaffezioni. E’ da tempo che la cosa in me va maturando e già da tempo, se ben ricordi, ho avuto modo di fartene personalmente cenno. Insomma, sia chiaro, il problema è un problema sostanziale di coscienza e non di comodi ripieghi.
Ho sempre sentito la forte esigenza di fedeltà al principio evangelico del servizio, che ho trovato ben tradotto nella formula morale di tolstoiana memoria che è quella “di farsi servire dagli altri il meno possibile e di servire gli altri quanto più possibile. Cioè esigere dagli altri il meno che si può e dare il più che si può". Oggi mi rendo conto che, pur continuando a voler darmi tutto, il tutto che posso dare non è più appropriato a ciò che la parrocchia in generale ed Antrosano in particolare richiedono.
Ho sempre visto l’essere parroco come lo stare, appunto, in questo atteggiamento di servizio e di dedizione, dentro le varie anime di una comunità, del paese, della parrocchia. Ma viene il tempo in cui tutto ciò non è più possibile: ad una certa età si può continuare a celebrare messe ed organizzare funzioni, ma non è più possibile continuare ad essere animatori.
Io devo prendere atto che per me è venuto questo tempo e con tutta serenità, senza rammarico e senza rimpianti, nella gioiosa coscienza di aver “combattuto la buona battaglia”, mi metto da parte, lasciando spazio a chi, più di me e meglio di me, potrà continuare a far crescere la comunità di Antrosano.
Antrosano! Lo ho amato appassionatamente e continuo ad amarlo, ma mi rendo conto che l’amore non è tutto. Antrosano ha bisogno, sì, come d’altronde ogni parrocchia, di un prete che lo ami, ma anche di un prete che lo animi e lo alimenti di vita e di speranza. Antrosano, caro Pietro, è l’unico paese, tra i piccoli centri della diocesi, che continua a crescere; è un paese giovane e attivo ed ha bisogno di un prete giovane ed attivo. Antrosano è un paese sensibile e generoso ed ha bisogno di un prete ancor più sensibile e generoso.
Naturalmente, questa non è né propaganda, né “raccomandazione”, ma semplice segnalazione. Non molto tempo fa mi sono ritrovato in un gruppo di sacerdoti, tutti più anziani di me, alcuni anche parroci “emeriti”. In quell’occasione tutti si era d’accordo (eccetto che il sottoscritto, bastian contrario…) di dover continuare ad essere parroci il più a lungo possibile perché, si diceva, “essere emeriti significa non essere più nessuno”!
Capisci Pietro? Si continua ad essere parroci per continuare ad “essere qualcuno”, per poter continuare a “contare”; per non cadere nel buco nero dell’anonimato….! Si ribalta, così, il comando evangelico e non si vede più se stessi in funzione della parrocchia ma la parrocchia in funzione di se stessi. E’ la stessa logica, farisaica e perversa, che soggiace alla domanda di più di un confratello che, avendogli confidato questa mia decisione, mi ha risposto: “Ma poi che farai?”.
Il problema non è il “mio da fare”, ma il bisogno della Parrocchia! Il “mio da fare” sarà un problema privato, mio personale; mentre il servizio della Parrocchia è un problema Istituzionale, della Chiesa, nei confronti della quale, tra l’altro, non posso rimproverarmi irresponsabilità.
Ricordo che uno dei fronti di impegno, di critica e di lotta, nel mio passato, è stato anche questo. Ho sempre rimproverato alla chiesa la sua miopia e il suo immobilismo di fronte al problema delle parrocchie, che vengono gestite con lo stesso sistema che vigeva al tempo in cui di sacerdoti ce n’erano a iosa e di avanzo. Non è più possibile, per es., assicurare la presenza di un singolo parroco in ogni singola parrocchia. Sarebbe opportuno formare delle piccole comunità sacerdotali che gestiscano ed animino più vaste zone pastorali.
Ricordo, a questo riguardo, che negli anni settanta, assieme ad altri due confratelli, ci offrimmo per assicurare il nostro servizio su tutta la Valle Nerfa, da Tagliacozzo Alto la Terra a Castellafiume. In pratica tre sacerdoti avremmo assicurato il servizio a ben sette parrocchie. Il Vescovo di allora, Terrinoni, ci dette anche il consenso e i frati di San Francesco ci avrebbero messo a disposizione parte del loro Convento.. Ma poi dovette capitolare, di fronte alle critiche acide di qualche confratello, all’immobilismo delle istituzioni, refrattarie al cambiamento e all’egoismo autocefalo dei preti, allergici alla cooperazione.
Personalmente il da fare non mi mancherà. Ho molti impegni, con persone, associazioni, giornali e riviste. Resto a disposizione della Diocesi come “tappabuchi”, là dove potrò essere utile. Di certo, tra i mille difetti che mi porto, non c’è quello della carriera e dell’attaccamento alle poltrone; ancor meno il feticismo del denaro…! Facendo la doverosa distinzione tra Sacerdote e Parroco, dismetto la mia funzione di Parroco e resto Sacerdote servendo, diversamente, quella Chiesa che pur criticando ho sempre amato. Perché tu abbia il tempo necessario per provvedere ad una giusta e oculata successione, ti comunico che resterò in parrocchia fino al 12 Gennaio 2015.
Ricorre in quel giorno la memoria liturgica di San Satiro, il Patrono di Antrosano, e mi farà piacere salutare gli antrosanesi in quella ricorrenza.
Un fraterno abbraccio
Aldo Antonelli
3008/0630/1400
Scritto il 06 settembre 2014 alle 23:18 | Permalink | Commenti (1)
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Primi segnali di un calo di apprezzamento nel governo che prepara misure difficili per far fronte alla crisi
(Paolo Natale - EUROPA)
Senza più D’Alema. Senza più Bersani. Si sono dunque dissociati più o meno apertamente due dei leader storici dell’ala Pds-Ds. Hanno aspettato qualche mese, per vedere che aria tirava, per capire se Matteo Renzi potesse rappresentare – al di là delle presunte rottamazioni – una genuina continuazione della forza politica in cui credono, se il governo del premier Pd andasse nella auspicata direzione. Poi hanno ceduto, esprimendo il loro dissenso non tanto velato sulle azioni intraprese dall’esecutivo: poco o niente di positivo, oltre gli annunci.
Non sapremo mai se queste esternazioni nuocciano davvero a Renzi, oppure non siano in realtà le benvenute, per smarcarsi in maniera ancora più evidente da un passato che non piace forse più. Il dibattito in merito è in fermento, in questi giorni, sui blog, sui network, alle Feste dell’Unità. Chi insulta D’Alema, chi insulta Renzi, in una logica sempre più arida di contenuti ma sempre più ricca di contumelie a volte un po’ gratuite, sul modello dei commenti di molti sostenitori del M5S, e anche di alcuni ospitati da questo stesso giornale: sei il nuovo Berlusconi, oppure, sei una vecchia cariatide, e così via. Un dibattito non certo splendido.
Ma su una cosa Massimo D’Alema ha forse ragione. Il governo non pare finora aver fatto moltissimo: accanto ad alcuni provvedimenti certo significativi (come ad esempio i famosi 80 euro), sono stati molti gli annunci di una mini-rivoluzione che per ora non si è realizzata. Magari non per colpa del governo, in carica in fondo da pochi mesi, magari a causa della difficoltà di mantenere unite forze non propriamente identiche.
Gli italiani, anche tendenzialmente favorevoli al nuovo primo ministro, iniziano però pian piano a comprendere che i cambiamenti non possono venir attuati in un periodo molto breve. I tempi si allungano, le attese restano tali, l’economia non decolla così all’improvviso.
Resta alta la fiducia in Renzi e nel suo governo, non c’è dubbio, ben oltre le pur rosee aspettative descritte dalle lune di miele dei primi mesi di ogni esecutivo. Ma l’inizio di un calo sembra già avvertirsi: i primi segnali arrivano proprio in corrispondenza dei primi ovvi provvedimenti che si debbono prendere per far fronte alle urgenze economiche. Niente pensioni più rapide per alcune categorie, niente scatti di anzianità per i dipendenti pubblici, blocchi degli stipendi per le forze dell’ordine, scarsa concertazione con le forze sociali. Tutti elementi che, in prospettiva, non faranno certo crescere la fiducia e il favore per questo governo e per il suo premier. E quando si inizieranno a scontentare ancor di più alcune delle fasce sociali che dovranno ridurre il proprio potere d’acquisto, o le proprie rendite, sarà scontata una diminuzione ancor più repentina dell’indice di popolarità di Renzi.
In quei frangenti avranno buon gioco le opposizioni, il Movimento 5 Stelle innanzitutto, nel sottolineare la “negatività” sociale di quei provvedimenti e, contemporaneamente, le difficoltà economiche che il paese dovrà ancora affrontare. Perché le cose dovranno procedere in questo modo, per poter ritrovare un giorno la luce: i sacrifici dovranno essere fatti da molti, come nel passato. E come nel passato il principale imputato sarà il governo in carica, che sia o che non sia quello il vero colpevole. Con chi dovrebbero prendersela i cittadini?
Come dicevo, le prime avvisaglie già si notano in questi primi giorni settembrini, quando l’apprezzamento nell’esecutivo vede una piccola ma significativa diminuzione. Ma cosa accadrà quando si prenderanno i provvedimenti più difficili? Due sono i fattori che possono salvare Matteo Renzi: la sua capacità, ancora presente, di far intravedere un futuro diverso (i mille giorni) e la mancanza di una qualsivoglia alternativa politica. Nessun altro leader è apprezzato come lui, nemmeno lontanamente; nessuna altra forza politica è capace di minacciare la supremazia indiscussa del Pd.
L’azione del governo, almeno per i prossimi mesi, non può venir sconfitta da nessun altro pretendente, se non dalla propria eventuale incapacità. È libera. Ma i cittadini danno loro carta bianca ancora per poco. Un anno, due al massimo. Poi arriverà la resa dei conti.
Paolo Natale
...un anno? ancora due?... fra due anni questo paese sarà già stato ucciso. Via Tweetter. Caro Natale, questo paese non ce li ha, due anni davanti. Ancora due anni così, e il debito sfonderà quota 150%, il costo delle emissioni di Bot e Cct salirà alle stelle, e noi saremo come la Grecia o come l'Argentina.
Forse Renzi non ha avuto tutto il tempo che serve per fare le cose che ha annunciato di voler fare, ma ha avuto tutto il tempo necessario per dimostrare di non essere in grado di farle. Assoluta incapacità di scegliere con un grano di sale le priorità, ignoranza totale dell'economia, fanfaronismo, che lo porta a promettere sempre molto più di quello che questo paese può dare. La concessione "a scatola chiusa" di grande, spropositata fiducia nell'ennesimo "ghe pensi mi" della politica è stata assolutamente distante, anni luce, dal valore del personaggio.
E attenzione anche a definirlo "Grande Comunicatore". Una volta c'era la Merlino che ogni mattina ci informava del tweet di renzino alle sette del mattino, col quale informara urbi et orbi che stava già lavorando per noi. Ora questa politica di illustrazione di programmi complessi in 160 battute spazi inclusi, lo sta trascinando nel ridicolo, frutto di battutacce da Bagagliono, e quando per personaggi di questa fatta la luna di miele finisce, non finisce dolcemente.
Un anno, due al massimo???? Caro Natale, tutto il tempo che ormai Renzi ha davanti è quello per dettare la finanziaria (ammesso che ci riesca), e di incassare l'ennesimo NO alle richieste di allentamento dei vincoli di bilancio. Poi dovrà iniziare a riprendersi i mitici 80 euro con altri mezzi, e ... acca nisciuno ' fesso...
Tafanus
"Si possono ingannare poche persone per molto tempo o molte persone per poco tempo. Ma non si possono ingannare molte persone per molto tempo" (Abraham Lincoln)
2908/0630/1300
Scritto il 06 settembre 2014 alle 22:30 nella Renzi | Permalink | Commenti (6)
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Molti annunci, buona volontà e iniezioni di fiducia. Ma non basta se non ci sono riforme che convincano i mercati a darci credito. In attesa della sua prima legge di stabilità
Per fare una rivoluzione, anche solo la mini-rivoluzione dell'economia italiana promessa da Renzi con meno tasse e più concorrenza, ci vogliono ben più di sei mesi. Ci vorranno anche più dei mille giorni contemplati nella nuova strategia comunicativa del "passo dopo passo". Mentre la prima legge di stabilità del governo Renzi non ha ancora visto la luce. Quindi è troppo presto per offrire un giudizio compiuto sulla politica economica del nuovo esecutivo, il quarto da quando in Italia è iniziato il grande freddo. Ma è utile comunque valutare quanto fatto in questi primi 180 giorni di Renzi a Palazzo Chigi. La crisi profonda del nostro Paese non ci consente passi falsi e i mercati finanziari ci hanno concesso una tregua che potrebbe rivelarsi molto breve. Quindi bene partire col piede giusto.
Il governo ha dato priorità alle riforme istituzionali rispetto a quelle economiche. Superare il bicameralismo perfetto e ridimensionare il ruolo (e i costi) del Senato è importante anche dal punto di vista economico perché velocizza i processi decisionali e taglia i costi della politica. Tuttavia le riforme istituzionali richiedono molto capitale politico e tempi lunghi e l'economia non aspetta, mentre il governo non ha potuto sin qui presentarsi a Bruxelles e di fronte ai mercati con almeno una importante riforma economica realizzata.
Quella flessibilità nell'interpretare le regole fiscali dell'area euro che il governo ha spesso invocato negli incontri europei richiede all'Italia di esibire risultati concreti. La cosiddetta "clausola di riforma" (articolo 5.1. della riforma del Patto di Stabilità e Crescita del 2005) permette, infatti, di chiedere, per un massimo di tre anni e in via preventiva, di rallentare il processo di avvicinamento al pareggio di bilancio strutturale (l'obiettivo di medio periodo per l'Italia) nel caso in cui un Paese avesse realizzato (con tutti i decreti attuativi varati) riforme strutturali che portino a un miglioramento futuro dei conti pubblici. Se fosse partito dalle riforme economiche anziché dal Senato, Renzi avrebbe potuto ottenere concessioni dall'Europa e, alla luce di queste, affrontare le riforme istituzionali da una posizione di forza. Quindi la sequenza di misure non sembra sia stata quella ottimale.
Il provvedimento più importante in materia economica è stato sin qui il bonus di 80 euro. Va nella direzione giusta di ridurre prioritariamente il cuneo fiscale sul lavoro. Il profilo distributivo lascia a desiderare perchè rimangono fuori coloro che hanno redditi troppo bassi per pagare le tasse, i cosiddetti incapienti, oltre che i disoccupati, tra cui si annida la povertà. Ma soprattutto si tratta di una grande incompiuta. A tutt'oggi non sono infatti ancora state trovate le coperture strutturali per il bonus e questo ne compromette l'efficacia nel sostenere i consumi. Le famiglie, infatti, si chiedono se, come spesso avvenuto in Italia, quel che viene oggi dato con una mano, verrà un domani tolto con l'altra, se lo sgravio fiscale si tradurrà in nuove tasse, magari con acronimi fantasiosi. Poteva il bonus almeno servire per raccogliere il consenso, costruire una constituency per sostenere la spending review, mostrando agli italiani cosa si può fare quando si riesce a ridurre la spesa pubblica. Invece Renzi non ha voluto sin qui approfittare della luna di miele della vittoria elettorale alle Europee per presentare un coraggioso piano economico, farlo approvare a colpi di voti di fiducia e poi approdare a Bruxelles forte di questo e, dati alla mano, discutere di vincoli.
Il Jobs Act doveva essere la prima riforma nello scadenzario definito all'atto dell'insediamento del nuovo governo. Sarebbe stata la scelta giusta perché un mercato del lavoro che funziona meglio serve a rilanciare sia la domanda (più lavoro quindi stimolo ai consumi) che l'offerta (stimolando maggiori investimenti esteri, come in Spagna, e aumentando la produttività). Ma sul lavoro il governo Renzi ha solo varato un decreto sui contratti a tempo determinato che va in direzione diametralmente opposta rispetto alle idee contenute nel disegno di legge delega che dovrebbe rappresentare il vero e proprio Jobs Act. Il problema è che il decreto, con la nuova prova triennale, rende del tutto improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come quello formulato nel disegno di legge delega. Un periodo di prova così lungo spiazza qualsiasi altra tipologia contrattuale nel periodo di inserimento. E dopo un periodo di prova di 3 anni, non si può immaginare di avere un contratto di inserimento che allungherebbe la fase iniziale del contratto a 6 anni, quando l'anzianità aziendale media in Italia è attorno ai 15 anni. Inoltre il decreto aumenta il dualismo nel mercato del lavoro e innalza le barriere che separano i contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato, rendendo più difficile la conversione dei primi nei secondi, come evidenziato dai dati sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro. I fiumi di parole sulla cosiddetta Garanzia Giovani e l'impegno di prendersi in carico tutti i giovani che non hanno un lavoro e che si registrano al portale sono rimasti tali.
IL decreto sulla PA è un rinvio anch'esso a una legge delega che deve ancora approdare in Parlamento e rinvia a 77 decreti attuativi che devono ancora vedere la luce. Simile il caso dell'abolizione delle Province. Anche il decreto sulla giustizia civile è un guscio vuoto. Potrebbe avere effetti economici importanti nel ridurre i costi di fare impresa in Italia se davvero riducesse l'arretrato, ma lascia fuori le controversie sul lavoro e previdenziali che sono quelle che contano davvero.
Lo sblocca-Italia non è una riforma. Semmai rappresenta uno strascico del decreto del fare del Governo Letta, a sua volta con molti predecessori tra cui la famosa legge obiettivo presentata da Berlusconi a Porta a Porta nel 2001. Non servirà neanche come strumento congiunturale per scongiurare il rischio di una nuova prolungata recessione. Gran parte delle opere, infatti, non sono immediatamente cantierabili. Tre quarti di queste potranno, nella migliore delle ipotesi, partire nel 2018. Del resto è lo stesso profilo temporale dei finanziamenti a certificare che non si tratta di misure di impatto immediato: 40 milioni nel 2014, 415 nel 2015, 888 nel 2016 (40 milioni sono il costo medio di 100/150 appartamenti di categoria media nelle città-capoluogo di provincia.
(DAVVERO il renzino pensa di rimettere in moto l'economia con 40 milioni??? Quaranta milioni sono anche la bellezza di 0,67 € per abitante di questo paese. Meno de costo di un caffè. Renzi, non scomodi termini com "Sblocca-Italia" per una minchiata di queste dimensioni. Le regaliamo noi 10 euro a testa, così quest'anno avrà a disposizione non 40 milioni, ma 600 milioni. Sempre pochi, per "Sbloccare l'Italia", ma 15 volte in più dello stanziamento "Svitol" 2014. Ma questo prende per il culo ritenendo che gli italiani siano una massa di idioti, oppure - e sarebbe ben peggio - non riesce a fare una divisione neanche con la calcolatrice? NdR)
INSOMMA I PRIMI SEI MESI DI MATTEO RENZI a Palazzo Chigi sono stati per lo più la cronaca di una rivoluzione annunciata. Un lungo elenco di riforme prossime venture, qualche decreto apripista. Per attuare questo programma molto ambizioso, per fare delle riforme vere ci vorrà molta concentrazione e più lavoro e gioco di squadra. Il nostro premier si è rivelato un grande solista, con eccellenti doti di comunicatore anche nello spiegare il significato di misure lontane dal quotidiano di molti italiani. L'unica eccezione, forse, è stata la riforma istituzionale, perché l'impressione è che Renzi non sia riuscito a trasmettere agli italiani il significato del superamento del bicameralismo perfetto. Le riforme che servono davvero per far ripartire l'economia italiana richiedono comunque doti non solo di comunicazione. Più che molti cinguettii, dovremo udire il cigolio dei bulloni svitati e riavvitati e ci dovrà essere molto lavoro oscuro da parte di chi guarda ai piccoli dettagli delle norme e delle procedure senza cadere nelle trappole tese dalle burocrazie ministeriali che mirano a mantenere intatto il loro potere e senza troppi rinvii ai posteri di decreti attuativi. Il Paese bloccato ha bisogno di un nuovo motore. Non basta il volontarismo. Non basta neanche una spinta di fiducia, per quanto poderosa.
Tito Boeri
2808/0630/1839
Scritto il 06 settembre 2014 alle 18:48 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 06 settembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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L'Espresso pubblica oggi un "Dossier Renzi" composto da 5 articolesse di Massimo Cacciari, Tito Boeri, Michele Ainis, Salvatore Settis ed Eugenio Scalfari. Ognuno tratta del renzismo da un'angolazione particolare. Il quadro complessivo che ne emerge non sembra essere lusinghiero. L'impressione che ci si fa leggendo il complesso dei cinque articoli è che la intellighentzia nostrana stia scaricando il Mr. Bean 'de noantri alla velocità della luce, e questa è già una discreta notizia.
Pubblicheremo i 5 articoli separatamente, per non appesantire il post. Inizieremo oggi con l'articolo di Massimo Cacciari.
Dossier Renzi/1 - Lotta alla burocrazia. Tutto il potere al Sovrano
(di Massimo Cacciari)
Qual è il disegno politico di Renzi? Dare all'esecutivo quella capacità di decidere che oggi manca. O è impedita dai freni imposti dalla pubblica amministrazione. Problema reale, che però non si risolve subordinando ogni cosa al governo.
Credo sia ancora prematuro, e anche ingeneroso, giudicare il governo Renzi sulla base dei risultati ottenuti, almeno quanto troppo benevolo apprezzarlo per la buona volontà e gli ottimi annunci. Ma alcune considerazioni di ordine generale sulla "cultura politica" che in qualche modo esprime, e quindi sulle prospettive strategiche che da essa possono derivare, sono forse già possibili.
Poiché si straparla di riforme e riformismo l'esercizio appare, inoltre, indispensabile; riformismo non significa, infatti, sommare leggi, leggine e decreti, più o meno dettati dall'emergenza, ma comprendere il "male radicale" di un determinato assetto istituzionale e proporre idee e mezzi adeguati al suo superamento. Ora questo "male radicale" sembra consistere, nella visione di Renzi, in quella che un tempo si sarebbe definita "democrazia senza scettro": è necessario il "sovrano" perché la sovranità del popolo possa realizzarsi; la madre delle riforme starebbe, allora, nel garantire al cosiddetto "esecutivo" quella capacità di decisione rapida e efficace che oggi manca.
È da questa visione che discendono le convergenze obbiettive tra la retorica di Renzi e quella di Berlusconi, personalità per altro verso addirittura opposte.
L'opposizione (interna o esterna, non cambia) è certamente composta di "honourable men", tuttavia saggio sarebbe che mai venisse posta nelle condizioni di bloccare o sovvertire le decisioni del governo; chi dubita della loro efficacia e delle grandi speranze che esse suscitano, non critica o discute, ma "gufa"; "poteri forti", corporazioni professionali e sindacali, burocrazia incombono insonni sull'azione del governo, impedendo che se ne adempiano le promesse. Renzi non può ormai aggiungere all'elenco l'invadente "partitocrazia", avendo ultimato la conquista del Pd, come dimostra la nomina del "ministro degli esteri" europeo. Non vi sono più neppure dei Casini o dei Fini a infastidire la guida.
Dio solo sa se il problema della decisione non sia reale. Chi scrive, con pochi altri, mise in discussione il modello parlamentaristico puro quarant'anni fa, e figurarsi se possono stupire o apparire rivoluzionarie le proposte in materia di rafforzamento dell'esecutivo. Ma in quale senso e sulla base di quale idea di democrazia e di politica vengono oggi ripresentate? Il loro senso è quello di riaffermare una sorta di "primato del Politico" e di subordinazione al suo comando di ogni articolazione dello Stato. Ma una decisione politica davvero riformistica non dovrebbe procedere, in questo Paese, e in base a tutta la sua storia, in una direzione esattamente opposta? Il "male" italiano non è stato sempre quello di una pervasiva presenza di "volontà politica" all'interno di ogni settore della nostra vita civile e amministrativa? Ovvero, proprio quello della subordinazione degli apparati e delle funzioni amministrative al politico? Che la nostra pubblica amministrazione sia inefficiente risulta da dati di fatto incontestabili: giustizia, costi per fare impresa, addirittura per pagare le tasse, per ottenere ogni sorta di servizi. Ma ciò non dipende forse, oltre che dal coacervo e sovrapposizione di leggi illeggibili (perché non si è partiti dalla "semplificazione"?), proprio dal fatto che non si è mai voluto una burocrazia preparata, intelligente, responsabile, e se ne è
sempre auspicata la "obbedienza"?
Sono immaginabili intelligenza e responsabilità senza autonomia? L'idea di un apparato amministrativo capace ed efficiente eterodiretto è una contraddizione in termini, o una vecchia idea fordista applicata a sproposito. Segno di una vecchissima concezione del Politico e dello Stato. Una politica nuova sa quanto relativa sia nel mondo globale la sua autonomia, e sa di doversi avvalere sempre più di competenze che non possono essere decise attraverso il voto e di uomini che non possono andare e venire a seconda di governi e maggioranze. Lo Stato moderno si è sempre affermato come un centauro fatto di volontà politica e apparato burocratico. Il problema non consiste nel ridurre quest'ultimo alla prima, ma nel fare in modo che abbiano entrambi senso dello Stato e quindi riconoscano reciprocamente la propria necessità e relativa autonomia. Demonizzare il ruolo ostacolante-frenante del potere burocratico è patetico. Questa, infatti, è la sua funzione storica. Il potere politico dovrebbe, piuttosto, orientarsi nel garantire con ogni mezzo la selezione di una classe burocratica, a tutti i livelli, dotata di senso dello Stato e perciò di responsabilità nei confronti della stessa autorità politica. E invece parrebbe che l'ideale fosse quello di avere a disposizione gli apparati amministrativi, come sempre più spesso accade con giovani ministri, deputati-nominati o con la pletora metastatica di consiglieri di amministrazione in partecipate o enti di Stato.
Un colossale limite della politica italiana, in tutta la sua storia, consiste appunto nel non avere mai voluto formare una vera classe burocratica. Autonomia non è corporativismo. La democrazia futura, se mai vi sarà, maturerà invece dalla cooperazione tra una burocrazia competente e in grado di esercitare una funzione critica positiva nei confronti del progetto politico, garantendo la continuità dell'amministrazione, da un lato, e, dall'altro, una politica consapevole dei propri limiti in un mondo nel quale la complessità dei problemi rende necessarie conoscenze e esperienze che nessuna elezione può garantire e nessuna retorica sostituire.
Tutti i messaggi di questo ventennio, consapevolmente o no, ripetono il refrain: è necessario ridurre l'autonomia dei poteri burocratici. Solo all'inizio degli anni Novanta balenò, per spegnersi subito, l'idea giusta: è necessario formare-educare. Selezionare una classe burocratica autonoma proprio per rendere efficiente e continuativa l'azione amministrativa e perciò promuovere l'autorevolezza stessa dello Stato. Le occasioni per mettere alla prova su questo banco decisivo il governo Renzi sono arrivate: scuola e giustizia. Vorrà il governo continuare con il modello sovietico della nostra scuola, dove da Roma si deliberano offerte didattiche, tasse, stipendi, procedure di reclutamento, dove commissioni centralistiche decretano sulla bontà dei progetti e sui finanziamenti alla ricerca, o si deciderà finalmente per un'effettiva autonomia? Il governo Renzi procederà nella direzione anti-autonomistica e anti-federalistica, che esige burocrazie "al servizio" perpetuandone l'inefficienza, o punterà sulla responsabilità e preparazione di ogni funzione dello Stato? Purtroppo l'ardua sentenza non spetterà ai posteri.
Massimo Cacciari
(continua)
2808/0630/1200
Scritto il 05 settembre 2014 alle 17:03 | Permalink | Commenti (0)
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Ricevo dall'amica Patrizia T., e pubblico, questa perla di letteratura pubblicitaria del Ronzino, e della sua Minestra della Pubblica Distruzione. Ma al Ministero, che vuole "sorprenderci" con le sue innovazioni, stanno innovando anche sulle regole dell'ortografia, e della divisione in sillabe? E non hanno nessuno scagnozzo che abbia completato la scuola (pardon... la squola) dell'obbligo, che possa dare una guardatina ai loro coloratissimi e chilometrici spot pubblicitari? Ecco le due righe d'accompagnamento di Patrizia (che ringrazio), e il "il corpo del reato":
#renzicistupisci
Scritto il 05 settembre 2014 alle 00:18 | Permalink | Commenti (12)
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Dal videomessaggio sulla scuola al "taglio delle tasse", dall'articolo 18 che è "solo per pochi" ai lamenti per i "virgolettati inventati". Fino a un sito che riecheggia il contratto con gli italiani, versione 2.0. E più scansa l'annuncite, più ci cade dentro. Ricorda qualcuno? (di Susanna Turco - l'Espresso)
Matteo Renzi, e la rivoluzione del campo stretto. Se per anni i film-maker berlusconiani hanno dettato un’estetica fatta di inquadrature a mezzo busto, giacche, gemelli, libri, lampade bandiere e foto di famiglia, adesso Renzi ci mette solo la faccia. Nessuna digressione sugli oggetti, nessuna narrazione affidata al contesto: la realtà sono io, il resto è zero. Et voilà: il videomessaggio, nell’era dell’ex rottamatore.
In attesa di stabilire se si tratti di una evoluzione o di una involuzione, di certo c’è questo: prendendo a prestito l’ultima ossessione renziana in fatto di linguaggio (il suffisso in –ite) si può dire che nell’inizio dell’anno scolastico 2014-2015, il presidente del Consiglio pare affetto da berlusconite.
Una nuance, una patina, un branco di dettagli che brillano o si confondono come pesci nell’acqua. Tracce sempre più visibili, parenti strette dell’annuncite che il premier cerca invano di scansare (e più la scansa, più ci cade dentro), appena approdate addirittura nel videomessaggio agli italiani – versione campo stretto - dopo una rapida escalation.
Eccola qui la "rivoluzione" del premier. Aveva detto di voler stupire, sulla scuola. Poi i provvedimenti annunciati a voce bassa dalla ministra Giannini sono stati congelati, posticipati, proiettati in un futuro vago come le coperture per assumere 100 mila nuovi insegnanti. Ora il presidente del Consiglio riacciuffa il tema sul sito "passodopopasso quello dei mille giorni di programma. Apre una discussione con i cittadini: "Dal 15 settembre al 15 novembre andremo scuola per scuola, aula per aula, a raccogliere le vostre opinioni. Scriveteci, criticateci, diteci la vostra", afferma Matteo Renzi nel suo videomessaggio. "Coinvolgetevi. Sono anni che fanno le riforme passando sopra la vostra testa. Stavolta, no. Vogliamo affrontare questa sfida insieme" ("passodopopasso"è l'ossimoro di "ADESSO", degli 8 giorni, dei Cento Giorni già diventati Mille. E questo coso è l'ossimoro di uno statista. Dio ci salvi da Renzi e da twitter. NdR)
Solo ieri, per dire, le agenzie di stampa lanciavano la notizia che sulla e-news di Renzi c’erano le linee guida della riforma della scuola – quelle su cui oggi s’apre la campagna d’ascolto - mentre invece non c’erano (ancora): erano semplicemente state anticipate ai media prima che messe nero su bianco su internet.
Sempre ieri, si ha notizia e testimonianza di giornalisti alle prese con il sito passodopopasso , alla ricerca spasmodica, a tratti disperata, di sezioni annunciate come presenti, ma in effetti non ancora presenti nella piattaforma. Il che, certo, non è come cercare sul territorio le sedi dei guerriglieri della libertà di brambilliana memoria, ma insomma lo ricorda.
Anche perché il sito nella homepage pare non recar traccia di vera crisi: v’è chiarito, ad esempio, che secondo l’Istat l’occupazione è aumentata da febbraio a luglio dello 0,2 per cento; si tralascia, però, di dire che sempre l’Istat ha appena fornito i dati di luglio, nei quali si dice che l’occupazione è calata dello 0,2 per cento rispetto a giugno e dello 0,3 su base annua. Insomma, la verità è una coperta che lascia scoperti i piedi: e il Renzi affetto da berlusconite, o forse solo terrificato dall’idea di essere paragonato al governo del cacciavite di Enrico Letta, non è che voglia arrivare a dire che i “ristoranti sono sempre pieni”, ma insomma preferisce raccontarne la parte migliore.
Non si spiega altrimenti questo spin, l’inclinazione che ha preso da ultimo la trottola renziana di parole e azioni. Di parole, soprattutto. Lunedì, in una conferenza stampa che pareva essere stata fissata per illustrare un programma, e che invece è stata dedicata all’annuncio della nascita di un sito internet, Renzi ha dato altro materiale. Ad esempio, raccontare il famoso bonus da ottanta euro come “la più grande riduzione delle tasse mai fatta”.
Ricorda qualcuno? Certo che sì, e infine l’intento è chiaro: laddove il Cavaliere ha solo promesso, per decenni, meno tasse per tutti, Renzi attua, mette in pratica. Ecco l’evoluzione: meno tasse per alcuni, intanto. Per il “ceto medio”, dice il premier democratico: ed è in fondo la platea dei destinatari (non le partite iva, non i pensionati), più che la misura, a fare la differenza. Soprattutto nel momento in cui anche Renzi evoca la parolina magica: le tasse. Un accostamento diretto che aveva fatto una sola altra volta: quando, a metà maggio, attraversava un momento più difficile, ed era in piena campagna elettorale per le europee.
Ecco, si direbbe che quando è più sotto pressione Renzi si rintani in una specie di riflesso berlusconiano che invece scansa agilmente, quando è più tranquillo . Una patina che si ritrova anche nel liquidare come “ideologico” il dibattito sull’articolo 18, argomentando essere una misura che ogni anno riguarda “solo tremila persone”, cioè poche (come se potesse essere questo, il metro per giudicare un articolo di legge).
O ancora, proprio nell’idea stessa di proporre una diacronia delle riforme, la cui realizzazione è da verificarsi attraverso un sito internet: in qualche modo, una versione 2.0 del contratto con gli italiani e delle brochure sullo “stato di attuazione del programma” di berlusconiana memoria. E, infine, persino nella reprimenda sui virgolettati “inventati” a lui attribuiti sui giornali: “Se leggessi dodici quotidiani direi ‘caspita quanti virgolettati che fa Renzi ‘ ”, ha detto l’altro giorno Renzi medesimo in conferenza stampa, spiegando che Filippo Sensi, il suo portavoce, gli impedisce di smentirli per una questione di stile.
Ecco, Berlusconi li smentiva tutti in blocco, salvo spiegare che i giornali non li leggeva, che Paolo Bonaiuti glieli nascondeva, per evitargli travasi di bile. Differenze di gradazione più che di scala cromatica, verrebbe da dire mentre il faccione di Renzi occupa fisicamente tutto lo schermo, e chiede agli italiani di mandargli mail sulla riforma della scuola per i prossimi due mesi. Così poi ci si penserà a novembre.
Susanna Turco
...Non ci posso credere! sono felice come una Pasqua. Anzi, come una Pasquetta (che è più frivola e felice)... Cosa abbiamo mai fatto di buono per meritarci l'ennesimo "sito-puttanata" del berluschino? Sarà fonte di ispirazione e di ilarità, come già lo furono il sito della Brambilla, quello della Gardini, e quello dell'Esercito di Silvio. Sarà la nostra fonte primaria di ispirazione, e lo apriremo ogni mattina, col cuore pieno di speranza, per conoscere di prima mano le mirabilia prossime venture. La prima è servita: dopo aver "non visitato" una scuola ogni settimana", come annunciato a febbraio, dopo "non aver" ristrutturato mille scuole, adesso ci annuncia che SAREMO in TUTTE le scuole dal 15 settembre al 15 novembre.
Segnatevi questa data: 15 settembre. Cercheremo di capire cosa cazzo significhi "SAREMO, DOVE saremo, e A FAR COSA". Tafanus
2708/0630/1730
Scritto il 04 settembre 2014 alle 13:04 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 04 settembre 2014 alle 00:22 | Permalink | Commenti (8)
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Questo racconto potrebbe cominciare così: "...c'erano una volta xxxxxxx xxxxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxx...", che ai tempi della "Leopolda 1.0" erano delle punte di diamante del sito democrazialegalita.it, fondato da Elio Veltri. E prima della Leopolda 1.0 mi amavano. Mi amavano molto, tanto che per un lungo periodo il Tafanus non solo era menzionato spesso, ma era linkato sul sito in questione come "Il nostro sito preferito".
Alcuni tafani di lungo corso hanno avuto il piacere di conoscere xxxxxxxx xxxxxxxx qualche anno fa a Firenze, in una pizzeria dove una trentina di amici del Tafanus, in arrivo da mezza Italia, aveva avuto il piacere di incontrarsi, alla vigilia del pranzo del giorno dopo.
Molti frequentatori storici del Tafanus si ricorderanno di alcuni articoli di Xxxxx Xxxxxxxxx postati sul Tafanus, per la pubblicazione dei quali ricevevo non solo l'autorizzazione esplicita, ma anche calorosi ringraziamenti.
Poi è arrivata la Leopolda 1.0, e i due hanno iniziato, su facebook, a prendere una strada che non mi piaceva. Niente di grave o di dannoso, ma di ridicolo si. Non faceva in tempo, il Renzino, a fare su feisbuc quello che adesso fa su "twitter" (e cioè pubblicare a getto continuo pensierini insulsi in formato baci/perugina), che arrivavano, puntuali come la cometa, i "mi piace" dei due, ma in specie di Xxxxxxxxxxxx. Ed io, che non sono gentile, ho iniziato a sottolineare la cosa con una certa ironia.
Matteo Renzi inauguruva un "fontanello"? dava la clamorosa notizia su feisbuc, e puntuali arrivavano i "mi piace", sempre dei soliti. Ma Xxxxx Xxxxxxxx era sempre nel "gruppetto di testa". Per farla breve, abbiamo iniziato a dissentire sempre più frequentemente e pesantemente sul nascente renzismo. E sulla coorte di "mipiacisti" che non perdeva occasione... Tanto che, memore dell'insegnamento andreottiano (a pensar male si fa peccato, però...) ho avuto persino l'ingiusto sospetto che molti stessero cercando di pre-costituirsi un posto a tavola...
Poi, lentamente ma non troppo, il nostro ammmore si avviò alla fine... prima sparì il link al "Tafanus, il nostro sito preferito", dal sito Veltri/Xxxxxxxx/Xxxxxxxxx; poi, un bel giorno, cercando l'amico Xxxxxxxxx su feisbuc, ho scoperto che ero stato cancellato dalla lista dei suoi "amici". Xxxxxxx Xxxxxxxxx no, non mi ha cancellato, ma di fatto non si siamo più sentiti.
Oggi, quale sorpresa! mosso dalla curiosità di sapere che fine avesse fatto Xxxxx Xxxxxxxxx, ho fatto una visitina sul sito democrazialegalita.it, per vedere a che punto fosse arrivato il renzismo di Xxxxx, e - surprise! - sul sito non c'è più traccia né di Xxxxxxxxx, né di Xxxxxxxxx. Allora ho cercato "Xxxxx Xxxxxxxxx" su gogol, e come pensavo scrive su un altro sito, credo suo e di Xxxxxxx.
E, quando ho iniziato a leggere un suo articolo, non volevo credere ai miei occhi! Cambiare idea nella vita è lecito. Anche a me è successo. O meglio... non è successo a me... è successo all'oggetto del mio ammmore, il PCI di Enrico Berlinguer, di cambiare faccia. Prima in maniera ancora accettabile (con la Bolognina). Poi in maniera incomprensibile (col ruttellismo); infine, col trasloco di quello che era stato il partito per cui votavo "sull'altro lato di Viale Zara", quello su cui sono parcheggiate le battone.
Ma MAI NELLA VITA mi è capitata la fortuna di dare una grandissima prova di intelligenza, passando al berlusconismo o al fascismo. Muoversi all'interno di uno schieramento è umano, le virate di 180° sono proibite dal codice della strada, e non sono coerenti col mio scarso grado di intelligenza.
Colui che un giorno metteva i likes su qualsiasi minchiata, purchè firmata dal ronzino, oggi scrive sul suo nuovo sito il post in calce, di cui posso citare solo l'incipit, e mettere in fondo il link all'articolo.
Volgarità istituzionali - Lo scontro renziani-Grasso sulla perniciosa riforma del Senato
Infastidito dai costituzionalisti che cercano, inascoltati come sempre, di spiegare le criticità di una riforma che non esito a definire quantomeno fantasiosa, il presidente del consiglio Renzi ha sbottato che lui ha giurato sulla Costituzione (quella stessa costituzione che vuole stravolgere e che apertamente snobba, insulta, disprezza), e non sui “professoroni”.
Il tono è quello di un piccolo Lucignolo che, marinata la scuola per l'intero anno scolastico, risponda beffardo al maestro che ne riprenda gli strafalcioni. Sì, l'applauso dei compari del paese dei balocchi lo potrà anche ottenere, ma è una soddisfazione di bassa categoria. E quando spunteranno le orecchie d'asino, sarà un piangere ed un ragliare tardivo.
...da non credere... Lucignolo... asino... strafalcioni... paese dei balocchi... Forse neanche io ho mai scritto di peggio. Il resto dell'articolo lo potete leggere sul link qui sopra, perchè il sito ha inibito la funzione di copia. Si sa mai che qualcuno voglia apprtofittarne per portar via qualche profonda analisi sul renzismo che una volta era il toccasana, e adesso produce la "perniciosa riforma del Senato". Quam mutatus ab illo...
In calce, il frontespizio cliccabile del sito (potete aprire il sito cliccando sul logo), e la auto-presentazione dei responsabili, molto "uncospicuos", come direbbe Agatha Christie... Tafanus
E questa è la sobria presentazione del sito:
Da lunghi anni di esperienza di informazione e giornalismo sul web, nasce, nel novembre 2011, Approfondendo.it . Una esperienza ed una professionalità sempre ispirata alla comprensione, alla analisi e alla riflessione, libera da condizionamenti ideologici di appartenenza e dalle suggestioni della notizia gridata, dalle suggestioni della urgenza, della attualità contingente; una esperienza ed un metodo fondati sulla volontà di capire l'accaduto e di interpretare anche il mezzo stesso, internet, dove agiamo. Farne un mezzo credibile, dunque, e non vettore di sensazionalismi, improvvisazioni e invettiva, ma uno strumento utile per lavorare su una coscienza di cosa significhi informare, interagire, raccontare, con l'autorevolezza che dà la accuratezza nella preparazione e la analisi precisa, scientifica, di quanto scritto, affermato, studiato, in un costante percorso di approfondimento- da quiesto il titolo, approfondendo - che è quello che facciamo, un attento e spesso faticoso lavoro di diasamina di dati, fonti, riscontri, senza fermarsi alla prima, e spesso troppo facile, lettura degli accadimenti.
Il taglio, il metodo, la strada che seguiamo, sono quelli, dati dalla nostra specifica formazione, dettati dal punto di vista politologico, sociologico, e giuridico.
(Xxxxxxx Xxxxxxxxx)
2708/0630/1100
Scritto il 04 settembre 2014 alle 00:15 | Permalink | Commenti (8)
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Era da un pezzo che non pubblicavo il Travaglio-Pensiero, ma questa volta devo fare un'eccezione. La ragione è molto semplice. Quello che ha scritto Marco Travaglio sul "Fatto" del 31 Agosto, lo condivido all'A alla ZETA. Renzi sta facendo di tutto per difendersi dall'accusa di essere intelligente, e a volte (a dire il vero, sempre più spesso) ci riesce magnificamente. Tafanus
Italia, un paese rovinato da premier con_gelati
“Oltre ai suoi difetti, che non fa nulla per nascondere, Matteo Renzi ha mostrato finora almeno tre pregi: intelligenza, coraggio e abilità nella comunicazione. Venerdì, nella conferenza stampa sul consiglio dei ministri del Big Bang che doveva rivoluzionare l’Italia, il premier con gelato e congelato ha fatto di tutto per smentirli tutti e tre.
Soltanto uno stupido può inscenare quegli spensierati sketch da cabaret o da villaggio vacanze mentre il Paese sprofonda sempre più in una crisi senza fine. Solo un pavido può rinviare a data da destinarsi misure urgenti come quelle – da lui stesso peraltro annunciate – sul disboscamento delle partecipate comunali, la prescrizione, il falso in bilancio, l’autoriciclaggio e la corruzione.
Solo un pessimo comunicatore può offendere e provocare milioni di italiani che faticano a campare con battutine e sceneggiate da “tutto va ben madama la marchesa” e con bugie dalle gambe cortissime tipo gli annunci sull’alta velocità Messina-Palermo, la “cantierabilità” (ma come parla?) di opere pubbliche per 43 miliardi (che poi sono 3,8 e stanziati dai governi precedenti), il processo telematico (avviato 15 anni fa, quando lui era all’università) e il dimezzamento dei tempi e degli arretrati nella giustizia civile.
Finché racconta palle su materie tecniche e poco verificabili, la gente magari ci casca un altro po’. Ma quando sostiene di aver creato 100mila posti di lavoro in due mesi, mentre l’occupazione continua a scendere a botte di 1000 disoccupati al giorno, c’è pure il caso che s’incazzino in tanti. Poi c’è la giustizia: dopo mesi di annunci, si sperava di vedere finalmente –oltre alle slide- qualche testo di legge. Ma era troppo pretendere: la tradizione orale continua.
Per sapere come pensano Renzi e il povero Orlando di dimezzare i 5,2 milioni di processi civili arretrati e la durata delle cause di primo grado, bisogna tirare a indovinare. Sperano che 2,6 milioni di fascicoli evaporino o si smaterializzino con la macumba? Diramano una circolare ai cancellieri perché si mangino o gettino nel cassonetto un fascicolo sì e l’altro no? Allestiscono pire di dossier nel cortile di via Arenula come fece Calderoli col lanciafiamme per 250mila presunte “leggi inutili”?
Dalle prime indiscrezioni, pare che tenteranno di convincere 2,6 milioni di cittadini che han fatto causa e attendono da anni giustizia a lasciar perdere o ad accordarsi con chi li ha danneggiati fuori dal tribunale, sostituendo il giudice con un avvocato (tanto ne abbiamo da vendere: 250mila e passa). In alternativa, le parti potrebbero sempre giocarsi la causa a pari e dispari (bim-bum-bam), a braccio di ferro, o magari a briscola, tressette, poker e sette e mezzo. Oppure rivolgersi a Previti, che già dei giudici faceva a meno perché se li comprava e le sentenze, per sicurezza, se le scriveva da solo: un precursore.
C’è poi il meraviglioso “chi sbaglia paga”, da applicarsi esclusivamente ai giudici (se valesse anche per Renzi, con tutte le stime del Pil che è riuscito a cannare in sei mesi finirebbe all’ergastolo). Lo slogan è molto popolare, specie in un paese con milioni di criminali che votano e fanno votare, e le rare volte che si riesce a condannarli si sentono tutti Enzo Tortora.
Ma anche questa è pura chiacchiera: l’errore giudiziario presuppone il dolo (cioè che il giudice lo faccia apposta) o la colpa grave (un abbaglio tale da sbagliare persona o ignorare una prova gigantesca dell’innocenza o della colpevolezza dell’imputato), cose che capitano in casi eccezionali.
Infine le intercettazioni: per dare un contentino ad Alfano, cioè a Berlusconi, il premier annuncia che in caso di tangenti la conversazione si pubblica ancora, mentre “se c’è del tenero tra me e il ministro Martina” non più. Purtroppo, fra tutti gli esempi che poteva fare, gli è uscito il peggiore. Se il premier andasse a letto con Martina, i cittadini avrebbero il diritto di sapere se l’ha portato al governo perché è un bravo ministro operché è bravo a letto. Ma forse Renzi pensava a qualche altro ministro”.
Marco Travaglio
2608/0630/1630
Scritto il 03 settembre 2014 alle 22:27 | Permalink | Commenti (0)
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L'assenza di una vera classe dirigente pentastellata, il difficile rapporto tra la leadership forte e la democrazia diretta e la direzione che deve prendere il Movimento. Parla Marco Tarchi, politologo e studioso dei fenomeni populisti (Fonte: l'Espresso. Intervista di David Allegranti a Marco Tarchi)
...comprereste una bicicletta usata da Sai Baba?...
La stagione politica è appena ricominciata. Dopo la scoppola presa alle Europee, curata dal leader Beppe Grillo con il Maalox, il M5S prova a rianimarsi. I punti critici non mancano: dal complicato rapporto fra leadership e assemblearismo alla qualità della classe dirigente. Dal 10 al 12 ottobre, Grillo riunirà eletti e simpatizzanti al Circo Massimo, a Roma (sempre che arrivi l’autorizzazione alla manifestazione...). Ne abbiamo parlato con Marco Tarchi, politologo e studioso di populismo, autore de “L’Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi”, pubblicato una decina di anni fa dal Mulino.
Il M5S, dopo un anno e mezzo in Parlamento, continua ad avere un problema di classe dirigente?
«È inevitabile che sia così. Finché perdurerà un processo di selezione affidato esclusivamente all’autopromozione in Rete, sul modello delle “parlamentarie”, a livello nazionale, o al giudizio degli iscritti ai meetup, a livello locale, il rischio di incappare in personaggi poco affidabili, più disposti a coltivare ambizioni personali che a difendere una linea politica o di pensiero, resterà elevato. Va tenuto presente che siamo di fronte, nella maggior parte dei casi, a neofiti della politica, di formazione culturale eterogenea, che sono stati attratti da un movimento che esprimeva soprattutto un potenziale di protesta e che, a partire dal 2012, ha mostrato forti capacità di aggregazione di consensi».
E adesso al Movimento servirebbe un po’ di scuola politica?
«Senza un’intensa opera di formazione preventiva, che non si può svolgere solo tramite chat telematiche o sporadiche iniziative sul territorio, un gruppo politico nuovo non può creare in breve tempo una classe dirigente efficace e compatta. Certe leggi della politica neanche internet può demolirle, almeno per adesso».
Qual è, attualmente, il maggior punto critico dei Cinque Stelle?
«La convinzione che una linea d’azione incisiva possa essere non solo decisa ma anche costantemente ridiscussa dal basso, che l’assemblearismo consenta di trovare una sintesi delle diverse posizioni individuali sempre e comunque, che si possa fare a meno di una leadership certa e ci si debba affidare solo a portavoce. Queste, da sempre, sono caratteristiche dei movimenti collettivi, che per loro natura hanno un’esistenza fluida e fluttuante e finiscono per estinguersi in breve tempo, mandando in briciole tanto il potenziale attivistico quanto il gruppo dirigente che si era formato sul campo. Il grande problema dei Cinque Stelle è la scelta - obbligata - di un modello organizzativo».
Con la nuova stagione politica appena cominciata, si attende un’evoluzione del M5S? Ci sono le condizioni per farlo?
«Il maggior errore che il M5S potrebbe fare è rinunciare a coagulare i sentimenti di insoddisfazione, disagio, protesta che lo hanno portato ai clamorosi successi degli ultimi anni. Chi, dall’interno o dall’esterno, fin dall’indomani delle elezioni politiche del 2013 lo invita e lo incita a cambiar pelle, ad assumere una linea “più ragionevole”, a passare alla collaborazione con il Pd per risultare “incisivo” sul terreno delle riforme, ne vuole, ingenuamente o per calcolo inconfessabile, l’estinzione».
Il M5S quindi deve mantenere una linea dura?
«Piaccia o non piaccia a una parte dei suoi iscritti e a taluni sponsor giornalistici, gli inattesi risultati ottenuti dalle liste grilline sono il frutto del discorso pubblico di Beppe Grillo, con i suoi contenuti populisti a pieni carati, non al pur rispettabilissimo lavoro sul campo svolto dai meet-up da alcuni anni a questa parte o alle linee-guida contenute nel non-Statuto o in altri documenti elaborati dal movimento».
Si affacciano, ciclicamente, nuove presunte leadership, da Alessandro Di Battista a Luigi Di Maio. Secondo lei è possibile un M5S senza Beppe Grillo?
«Quantomeno per ora, certamente no. È stato Grillo il catalizzatore di consensi del M5S dalla nascita ad oggi. Penso che nessuno possa negarlo. Il fatto è che lo rimane. Gran parte degli effettivi o potenziali sostenitori del movimento non ha la benché minima idea di cosa significhino, dal punto di vista dei contenuti, le cinque Stelle contenute nel nome; non ne ha mai letto il non-Statuto o un programma e non intende farlo; non si è iscritta a un meetup e non ne ha frequentato le iniziative, e soprattutto non intende “sporcarsi le mani” in forme diverse dalla partecipazione elettorale in un mondo qual è quello della politica, verso il quale prova, se non ripugnanza, al minimo una marcata diffidenza. In questo senso, il M5S replica, senza variazioni di rilievo, la situazione nella quale si trovano un po’ in tutta Europa le formazioni populiste».
Non si può fare a meno insomma del Casalgrillo (Casaleggio + Grillo)?
«Al di là di quel che si pensi del modo in cui lo svolgono, il ruolo di indirizzo e di controllo sempre più stringente esercitato da Grillo e Casaleggio è, per l’attuale M5S, l’unica relativa garanzia contro il rischio di esplosione delle opinioni e ambizioni individuali, che dalle cinque stelle attuali porterebbe ad un firmamento di asteroidi, satelliti, pianetini e, soprattutto, meteore incandescenti».
Ancora non sembra essere risolto il problema del rapporto fra l’esercizio della leadership e l’orizzontalità delle decisioni (via assemblearismo). Come si possono tenere insieme le due cose senza cadere in contraddizione?
«Questo è un problema che affligge da sempre i teorici e gli estimatori della democrazia diretta. In un’epoca in cui la classe dei politici di professione si è ampiamente squalificata di fronte alla pubblica opinione, è logico che i cittadini tendano ad esigere uno stretto rispetto delle proprie aspettative da parte di coloro a cui hanno affidato un mandato rappresentativo e pretendano una maggiore trasparenza delle loro azioni. Che si voglia rimediare a una situazione del genere chiedendo più controllo dal basso è comprensibile, ma - come appunto il caso del M5S dimostra - difficilmente risolve il problema. La complessità dei problemi e la necessità di risolverli in tempi ragionevolmente brevi impedisce un efficace utilizzo degli strumenti assembleari».
Secondo lei ha ragione Grillo quando dice che se non ci fosse stato il M5S, in Italia oggi esisterebbero formazioni di estrema destra (una Alba Dorata all’italiana) in grado di raccogliere molti voti?
«Sì e no. Perché sarebbe corretto dire che, senza la capacità di presa di Grillo, il discorso populista e la mentalità, oggi molto diffusa, che lo sottintende e lo esprime avrebbero trovato altri interpreti, come è avvenuto nel recente passato con i vari Bossi, Di Pietro, Berlusconi, Pannella e via dicendo. Dubito però che il populismo Italian Style avrebbe assunto una coloritura di estrema destra».
E perché?
«L’Italia non è la Grecia, né l’Ungheria di Jobbik: avrebbe potuto gradire un nazional-populismo dai toni decisamente più sfumati, come quello del Front National della gestione di Marine Le Pen, o dell’Ukip britannica, con qualche variazione più aggressiva nel linguaggio ma certamente non antidemocratica. Sebbene quasi tutti i politici, e un certo numero di studiosi e giornalisti, facciano fatica ad ammetterlo, il populismo odierno non coincide - se non in casi marginali e limitati - con l’estrema destra. È un fenomeno trasversale, compatibile con la democrazia e di forte capacità di diffusione. Anche chi volesse combatterlo farà bene a prenderne le misure, smettendola di agitare fantasmi fuori tempo. Grillo, quando accetta di proclamarsi “fieramente populista” o si allea in un gruppo parlamentare a Strasburgo con Farrage, dimostra di averlo capito».
2608/0630/1000
Scritto il 03 settembre 2014 alle 19:21 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 03 settembre 2014 alle 01:54 | Permalink | Commenti (1)
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Per gli esuberi Alitalia arriva l'ultimo regalo. Un pilota incasserà fino a 6 mila euro al mese per cinque anni. Stando a casa (di Stefano Vergine - l'Espresso)
...di fronte al dramma della disoccupazione, non tutti i lavoratori sono uguali. Quelli del settore aereo sono più uguali degli altri...
C'è modo e modo di essere lasciati a casa, ma una cosa non cambia mai: a quelli dell'Alitalia va sempre meglio che agli altri. L'ennesima dimostrazione arriva dall'accordo firmato di recente dall'ex compagnia di bandiera ed Etihad, la società che, se tutto andrà come previsto, entro dicembre diventerà il principale socio dell'Alitalia con il 49 per cento delle quote. Per salvare la compagnia italiana dal fallimento il vettore di Abu Dhabi ha posto alcune condizioni. Una di queste riguarda i lavoratori. Il cui numero, ha chiesto, va ridotto di 2.171 unità. Detto, fatto. Governo e sindacati hanno accettato la richiesta e l'operazione è andata in porto. Tutto chiaro? Mica tanto.
Non tutti i lavoratori finiranno senza impiego. Dei 2.171 dipendenti in esubero, ha assicurato il governo, oltre mille verranno ricollocati in altre aziende, mentre a 250 assistenti di volo toccheranno i contratti di solidarietà. Saranno dunque circa 980 i dipendenti costretti a rimanere a casa con le mani in mano. Poveri loro, si dirà: un normale lavoratore in mobilità può arrivare a percepire al massimo un assegno da 1.100 euro al mese per due anni.
Ma quelli dell'Alitalia non sono mai stati considerati come tutti gli altri. Loro sono speciali. E infatti, anche questa volta, potrebbero risultare più fortunati: fino a cinque anni di mobilità all'80 per cento dello stipendio. Formula che, per un pilota con oltre 50 anni di età, significa poter incassare circa 6 mila euro al mese per il prossimo lustro. Ovviamente senza lavorare. Secondo quanto risulta a "l'Espresso", è questo quello che hanno concordato l'8 agosto sindacati, compagnie aeree e società che gestiscono gli scali italiani. Un'intesa per ora priva di valore legale, visto che manca la firma del governo. Ma il fatto che l'incontro sia avvenuto nella sede del ministero del Lavoro indica con certezza che la benedizione dell'esecutivo c'è.
Chi salderà il conto finale? Tecnicamente, il Fondo speciale per il trasporto aereo. In pratica, a pagare saranno tutti i viaggiatori, visto che questo Fondo è alimentato quasi interamente dalla tassa di tre euro versata da ogni passeggero in partenza da un aeroporto nazionale. È lo stesso meccanismo già utilizzato per altri dipendenti dell'Alitalia, quelli finiti in cassa integrazione e mobilità dopo l'acquisto della compagnia da parte dei "capitani coraggiosi" della Cai di Roberto Colaninno nel 2008. Pensato dal governo Berlusconi per far digerire ai sindacati gli esuberi della vecchia compagnia di bandiera, il Fondo concede ai propri beneficiari condizioni di favore rispetto ai dipendenti di altri settori. Per un normale lavoratore, infatti, il sussidio di cassa integrazione può durare al massimo due anni, con altri eventuali due di mobilità.
La cifra pagata mensilmente dall'Inps è pari all'80 per cento dello stipendio, ma c'è un massimale di circa 1.100 euro. Non funziona così per i lavoratori del settore aereo. I quali, proprio a partire dal 2008, godono di due vantaggi. Primo: il sussidio non dura due anni (di cassa integrazione) più due (di mobilità), ma quattro anni più tre. Secondo: non esiste un limite, cioè il lavoratore percepisce ogni mese l'80 per cento della retribuzione dell'ultimo anno. I privilegiati, in realtà, non sono solo i dipendenti dell'Alitalia. Non potendo concedere loro un vantaggio ufficiale del genere, pena le bacchettate della Commissione europea, Berlusconi ha esteso queste modifiche a tutti i lavoratori del settore. Oltre 13 mila persone, dunque, tra cui pure quelli di linee straniere come per esempio Air France, British Airways, Lufthansa, Aeroflot, persino le compagnie di Stato di Yemen e Libia.
Ora arrivano i nuovi esuberi Alitalia. E il cadeau diventa ancor più generoso rispetto al passato, dato che la mobilità sale da tre a cinque anni. Basterà la tassa di tre euro per garantire questa manna? Qualcuno, durante la trattativa al ministero, deve aver messo sul tavolo la questione. In una lettera mandata ai suoi iscritti, l'Anpac, il sindacato dei piloti, scrive infatti: «Alcuni "benefattori dei piloti" di parte sindacale sembra vogliano mettere un tetto in valore assoluto per massificare anche il fondo (tipo max 3.500 euro) ma non ci riusciranno. Sarebbe una assurda e iniqua discriminazione». Tradotto: visto che i soldi del Fondo potrebbero non bastare per allungare la mobilità ai nuovi lavoratori in esubero, qualcuno ha proposto di fissare un tetto massimo per l'assegno. Come dire, togliamo qualcosa ai più fortunati per garantire l'aiuto a tutti. Un'idea che potrebbe rivelarsi particolarmente utile se il tentativo di ricollocare più della metà dei 2.171 lavoratori non dovesse andare in porto.
Affinché le promesse del governo vengano mantenute è infatti necessario che diverse caselle finiscano al posto giusto. Per esempio, che Poste Italiane assuma 80 persone, che Atitech si faccia carico di altre 200, che i circa 100 piloti in uscita da Alitalia vengano assunti da Etihad. «Il fatto che più della metà dei lavoratori riesca a essere ricollocata è tutto da vedere», avverte Antonio Cepparulo, sindacalista della Filt-Cgil. Nel dubbio, sindacati e società del settore hanno già messo le mani avanti. «Le parti», è scritto nell'accordo che "l'Espresso" ha potuto leggere, «s'impegnano affinché venga fissata, entro la scadenza del 31 ottobre 2015, con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministro dell'Economia, la misura relativa all'incremento dell'addizionale sui diritti d'imbarco». Insomma, se le parole hanno un senso, è in arrivo un rialzo della tassa aeroportuale, come peraltro già previsto dalla legge Destinazione Italia. Sarebbe l'ennesimo regalo riservato ai dipendenti di Alitalia e pagato dai viaggiatori. Speriamo almeno che sia l'ultimo.
Stefano Vergine
2508/0630/1530
Scritto il 02 settembre 2014 alle 23:44 | Permalink | Commenti (0)
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La svolta. Bertinotti critica il comunismo ed elogia il papa il liberalismo e il mondo cattolico (Fonte: Francesco Filippazzi - barbadillo.it)
Bertinotti fulminato sulla via di Todi. Dopo una vita dedicata al comunismo, il politico che non accettò la creazione del Pds e fondò Rifondazione Comunista, ha dichiarato due giorni fa che la cultura da cui ripartire non è il comunismo, fallito senza appello, ma il liberalismo, che ha difeso i diritti individuali.
“Io penso che la cultura liberale- che è stata attenta più di me e della mia cultura all’individuo, alla difesa dei diritti dell’individuo e della persona contro il potere economico e contro lo Stato – è oggi indispensabile per intraprendere il nuovo cammino di liberazione”. Esulta il mondo liberale italiano, e gli animatori del Tea Party Italia hanno proposto di regalare al neo convertito una tessera onoraria del movimento.
Ma Bertinotti non si è fermato. Per l’ex leader carismatico dell’ultrasinistra atea e materialista, l’unica vera cultura ancora in piedi è il cristianesimo, rivitalizzato da Papa Francesco.
Durissima la critica del comunismo: “Faccio fatica a dirlo. Ma io appartengo a una cultura che ha pensato che si potessero comprimere – almeno per un certo periodo – i diritti individuali in nome di una causa di liberazione. Abbiamo pensato che se per un certo periodo era necessario mettere la mordacchia al dissenso, eh, beh… ragazzi, c’era la rivoluzione”. Ecco l’auto-accusa: “La mia storia ha pensato che si potesse comprimere le libertà personali. L’intellettualità europea fra il 1945 e il 1950 è stata tutta comunista. Jean Paul Satre, Andrè Gide, Albert Camus per parlare dei francesi. In Italia tutti, proprio tutti: i registi del neorealismo, i principali cattedratici italiani, i grandi scrittori, le case editrici. Erano tutti comunisti. E adesso non mi dite per favore che non si sapeva niente di cosa accadeva in Unione Sovietica, e che bisognava attendere il 1956 o Praga!”.
E’ giunta inattesa, quindi, in questa fine estate una critica del comunismo espressa con onestà intellettuale da Fausto Bertinotti, critica che va sommata alle feste dell’Unità intitolate a De Gasperi e alla chiusura dell’Unità stessa: a sinistra è in atto un riposizionamento il cui esito finale è davvero difficile da prevedere. In realtà, secondo l’ex presidente della Camera, non esistono più i comunisti di una volta, tesi peraltro già espressa anche a luglio di quest’anno sull’Huffington, quando parlò di morte della sinistra. Nessuno però si sarebbe mai aspettato che il certificato di morte fosse scritto proprio da lui.
Francesco Filippazzi
Questo post è dedicato a tutti coloro che non si sono mai vergognati di girare con l'Unità sotto braccio, ma che oggi si vergognerebbero come ladri a girare con EUROPA - Organetto Ufficiale del Renzismo. Ho trascorso mezza nottata, per consolarmi, a leggere l'ennesima raccolta postuma di elzeviri di Fortebraccio, scorrendo i quali si ha un affresco vivissimo di "come eravamo", e di come purtroppo siamo ancora. O forse siamo persino peggiorati? Tafanus
Il meglio di Fortebraccio (sezione "Socialdemocratici):
"L'esistenza dei Socialdemocratici dimostra che anche in natura difetta il senso dell'utilità e trionfa il consumismo"
"Pietro Longo deve campare più di cent'anni, così i nostri nipoti vedranno in che tempi ci è toccato vivere"
"Tanassi, lo statista di Ururi, ha la fronte inutilmente spaziosa"
"Tanassi, a causa della mancanza dell'oggetto, non ha mai avuto un mal di testa"
"Tanassi ministro dimostra che nessuno, per mal ridotto che sia, è autorizzato a disperare"
"Tanassi tace perché, essendo riuscito ad avere un'idea, ha paura che gli scappi"
“Se aveste da impostare un espresso e incontraste l’on. Cariglia, avreste qualche esitazione? No certo. Direste a Cariglia: mi faccia un piacere, corra un momento a San Silvestro a imbucare; vada nel buco dove sta scritto ‘espresso’, non ‘stampe’: queste sono un’altra cosa che un giorno le spiegherò; adesso è inutile confonderle le idee”
"Cariglia si vanta di essere venuto dal nulla e quando parla lo fa per dimostrare di esserci rimasto"
"Nicolazzi non è un ministro dei Lavori pubblici, ma dei lavori privati"
“L’auto si fermò. Si spalancò la portiera e non scese nessuno. Era Nicolazzi"
2508/0630/0900
Scritto il 02 settembre 2014 alle 12:31 | Permalink | Commenti (13)
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Scritto il 02 settembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Dopo i secchi di acqua gelata, si moltiplicano sulla rete le campagne virali di solidarietà. Le farfalline diventano testimonial pacifiste. E nasce anche un social network nuovo di zecca dedicato a salvare i gabbiani (Michele Serra)
Non accenna a placarsi la moda del gavettone di beneficenza pro ricerca sulla Sla. Dopo Matteo Renzi, ecco l'adesione di Giorgio Napolitano, che ha pregato la sarta del Quirinale di versargli un flacone di acquaragia smacchiante sulla giacca spiegando che avrebbe mandato qualcuno a ritirarla più tardi; quella di Lapo Elkann, che è andato appositamente ad Aspen per farsi versare addosso dal suo staff l'inimitabile bourbon on the rocks del barman Freddy Maimone; quella di Matteo Salvini, che ha rovesciato un secchio d'acqua gelata addosso a un immigrato appena scampato a un naufragio; e quella di Daniela Santanché, che si è fatta un gavettone di bellezza al botulino diluito nel latte d'asina. Unica controindicazione, le banconote si inzuppano e gli assegni stingono, costringendo l'associazione beneficiaria a un paziente lavoro di recupero delle somme devolute. I donatori tradizionali, che desiderano finanziare la ricerca in forma anonima e senza apparire, sono disorientati: i loro denari sono ugualmente bene accetti? Dilagano sul web, nel frattempo, nuove campagne virali.
CONTRO LA GUERRA - Cantanti, attori e vip di tutto il mondo sono rimasti stregati dall'iniziativa del deejay Goto Woops, che in segno di protesta contro tutte le guerre ha postato sulla sua pagina facebook la fotografia di una farfallina con la scritta: "lei non fa la guerra". Da Lady Gaga a Cristiano Ronaldo, da Shakira al protagonista di "Buzzy Way" Charlie Chu, dalla boyband "Potato Juice" all'intero cast del musical "Cows", non c'è americano da copertina che non abbia aderito all'iniziativa postando una farfallina su facebook, o twittando "butterflyagainstwar", o tatuandosela. «Forse le guerre nel mondo non sono diminuite - ha detto deejay Goto chiamato a illustrare la sua iniziativa alle Nazioni Unite - ma in compenso non sono aumentate. Vi voglio bene». È svenuto subito dopo, sopraffatto dall'emozione e dalla fatica intellettuale compiuta per stilare il suo discorso, che è poi stato diffuso sul web in forma ridotta per coinvolgere il maggior numero possibile di persone.
SAWDUST AGAINST CHOLESTEROL - Segatura contro il colesterolo. La splendida attrice francese Marie Estelle Tablinsky non poteva prevedere il successo planetario del suo gesto: un selfie che la riprende mentre mangia segatura per protestare contro il drammatico aumento del colesterolo del mondo. Da allora celebrities e gente comune di ogni latitudine, contagiati dal gesto, mettono in rete un loro selfie mentre mangiano segatura. «L'importante - spiega Marie Estelle nei numerosi post dedicati alla sua missione sanitaria - è che la segatura sia pulita; e poi non bere acqua subito dopo, perché la segatura bagnata tende prima a gonfiarsi a dismisura, poi a formare dei veri e propri pallets che rischiano di occludere l'intestino o addirittura di prendere fuoco a contatto con i gas infiammabili tipici della digestione». Da Lady Gaga a Cristiano Ronaldo, non c'è vip che non abbia aderito alla fortunata campagna contro il colesterolo. La Tablinsky, non appena sarà dimessa dalla clinica per i disturbi alimentari dove è ricoverata, spera di essere ricevuta da Papa Francesco.
SAVE SEAGULL - Reso cieco da un occhio dall'attacco improvviso di uno stormo di gabbiani nel parcheggio di un centro commerciale, lo studente californiano Toby Lopez si è reso conto di quanto male deve essere stato fatto dall'uomo ai gabbiani per renderli così aggressivi. Con la fidanzatina ha dunque fondato Creeker, un nuovo social network che sta già soppiantando Twitter e prevede di gracidare in segno di solidarietà con i gabbiani. Da Lady Gaga a Cristiano Ronaldo, sono ormai milioni in tutto il mondo i creekers. I gabbiani sono miliardi, non corrono alcun pericolo di estinzione e rompono i coglioni mica male, ma Creeker, come tutti i fenomeni web di natura virale, non si ferma. Aprirò oggi stesso il mio account su Creeker. Mandatemi i vostri creek. Vi manderò i miei.
(Michele Serra - l'Espresso)
2409/0630/1430
Scritto il 01 settembre 2014 alle 21:57 | Permalink | Commenti (0)
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L'indirizzo è lo stesso di prima
L'ULTIMA PRIMA PAGINA DELL'UNITA' IN EDICOLA
Non potevamo restare in silenzio mentre il Paese vive momenti difficili, il lavoro manca, le fabbriche chiudono e il governo Renzi tenta con difficoltà di affrontare l'emergenza economica. Non potevamo restare in silenzio mentre il mondo si trova prigioniero di nuove guerre e le tensioni arrivano nel cuore dell'Europa.
Da oggi siamo qui, ogni giorno, per dire la nostra. Abbiamo bisogno del vostro sostegno, la comunità del nostro giornale è più forte di qualsiasi avversità. Buona Unità a tutti.
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Grazie ai giornalisti de "l'Unità". Non vogliamo morire democristiani, con l'unico giornale sedicente "del PD" (EUROPA) in mano al margherito Stefano Menichini, furioso "hooligan in doppiopetto" del renzismo. Ben ritrovati, e tanti auguri di COMPLETA resurrezione
Tafanus
2408/0630/0800
Scritto il 01 settembre 2014 alle 14:01 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 01 settembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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