Renzi ha quindi un disperato bisogno dell'appoggio di Berlusconi e di Alfano, che lo tengono per le palle. Renzi è diventato ipergarantista, e non si vergogna ad insistere sulla candidatura di Bruno alla Consulta, neanche adesso che è inquisito per reati comuni gravi. Renzi si appella alla legge costituzionale, che sancisce la presunzione d'innocenza fino a condanna passata in giudicato. Non è neanche sfiorato dall'idea che a volte, per certe cariche, i criteri di opportunità dovrebbero prevalere su quelli del garantismo peloso.
Renzi è diventato garantista, più di Berlusconi, adesso che comincia ad avere qualche guaio di troppo in famiglia: inizia il processo d'appello presso la Corte dei Conti sui presunti abusi di Renzi Presidente della Provincia, per i quali ha già subito una condanna per danni erariali; Renzi è sotto inchiesta a Firenze per aver accettato il grazioso dono di un elegante appartamento in comodato gratuito, da sindaco, da parte di Carrai. Il quale (ma è una pura coincidenza temporale) in quel periodo, Renzi sindaco, riceve ricchi e numerosi appalti dal Comune di Firenze. Certo, a pensar male si fa peccato... Con tutto quel che segue.
E ora viene fuori il fatto che anche il papi di Renzi è nei guai, indagato per bancarotta fraudolenta. La prudenza non è mai troppa. Meglio favorire Berlusconi e Alfano su qualche tema caro alla Destra Becera (una nuova guerra due anni sull'art. 18 che di fatto non c'è più, una leccatina sui temi cari al papi Berlusconi (intercettazioni, ammorbidimento delle norme allo studio sull'autoriciclaggio, velo pietoso sulla restaurazione del reato di falso in bilancio, responsabilità dei magistrati, e caso mai, se la discussione sulla indispensabile riforma dell'art. 18 dovesse lasciare qualche giorno libero al legislativo, potremmo riprendere - perchè no - il tema della separazione delle carriere.
Eravamo convinti di aver toccato il fondo dando per anni il potere esecutivo all'ex "Cavaliere" Berlusconi, disarcionato ope legis. Sbagliavamo. Il peggio, sotto forma di un panzarotto in camicia bianca da cameriere da pizzeria, doveva ancora arrivare. Ora cerchiamo di mandarlo a casa, alla svelta, prima che riduca questo paese in macerie.
Tafanus
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ROMA - Sulla riforma del mercato del lavoro è scontro frontale fra Renzi e sindacati, spalleggiati dalla minoranza Pd. Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, accusa il premier di avere "un po' troppo in mente la Thatcher". E il presidente del Consiglio risponde con un videomessaggio dai toni duri e venati di sarcasmo: "A quei sindacati che vogliono contestarci - dice Renzi - io chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l'ha e chi no, tra chi ce l'ha a tempo indeterminato e chi precario" perchè "si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente"
Non si placano dunque le polemiche sul Jobs Act dopo l'accelerazione data da Renzi. Ieri la Commissione Lavoro del Senato ha dato il primo via libera alla delega. Ma la sinistra del Pd è tornata alla carica e ha annunciato battaglia. Da un lato Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, ha ribadito che il governo non punta a un decreto, ma a far approvare la delega in Senato entro l'8 ottobre. Dall'altro l'ex segretario del Pd Pierluigi Bersani e il collega di partito Cesare Damiano, presidente Pd della Commissione Lavoro della Camera e nemico giurato del Jobs Act renziano, sono andati all'attacco e, in pieno accordo con i sindacati Cgil e Fiom, hanno criticato il progetto di riforma del premier. Al punto da provocare la reazione di Graziano Delrio che ha difeso l'operato del governo: "Le discussioni aiutano a migliorarsi - ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - l'importante è che non ci siano ultimatum o posizioni ideologiche. Abbiamo tutti l'ambizione di non ridurre i diritti e creare posti di lavoro". Mentre il presidente del Senato, Piero Grasso, assicura: "Mi pare che il problema dell'articolo 18 sia risolto nel senso che è stato per ora accantonato. In ogni caso il Parlamento è sovrano: la prossima settimana la legge delega sarà in aula al Senato e credo che in quella fase si cercheranno di risolvere tutti i problemi".
La voce del governo. Questa mattina Taddei ha spiegato alla Telefonata di Belpietro su Canale 5: "Il governo non punta ad un decreto con le nuove norme sul mercato del lavoro entro l'8 ottobre, bensì all'approvazione della legge delega da parte del Senato entro quella data, cosa che rappresenterebbe un segnale all'Ue".
La risposta dei sindacati. A stretto giro è arrivata la risposta della Cgil. Il segretario generale Susanna Camusso non ha escluso il rischio di uno sciopero generale sui temi della riforma del lavoro e ha contestato anche la parola stessa "rischio". "Non capisco perché uno sciopero generale sarebbe un rischio. È una delle forme di mobilitazione possibili del sindacato", ha affermato a margine dell'inaugurazione ufficiale della nuova sede della Cgil-lombardia a Milano.
Alla domanda se ci sia in agenda un appuntamento tra sindacato e governo, Camusso ha risposto sarcastica: "Non mi pare". E ha aggiunto: "Mi sembra che il presidente del Consiglio abbia un pò troppo in mente il modello della Thatcher". La conseguenza di quel modello negli ultimi venti anni "è precariato e non competitività. Un modello fatto di divisioni". Concludendo: "Non stiamo difendendo noi stessi: chi vorrebbe cancellare l'articolo 18 sta cancellando la libertà dei lavoratori".
La Fiom anticipa la manifestazione. Intanto la Fiom ha deciso di anticipare la manifestazione nazionale di una settimana, dal 25 al 18 ottobre, sempre di sabato. Un'accelerazione in risposta alla decisioni che, secondo il sindacato, impatterebbero sull'articolo 18. Le modalità della mobilitazione, che si svolgerà a Roma, verranno definite a breve. Resta il pacchetto di 8 ore di sciopero. Il segretario Maurizio Landini ha criticato la riforma del lavoro di Renzi: "Il contratto a tutele progressive è una presa in giro se alla fine le tutele vengono cancellate". E ha aggiunto: "Sull'art. 18 Renzi deve dimostrare quanto è 'figo' all'Europa. Forse qualcuno gli ha fatto credere che in cambio può sforare dello 0,1 o 0,3%, e Draghi gli darà qualcosa".
Minoranza Pd all'attacco. Dopo la forte presa di posizione di ieri, Pier Luigi Bersani è tornato a intervenire con altrettanta durezza: "Saranno presentati molti emendamenti - ha detto l'ex segretario Pd in un'intervista a Rmc - non solo sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto, perchè se l'interpretazione è quella sentita da Sacconi e altri,allora non ci siamo proprio. Andiamo ad aggiungere alle norme che danno precarietà ulteriore precarietà, andiamo a frantumare i diritti, non solo l'art.18 e allora sarà battaglia".
Di rincalzo il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd) ha aggiunto: "Riteniamo opportuno che l'attuale tutela dell'articolo 18, rivista appena due anni fa attraverso un accordo tra Fi e Pd, rimanga anche per i nuovi assunti".
La delega sul lavoro. Taddei, nell'intervista di stamattina, ha anche difeso i contenuti della delega, che "prevede un contratto a tutele crescenti rivolto a tutte le nuove assunzioni. Significa estendere le tutele in termini di indennizzo monetario a quelli che oggi perdono il lavoro. Significa estendere. Oggi abbiamo lavoratori che vengono licenziati individualmente che ricevono poco o nulla. A questi lavoratori noi oggi vogliamo offrire invece un contesto diverso".
Toni concilianti sul Manifesto anche per Matteo Orfini, già portavoce e stretto collaboratore di Massimo D'Alema, oggi presidente del Pd di Renzi, che afferma: "L'obiettivo del jobs act è condivisibile, dobbiamo restituire qualcosa ai milioni di precari a cui anche il centrosinistra ha rovinato la vita. Poi però l'emendamento del governo finisce nella direzione opposta". Il presidente del Pd pertanto propone di cambiare la delega. In ogni caso, spiega, "non può essere messo in discussione il reintegro per il licenziamento discriminatorio, è un principio irrinunciabile".
Gli altri partiti. Per il senatore giuslavorista di Scelta Civica Pietro Ichino, che ha parlato a Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24, la strada scelta da Renzi è "quella giusta", e "bisogna fare la riforma del lavoro anche senza i sindacati, se i sindacati non capiscono l'importanza". Di parere opposto il leader di Sel Nichi Vendola, secondo il quale "il Jobs Act è una cosa di estrema destra, contempla la precarizzazione generalizzata del mercato del lavoro, è il contrario di quello che bisognerebbe fare". Mentre il capogruppo dei deputati forzisti, Renato Brunetta, dice: "Noi saremo disposti a votare il Jobs Act purche' ci sia chiarezza, purche' il Pd non faccia come al solito: buone intenzioni ma poi alla fine marcia indietro dalla Cgil".
Consiglieri economici. Intanto Renzi ha firmato oggi gli incarichi, gratuiti, come consiglieri economici di Palazzo Chigi ad Alessandro Santoro, Marco Fortis, Roberto Perotti, Giampiero Gallo, Yoram Gutgeld (consigliere economico e di bilancio), Riccardo Luna (Digital champion), Paolo Barberis (consigliere per l'innovazione).
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