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Scritto il 31 dicembre 2014 alle 20:40 | Permalink | Commenti (4)
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Il "CronoProgramma di Matteo Renzi per "l'anno che verrà"
Non ci resta che sperare, come al solito, nell'anno che verrà (che però da alcuni anni è sistematicamente peggiore di quello appena trascorso. L'uomo che va di fretta ha cannato ancora una volta. Troppa fretta. Si era insediato in camera da letto, minacciando un tweet all'ora, quando sembrava che le cose a bordo della nave incendiata procedessero a meraviglia. Poi, col passare delle ore, i "tweet" (degenerazione perversa dei comunicati-stampa), i tweet sono andati "in dissolvenza", come i mille "impegni del nostro Pres del Cons Matteo Renzi, il supersonico cazzaro che il mondo ci invidia...
Ma c'è di peggio: c'è la sua arrogante conferenza-stampa "one-way" di fine anno: un preclaro esempio di presunzione, arroganza, ed arte di arrampicata sui vetri insaponati. Leggiamo la godibilissima descrizione di Francesco Merlo, incrociamo le dita, e speriamo che nel 2015 il Nostro Premier stia un po' più zitto. Marco (mese degli esami di riparazione) è ormai alle porte...
Tafanus
«ABBIAMO cambiato il ritmo dell'Italia», ha scandito con orgoglio, ma il suo «senso dell'urgenza» è velocità o, come si dice a Firenze, è furia? Mai era stata così chiara l'ambiguità — rapidità o fretta? prontezza o precipitazione? - della leadership di Matteo Renzi che ieri si è spinto sino all'elogio (letterale) «della bulimia ».
E', tuttavia, con una interminabile conferenza sul renzismo, con un prolisso racconto su se stesso - «vedo gli sbadigli della terza fila» - che Renzi ha chiuso il suo primo anno che, come ha spiegato Hobsbawm a proposito dei secoli, non coincide con il calendario. E' infatti un "anno breve" perché è cominciato nel febbraio di #Enricostai sereno, ma potrebbe diventare lungo perché finirà solo quando sarà eletto il nuovo capo dello Stato «del quale vedo che ne sapete più di me» (... Mattè... almeno li tagliano sallo... NdR)
E va detto subito che l'incontro di fine anno del premier con la stampa è per sua natura una cerimonia poco renziana. Al punto che «non conviene che io vi dica qui cosa penso dell'Ordine dei giornalisti» ha replicato, con l'aria irridente, al presidente Enzo Iacopino che, con l'aria grave, gli aveva presentato i cahiers de doléances dell'informazione. E poi via contro gli editorialisti, i gufi che «non sono quelli che parlano male di me, ma quelli che parlano male dell'Italia». .. E descrive i giornalisti («che non sono diversi dalla classe dirigente di questo paese») ammiccando a Walter Matthau e Jack Lemmon: «Mi piaceva l'odore della rotativa» ha detto, anche se le date della biografia lo smentiscono. Si è insomma divertito ad accennare con impertinente malizia pop alle miserie di una professione «sulla quale ho le mie idee molto tranchantes che però tengo per me». Ma ha toccato il punto più alto della sapienza pop, e in una forma al tempo stesso umile e carismatica, quando si è appropriato del nomignolo Renzie, perché "i soprannomi non sono falsi nomi ma altri nomi" e con l'uso goliardico e sottomesso dei nomignoli sempre l'Italia ha cercato di catturare la sostanza di ogni suo nuovo capo, quel carisma che nel mondo è oggetto di studi scientifici e qui da noi di culto della personalità e di pernacchie altrettanto gregarie.
Di sicuro nell'antologia dello scherno, (da Boy a Renzusconi, da Ebetino a Pittibimbo, da Bomba a Renzie ne ho contati 25 in soli dieci mesi), c'è la storia della leadership di Renzi, più ancora che nei 53 libri che gli sono stati dedicati nello stesso 2014. Dunque, non di Gramsci ma di Fonzie ha detto ieri «non sono degno», affascinando così i fans di Briatore senza perdere i gramsciani che ne colgono il sottinteso ironico. E di cosa non è degno? Non dei "Quaderni dal carcere" ma «di portare il giubbotto » che è la consapevolezza dell'impacciato imitatore che non ce l'ha fatta a diventare il bullo fighetto che lo accusano di essere. Insomma gli piace il soprannome che lo inchioda al chiodo, al fighettismo del Fonzie che per sentirsi "cool" dice "hey!".
Il paragone invece con Al Pacino che "In Ogni maledetta domenica" allena la sua squadra come lui sta allenando l'Italia è più banale, meno sapiente, ma immediatamente efficace perché se Fonzie rischiava d'essere esclusivo, Al Pacino è sin troppo inclusivo, una specie di divinità del pop: «Non credo in Dio, credo in Al Pacino» è l'aforisma fulminante dell'attrice Valentina Lodovini. E quel monologo del coatch Al Pacino sul "possiamo farcela" è un classico, padre del "We Can" di Obama (e Veltroni) e figlio del We Can Work It Out dei Beatles. E dunque Al Pacino contro la lentezza che è resistenza allo sviluppo, Al Pacino contro il mondo arcaico della Camusso, Al Pacino contro l'asfissia della Rai di cui «mi occuperò nel 2015 insieme alla scuola e alla cultura» (...non è una promessa... è una minaccia. NdR), Al Pacino contro i gufi, Al Pacino contro le caverne ideologiche della Pubblica amministrazione che promette di bonificare «nel febbraio 2015» ammiccando un po' troppo pericolosamente ai fannulloni dell'indimenticabile Brunetta il fantuttone.
Velocità o furia?
Si sa quanto sono subdole le cerimonie che sempre desantificano le feste. E' infatti prevalso il rito delle domande automatiche, quasi tutte sulle elezioni del nuovo capo dello Stato. Senza risposta possibile. Domande consapevolmente inutili su Prodi, Draghi, Padoan, su una donna al Quirinale, sul metodo... e risposte consapevolmente evasive: «non partecipo al gioco dell'indovina chi?», «un presidente ce l'abbiamo... ».
«Dopo due ore e mezza chissà quanti si sono addormentati» ha detto, con rassegnazione, alla fine di questa sua lunga ode della brevità, del «mai una giornata persa», del «sono grato ai senatori che lavorano anche di notte» , del «noi non ci stanchiamo», che è un luogo comune della retorica italiana, di Berlusconi, di Andreotti, di Craxi e, arretrando ancora, di Mussolini, i quali tutti lasciavano la luce sempre accesa.
Anche la contrapposizione della sua «Italia di corsa» che «cambia le cose in dieci mesi» ai «settant'anni dell'Italia» di quegli gli altri «che facevano molte leggi e non cambiavano nulla» rimanda ad altre retoriche italiane che - vendetta del pop - affiorano inaspettatamente, quella del Sorpasso innanzitutto: non il giamaicano Usain Bolt che ha battuto tutti i record, ma il bel ceffo Vittorio Gassman nel film simbolo della generazione delle autostrade, l'Italia che identificò appunto la libertà con la fretta: di crescere, di arricchirsi, di deturpare per costruire, la libertà di spicciarsi, di correre, di fare presto, di arrivare prima degli altri che è sempre meglio superare, sorpassare, lasciare indietro senza regole e senza rispetto.
«Meglio arroganti che disertori» ha detto ancora Renzi. E poi: «Mamma mia, com'è tarantolato questo ragazzo" penseranno di me, perché la nostra velocità non si misura nei prossimi dodici mesi ma nelle prossime dodici ore» (...addirittura...). Come si vede, c'è pure il rischio della retorica del lampo futurista, roba buona per i quadri di Balla e per l'incontinenza della lingua più veloce del pensiero, ma meno per la politica, dove la velocità di governare e riformare è fatica di coraggio e prudenza, la forza inesorabile della moderazione.
Vedremo nel 2015 se quella di Renzi è furia, che in Italia è sempre stata la comare della lentezza, o se davvero «il decreto sul fisco è una rivoluzione», «lo jobs act è una pietra miliare», «la riforma costituzionale è un passaggio storico». .. Renzi ha usato molti superlativi anche per il comandante del Norman Atlantic, che è stato l'ultimo a lasciare la nave in fiamme. Così siamo ridotti: invece di punire chi commette reati, delitti, misfatti e infrazioni, dobbiamo premiare chi non li commette. Daremo premi a chi mangia con le posate, a chi non sputa per terra, al comandante che non abbandona la nave, a chi è veloce perché rispetta gli impegni e usa bene il poco tempo che ha invece della furia (pop) di "guidare a fari spenti nella notte per vedere se poi è così difficile morire".
Francesco Merlo
0601/0600/1600
Scritto il 31 dicembre 2014 alle 18:20 | Permalink | Commenti (0)
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La destra reazionaria sta intensificando i suoi vergognosi attacchi contro Papa Francesco, accusandolo anche di disorientare i “semplici fedeli”….!
In difesa di Francesco, assieme a don Ciotti, a Paolo Farinella ed altri amici, abbiamo steso il documenti che ti allego. Leggilo, firmalo e fallo firmare. Dobbiamo essere in molti e dimostrare che noi non solo non siamo disorientati ma siamo orgogliosi di un tale papa e riconoscenti a Dio di avercelo dato!
In allegato avete il testo come appare sul sito, il cui link per firmare è il seguente:
http://firmiamo.it/fermiamo-gli-attacchi-a-papa-francesco
E’ questo link che dovete trasmettere ai vostri amici, parenti, conoscenti e benefattori.
Aldo Antonelli
FERMIAMO GLI ATTACCHI A PAPA FRANCESCO
L’arrivo del Papa «venuto dalla fine del mondo» che assume il nome di Francesco presentandosi non come Pontefice Massimo, ma come Vescovo di Roma, provoca reazioni scomposte dentro la Curia vaticana che, falcidiata da scandali e corruzioni, considera il Papa come corpo «estraneo» al suo sistema consolidato di alleanze col potere mondano, alimentato da due strumenti perversi: il denaro e il sesso.
Dapprima il chiacchiericcio sul «Papa strano» inizia in sordina, poi via via diventa sempre più palese davanti alle aperture di papa Francesco in fatto di famiglia, di «pastorale popolare» e di vicinanza con il Popolo di Dio per arrivare anche – scandalo degli scandali – a parlare con i non credenti e gli atei.
Dopo lo sgomento di un sinodo «libero di parlare», l’attacco frontale di cinque cardinali (Müller, Burke, Brandmüller, Caffarra e De Paolis), tra cui il Prefetto della Congregazione della Fede, ha rafforzato il fronte degli avversari che vedono in Papa Francesco «un pericolo» che bisogna bloccare a tutti i costi.
Rompendo una prassi di formalismo esteriore, durante gli auguri natalizi, lo stesso Papa elenca quindici «malattie» della Curia, mettendo in pubblico la sua solitudine e chiedendo coerenza e autenticità.
Come risposta all’appello del Papa, il giorno dopo, il 24 dicembre 2014, Veglia di Natale, scelto non a caso, il giornalista Vittorio Messori pubblica sul Corriere della Sera «una sorta di confessione che avrei volentieri rimandata, se non mi fosse stata richiesta», dal titolo «I dubbi sulla svolta di Papa Francesco», condito dall’occhiello: «Bergoglio è imprevedibile per il cattolico medio. Suscita un interesse vasto, ma quanto sincero?».
L’attacco è mirato e frontale, «richiesto», una vera dichiarazione di guerra, felpata in stile clericale, ma minacciosa nella sostanza di un avvertimento di stampo mafioso: il Papa è pericoloso, «imprevedibile per il cattolico medio». È tempo che torni a fare il Sommo Pontefice e lasci governare la Curia. L’autore non fa i nomi dei «mandanti», ma si mette al sicuro dicendo che il suo intervento gli «è stato richiesto».
Ci opponiamo a queste manovre, espressione di un conservatorismo, che spesso ha impedito alla Chiesa di adempiere al suo compito «unico» di evangelizzare. Papa Francesco è pericoloso perché annuncia il Vangelo, ripartendo dal Concilio Vaticano II, per troppo tempo congelato. I clericali e i conservatori che gli si oppongono sono gli stessi che hanno affossato il concilio e che fino a ieri erano difensori tetragoni del «primato di Pietro» e dell’«infallibilità del Papa» solo perché i Papi, incidentalmente, pensavano come loro.
Noi non possiamo tacere e con forza gridiamo di stare dalla parte di Papa Francesco. Con il nostro appello alle donne e agli uomini di buona volontà, senza distinzione alcuna, vogliamo fare attorno a lui una corona di sostegno e di preghiera, di affetto e di solidarietà convinta.
La «svolta di Papa Francesco» non genera dubbi, al contrario coinvolge e stimola la maggioranza dei credenti a seguirlo con stima e affetto. Il ministero del Vescovo di Roma e la sua teologia pastorale suscitano speranza e anelito di rinnovamento in tutto il Popolo di Dio e il suo messaggio è ascoltato con attenzione da molte donne e uomini di buona volontà, non credenti o di diverse fedi e convinzioni.
Desideriamo dire al Papa che non è solo, ma che, rispondendo al suo incessante invito, tutta la Chiesa prega per lui (cfr. At 12,2). È la Chiesa dei semplici, delle parrocchie, dei marciapiedi, la Chiesa dei Poveri, dei senza voce, dei senza pastori, la Chiesa «del grembiule» che vive di servizio, testimonianza e generosità, attenta ai «segni dei tempi» (Matteo 16,3) e camminando coi tempi per arrivare in tempo.
Allo stesso modo, molti non credenti, atei o di altre religioni, uomini e donne liberi, gli esprimono pubblicamente la loro stima e la loro amicizia. La sètta di «quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re» (Luca 7,25) e non possono stare con un Papa di nome Francesco che parla il Vangelo «sine glossa».
Papa Francesco, ricevi il nostro abbraccio e la nostra benedizione.
Roma, 25 dicembre 2014 – Natale di Gesù
Seguono le firme già raccolte, visibili al link in alto.
Caro Aldo, Caro Paolo,
Come entrambi sapete, sono ateo, fin da ragazzino, forse proprio grazie ad una certa tipologia di gerarchie ecclesiastiche e - perchè no - di preti, in cui non mi è mai riuscito di riconoscermi, e non mi è mai riuscito di condiserare rappresentanti in terra di non importa cosa. E tuttavia, Papa Francesco ha colpito molti (e me fra i molti) per la sua "ordinarietà diversa". Devo ammettere che ci voleva coraggio per chiedere al clero di mettere a disposizione dei senzatetto le strutture ecclesiastiche sotto utilizzate, e lui questo coraggio l'ha avuto.
Quindi accolgo volentieri il vostro appello, l'ho firmato, e cercherò di dare una mano a diffonderlo, coi non possenti mezzi a mia disposizione.
Vi abbraccio, ed auguro a voi e al Papa Francesco un sereno 2015
Tafanus
0601/0600/1600
Scritto il 31 dicembre 2014 alle 09:30 | Permalink | Commenti (7)
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Scritto il 31 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Stiamo facendo un lavoto disgustoso: quello di ripercorrere a volo d'uccello il margherito EUROPA, dalla fondazione ai giorni nostri, alla ricerca della coerenza perduta. Lavoro disgustoso, ma utile per sfatare la vulgata che quando "una voce si mette a tacere", l'umanità dovrebbe vestirsi a lutto stretto. Io dico che quando falliscono certi foglietti diventati ormai bollettini che veicolano il pensiero unico di Al Pacchiano, The Cocc, l'Italia dovrebbe proclamare un giorno di festa nazionale. Tafanus
24 novembre 2005
Mille ragioni per lo sciopero. Domani l’Italia scende in piazza
(Quando lo sciopero era lecito)
Ci sono mille ragioni per sostenere lo sciopero generale che i sindacati confederali hanno proclamato venerdì in tutti i settori produttivi. I lavoratori ed i pensionati italiani fanno bene a scendere in piazza, visto che hanno avuto poco e niente dal governo Berlusconi. Negli ultimi quattro anni si è registrata un’iniqua redistribuzione del reddito: i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri. Basterebbe pensare a quei sei miliardi di euro di riduzione delle tasse, “regalati” da questo governo, nella sostanza, ai redditi superiori ai 100 mila euro: una operazione, ripeto, iniqua, oltre che inutile. Le cifre parlano chiaro: l’Italia è il paese che cresce meno in Europa [...]
26 dicembre 2005
Il carisma è pericoloso
(quando il carisma era pericoloso)
Cragnotti, Tanzi, Fiorani e Fazio, protagonisti i primi tre di accertati scandali ?nanziari, il quarto responsabile, per adesso, solo di aver dissipato la fama di una prestigiosa istituzione e danneggiato gravemente il nome dell’Italia, hanno tutti una caratteristica in comune : il potere autocratico e quasi carismatico di cui godevano. Quello che ha reso possibili scorrettezze o vere e proprie frodi spesso ?nalizzate a un disegno di grandezza superiore ai mezzi di cui disponevano [...]
29 dicembre 2005
Eccessi da spoil-system
(quando lo spoil-system era il male)
La stagione della trasformazione della pubblica amministrazione era iniziata in Italia sin dalla metà degli anni ottanta. L’obiettivo era rendere la macchina pubblica più efficiente e imparziale, per investire sulla sua attitudine a servire “progetti” piuttosto che “persone”, valorizzando le sue professionalità. Valorizzando la sua autonomia rispetto al potere della politica [...]
11 gennaio 2006
Per una politica libera dalle lobbies
(quando non c'erano le lobbies fiorentine, Eataly e Serra delle Cayman)
I recenti avvenimenti, che hanno interessato il rapporto tra politica ed economia, in particolare il mondo della finanza con le varie scalate, hanno riportato al centro del dibattito il tema dell’etica pubblica. Questo problema non è certamente nuovo, da sempre accompagna tutte le attività pubbliche e richiede un continuo aggiornamento e una vigilanza permanente che risiede più nella dimensione personale che in quella collettiva. L’eticità appartiene alla persona, solo in questo modo anche le azioni e gli strumenti che si usano assumono una caratterizzazione morale. Più che riferirci a codici etici, forse sarebbe bene pensare alla qualità della nostra educazione civica e di come la scuola è in grado di educare le persone alle virtù repubblicane come sono declinate dalla nostra carta costituzionale [...]
Alessandro Bellardita - 1 marzo 2006
I cento giorni della “Bundeskanzlerin” Angela. È popolare, più del suo partito, specie all’estero
(quando i margheriti adoravano la Merkel)
Sono volati, i primi cento giorni della prima donna cancelliere alla guida della Germania. Cento giorni da quel 22 novembre dello scorso anno, quando il Bundestag diede il via libera alla grande coalizione composta dai due grandi partiti della tradizione politica tedesca, la Cdu/Csu e la Spd. Già tempo di bilanci, dunque, per Angela Merkel. E per il suo vice, l’uomo forte dei socialdemocratici, Franz Müntefering, con il quale finora è riuscita a costruire un gioco delle parti in cui i due appaiono complementari: né in competizione né in sovrapposizione reciproca. E non è poco [...]
Francesco Lo Sardo - 15 Settembre 2006
Berlusconi convoca un vertice urgente sulla “roba”
(quando Berlusconi era interessato più alla roba che al bene pubblico)
«Di Telecom parleranno i miei…», ha detto entrando in via del Plebiscito. I suoi ne hanno parlato, mitragliando Prodi e il suo collaboratore Rovati. Così impone il copione del centrodestra e il ruolo del capo dell’opposizione. Intanto però Silvio Berlusconi, appena rientrato dalla lunghissima vacanza estiva, non s’è riunito con i dirigenti di Forza Italia ma s’è chiuso nel suo studio a palazzo Grazioli per un vertice urgente con Fedele Confalonieri e Gianni Letta. Avrà mica ragione Roberto Zaccaria, ex presidente Rai e deputato dell’Ulivo, cui pare di intravedere alla ripresa dell’attività dopo la pausa in Sardegna «un Berlusconi che gradualmente, pur senza dirlo, è sempre meno politico e sempre più imprenditore »? [...]
Redazione - 8 settembre 2006
Old e New, giù le mani da Tony Blair
(il sinistro ideale dei margheriti)
Giù le mani da Tony Blair. Già vi vediamo, a recitare il requiem per l’antipatico che ha cambiato la faccia al Labour e i termini del discorso nella
sinistra europea. C’è chi rosica da dieci anni, riguardando le cassette dei film di Ken Loach (quello che oggi organizza il boicottaggio a Israele), rimpiangendo l’era bella degli scioperi dei minatori, del laburismo rosso, delle batoste elettorali una dietro l’altra. Sono i fautori dell’Old, dovunque nel mondo, e li conosciamo [...]
Gianni Del Vecchio - 22 giugno 2009
Nei ballottaggi “pesanti” il Pd vince in tutta Italia - Centrosinistra vittorioso a Padova, Bari, Firenze, Bologna e Torino [Articolo]
("Con Renzi si vince"! Veramente si vinceva anche senza Renzi...)
Marcata inversione di tendenza rispetto a sole due settimane fa. Il centrosinistra si impone su quasi tutti i ballottaggi di peso, capovolgendo la schiacciante vittoria della destra ottenuta al primo turno. E, dato confortante per il Partito democratico, ha mantenuto alcune amministrazioni del Nord: dalla provincia di Torino al comune di Padova. Per il Pdl è una piccola Caporetto, con la Lega che invece festeggia per la sua candidata che conquista la provincia di Venezia. Avvincente il testa a testa all’ultima scheda per la provincia di Milano. La corsa a due fra Filippo Penati e Guido Potestà è stata di gran lunga la più appassionante di tutta la giornata elettorale. Nel momento in cui Europa va in stampa, non è possibile avere risultati definitivi, anche perché la differenza fra i due è minima, circa cinquemila voti [...]
Rudy Francesco Calvo - 2 luglio 2009
Con Dario, perché. I Pop in conclave. No agli eccessi nuovisti, sì a un confronto sereno per la leadership: le condizioni dei popolari.
(Quelli che "no agli eccessi nuovisti")
(1- Continua)
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Scritto il 30 dicembre 2014 alle 14:55 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 30 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (4)
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Le nuove norme sull'abuso del diritto confermano quasi in toto il testo licenziato dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre: rischierà il carcere solo chi evade oltre 150mila euro, contro i 50mila attuali, e le fatture false saranno reato solo se superiori ai 1000 euro (Fonte: Fatto Quotidiano)
“Abbiamo fatto un decreto sull’abuso del diritto e nessuno ne parla”. Così il premier Matteo Renzi, durante la conferenza stampa di fine anno, ha puntato il dito contro giornali e tv colpevoli di non dare sufficiente spazio ai contenuti del decreto legislativo in materia fiscale varato dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre, insieme alle prime norme attuative del Jobs Act, all’ingresso dell’Ilva in amministrazione straordinaria e al Milleproroghe. Di quel testo, in realtà, si è già scritto molto prima della sua formalizzazione, quando si sono diffuse le prime indiscrezioni sui contenuti.
A far discutere è stata prima di tutto la decisione – confermata nel testo emanato dall’esecutivo e ora all’esame delle commissioni parlamentari – di fissare un tetto di 1.000 euro al di sotto del quale l’emissione di fatture false non è reato. Come dire che quello che oggi è un illecito penale punito con la reclusione da 18 mesi a 6 anni diventa un semplice illecito amministrativo. E il colpevole se la cava con una multa. Lo stesso vale anche per chi si serve di quelle fatture o di altri “documenti per operazioni inesistenti” per truccare la dichiarazione dei redditi con l’obiettivo di evadere le imposte sui redditi o l’Iva.
Non solo: le nuove misure decise dal governo triplicano, da 50mila a 150mila euro, il limite oltre il quale l’omesso versamento dell’Iva e delle ritenute certificate è punito con il carcere. Un intervento che, stando a un’indagine de Il Sole 24 Ore, comporterà l’archiviazione di almeno il 30% dei processi per questi reati attualmente in corso nei tribunali italiani. Le nuove disposizioni, in base al principio del favor rei, saranno infatti applicabili con effetto retroattivo. Rendendo carta straccia i fascicoli sulle vecchie violazioni tra i 50 e i 150mila euro. Di seguito, nel dettaglio, le altre principali novità introdotte dal decreto sull’abuso del diritto, che secondo Renzi punta a rendere le Entrate “consulente e non nemico” del contribuente e a “ridurre la pressione burocratica“.
La dichiarazione infedele non è reato se si evadono meno di 150mila euro - Oggi chi, per evadere le tasse, presenta al fisco una dichiarazione infedele, rischia la reclusione da uno a 3 anni se ha “scansato” imposte per oltre 50mila euro. Il decreto del governo triplica la soglia, permettendogli di mantenere la fedina penale immacolata anche se ne ha evasi fino a 150mila. Rispetto alle anticipazioni di novembre è cambiato, di poco, solo il livello a cui è stata fissata l’asticella: le bozze parlavano di 200mila euro. L’altra novità consiste nel fatto che per essere denunciati alla Procura occorrerà sottrarre all’imposizione redditi per almeno 3 milioni di euro, contro gli attuali 2 milioni.
Soglia più alta anche per chi sfugge del tutto al fisco – Per chi non presenta proprio la dichiarazione dei redditi, rendendosi colpevole di omessa dichiarazione, vengono inasprite le sanzioni: se oggi la pena prevista è la reclusione da uno a 3 anni, le nuove misure la portano da un minimo di un anno e sei mesi a un massimo di 4 anni. Ma, anche in questo caso, aumenta pure la soglia di punibilità: l’imposta evasa dovrà essere superiore a 50mila euro, una via di mezzo tra i 30mila fissati dal governo Berlusconi nel novembre 2011 e i 77mila vigenti fino ad allora. Il tetto resta invece a 30mila euro per la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, cioè documenti falsi o altri “giochetti” con l’obiettivo di “ostacolare l’accertamento” e “indurre in errore l’amministrazione finanziaria”. Ma ecco che anche qui le maglie si allargano: dovranno temere la reclusione solo quanti sottrarranno al fisco più di 1,5 milioni di euro. Oggi ne basta uno per rischiare il carcere.
Sale la pena per chi distrugge la contabilità… – L’unico articolo nel quale si intravede un effettivo inasprimento su tutta la linea è quello su “occultamento o distruzione di documenti contabili”, che saranno puniti con la prigione da un anno e sei mesi fino a sei anni, mentre attualmente la pena prevista va da sei mesi a cinque anni.
…ma il fisco dovrà fare in fretta, pena la decadenza - Infine, a dispetto degli appelli della direttrice delle Entrate Rossella Orlandi l’esecutivo non è tornato sui suoi passi riguardo ai tempi a disposizione dell’Agenzia per l’accertamento dell’evasione. Oggi il fisco, in caso di violazioni con rilevanza penale, può contare su un raddoppio dei termini di decadenza, che sono in generale di 4 anni (5 in caso di omessa dichiarazione). Il decreto licenziato il 24, invece, stabilisce che il raddoppio scatti solo se entro la scadenza ordinaria è stata presentata denuncia in Procura.
0501/0600/1600
Scritto il 29 dicembre 2014 alle 22:43 | Permalink | Commenti (4)
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Le "dimissioni spintanee" di Stefano Menichini dalla direzione di EUROPA
...povero Menichini... ha trascorso un anno da diligente lecchino... possiamo ricordare lo zenith di questa operazione? Il momento (al quale abbiamo dedicato un post) in cui EUROPA - giornaletto della Margherita da lui diretto - con sprezzo del ridicolo, ha affermato che il livello di fiducia in Renzi, nel paese, era arrivato al 95%. Ci è tornato alla mente il Fabio Mussi d'antan che, a fronte di un'affermazione di Berlusconi, che tirava fuori "Il foglietto col sondaggio" dalla tasca - senza aprirlo - e spiegava di avere il consenso del 75% degli italiani, commentava: "Berlusconi, quando arriverà al 130%, ci dia un colpo di telefono, che proveremo a trovare insieme l'errore di calcolo".
Tutto questo leccare per niente... Il PD renzino compra le spoglie di EUROPA, caccia quasi tutti, e mette dentro ciò che resta della TV "Youdem", ripulita già da tempo dalla ex direttrice. Esattamente la stessa cosa che aveva fatto il Renzi non ancora premier, ma già segretario del PD, in gennaio, quando aveva cacciato dalla direzione di Youdem Chiara Geloni, ed aveva insediato al suo posto Filippo Sensi:
NOTA ANSA del 29/01/2014 - Il segretario del Partito democratico, Matteo Renzi, ha conferito al capoufficio stampa del Pd, Filippo Sensi l'incarico di direttore responsabile di YouDem [...] Per Sensi si tratta di un interim in vista del riassetto del settore comunicazione. Nel ringraziare - si legge nella nota - Chiara Geloni per il lavoro svolto alla guida della tv del partito e per la responsabilità e la qualità professionale con cui ha aiutato a crescere una squadra di prima qualità, il nuovo direttore - che assicurerà l'interim in vista di una più complessiva trasformazione della comunicazione del partito - ha chiesto alla responsabile web Tiziana Ragni di coadiuvarlo con l'incarico di direttore editoriale della testata", si legge in una nota del Pd.
Ma chi è Filippo Sensi? un'altra testa di legno della Margherita, casa Natale di Renzi. Un fedelissimo:
Filippo Sensi, Dopo aver studiato al Liceo Calasanzio di Roma, si è laureato e ha ottenuto un dottorato in filosofia (fenomenologia tedesca) (...nientemeno...). È stato portavoce di Francesco Rutelli, curandone l'ufficio stampa come sindaco di Roma negli anni novanta [...] È stato vicedirettore di Europa, e collaboratore per Wired e Corriere della Sera. A gennaio 2014, dopo l'avvento di Matteo Renzi a segretario del Partito Democratico, Filippo Sensi è stato nominato capo ufficio stampa del PD e portavoce di Renzi, nonché direttore responsabile di YouDem (...previa "cacciata" di Chiara Geloni. NdR)
Oggi, con un altro colpo di mano che passa sulla testa di Stefano Menichini (direttore di Europa) reo forse di non aver leccato a sufficienza, secondo il leccando, la testata, con un magistrale colpo da MinCulPop, passa direttamente nelle mani di Renzi (...pardon... del suo "portavoce". Ma un "portavoce" porta la voce del suo padrone, istituzionalmente... O no? - NdR)
Ecco come riporta la notizia Il Fatto Quotidiano:
Il Partito Democratico, come annunciato a novembre, acquisirà la testata Europa, ma sostituirà gran parte dei giornalisti che ci lavorano con quelli attualmente in forze a Youdem per curare la comunicazione del Pd. È questa la denuncia del direttore dimissionario e del sindacato interno dei giornalisti (il comitato di redazione, cdr) dell’ex quotidiano della Margherita che il 1 novembre 2014 aveva fermato le pubblicazioni. “Europa cambia pelle e giornalisti. Nel mantenere l’impegno assunto a metà novembre di acquisire le testate di Europa, il Partito democratico ha tuttavia deciso di proseguire le pubblicazioni con un’altra redazione”, hanno scritto i giornalisti sul sito del giornale. In contemporanea al comunicato, è stato pubblicato anche l’ultimo editoriale del direttore, Stefano Menichini, che ha annunciato il suo addio.
Una decisione, quella del Pd, che per i giornalisti di Europa “tradisce gli impegni assunti” a novembre, quando il partito aveva dichiarato di voler acquisire la testata a partire da gennaio 2015, senza però accennare a stravolgimenti all’interno della redazione. Che, secondo i titolari, sarà invece composta prevalentemente da professionisti che ora lavorano al canale di partito, Youdem: “Nonostante le ripetute assicurazioni che i vertici del Partito hanno dato – scrive ancora il sindacato – da gennaio Europa Quotidiano sarà redatta presumibilmente da una larga maggioranza di giornalisti di Youdem rispetto a quelli di Europa“. Decisioni, viene sottolineato, che “sono state assunte all’ultimo momento utile e nel pieno delle festività natalizie” e senza “comunicazione ufficiale al cdr”.
Le prime informazioni sull’organizzazione futura del quotidiano le fornisce lo stesso Menichini nel suo editoriale: “Europa rimane online – annuncia il direttore uscente – Cambia molte cose ma non si spegne e questo era l’obiettivo più importante alla fine di un 2014 che ci ha visto più volte sull’orlo della chiusura e che s’è già portato via molte altre testate a cominciare dai cugini dell’Unità“. La testata, continua, “è ormai di proprietà della Fondazione Eyu, promossa e posseduta dal Pd, che vuole continuare a tenere Europa digitale in vita ma ha pochissimi soldi per farlo”.
Proprio dall’esigenza di contenere i costi nascerebbe la decisione del partito di affidare la gestione del quotidiano ai comunicatori del partito: “Da gennaio 2015 Europa verrà prodotta presso la sede del Nazareno, a opera di alcuni colleghi attualmente in forza all’ufficio stampa del Pd integrati da una estrema minoranza dei redattori che hanno fatto il giornale in questi anni. Appena possibile, ci si dice, riprenderanno gli sforzi per trovare nuovi soci e ulteriori risorse. Per ora si salvano le testate ma non coloro che hanno dato loro valore”. Poi il direttore chiude annunciando le proprie dimissioni, ma non senza lanciare una frecciatina per le condizioni in cui la redazione ha dovuto lavorare, specialmente nell’ultimo anno: “Penso che soprattutto nell’arco del 2014 (“l’anno del Pd di Renzi“) si sarebbe potuto fare di più e meglio per la sorte del giornale che tutti, a torto o a ragione, considerano “il giornale del Pd di Renzi”.
La sobria e neutrale "prima" di EUROPA di oggi
La "prima" di EUROPA, modello MinCulPop
...già... quando NOI denunciavamo EUROPA come il giornaletto personale del renzismo, da molti siamo stati pesantemente insultati. Ora - e questo è esilarante - colui che ha fortemente contribuito a trasformare quel giornaletto nell'organetto del più spudorato renzismo, si indigna. Caro Menichini, cosa ti indigni a fare? I "fedeli servitori" non hanno il diritto di indignarsi, se il Padrone li sostituisce appena trova un servitore ancor più affidabile e fedele. Noi, personalmemnte, siamo indignati dal modo servile col quale tu per primo, hai diretto questo giornaletto, contribuendo a decretarne la fine. Ora Europa diventerà, finalmente, una inutile appendice alla pagina Twitter di Renzi. Non lo avevi capito, che quello, e solo quello era l'obiettivo? Eppure l'eutanasia dell'Unità, causa eccessiva presenza di voci che non cantavano in coro, avrebbe dovuto insegnarti qualcosa... Requiescat in pace.
Tafanus
0501/0600/1000
Scritto il 29 dicembre 2014 alle 14:50 | Permalink | Commenti (11)
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Scritto il 29 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Qualche tempo fa avevamo stigmatizzato Eugenio Scalfari che - pur lasciandosi qualche "exit-strategy", aveva sponsorizzato Renzi, gratificandolo anche con una dichiarazione di voto. Poi, e devo dire quasi subito, era iniziata una lenta retromarcia, lungo l'abituale tracciato "ho votato Renzi > ho votato Renzi, chi altri avrei potuto votare? > ho votato Renzi però... > ho votato Renzi, ma non credo che lo rivoterei". Il tutto all'insegna del non-detto, o del detto a metà.
Ora Repubblica non riesce più a "tenere" le sue firme. Non le migliori. Non Curzio Maltese, che ha addirittura lasciando, per candidarsi alle europee con la lista Tsipras; non Federico Fubini, che non ha mai seguito gli ordini di scuderia; non Michele Serra; non Filippo Ceccarelli .Questi (e altri) se Ezio Mauro e De Benedetti li vogliono, devono acconciarsi a lasciarli scrivere ciò che pensano, e non già ciò che la proprietà vorrebbe che facessero finta di pensare.
A questo punto l'editore De Benedetti deve decidere se continuare a sostenere Renzi, sperando (e forse invano) che questo lo aiuti a risolvere i suoi "problemi elettrici", o salvare ciò che si può salvare di Repubblica, evitando di far fuggire a gambe levate verso altri lidi le firme migliori, ed acconciandosi all'equazione che sfasciare Repubblica facendo fuggire le penne migliori non risolverebbe i problemi dell'Ing. De Benedetti, ma ne aggiungerebbe un altro: la crisi di Repubblica. Alla quale, a ruota, si aggiungerebbe quella de l'Espresso. De Benedetti se ne faccia una ragione: non salverà le centrali elettriche affidando le posizioni-chiave di Repubblica a giornalisti alla Stefano Folli, pronti a lavorare con "Franza o Spagna, purchè se magna".
Scalfari sembra averlo capito. Ma gli altri? Vorranno e potranno fare la conversione a U in appoggio alla destra guidata da Renzi sotto le insegne del PD, oppure saranno spinti da questa dissennata politica editoriale nelle braccia dei vari "Fatto Quotidiano" ed "Huffington Post", o del Corrierone, che a questo punto è diventato meno di destra di Renzubblica?
Quello che segue è un abstract della retromarcia odierna. Lieve, senza grattate, ma pur sempre retromarcia. Il renzismo è in via d'estinzione, e non sarà salvato dalla "indulgenza plenaria" concessa agli statali per via di "Giobatta". Di tutto si può accusare Scalfari, tranne del fatto che non abbia un orecchio molto allenato ad avvertire i primi scricchiolii delle navi che stanno per affondare... Tafanus
La coerenza è merce rara, ma in Italia la conosce solo la mafia (ovvero: il completamento della ri-riconversione di Eugenio Scalfari) (Fonte: Eugenio Scalfari - Repubblica)
[...] mi corre tuttavia l'obbligo di dire alcune verità (così almeno credo che siano) su tre questioni di bruciante attualità: il Jobs Act, la legge delega approvata dal Parlamento ha dato luogo ai primi due decreti attuativi; la legge elettorale che sarà tra breve trasmessa in Parlamento e la riforma della legge di Bilancio che il governo proporrà alle Camere il prossimo autunno.
Tre temi della massima importanza, i primi due hanno già suscitato profonde divisioni e aperto un confronto molto serrato con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, mentre il terzo è finora ignorato da giornali e pubblica opinione, ma il governo ci sta lavorando e susciterà anch'esso nel momento in cui sarà presentato in Parlamento, proteste altissime e profonde divisioni.
Ho già scritto domenica scorsa che il Jobs Act non crea alcun nuovo posto di lavoro, semmai può distruggerne alcuni. Saranno infatti assunti altri precari per un periodo massimo di tre anni, con salari inizialmente assai bassi ma lentamente crescenti. Dopo tre anni gli imprenditori decideranno se assumerli con un contratto a tempo indeterminato ma fermo restando che non godranno - come invece ancora accade per i vecchi assunti - dell'articolo 18. Per i nuovi assunti il 18 non esiste più; ci sarà dunque una diversa contrattualità per lavoratori che fanno il medesimo lavoro nella medesima azienda. La questione potrebbe creare imbarazzi con la Corte Costituzionale.
Il Jobs Act non crea dunque alcun posto di lavoro. Potrà forse promuovere i precari in dipendenti regolari di quell'azienda (ma senza articolo 18) concedendo contemporaneamente un forte risparmio agli imprenditori che saranno premiati con l'esenzione dai contributi e con la piena libertà di licenziare i neoassunti durante i primi tre anni ma anche dopo, contro pagamento di un indennizzo da trattare tra le parti.
Il Jobs Act ha avuto nel corso del suo iter parlamentare sotto forma di legge delega molteplici mutamenti, quasi tutti in maggior favore degli imprenditori. In questi ultimi giorni sono usciti i due primi decreti attuativi che saranno presentati alla commissione parlamentare incaricata di fornire al governo un parere puramente consultivo, ma già si sa che in quei decreti c'è anche un trattamento per i licenziati collettivamente (in numero da cinque in su): anche in questo caso indennizzi ma non reintegro deciso - come era un tempo - dal giudice del lavoro.
Grande soddisfazione degli imprenditori ma altrettanto grande opposizione dei sindacati che protestano, invieranno ricorsi alla Corte di Bruxelles contestando i licenziamenti collettivi e forse indiranno nuovi scioperi di categoria o generali. Si può ovviamente dissentire in merito ma sta di fatto che il governo ha scelto da che parte stare e non è una scelta accettabile quella dei forti mettendosi sotto i piedi i deboli.
Si dice che leggi di questo tipo sono gradite dalla Commissione Europea, dalla Bce e dal Fmi. A me non pare. Quei tre enti desiderano che l'Italia, come tutti i governi dell'Eurozona, rispetti gli impegni presi: il "fiscal compact", una politica tendente a ridurre il debito pubblico sia pure con qualche concessione nei tempi e nella quantità, l'aumento della produttività e della competitività. Con quali strumenti questi due ultimi obiettivi debbano essere realizzati non c'è scritto da nessuna parte. Secondo me dovrebbero essere realizzati dagli imprenditori attraverso la creazione di nuovi prodotti e nuovi metodi di produzione e distribuzione. Dell'articolo 18 all'Europa non interessa nulla, riguarda il governo italiano. Produttività e competitività riguardano le aziende e chi le guida, il costo del lavoro, i licenziamenti eventuali e quanto ne deriva pesano esclusivamente sui lavoratori. Per un partito che si definisce di sinistra democratica questa scelta non mi sembra molto coerente.
La legge elettorale approderà in Parlamento la prossima settimana, e il primo voto dovrebbe avvenire prima del 14 gennaio, giorno in cui sembra che Napolitano lascerà il Quirinale. A me quella legge complessivamente sembra una buona legge che contiene nell'ultimo articolo la clausola di garanzia secondo la quale non potrà essere applicata prima dell'autunno 2016.
La chiamano l'Italicum e - lo ripeto - mi sembra efficace ma è aggrappata all'abolizione del Senato, riforma che mi sembra invece pessima. Ne ho spiegato più volte i motivi e non starò dunque a ripetermi, ma è evidente che la legge elettorale della Camera senza più un Senato crea un regime monocamerale che rafforza moltissimo il potere esecutivo e attenua i poteri di controllo del potere legislativo.
Questo è l'aspetto estremamente negativo: non l'Italicum ma il Senato relegato ad occuparsi delle attività delle Regioni essendo i suoi membri eletti dai rispettivi Consigli regionali. Per un governo che vuole rafforzare i propri poteri questa riforma è l'ideale.
Terzo argomento la legge di Bilancio. Attualmente ce ne sono tre: quello che fu un consuntivo del bilancio alla fine dell'anno; quella che un tempo si chiamò legge finanziaria e indica la politica economica e i suoi obiettivi per l'anno futuro; la terza è il trattato europeo dal quale deriva il "fiscal compact" applicato all'Italia da una deliberazione di Bruxelles che ha valore costituzionale per tutti i Paesi dell'Unione. Ricordo tra parentesi che nella Costituzione italiana esiste l'articolo 81 (che fu ispirato da Luigi Einaudi, a quell'epoca ministro del Bilancio e ancora governatore della Banca d'Italia).
Era molto semplice l'articolo 81: tre commi in cui la frase decisiva diceva: "Non può esser fatta alcuna spesa senza che ne sia indicata l'entrata corrispondente". Ricordo che negli anni Sessanta esisteva alla Camera un comitato di Bilancio (del quale io feci parte nella legislatura 1968/72) al quale andavano tutte le leggi di spesa per un controllo preliminare. Il comitato aveva a disposizione tutti i dati necessari per valutare se il dettato dell'articolo 81 fosse stato rispettato. Se il parere era negativo il governo ritirava il disegno di legge per rifarlo su basi completamente diverse.
Credo che quel comitato sia stato sciolto e forse ricostituito con nuove e più elastiche mansioni. Ma la legge di Bilancio, sia pure attenuata, esiste tuttora e discute, approva o respinge il bilancio sempre sulla base dell'articolo 81 che però è stato alleggerito con l'abolizione del terzo comma dal governo Monti nel 2012.
Nel prossimo autunno quella legge sarà fusa con l'attuale legge di stabilizzazione. Nel frattempo la parola pareggio è stata sostituita (negli studi preparatori in corso) dalla parola equilibrio. La legge deve cioè dimostrare per il passato e promuovere per il futuro l'equilibrio tra le entrate e le spese. All'articolo 81 dunque diamo addio. È chiaro che l'equilibrio sarà anche valutato dal Parlamento cioè dalla Camera ed è chiaro altrettanto che la Camera è un'assemblea in gran parte di "nominati" dalle segreterie del partito che vincerà le elezioni. E poiché siamo un Paese di spendaccioni, è legittimo pensare che il debito continuerà ad aumentare come del resto sta già avvenendo sia pure in regime di "fiscal compact". Avveniva perfino con l'81 vigente, aggirato in vari modi; figurarci ora che sarà completamente abolito che cosa farà la "Compagnia dei magnaccioni". Dio ci scampi, ma temo che il Padreterno sia in tutt'altre faccende affaccendato [...]
Eugenio Scalfari
0401/0615/1545
Scritto il 28 dicembre 2014 alle 21:49 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 28 dicembre 2014 alle 08:01 | Permalink | Commenti (6)
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Recensione del film "Magic in the Moonlight" (di Angela Laugier)
Regia: Woody Allen
Principali interpreti: Eileen Atkins, Colin Firth, Marcia Gay Harden, Hamish Linklater, Simon McBurney, Emma Stone- 98 min. – Francia, USA 2014.
Stanley (Colin Firth) è un eccellente illusionista inglese che si esibisce a Berlino alla fine degli anni ’20, destando meraviglia e ammirazione. E’ anche molto onesto e ammette volentieri che i risultati stupefacenti, tanto apprezzati, sono frutto della sua estrema abilità a nascondere i trucchi numerosi cui ricorre immancabilmente. Egli è anche convinto che siano impostori quei suoi colleghi che dichiarano, ricorrendo a fumisterie pseudoscientifiche, di agire spinti da forze occulte di cui essi sarebbero la vivente manifestazione; si diverte, anzi, a smascherarne le menzogne, rovinandone la reputazione. Quando l’amico Howard (Simon McBurney) lo avvisa che esiste una signorina dotata di qualità paranormali davvero eccezionali, egli è assolutamente certo che si tratti di un’abile imbroglioncella, e chiede di conoscerla, purché sia mantenuto il segreto sulla propria identità. La fanciulla in questione è Sophie (Ellen Atkins), un’affascinante giovinetta americana, ospite, sulla Costa Azzurra, nella villa di una ricchissima famiglia di inglesi, presso la quale ha già dato prova delle proprie doti misteriose, attirandosi la particolare ammirazione del giovane erede. Lo stesso Stanley è colpito e turbato dalle qualità di Sophie, ma è ben deciso a venirne a capo, non intendendo ammettere l’esistenza di forze soprannaturali capaci di manifestarsi a qualcuno attraverso esoterici percorsi, anche se, innamorandosi di lei quasi senza accorgersene, dovrà infine riconoscere che almeno l’amore sa sottrarsi misteriosamente (?) al controllo della nostra ragione.
Il finale del film è scontato e prevedibile, la Costa Azzurra è da cartolina un po’ ingiallita, i personaggi, soprattutto quelli femminili (che si tratti della giovane furbacchiona dall’aspetto soave, o delle vecchie zie che la sanno lunga), non riservano grandi sorprese poiché rientrano nei cliché più tradizionali. Non manca tuttavia qualche bella e fulminea battuta, non banale, né qualche sequenza narrativa degna di nota: Magic in the Moonlight è pur sempre il lavoro di uno fra i registi americani più intelligenti e colti, capace di rendere gradevole anche la visione dei suoi film meno riusciti. Il vecchio Woody ha 79 anni e, forse, non ha ancora voglia di andare in pensione, anche se potrebbe farlo, evitando di deludere il pubblico più affezionato, che continua a sperare (davvero irrazionalmente!) nel miracolo.
Angela Laugier
0401/0630/0915
Scritto il 28 dicembre 2014 alle 07:59 nella Angela Laugier, Bersani, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Renzi e Poletti scommettono che il risparmio offerto alle imprese che assumeranno col contratto a tutele crescenti, una volta disinnescato l’articolo 18, le incoraggerà a privilegiarlo rispetto ai contratti a termine. Lo verificheremo nel giro di qualche mese: vedremo, cioè, se ci sarà un’inversione di tendenza rispetto ai dati degli ultimi anni che hanno visto una netta prevalenza delle assunzioni a termine. Spero di avere torto, ma ritengo improbabile questa inversione di tendenza. Temo, cioè, che le imprese preferiranno spendere di più pur di stipulare contratti a termine, peraltro rinnovabili fino a cinque volte, grazie al decreto Poletti della primavera scorsa.
Se l’aver reso più facili i licenziamenti non diminuirà il precariato, ne trarremo conferma di intenzioni non dichiarabili da parte degli economisti che hanno ispirato l’ultima versione del Jobs Act: l’obbiettivo reale è abbassare le retribuzioni, oltre che il costo del lavoro, pur di trattenere in Italia le aziende intenzionate a andarsene.
0301/0645/1430
Massimo Troisi e il precariato
Scritto il 27 dicembre 2014 alle 20:55 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 27 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 26 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 25 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 24 dicembre 2014 alle 23:56 | Permalink | Commenti (2)
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La famiglia Renzi in genere è specializzata da decenni in "salvataggi" di aziende, tutti finiti sistematicamente con trasporto dei libri in tribunale (vedi il POST "Tutte le condanne delle società della famiglia")
Ma pensavo che le capacità di Salvatore di Matteo Renzi fossero limitate alle aziende di famiglia (sarebbe stato un guaio minore). Invece apprendiamo da "Youdem" versione "renzizzata" che orma Renzi è un "salvatutto". L'altro giorno, ascoltandolo distrattamente in TV con un certo fastidio (il telecomando non era a portata di mano) fra le aziende che elencava come "salvate", mi era sembrato di sentir citare anche Termini Imerese (i cui salvatori - come sanno cani e porci, tranne che su Youdem e EUROPA), sembra che non abbiano una lira, e che abbiano competenze nel settore tutte da dimostrare...
Grazie ad un articolo di qualche giorno fa di Stefano De Agostini sul FATTO, oggi possiamo confrontare le "narrazioni" del venditore di pentole con la realtà. Finora il parolaio magico, con una certa prudenza - e fidando sulla memoria corta degli italiani - si era limitato all'annuncite di cose meravigliose che avrebbe inevitabilmente fatto in pochi giorni. Ora, abbandonata ogni prudenza, si è scatenato anche a "palleggiare" su cose fatte". Peccato che alcune delle "cose fatte" siano state fatte da altri; altre siano state fatte - male e diverse dalla narrazione - da lui; altre, infine, non sono mai accadute, se non nelle interviste del pallonaro.
Ecco cosa ci racconta Stefano De Agostini (roba che chiunque può controllare):
Le note della colonna sonora di Amelie accompagnano le immagini di un’Italia che lavora. Poi la musica sfuma e lascia spazio alle parole del premier Matteo Renzi che annuncia in parlamento la risoluzione della vertenza Ast di Terni. Mettiamo in pausa. Comincia così il video “Un’impresa possibile“, caricato su Youtube dalla redazione di YouDem, la web tv del PD, nata sul satellite e poi dirottata sulla rete.
Un filmato lungo poco più di un minuto e mezzo, con un messaggio preciso: “Sono quaranta le crisi aziendali di cui il governo Renzi si è occupato e che sono state risolte a partire da febbraio”. Eppure, c’è una nota stonata nella propaganda a suon di fisarmonica dell’epopea renziana: nell’elenco delle vertenze “risolte” ce ne sono alcune ancora aperte e altre che si sono chiuse con un esito tutt’altro che positivo.
Clicchiamo “play”, andiamo avanti. Mentre la voce fuori campo snocciola le crisi prese a cuore dal governo, ecco che i nomi delle aziende “salvate” dall’esecutivo Renzi sbucano dal video e riempiono lo schermo. In un angolino a sinistra, si nota il nome della Keller, azienda che costruisce vagoni ferroviari. Il 17 novembre, la società è stata dichiarata fallita dal tribunale di Cagliari. L’azienda conta 475 dipendenti, 285 a Villacidro, in Sardegna, e 190 a Carini, in Sicilia: per loro si sono spalancate le porte del licenziamento. Contro la sentenza è partita una serie di ricorsi, portati avanti dai lavoratori, dai sindacati, dalle Regioni Sardegna e Sicilia e dallo stesso ministero dello Sviluppo Economico. Una vicenda conclusa nel peggiore dei modi, che si spera possa essere riaperta presto.
Un’altra vertenza etichettata come “risolta” è quella di Natuzzi, il gruppo che possiede il marchio Divani&Divani. L’azienda, dopo avere annunciato 1.700 esuberi, ha firmato un accordo nell’ottobre del 2013, quindi sotto il governo Letta. L’intesa riduceva le eccedenze a 1.500 unità e prevedeva un anno di cassa integrazione, il tempo necessario per trovare un nuovo accordo per rilanciare la produzione. A distanza di dodici mesi, tuttavia, le parti non hanno trovato un’intesa. Così l’azienda ha chiesto un altro anno di cassa. Insomma, un’altra partita aperta.
Alla voce “vertenze più rilevanti”, invece, è annoverata la vicenda Alitalia: in effetti, ad agosto, è stato siglato l’accordo che ha sancito le nozze con la compagnia emiratina Etihad. Quello che YouDem non specifica è che l’intesa prevedeva 2.251 esuberi e non è stata firmata da uno dei più rappresentativi sindacati dei trasporti, la Filt Cgil. Una parte delle eccedenze è stata ricollocata o ha accettato un incentivo all’esodo, ma sono state tagliate fuori 994 persone che da novembre sono andate incontro alla mobilità. Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ha detto che “solo (ma speriamo siano meno) circa 440 persone alla fine di questa procedura rimarranno in mobilità”. Ma Nino Cortorillo, segretario nazionale Filt Cgil, ha fissato il numero di esuberi in 1300 unità: “Vorremmo ricordare a Lupi che ai 440 licenziati finali andrebbero aggiunti coloro che hanno accettato di uscire dall’azienda solo perché sicuri di essere licenziati. A questi numeri inoltre vanno sommati altrettanti 500 ancora in buona parte da ricollocare”.
Ma andiamo avanti. “Ed ecco la cartina della ripresa industriale“, recita la voce fuori campo, mentre lungo lo stivale compaiono cerchi blu pop-up, che indicano i successi delle vertenze seguite al Mise. Quello che non è chiaro è il concetto di “ripresa industriale” sbandierato da YouDem. Già, perché le cifre dell’Istat dipingono un’altra Italia. L’ultima rilevazione sulla produzione industriale, che risale a settembre 2014, segna il minimo storico almeno dal 1990: il dato destagionalizzato sprofonda a quota 89,8, posto 100 il livello del 2010. A febbraio, quando Matteo Renzi è diventato premier, il dato si attestava a 91,8. I numeri lasciano ben poco spazio all’idea di una ripresa industriale.
“L’intesa raggiunta tra parti sociali, imprenditori e lavoratori – prosegue la speaker – ha portato al superamento di situazioni negative di crisi“. Certo, ma se YouDem festeggia le quaranta vertenze “risolte”, bisogna anche ricordare le decine di ferite aperte nel tessuto economico italiano, che si portano dietro le incertezze sul futuro di migliaia di lavoratori. Basti pensare alla compagnia aerea Meridiana, che a settembre ha avviato 1.634 licenziamenti. E una volta atterrati in aeroporto, la situazione resta critica.
La società Groundcare, che si occupa dell’assistenza per i passeggeri di Fiumicino e Ciampino, è stata dichiarata fallita nel maggio del 2014. Per gli 850 dipendenti è scattata la cassa integrazione, ma se non si trova un acquirente in tempi stretti, gli operatori sono destinati al licenziamento.
Dai cieli all’asfalto, anche il settore auto non sorride. L’esempio più clamoroso è quello di Termini Imerese, lo stabilimento che Fiat ha fermato nel 2011. Da allora i 1.100 dipendenti dell’impianto, indotto compreso, sono in cassa integrazione: l’ammortizzatore scadrà a fine dicembre.
La newco Grifa si è candidata per rilanciare il sito producendo auto ibride, ma finora non ha ancora dimostrato di avere la stabilità finanziaria necessaria ad avere il via libera dal Mise. Se non si chiuderà un accordo, per gli operai scatterà il licenziamento. Un’altra lunga vertenza riguarda l’azienda informatica Agile ex Eutelia: mentre la dirigenza dell’azienda è finita a processo per bancarotta fraudolenta, aggiotaggio e associazione a delinquere, nel 2010 i dipendenti si sono trovati in cassa integrazione. I 780 lavoratori rimasti in seno alla società si trovano con l’ammortizzatore sociale in scadenza a fine dicembre e senza prospettive per il futuro. Un altro settore in crisi nera è quello dei call center: solo per citare i due casi più preoccupanti, Almaviva ha annunciato tremila esuberi a Palermo, mentre la Ecare di Cesano Boscone (Milano) si appresta a chiudere licenziando quasi 500 persone. Ma la voce amica ci rassicura: il governo ha individuato “chiare linee strategiche che nel passato sono mancate”. Per poi salutarci: “Un’impresa possibile”.
...Non esistono "Imprese impossibili" per il Miracoliere di Frignano sull'Arno. Lui farà cose che voi umani eccetera. Altro che quel miracoliere-dilettante che si è dovuto limitare a creare trilioni di posti di lavoro, a dare una dentiera a tutti, e a sconfiggere definitivamente il cancro, la gotta e il ginocchio della lavandaia... Il Nuovo Miracoliere opera scientificamente. Una Grande Riforma al mese, crono-programma su foglio Excel, e Due Badanti Due, che gli ricordano ogni mattina, alle sette in punto, di informare gli italiani, via Twitter, che "il Presidente è già al lavoro".
Presidente, ci ascolti. Lavori di meno. Ne guadagnerebbe sia la sua salute, che quella dell'Italia.
Tafanus
0201/0700/1930
Scritto il 24 dicembre 2014 alle 17:48 | Permalink | Commenti (0)
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L’unica nota lieta, dello straziante (sin dal titolo) Un mondo da amare, è stata la decisione di Matteo Renzi di andare sì da Antonella Clerici ma non a La prova del cuoco: sarebbe stato difficile, in quel caso, scorgere differenze percettibili tra lui e una melanzana. Vuoi per le sempre più generose forme, vuoi per i sempre meno generosi contenuti. Il Presidente del Consiglio, in costante decrescita (non solo) nei sondaggi, aveva bisogno di un altro bagno nel nazionalpopolare e ha trovato consono il vestitino cucitogli addosso su misura da RaiUno, con uno speciale in prima serata che è parso per metà uno spin-off di Ti lascio una canzone e per l’altra una variante 2.0 dell’Istituto Luce di fascistissima memoria.
Lo spettacolo è stato vieppiù raggelante e l’unica voce vagamente contraria all’Expo, argomento teorico dell’adunanza, è stata quella di Ornella Vanoni. Per il resto canzoni deboli dei Modà (“Per avervi ho dovuto fare i patti col diavolo”, ha detto la Clerici: bei tempi quando ci si accordava col Demonio per avere l’anima di Robert Johnson). Lezioni noiosissime di Roberto Vecchioni. Frasi fatte, tacco 12 di Cristina Parodi (di gran lunga la cosa migliore del programma), nenie natalizie e uno share del 19.55%: 4 milioni e 72mila persone, tante ma comunque meno della seconda puntata di Senza identità su Canale 5. Nel mezzo, come un apostrofo rosa tra le parole “che” e “pena”, poco dopo le ventidue, lo spottone elettorale per Renzi. Teoricamente intervistato dai bambini. Per il presidente del Consiglio non è una novità: era già stato accolto da cori di “balilla” (incolpevoli) in Sicilia, non meno della statista Boschi che aveva ricevuto analogo trattamento dagli scolari della natìa Laterina. E non è nuova neanche l’idea di farsi intervistare dai bimbi. Era già accaduto con Papa Giovanni Paolo II, che aveva ricevuto domande sincere.
“Usare i bambini” è pericolosissimo ed è accettabile unicamente se li si lascia liberi di essere se stessi: infantili, innocenti, buffi. Naturali. Due sere fa, però, davanti a Renzi c’erano bambini imbeccati dagli autori, che li avevano “dotati” di quesiti tristemente preparati. Vespa fingeva domande cattive (“Gli italiani quando potranno comprare una pizza in più?”). La Clerici ridacchiava alle pseudo-battute di Renzi. E lui, il Premier, esibiva tronfiamente la sua simpatia presunta e il suo ottimismo stantio. “Mettiamo da parte il pessimismo”. “L’Expo è un’occasione per voler bene all’Italia”. “No ai furbetti” (apprezzabile autocritica). Fino all’apice assoluto della sua visione politica: “È come se l’Italia non sapesse farsi i selfie”.
Un mix tra uno slogan di Tonino Guerra, un brano minore di Jovanotti e un brano qualsiasi dei Righeira. Un pensiero così elaborato che, dopo averlo pronunciato, Renzi si sarà verosimilmente dovuto riposare, giusto per controbilanciare l’immane sforzo neuronale. Nel frattempo i poveri bambini mettevano sempre più tenerezza (“Perché le riunioni di governo si chiamano di gabinetto?”), la regia mandava La traviata e la Clerici poneva domande irrinunciabili a Vespa: “Cosa ti faceva mangiare nonna Ida?”. Se Berlusconi avesse fatto anche solo un decimo di quanto hanno avuto il coraggio di imbastire Rai e Renzi, la “sinistra” avrebbe marciato su Roma. Significativa, in ogni caso, la performance (registrata) di Bocelli alle ore ventitré: “Nessun dorma”. Un’esortazione, più che un’esibizione. Purtroppo per lui, e per Renzi, dormivano però già tutti da un bel pezzo.
Vedo che pa performance dei bimbominchia grandi e piccoli ha avuto ampia risonanza e consenso su media piccoli e grandi, di tutti i colori politici. Devo controllare se anche EUROPA non abbia scritto qualcosa di sensato sull'argomento...
Stamattina ho scoperto per caso questo telegrafico post di Marco Bracconi sul suo blog:
Bimbo Act
Piccola semplice e umilissima proposta di legge per il 2015 imminente. Un solo articolo, corsia preferenziale alle Camere e tempi di approvazione rapidissimi.
“Dal primo gennaio dell’anno corrente si fa divieto per chiunque abbia un ruolo pubblico di usare i bambini a fini di propaganda”.
Ma il peggio arriva da dove meno te lo aspetti: da Filippo Ceccarelli su Renzubblica, forse stufo di obbedire agli "ordini di servizio" dell'Ingegnere:
Filippo Ceccarelli per “Repubblica”
Sarebbe questo il “mondo da amare”, come si intitolava sdolcinatissimamente la trasmissione di Rai1 in cui ieri sera il giovane premier si è fatto intervistare da bambini e adolescenti ammaestrati con la mellifua regia di Vespa (“qualcuno ha una domandina?”) e la goffa complicità — “oh, presideeente!” — di Antonella Clerici?
Sarebbe questo il promesso rinnovamento della vita pubblica, la rinascita di Milano, l’antipasto dell’Expo? E’ Natale, è Natale, gridavano tutti in continuazione, un misto di euforia e di retorica, una captatio nemmeno troppo benevolente, anzi spudorata, le canzoncine che stringono il cuore e l’Italia bellissima centro del mondo, le eccellenze nazionali, il cibo, la bellezza, il talento e la letterina a Babbo Natale letta dalla bimba con l’inquadratura del leader quasi commosso, la giornalista con il caschetto da operaio che dava conto dell’alacre lavoro e della corsa contro il tempo — chissà perché mai saranno in ritardo, s’è accennato solo a un “problema” — e comunque mai mollare, applausi, mai denigrarsi, applausi, ce la faremo, applausi chiaramente pilotati e somministrati a gradazione, un abbraccio al presidente Napolitano, applausi, ma soprattutto le faccette, le smorfiette, le mossette, la più tenera e quindi torva tele-mistificazione.
Se si trattava di un distillato di tele-renzismo, beh, occorre ammettere che il berlusconismo non è passato invano. Dietro l’apparente novità, l’evoluzione della più vieta pratica di consenso a buon mercato. Un gioco molto adulto e anche potenzialmente totalitario, ma camuffato e virato sul sentimento, l’intrattenimento, le coccoline da predazione.
Chiamatemi Matteo. «Lavoro per voi, come un capoclasse».
E anche se «mi rottameranno» la politica è bella. L’Italia non sa farsi i selfie. Una scuola all’altezza dei sogni. Vanno bene Facebook e twitter, ma attenzione agli altri. La pedagogia tele-istituzionale si dispiega mentre sul fondale passano paesaggi meravigliosi, piazze animate. Sempre applausi.
Sull’uso, l’abuso e lo sfruttamento dei bambini in politica e in tv esiste ormai una cospicua letteratura, l’usanza è tanto riprovata quanto, purtroppo, generalizzata. Il format degli incontri con le scolaresche di Nonno Silvio, l’acqua santa del Po versata sulla testa degli orsetti padani, la piccola nera messa in braccio a Bersani, i cortei rossi e tricolori aperti da innocenti. Per cui ieri sera si poteva ingenuamente pensare: sed diabolicum perseverare. Nel marzo scorso, alla scuola Raiti di Siracusa un coro di alunni delle scuole elementari accolse il premier: «Facciamo un salto/ battiam le mani/ ti salutiamo tutti insieme/ presidente Renzi».
Ci furono polemiche, si attese una qualche autocritica, arrivò un bofonchio: «Che dovevo fare?». Perciò quello che si è visto ieri sera sa un po’ di sfida. Farmi riprendere con i bambini è mia prerogativa presidenziale, chi se ne importa se i soliti gufi la prenderanno come una conferma del servilismo volontario della tv, l’ennesimo caso di antropologia malata di una classe politica che non sa resistere alle scorciatoie, e invece di lavorare in silenzio si mette a fare Giocagiò.
I ragazzini di ieri sera erano quelli del talent di Rai1, le reti Mediaset l’hanno subito copiato, poi ai bambini ballerini e ai bambini cantanti si sono aggiunti i bambini cuochi. Adesso la grande macchina televisiva che non rispetta niente e nessuno ha scoperto e rilanciato i paggetti del potere.
E’ duro da scriverlo così, ma davvero si stenta a valutare la faccenda in modo più moderato. Tutto era così deliziosamente pianificato da sembrare spontaneo. A un certo punto un bambino ha tirato fuori il “gabinetto”, inteso come governo, ma anche come cesso. Era questo il passaggio comico della serata, che per poco non è finita a cacca e piscia, con rispetto parlando. Grandi risate, finto imbarazzo di Renzi, Vespa che insisteva su un registro alto, la Clerici che mamma mia...
La forza ricattatoria dei bambini, l’infanzia giocata come risorsa di attenzione e di interesse, sono armi improprie, e chi ha creduto in Renzi sperava che fosse diverso da quelli che l’hanno preceduto, invece ieri pareva fin troppo a suo agio. Ma il copione era anch’esso fin troppo semplice per nascondere l’obiettivo reale di quella scena così stucchevole, così priva di umanità autentica. L’unica speranza è che questa roba non funzioni, che raccatti meno consenso del previsto; che riveli a suo modo l’horror vacui e la paura che dietro non ci sia nulla. L’Expo intanto parte così. Lo spettacolo seguita a mangiarsi tutto.
Scritto il 24 dicembre 2014 alle 11:09 | Permalink | Commenti (3)
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I nostri "auguri musicali li affidiamo alla splendida voce di Diana Krall
...l'albero del Tafanus cambia le foglie, ne perde alcune, ma ne aggiunge di nuove... alcune foglie sono state portate dal vento dal mondo dei blog a quello dei "social networks", e in primis verso Facebook e Twitter, ma il totale di commentatori diretti, di coloro che riprendono e commentano il Tafanus su Twitter e/o su "feisbuc" è cresciuto ancora, e "L'Albero del Tafanus" ormai deve essere gestito con artifizi grafici. Certamente avremo dimenticato qualcuno, certamente avremo storpiato qualche nome. A tutti chiediamo scusa in anticipo. A tutti, e prima di tutto ai "dimenticati", auguriamo un periodo di serenità, che possa superare i confini temporali delle feste natalizie...
Scritto il 24 dicembre 2014 alle 02:00 | Permalink | Commenti (18)
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Il vizietto... se qualcuno volesse trovare una chiave di lettura per la fissazione renziana sull'art. 18, forse potrebbe trovare spunti interessanti in questo articolo di Antonio Rossitto e Duccio Tronci ...
Tiziano, il padre del premier indagato a Genova, non è un caso isolato. Altre imprese della famiglia hanno subito processi e multe
Ha riunito i devoti iscritti nell’angusta sede del Pd a Rignano sull’Arno, in piazza XXV Aprile. Sulle scrostate pareti alle sue spalle, occhieggiavano i poster di Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer, illustri antenati dell’amato figliolo alla guida della sinistra italiana. Poi Tiziano Renzi (foto a sinistra), il pomeriggio del 16 settembre 2014, ha spiegato al gruppetto di concittadini accorsi che altro non poteva fare: dimissioni irrevocabili da segretario locale del partito.
Quella mattina, la Guardia di finanza di Genova aveva bussato alla sua villa di Torri, in cima a una collina non distante, per consegnargli un avviso di proroga delle indagini. L’accusa: la bancarotta fraudolenta della Chil Post, l’ex società di famiglia che si occupava di marketing e distribuzione di giornali. Il padre del premier, a ottobre del 2010, ne aveva ceduto una parte alla Eventi 6: azienda che appartiene alle figlie, Matilde e Benedetta, e alla moglie, Laura Bovoli. Mentre il ramo secco, pieno di debiti e guai, passava a Gianfranco Massone, 75 anni: suo figlio, Mariano, è in affari con Tiziano Renzi da anni. Anche la carica di amministratore della Chil Post finiva a una vecchia conoscenza: Antonello Gabelli. Ma a febbraio del 2013, l’ex gioiellino di casa Renzi falliva. Portandosi dietro 1 milione e 200 mila euro di debiti. E tanti interrogativi a cui i magistrati genovesi, Nicola Piacente e Marco Airoldi, stanno tentando di rispondere.
Tiziano Renzi, con la baldanza trasmessa al figlio, ci ha scherzato su: "Finalmente mi hanno beccato!". Ha poi vergato una nota: "Alla veneranda età di 63 anni e dopo 45 anni di attività professionale, ricevo per la prima volta un avviso di garanzia…".
In realtà non si è trattato di un battesimo giudiziario. Tre aziende di famiglia, dal 2000 a oggi, sono state condannate sette volte, tra cause di lavoro e civili. Contributi non pagati, lavoro irregolare, licenziamenti illegittimi, danni materiali. Il curriculum delle imprese dei Renzi non è immacolato come il giglio amato da Matteo. Nomi, persone e situazioni si rincorrono nel tempo. I Massone e Gabelli, Pier Giovanni Spiteri e Alberto Cappelli: i rodati partner d’affari di Tiziano sbucano fuori un processo dopo l’altro. Per intrecciarsi con l’attualità: l’accusa di bancarotta fraudolenta.
I primi guai cominciano alla fine degli anni Novanta, a Firenze. Oltre alla Chil, coinvolgono la Speedy, di cui Tiziano Renzi ha l’80 per cento. Le due ditte fanno strillonaggio per il quotidiano La Nazione. Nella Chil anche il figlio (Matteo), appena neolaureato, ha un ruolo determinante. Per stessa ammissione dell’interessato. Il 15 giugno 2004, eletto alla guida della Provincia di Firenze, l’ufficio stampa distribuisce la biografia del neopresidente: "Matteo Renzi ha fondato la Chil, di cui poi ha ceduto le quote, dove si occupa di coordinamento e valorizzazione della rete, nella gestione di oltre duemila collaboratori occasionali in tutt’Italia". Ed è proprio questo il versante che da subito diventa il più limaccioso.
Le prime condanne a Firenze per i contributi non versati - Il 25 maggio 1998 l’Inps, dopo una serie di accertamenti, multa la Speedy per 955 mila lire e la Chil per quasi 35 milioni di lire: l’accusa è di non aver pagato i contributi agli strilloni. Il 5 febbraio 1999 la Speedy, "rappresentata dal liquidatore Tiziano Renzi", e la Chil, "nella persona dell’amministratore Laura Bovoli", cioè la moglie, ricorrono contro l’ente previdenziale. Il contenzioso finisce al Tribunale di Firenze. Il 16 ottobre 2000 vengono respinte le istanze. Renzi e Bovoli dovranno rimborsare 5 milioni di lire all’Inps per le spese processuali. Nella sentenza, il giudice Giovanni Bronzini, ricostruisce: "Le due società si sono avvalse di collaboratori addetti alla vendita ambulante del quotidiano La Nazione. Questi si presentavano al mattino, circa alle ore 7.00, e ritiravano il quantitativo di copie che ritenevano di riuscire a vendere e quindi andavano a collocarsi in una zona della città a loro assegnata". A quelle riunioni, racconta Giovanni Donzelli, all’epoca studente, oggi consigliere regionale in Toscana con Fratelli d’Italia, si palesava anche il futuro premier: "Arrivava sul furgoncino bianco, da solo o con il padre, per consegnare i giornali e coordinare noi strilloni. Era come adesso: svelto, cordiale e brillante" (...oh no!!! il futuro "dirigente" si occupava di portare col furgoncino bianco i giornali agli strilloni! Compito altamente dirigenziale! NdR)
Il verdetto spiega pure come venivano contrattualizzati i collaboratori: "Sottoscrivevano un modulo-contratto, nel quale la loro prestazione era definita di massima autonomia" dettaglia il giudice Bronzini. "Ma il contributo è sicuramente dovuto. I venditori ambulanti sono da considerarsi collaboratori coordinati e continuativi". I Renzi non la pensavano così: nessun contratto, contributo o tfr. Il parallelo con le polemiche di questi giorni sulla riforma del mercato del lavoro è inevitabile: pure da giovane imprenditore, Matteo Renzi sperimentava massima flessibilità occupazionale. E negli anni a cui si riferiscono le multe dell’Inps, già selezionava e gestiva i collaboratori.
Andrea Santoni, commerciante fiorentino, 36 anni, venne arruolato nell’estate del 1996: "Un’amica mi parlò della possibilità di fare qualche soldo" ricorda con Panorama. "Suggerì di chiamare Matteo. Così feci. Disse di raggiungerlo a Rignano, nella sede della ditta. Lì spiegò come funzionava il lavoro. I pagamenti erano in contanti, in base ai quotidiani venduti. Non mi fece firmare nulla. Né io chiesi niente, del resto". Il 5 febbraio 2002 la Corte d’appello di Firenze conferma la sentenza di primo grado: i contributi dovevano essere versati. Viene smontato anche l’ultimo baluardo difensivo in cui si sosteneva che i venditori non avevano diritto al contratto perché il loro lavoro non era costante. "La continuità dell’impegno dei circa 500 strilloni emerge indiscutibilmente" sottolinea invece il giudice. L’appello della Speedy e della Chil è dunque respinto. La parola definitiva la scrive la Cassazione il 28 settembre 2004: il ricorso dei Renzi è privo di fondamento.
Le grane genovesi - A dispetto però delle tre sentenze sfavorevoli, la gestione dei collaboratori non sembra variare. Agli inizi del 2000, ormai defunta la Speedy, la Chil aveva cominciato a occuparsi della consegna notturna del Secolo XIX a Genova. Ma anche le attività imprenditoriali sotto la Lanterna hanno riverberi processuali. Che sfoceranno il 19 giugno 2013 in una doppia condanna del Tribunale di Genova per due diverse cause intentate da ex portatori di giornali. Nella prima, il giudice Enrico Ravera obbliga la Chil Post, nata nel frattempo dalle ceneri della Chil, a risarcire, in solido con la Eukos distribuzioni, a cui aveva affidato un subappalto, Maurizio L. M., impiegato tra il 2005 e il 2006.
Ed è qui che vecchie carte processuali cominciano a intersecarsi con l’inchiesta genovese. Tra i soci della Eukos, fallita a luglio del 2012, c’è pure Giovanna Gambino, compagna di Mariano Massone, oggi indagato assieme a Tiziano Renzi per bancarotta fraudolenta. La maggioranza delle quote è di Alberto Cappelli, 65 anni, di Acqui Terme. Tra le sue cariche c’è anche quella di amministratore della Mail Service, fallita nell’ottobre del 2011. L’ennesima bancarotta della stessa compagnia di giro su cui stanno indagando i magistrati. Cappelli, infatti, aveva ereditato il timone della Mail Service da Massone, tre anni addietro. Che a sua volta aveva sostituito Tiziano Renzi: amministratore per due anni, dal febbraio del 2004 allo stesso mese del 2006. Una catena che ricorda il fallimento della Chil Post, ceduta da Renzi a suoi sodali in affari prima dello sfacelo.
I magistrati ipotizzano che i Massone, Gabelli e Cappelli siano delle teste di legno. Caronte che avrebbero traghettato queste imprese da un inferno finanziario all’altro. In cambio di cosa? E le controversie giudiziarie hanno contributo alla decisione di sbarazzarsi delle aziende? A Chil Post ed Eukos l’ex collaboratore Maurizio L.M. aveva chiesto un sostanzioso risarcimento per "differenze retributive, ferie, permessi, mancati riposi e preavvisi". Assicurando "di aver reso le suddette prestazioni in regime di subordinazione, pur non regolarizzato". Tecnicismi a parte, un classico caso di lavoro nero. Perché, spiega il giudice, «l’attività svolta dal ricorrente deve considerarsi di lavoro subordinato». Chil Post ed Eukos vengono dunque condannate a pagare 4.339 euro per stipendi arretrati e 439 euro di tfr.
Lo stesso giorno della sentenza, il 19 giugno 2013, il Tribunale di Genova affronta una causa analoga. Che si conclude con una nuova pena inflitta alla Chil Post: il pagamento, sempre in solido con la Eukos, di 4.684 euro a Manuel S., in servizio dal 2001 al 2005. La Chil post, però, viene tirata anche dentro una causa civile, dopo la denuncia della Genova Press, che lamentava danni a un locale concesso in affitto. Una piccola bagattella, insomma. Tanto che in primo grado, il 17 giugno 2011, la richiesta viene respinta. Mentre in Appello, il 16 maggio 2012, è deciso il risarcimento di 1.750 euro, vista "l’asportazione delle pareti divisorie degli uffici".
La causa per licenziamento illegittimo - La Chil e la Speedy non sono tra l’altro le uniche aziende di famiglia a essere rimaste invischiate in contenziosi. C’è un’altra srl, la Arturo, ad avere creato patemi processuali. Fondata all’inizio del 2003 da Tiziano Renzi, che detiene il 90 per cento delle quote. Oggetto sociale: produzione di pane e panetteria fresca. Eppure a Genova, all’inizio del 2007, la Arturo si occupa di retribuire chi distribuisce Il Secolo XIX. Come Omoigui E., un nigeriano, impiegato nelle consegne notturne dall’ottobre 2001 ad aprile 2007. Solo il 7 febbraio 2007 è però assunto come co.co.co. a progetto dalla Arturo, amministrata da Tiziano Renzi fino al 20 marzo dello stesso anno. Giorno in cui, al suo posto, entra in carica Pier Giovanni Spiteri, amico e sodale di una vita. Il 13 aprile 2007 Omoigui E. viene allontanato. A ottobre l’amministratore della Arturo diventa Antonello Gabelli, pure lui indagato per bancarotta fraudolenta della Chil Post. La vita imprenditoriale della Arturo sarà ancora breve. Il 18 aprile 2008 finisce nelle mani del liquidatore: Tiziano Renzi.
L’azienda viene comunque denunciata da Omoigui E. Il 20 settembre 2011 è condannata dal Tribunale di Genova a pagare 85.862 euro per il suo licenziamento illegittimo: "Privo della forma scritta, intimato oralmente, comporta l’assoluta inefficacia dello stesso" scrive il giudice, Margherita Bossi. Al nigeriano sono riconosciuti anche 3.947 euro. Quasi 90 mila euro, in totale, che probabilmente non vedrà mai. Come del resto i suoi ex colleghi usciti vittoriosi dal tribunale. Una sequela di fallimenti ha spazzato via ogni pretesa risarcitoria. Un epilogo che non ha sorpreso né querelanti né tantomeno avvocati. Già il giudice Bossi aveva bacchettato il "comportamento processuale" della Arturo e della Eukos: "I cui legali rappresentanti neppure si sono presentati a rispondere all’interrogatorio formale, senza addurre alcuna giustificazione" sferza il giudice. Aggiunge il magistrato: "Arturo srl, rimanendo contumace, è rimasta inadempiente al proprio onere probatorio". Compito che sarebbe spettato al liquidatore della società: Tiziano Renzi.
Quel prestito da mezzo milione di euro - I nuvoloni di questi giorni sono però ben più densi. Il sospetto dei magistrati è che la Chil Post, l’8 ottobre 2010, sia stata svuotata della polpa con la cessione di un ramo d’azienda alla Eventi 6, gestita dalla madre e dalle sorelle del premier. Valore della compravendita: appena 3.878 euro. Anche se il bilancio del 2009 era stato chiuso con 4,5 milioni di fatturato e quasi 36 mila euro di utili. Il 14 ottobre del 2010, sei giorni dopo la cessione, quel che resta della Chil post viene venduto a un eterodiretto ultrasettantenne, Gianfranco Massone, per 2 mila euro. E l’amministratore diventa Gabelli. La società finisce rapidamente nel camposanto dei fallimenti. È il febbraio del 2013. Un anno più tardi la Procura di Genova indaga Renzi, i Massone e Gabelli per bancarotta fraudolenta.
Tra i debiti mandati al macero spicca quello con la Banca di Credito Cooperativo di Pontassieve: quasi mezzo milione di euro. Presidente dell’istituto è Matteo Spanò, baldo quarantenne, fraterno amico del presidente del Consiglio. Un debito che la Chil Post si portava dietro da anni. La nota integrativa al bilancio 2010 dettaglia: al 31 dicembre del 2009 era di quasi 191 mila euro. Nell’esercizio seguente sale a 259 mila euro. Poco più avanti, il 21 maggio del 2011, Spanò, dal 2008 nel cda della banca, diventa presidente. Qualche mese dopo, il debito finisce a Massone assieme alla Chil. Riappare a maggio del 2013, nell’elenco dei creditori stilato dal curatore fallimentare: 496.717 euro. Tiziano però assicura di essere sereno. La mattina di lunedì 22 settembre, passato qualche giorno dalla proroga delle indagini, il cielo di Pontassieve era terso. Intorno alle nove, davanti alla sede del Credito cooperativo in piazza Cairoli, Tiziano Renzi parlottava e rideva con Spanò e altri due dirigenti della banca. Lo sguardo era il solito: spavaldo e sicuro. Per ricordare a tutti chi è il padre di cotanto figlio.
Antonio Rossitto e Duccio Tronci
0101/0745/0900
Scritto il 23 dicembre 2014 alle 22:19 | Permalink | Commenti (3)
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Quando per arrestare la frana nei sondaggi un sedicente uomo politico ricorre all'arma fine-di-mondo, la "mozione degli affetti", usando i bambini, alla ricerca di una zeppa che freni o rallenti lo scivolamento della macchina che ha il freno a mano rotto, il ceto politico sta toccando il fondo.
Venerdì scorso si era prodotto nella ignobile prestazione televisiva coi bambini nella trasmissione di Bruno Vespa e Antonella Clerici (noti opinionisti politici indipendenti), che avrebbe dovuto promuovere un morto che cammina (il mazzettificio noto come "Expò 2015). Poveri bambini che porgevano domande scritte da altri, di cui non capivano il senso, spalle inconsapevoli di un capocomico in declino.
Ieri ha toccato il fondo, evocando una UE che vorrebbe impedirgli di salvare da sicura morte i bambini che lui invece vorrebbe salvare dai veleni dell'ILVA. Il "premier" (chiamiamolo così tanto per capire di chi parliamo) di un paese che a fronte dello sfascio ecologico ed ambientale del paese dimezza le spese per la manutenzione ed il recupero dell'ambiente, che accusa paesi ben più civili del nostro dell'infanticidio di massa che sarebbe - ove esistesse - tutto e solo a carico del ceto politico italiano. Vergognoso.
Parliamo, in ordine cronologico, delle due pagliacciate
"...Ma perché la riunione dei ministri la chiamano gabinetto?". Matteo Renzi è accolto così, da una domanda impertinente, nella sua ormai consueta passerella televisiva. Questa volta il premier è intervenuto a Un mondo da amare, show di Raiuno condotto da Antonella Clerici e Bruno Vespa, circondati da bambini. E proprio un piccolo protagonista del pubblico chiede a Renzi il perché di quel nome: "Ci fosse Benigni risponderebbe in un certo modo - spiega compiaciuto il premier -. Gabinetto dei ministri non è il luogo dove si vanno a fare i bisogni, ma dove si incontrano i ministri".
Domanda più imbarazzante, in realtà ci sarebbe stata: signor Renzi, perché mentre lei è in tv a prendersi gli applausi (scontati) di grandi e piccini il suo governo arranca in Senato ed è costretto a mettere la fiducia sul maxi-emendamento alla manovra? (Fonte: Libbbero)
Europa assassina, ed altre palle assortite
ROMA - Un'intervista a 360 gradi a due giorni dal Natale e alla vigilia del Consiglio dei ministri che dovrà approvare, tra l'altro, i decreti attuativi sul jobs act. Il premier, ai microfoni di Rtl, parte dalla manovra e ammette che c'è un problema con le partite Iva dei più giovani: "Non possiamo non inserire nei prossimi mesi un provvedimento ad hoc per i giovani professionisti che non hanno avuto vantaggi dalla legge di stabilità: un intervento correttivo è sacrosanto e mi assumo la responsabilità di farlo nei prossimi mesi" (...speriamo che non sia come la "marchetta 8'0 euri" che doveva essere estesa a pensionati, incapienti e disoccupati... NdR).
Ma per il resto esulta: "Per la prima volta la legge di stabilità mette più soldi in tasca agli italiani". E ancora: "L'Italia si è rimessa in moto: ci sono 122mila posti di lavoro in più e l'export continua a salire nonostante la crisi in Russia". Poi il passaggio sui possibili effetti del Jobs act: "Ci sono molti investitori che mi dicono: 'voi approvate il jobs act e noi investiremo'" (...strano... ci faccia i nomi di questi imprenditori che assumerebbero in assenza di domanda, perchè Renzino ha fatto il "Giobatta"...).
Ma c'è un altro importante intervento economico, nei piani del governo, su cui il presidente del Consiglio vuole subito fare una precisazione, ed è quello sull'Ilva: "Se l'Europa vuole impedire di salvare i bambini di Taranto ha perso la strada per tornare a casa. E comunque io sono fedele ai bambini di Taranto molto più di quanto non lo sia coi cavilli astrusi dell'Europa". Insomma, nessuna obiezione su un possibile aiuto di Stato nei confronti del gruppo dell'acciaio.
Inevitabile il passaggio sui marò, con un certo ottimismo da parte del premier: "Per la prima volta dopo mesi il governo indiano ha espresso il desiderio di una soluzione condivisa e concertata". Il governo è "al lavoro con il governo indiano" per riportare a casa "tutti e due i due marò", "in un clima di rispetto istituzionale ma chiediamo che si faccia rapidamente" [...]
La FONTE di questa serie di minchiate è di Repubblica. Opera che avrebbe potuto essere meritoria, se a Renzubblica l'ignoto estensore dell'articolo si fosse preoccupato di aggiungere anche il parere del giornale sui 122.000 posti di lavoro in più (???), sulle esportazioni che continuano a crescere (e le aziende a licenziare) e sulle "magnifich sorti e progressive" della Disneyland renziana. Invece, neanche una parola.
3112/0800/1300
Scritto il 23 dicembre 2014 alle 10:48 | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 23 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 22 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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In questo caso, la colpa non è di Ilvo Diamanti e della Demos, che hanno fatto - bene - il loro lavoro mensile. Ma si resta esterrefatti, dopo aver guardato le tabelle, nel leggere il titolo e l'articolo di Renzubblica...
Poi si guardano le tabelle, e si scopre che l'entusiasmo di questo giornale (che leggo dal giorno della fondazione, ma che forse abbandonerò), è tutto fondato su di un rimbalzino in dicembre dello "zerovirgola", dopo mesi di crollo verticale in tutti i parametri.
Allora pubblichiamo le tabelle, e lasciamo i lettori liberi di farsi una propria opinione.
Le intenzioni di voto
Le intenzioni di voto per il PD renzino, dopo aver toccato un massimo del 45,2% a giugno, a ridosso della "marchetta 80 euri", sono precipitate al 37% in sei mesi. E' questo, che colpisce Renzubblica? No!!!! E' il rimbalzino tecnico di 0,7 punti in dicembre, largamente contenuto nel margine d'errore di un sondaggio basato su circa 1550 interviste. Ma prendiamolo pure per strutturale, e guardiamo cosa è successo: è successo che in sei mesi il PD perde 8,2 punti, cioè 1,36 punti al mese, cioè 16,4 punti in proiezione 12 mesi.
Nel frattempo la Lega di Salvini (perennemente irriso dallo statista di Frignano), guadagna 8,6 punti.
La popolarità del Governo
Anche su questo parametro Renzubblica è felice... Caspita, il Governo ha guadagnato 3 punti in dicembre! Renzubblica evita accuratamente di sottolineare che ciò avviene dopo un autentico crollo di 13 punti in un solo mese (fra ottobre e novembre), e che il "consolidato" fra Giugno e Dicembre parla di un calo di 23 punti, o - se preferite - di 3,83 punti al mese di media...
Ma forse è il Governo che va male, mentre Renzi himself fa scintille... Ora, a prescindere dal fatto che chi sta al governo (inclusi Speranza, la Boschi e la Pinotti, nonchè la "ladylike" Moretti) non li ho scelti io, giuro... e che quindi chi ha scelto questa gente non può scaricarsi della responsabilità dei giudizi derivati sul governo, quello che segue è un giudizio sul solo renzino. Turra robo sua, solo roba sua:
Il "gradimento" del c.d. "leader"
Fatti i conticini??? Qui Renzubblica non ha neanche il conforto del "rimbalzino tecnico" al quale aggrapparsi. Dal massimo storico di Giugno 2014 (il dopo-marchetta) a dicembre, e cioè nei soliti sei mesi, El Gordo perde ben 24 punti, e cioè la bazzecola rotonda di 4 punti al mese.
Certo che per sostenere uno così con delle argomentazioni così, ci vuole un bel coraggio... (o la assoluta necessità di cercare di tenersi buono il governicchio?) I problemini di De Benedetti con "Tirreno Power" e la famigerata centrale elettrica a carbone di Vado Ligure devono essere ben gravi, se vengono commissionati articoli del genere, non firmati, a qualche borsista di passaggio a Renzubblica...
Tafanus
3012/0830/0800
Scritto il 21 dicembre 2014 alle 21:01 | Permalink | Commenti (12)
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Scritto il 21 dicembre 2014 alle 08:01 | Permalink | Commenti (4)
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Recensione del film "PRIDE" (di Angela Laugier)
Regia: Matthew Warchus
Principali interpreti: Bill Nighy, Imelda Staunton, Dominic West, Paddy Considine, George MacKay, Joseph Gilgun, Andrew Scott, Ben Schnetzer, Chris Overton, Faye Marsay, Freddie Fox, Jessica Gunning – 120′- Gran Bretagna 2014.
Ambientata nel Regno Unito ai tempi della “Lady di ferro”, la storia che il film ci racconta è la veridica ricostruzione dell’alleanza anti-tatcheriana che si determinò quando i minatori gallesi, allo stremo per uno sciopero a oltranza contro il piano governativo che avrebbe voluto privatizzare le miniere carbonifere, trovarono sulla loro strada l’ insperata, e per molti aspetti imbarazzante, solidarietà dei gay, che volevano, a loro volta, uscire dal ghetto a cui parevano inesorabilmente condannati dopo l’ultimo Gay Pride. La società dell’epoca era, infatti, nel suo complesso assai chiusa e bacchettona (non solo in quell’angolo di mondo), né il sindacato, né il Labour Party, sua emanazione politica, erano interessati a occuparsi della liceità degli orientamenti sessuali, poiché il pregiudizio era diffuso ovunque, soprattutto negli ambienti prevalentemente maschili.
I minatori, dunque, sentivano l’estrema urgenza di un sostegno solidale anche economico per riuscire a portare ancora avanti la lotta, ma erano anche molto diffidenti nei confronti dei gay, perché era difficile rimuovere il pregiudizio circa le… temibili insidie che sarebbero venute alla loro virilità, soprattutto ora, che si andava diffondendo l’AIDS. I gay, d’altra parte, desideravano essere accettati in famiglia e nella società, affinché non fosse più considerata un’infamia quella diversità, esibita con fierezza orgogliosa nei Gay Pride, soprattutto ora che i reazionari di ogni risma si sentivano incoraggiati alle persecuzioni dal clima politico inaugurato dalla Thatcher, interessata a creare divisioni nel tessuto sociale. Per iniziativa di uno di loro, il giovane Mark, nacque il gruppo degli LGSM (Lesbians and Gays Support The Miners), che, senza nascondersi, iniziò per le vie di Londra la sottoscrizione a favore dei minatori, ultimata la quale, iniziarono i difficili contatti. L’incontro fu la premessa di un’alleanza che in breve tempo tempo divenne molto salda, grazie anche all’amicizia che presto fece piazza pulita di ogni riserva pregiudiziale, ma grazie, soprattutto, al ruolo decisivo delle donne, le mogli, le madri, le sorelle di quei minatori che presto si offrirono, generosamente disponibili, all’ascolto e all’accoglienza, nel ricordo, forse, delle rivendicazioni di un tempo, quando le loro antenate nel 1912 avevano lottato per il “pane”, ma anche per le “rose”, perché mai più in futuro si dimenticasse che l’uomo ha bisogno di cibo, ma anche di bellezza e di amore.
Il regista ci racconta tutto questo con ironia e commossa leggerezza, senza minimizzare i conflitti, ma facendoci rivivere una bella pagina di solidarietà e di speranza (come sottolineano gli applausi che generalmente accompagnano il finale del film), quando, durante il Gay Pride del 1985 tutti quanti, gay, minatori e donne intonano la bellissima e antica canzone Bread and Roses. Il pensiero, certo, corre al bellissimo film di Ken Loach, ma a me, per il modo del racconto è tornato in mente il più recente: We wont Sex, nonché, per lo spirito anti-thatcheriano, Full Monty.
Scritto il 21 dicembre 2014 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 20 dicembre 2014 alle 20:38 | Permalink | Commenti (0)
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Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, aprendo il comitato direttivo centrale, ha chiesto a Renzi interventi più incisivi: "I toni indignati di fronte agli scandali vorrebbero supplire all'inadeguatezza delle riforme" (Repubblica.it)
Tra l'Associazione nazionale magistrati e il premier Matteo Renzi i rapporti non sono distesi, anzi. La riforma della giustizia annunciata dall'esecutivo per i magistrati ha molti punti di debolezza. Dopo aver invocato più concretezza e meno retorica appena dieci giorni fa, oggi il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli, aprendo a Roma il comitato direttivo centrale, è tornato a sottolinerare l'inadeguatezza degli interventi: "Oggi, i toni indignati vorrebbero rimediare alla debolezza delle riforme, peraltro in larga parte più annunciate che realizzate. Dunque, al governo noi chiediamo meno stupore e scandalo e più determinazione".
"Le cronache giudiziarie hanno ridestato un dibattito che pareva sopito, su proposte che suscitano nel mondo politico divisioni e polemiche, piuttosto che consensi - ha continuato - Ma anche questo accendersi episodico di fiamma appare effimero. La politica sembra oggi accorgersi improvvisamente di quei guasti che noi con forza abbiamo segnalato da anni".
In particolare riferendosi agli interventi in tema di contrasto alla corruzione e di riforma della prescrizione, il presidente dell'Anm ha aggiunto: "Se la prescrizione è quello scandalo che disperde lavoro e risorse, allora il legislatore deve bloccarla se non dopo l'esercizio dell'azione penale quantomeno dopo la sentenza di primo grado". Così il presidente dell'Anm al Comitato direttivo sulla probabile iniziativa governativa per un allungamento del termine ordinario. Secondo Sabelli "ogni tentativo di innaturale dilatazione dei tempi del processo potrebbe aggravare ancor più la durata dei processi".
"La riforma della responsabilità civile dei magistrati", ha denunciato ancora il presidente dell'Anm, "costituisce una specie di ossessione della politica, e non da tre ma da trenta anni almeno. La libertà dell'interpretazione, la disciplina e i limiti della responsabilità civile, l'onorabilità della categoria, l'indipendenza della giurisdizione, il nostro governo autonomo non sono nostri privilegi ma beni e strumenti di garanzia che appartengono a tutti. A noi spetta farne buon uso, alle altre istituzioni averne rispetto".
Il direttivo di oggi è stato convocato per decidere le iniziative di mobilitazione sulla base di quanto deliberato dall'assemblea straordinaria del 9 novembre scorso, nella quale fu scongiurato lo sciopero.
2812/0900/1415
Scritto il 20 dicembre 2014 alle 17:14 | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 20 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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A febbraio il neoeletto segretario del Pd giustificò il cambio della guardia a Palazzo Chigi con la necessità di dare uno sprint alle riforme e far ripartire l’Italia. Come sta il Paese a 10 mesi da quel 22 febbraio, giorno del giuramento della squadra di ministri guidata dall’ex sindaco di Firenze? Il Fatto Quotidiano ha messo a confronto l'operato dei due esecutivi: ecco cosa è emerso
Il 19 dicembre il governo di Matteo Renzi compie 300 giorni di vita, eguagliando la durata del precedente esecutivo guidato da Enrico Letta. A febbraio il neoeletto segretario del Partito Democratico giustificò il cambio della guardia a Palazzo Chigi con la necessità di dare uno sprint alle riforme e far ripartire l’Italia.
Come sta il Paese a trecento giorni da quel 22 febbraio, giorno del giuramento della squadra di ministri guidata dall’ex sindaco di Firenze? Il Fatto Quotidiano.it ha messo a confronto i risultati ottenuti dai due governi, prendendo a riferimento da un lato gli indicatori economici dei rispettivi periodi, per capire se lo stato di salute del Paese è migliorata o meno, e dall’altro analizzando la produttività di Consiglio di ministri e Parlamento sotto i due premier per fare un punto sull’avanzamento delle riforme. Ecco cosa è emerso.
Rapporto Debito/Pil peggiorato con Renzi - E’ chiaro che, bene o male che vada, l’andamento del quadro economico non potrà essere addebitato per intero all’attuale capo del governo. Ma se i principali indicatori-chiave sono peggiorati, non si potrà essere smentiti nell’indicare al paziente che le promesse di pronta guarigione del medico erano quantomeno ottimistiche. Partiamo dal parametro Debito-Pil, indicatore rilevante non solo della salute dei conti ma della distanza dall’Europa rispetto agli impegni presi, dai parametri di Maastricht al Fiscal Compact. La media dei Paesi dell’Unione è oggi intorno al 93,8%. Quello dell’Italia ha sfondato quota 132,8%. E a quanto era con Letta? Al 127,9%, media 2013 secondo Istat ed Eurostat, mentre la media Ue era del 92,6%. Quindi se con Letta i punti di distanza dal parametro europeo erano 36, con Renzi l’Italia toccano quota 40: un aumento di 4 punti. Se poi si considera che il Pil Ue è cresciuto e quello italiano – che pure sul finire del 2013 aveva registrato una timida stabilizzazione – no, il dato è negativo per l’ex sindaco di Firenze, uno dei peggiori degli ultimi lustri.
Industria, con Letta si produceva di più - Non meglio sono andate le cose sotto il profilo della produzione industriale. Lo scorso gennaio, ultimo mese dell’era Letta, il dato aveva registrato un 1% tondo di crescita, meglio della media Ue a 18 che era stata negativa dell’1,1 per cento. Con Renzi rispetto a letta l’Italia fa un passo indietro di un punto, abbastanza da passare dalla fase positiva a quella negativa.
Imprese in crisi, 300 giorni di promesse e scarsi risultati - Non aiutano certo le grandi crisi industriali identificate dal premier con le tre T, quelle di Terni, Taranto e Termini Imerese. Dove la prima si è chiusa da poco con un accordo seguito a una durissima trattativa, mentre le altre due languono irrisolte dopo quattro governi che si sono dimostrati incapaci di gestirle. Anche qui la svolta renziana, complice la scelta di un ministro dello Sviluppo economico incolore, non si è vista. Anzi. Nel caso dell’impianto siciliano della Fiat, il premier è riuscito anche a metterci la faccia quando la scorsa estate è andato di persona a rassicurare gli operai di Termini annunciando un fantomatico investitore cinese che non si è mai palesato. Chi si è fatto avanti, invece, è stato il gruppo di “avventurieri” della Grifa al quale il dicastero di Federica Guidi, con la sigla di un preaccordo, aveva socchiuso l’accesso a 250 milioni di euro pubblici. Salvo poi scoprire dai giornali che gli aspiranti produttori di auto ibride non avevano un soldo in tasca. Non va affatto meglio a Taranto, dove la svolta renziana doveva passare per la riesumazione di un instancabile boiardo di Stato di 72 anni, Piero Gnudi. Una scelta che lo stesso Renzi deve aver finito col rimpiangere, visto che in queste ore si parla sempre più insistentemente della nomina a breve di un nuovo commissario dell’Ilva a soli sei mesi dalla staffetta Bondi-Gnudi. Cambio di testimone che, se i piani anticipati trapelati saranno confermati, ufficializzerà anche il fallimento del processo di vendita del gruppo dell’acciaio che occupa 11.000 persone oltre all’indotto. Toccherà quindi allo Stato farsi carico – secondo Repubblica al 49%, accanto al tandem Mittal-Marcegaglia al 51% – di buona parte del problema che include 1,8 miliardi di bonifiche da fare, 35 miliardi di richieste per danni ambientali e debiti per quasi 2 miliardi.
Disoccupati, con Renzi 156.000 in più - A fine febbraio, quando Letta lascia, i disoccupati in Italia erano 22 milioni e 259mila, sostanzialmente invariati rispetto al mese prima. Il tasso pari al 12,9%. Dopo otto mesi di “cura” Renzi la disoccupazione non solo non scende, ma addirittura sale. L’ultimo dato è di ottobre e parla di un tasso record al 13,2%: i senza lavoro sono in pratica saliti in un anno da 3,124 a 3,410 milioni. L’aumento è di ben 286mila persone, 130mila nei 4 mesi del governo Letta, e 156mila negli 8 mesi del governo Renzi. Che significa poi, in soldoni, non solo più povertà e più spesa sociale ma anche un ulteriore “scollamento” nella competitività sullo scacchiere internazionale: la distanza dal parametro comunitario (12%) si fa ancora più marcata. Anche l’occupazione è stata al centro di annunci, subito controversi, che ora si possono verificare. A fine novembre Renzi aveva indicato un aumento del numero assoluto di occupati, invitando a guardare il bicchiere mezzo pieno oltre al dato preoccupante della disoccupazione. “Il tasso di disoccupazione ci preoccupa, ma guardando i numeri il dato di occupati sta crescendo. Da quando ci siamo noi ci sono più di 100 mila posti di lavoro in più”. A stretto giro però fu smentito da sindacati, giornalisti ed esperti di politiche del lavoro. Renzi aveva preso come termine temporale non l’intero periodo in cui ha governato (dal 22 febbraio in poi) ma il dato da aprile (uno dei dati più bassi dell’anno) e quello di settembre (il più alto). Ebbene rifacendo i conti includendo però tutti i mesi - a partire da marzo, il primo in cui il premier è stato stabilmente in carica e fino a ottobre compreso - il bilancio dei nuovi posti di lavoro risultava addirittura negativo: -31 mila posti di lavoro.
Riforme, 144 i testi di legge di Letta contro i 119 di Renzi - Il ritornello dura da quasi un anno: da quel “sulle riforme gli ultimi dieci mesi sono un elenco di fallimenti” enunciato il 16 gennaio nella prima direzione del Pd sotto la sua guida, Renzi imputa sistematicamente a Letta la lentezza e la scarsa prolificità della sua azione di governo. Ma cosa dice il tabellone, ora che la corsa tra i due premier misura gli stessi metri? Che lo scalpitante Renzi è battuto nell’iniziativa legislativa dal compassato Letta che lo stacca di oltre 25 misure. In dieci mesi il governo Renzi ha emanato 119 provvedimenti legislativi contro i 144 di Letta. Il dato quantitativo, va detto, non è di per sé indice del valore dei provvedimenti. Si potrebbe obiettare che c’è legge e legge, che le misure in eccesso siano magari disposizioni secondarie, ma non è così: al netto di disegni di legge talvolta considerati impegni di poco conto, come le ratifiche di accordi internazionali (40 by Letta, 35 by Renzi), il differenziale tra i due governi resta marcato. E gli effetti degli annunci renziani non si sono visti: la legge elettorale riposa sotto 17.000 emendamenti; la riforma costituzionale, bandiera dell’esecutivo Renzi e pretesto per il defenestramento del predecessore, langue in Parlamento ostaggio delle turbolenze interne al patto del Nazareno; il nuovo Senato è fermo al palo; il Jobs Act è diventato legge solo il 16 dicembre e mancano i decreti attuativi: la prima tranche è stata annunciata in zona Cesarini per la vigilia di Natale.
Fiducie, vince Renzi 32 a 13 - Diverso anche il rapporto con il Parlamento. Dopo 600 giorni l’esecutivo Letta ha all’attivo 52 provvedimenti divenuti effettivamente legge. Renzi, nei suoi 300 giorni, è fermo a quota 22. Questione di tempo, ma non solo. L’ufficio legislativo della Camera ha misurato per Il Fatto Quotidiano.it alcuni indicatori statistici rilevanti come la propensione al ricorso alla fiducia per far passare progetti di legge più o meno ordinari, che è sempre segnale di debolezza di un esecutivo. Nei suoi 10 mesi Letta vi ha fatto ricorso 13 volte, Renzi 32 volte, quasi il triplo.
Fondi pubblici ai partiti, la riforma dimenticata - Il differenziale resta marcato anche in tema di iniziativa legislativa. Ma dove sono poi andate a finire le rispettive leggi? Il bonus da 80 euro se lo ricordano tutti, perfino chi non l’ha mai visto. Alzi la mano, invece, chi ricorda al volo una qualsiasi riforma di Enrico Letta. Zero di zero, il vuoto. Eppure l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti – la riforma che ogni anno lascia 60 milioni di euro nelle tasche degli italiani e cambia alla radice il modo di fare politica – porta la sua firma. Così come l’avvio dei piani straordinari per il rilancio dell’edilizia scolastica e il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione, che poi Renzi ha raccolto e portato avanti. Ma nessuno ricorda che erano farina del sacco altrui. Merito della maggiore enfasi posta sulla comunicazione dall’esecutivo Renzi, abile nell’ascrivere tra i propri meriti la paternità di provvedimenti varati dal precedente.
Debiti Pa, Letta ha stanziato 47 miliardi sui 56 a disposizione - In primavera Renzi, ospite di Porta a Porta, aveva promesso il pagamento di tuttele pendenze della Pa verso le imprese entro il 21 settembre, giorno di San Matteo: “Altrimenti - gigioneggiava il 13 marzo con Bruno Vespa – lei va in pellegrinaggio a piedi da Firenze a Monte Senario”. Al 31 dicembre 2013 i crediti certi valevano 56,8 miliardi. La scommessa, si sa, è persa ma non è questo il punto. Chi ha fatto di più per sciogliere il cappio che strozza le imprese? A dare avvio all’operazione straordinaria di restituzione è stato Letta: con il Dl 35/2013 ha messo a disposizione 40 miliardi per i debiti esigibili al 31 dicembre 2012, con il Dl 102/2013 ha incrementato il fondo di altri 7,2. Renzi, invece, del suo ci ha messo ben poco: nella Legge di Stabilità 2014 ha aggiunto 0,5 miliardi e nel decreto 66/2014 altri 8,8. In totale siamo a 47,2 contro 9,3. Il premier ha però il merito di aver facilitato lo sblocco degli stanziamenti, anche se la procedura burocratica a carico delle imprese rimane farraginosa. Per questo il problema al momento è tutt’altro che risolto: secondo l’ultimo aggiornamento disponibile, datato 30 ottobre 2014, i debiti effettivamente pagati sono fermi a 32,5 miliardi a fronte dei 56,2 miliardi stanziati, a copertura grosso modo del 58% dei crediti. Quasi uno su due, in sostanza, manca all’appello.
Edilizia scolastica, i fondi risalgono al 2013 - Idem per l’edilizia scolastica. Chi ci ha messo di più? Con i decreti legge 69 e 104 del 2013 il governo Letta ha stanziato 1,7 miliardi per la costruzione, la riqualificazione e la messa in sicurezza degli edifici. A beneficiare della fatica è poi stato Renzi che ha dato corso all’attuazione dei primi interventi personalizzando l’operazione con vari hashtag: #scuolebelle, #scuolesicure, #scuolenuove. Ma i soldi, alla fine, sempre quelli sono. Anche se l’ex sindaco di Firenze ne aveva annunciati il doppio: “Un piano per le scuole – 3,5 miliardi – unità di missione – per rendere la scuole più sicure e rilanciare l’edilizia”, si leggeva nella slide numero 20 con cui il neopremier aveva condito la conferenza stampa del 12 marzo a Palazzo Chigi.
Leggi, con Renzi tempi più lunghi - Altro dato significativo è la dilatazione dei tempi tra la deliberazione delle misure e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, indice di volta in volta di una difficoltà sul fronte della stesura delle leggi stesse, del reperimento delle relative coperture o nel rapporto col Quirinale che le deve controfirmare. Facendo di conto, si scopre ad esempio che i tempi medi tra esecutivo Letta e Renzi si sono dilatati significativamente, perfino con le misure d’urgenza. Tra emissione e pubblicazione dei provvedimenti l’esecutivo Letta impiegava mediamente 5 giorni, con Renzi 9. Tanto che l’urgenza di alcune misure viene in parte smentita dal calendario: il record di Letta è di 15 giorni con la legge n. 149 che ha abolito il finanziamento pubblico ai partiti, quello di Renzi è il dl. 74/2014 contenente Misure urgenti in favore delle popolazioni dell’Emilia-Romagna colpite dal sisma che impiegherà 24 giorni per passare dalla deliberazione in Consiglio dei Ministri alla pubblicazione in Gazzetta. Quasi un mese, alla faccia dell’urgenza.
Decreti attuativi, Renzi li taglia, ma ne produce di nuovi - Il tallone d’Achille di ogni governo è la montagna di decreti delegati e regolamenti attuativi che sono demandati ai singoli ministeri e che arrivano in ritardo – anche di anni – rispetto alla misura cui fanno riferimento. Senza, la legge è carta straccia. Renzi aveva preso di petto la questione. Informato che lo attendeva una montagna di 889 provvedimenti da attuare, ereditata dai governi Monti e Letta, aveva sbottato così: “E’ inutile fare leggi se non si applicano, è allucinante”. Seguiva l’annuncio di una terapia d’urto per dare certezza alle misure: limite di 60 giorni per l’approvazione, principio del silenzio assenso tra amministrazioni, potere sostitutivo della Dpcm in caso di ritardo. Ma l’impalcatura è crollata, alcuni pezzi sono stati imballati e spediti alla legge delega di riforma della Pa. Tempi lunghi, insomma. Il governo Renzi ha ridotto della metà lo stock di quelli ereditati (ne restano 410), ma nel frattempo il fardello dei decreti inattuati ha continuato a crescere per effetto delle sue stesse leggi. Se Letta ha lasciato 415 decreti da adottare, in riferimento a 110 provvedimenti non conclusi, Renzi ne ha aggiunti 274, riferiti a 33 provvedimenti pubblicati in Gazzetta Ufficiale (16 sono auto attuativi). Ancora mancano 5 decreti alla legge che aboliva le Province (L. 56/2014) pubblicata in Gazzetta ad aprile, nove mesi fa. E giù a cascata tutte le altre. Un esempio? Nel 2012 è stata approvata la legge che ha introdotto l’Agenda Digitale, che dovrebbe agganciare 1,7 miliardi di fondi europei. Da allora sono stati approvati solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi che la renderebbero operativa. Insomma, neppure lui ha davvero invertito o fermato la tendenza dilatoria delle burocrazie ministeriali. Il punto è che se n’è accorta pure l’Europa: gli annunci di riforme non coincidono con la realtà. L’11 novembre scorso la Commissione Ue ha inviato all’Italia il suo rapporto sugli squilibri macroeconomici e ha rilevato “incertezze” sulle misure indicate dal governo Renzi nell’aggiornamento del Def (Documento di economia e finanza): troppe, dice la Commissione, quelle che “aspettano la piena approvazione o i decreti attuativi e quindi i risultati restano incerti”.
Sondaggi, fiducia in picchiata per l’ex sindaco - In ultimo, va rilevato, pare se ne siano accorti pure gli italiani. Secondo diversi studi e sondaggi la fiducia verso Renzi, dopo 300 giorni, è in picchiata. Nella rilevazione settimanale per DiMartedì su La7, l’Ipsos di Nando Pagnoncelli quota il Pd al 35,1%. Anche per l’istituto Piepoli, nel sondaggio realizzato per l’Ansa, non è un bel periodo per i dem, che in una settimana perdono un punto e calano al 37%. Un po’ meglio va secondo Lorien Consulting (39% nell’ultima rilevazione effettuata per Italia Oggi), che vede al ribasso la fiducia nel premier: al momento del passaggio della campanella, il governo Letta aveva un indice di fiducia del 47%, spiega Lorien: oggi il governo dell’ex sindaco di Firenze è al 46%. Una parabola discendente fotografata dall’illuminante tweet di Pagnoncelli sull’opinione che gli italiani hanno del premier: “Trend giudizi positivi su Matteo Renzi: oggi 49%; novembre 49%; ottobre 54%; settembre 61%; giugno 70%; marzo 64%”. Stesso discorso per la rilevazione Ixè per Agorà: a ottobre la fiducia nel premier veleggiava ancora sopra il 50%. Due mesi dopo il suo gradimento precipita al 40%.
Comunque sia, il tempo che porta i nodi al pettine, a sorpresa, si rivela tiranno con Renzi, e galantuomo con Letta.
Scritto il 19 dicembre 2014 alle 17:02 | Permalink | Commenti (1)
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Virna Lisi gave a performance of passionate credibility in Stanley Kramer’s "The Secret of Santa Vittoria" (1969) (Source: John Francis Lane - The Guardian)
In the 1960s, like many other female Italian actors of the time, Virna Lisi was tempted to try her luck in Hollywood. However, after films in which her co-stars included Jack Lemmon, Tony Curtis and Frank Sinatra, she returned to Europe, where she had painstakingly built up a reputation, particularly in Italy and France. It was in these countries that Lisi, who has died aged 78, had the opportunities to show her mettle.
She gave a powerful performance as Friedrich Nietzsche’s neurotic sister, Elisabeth, in Liliana Cavani’s controversial Al di là del Bene e del Male (Beyond Good and Evil, 1977). Her portrayal of the scheming Catherine de Medici in La Reine Margot (1994), Patrice Chéreau’s study of religious carnage and romantic intrigue at the French court at the time of the St Bartholomew’s Day massacre, brought her the best actress award at Cannes that many had expected to go to Isabelle Adjani, in the film’s title role.
She was born Virna Lisa Pieralisi in Ancona, on the Adriatic coast, where her father had a marble exporting business. When the family moved to Rome in the early 1950s, Virna was doing well at school and there were plans for her to go to business college. However, in 1953, a friend of the family, the singer Giacomo Rondinella, persuaded the producer of the film he was making to give her a test, and she got the part. The film, E Napoli Canta (And Naples Sings), would be soon forgotten, but it began a career for Lisi, who appeared in more than a dozen movies over the next two years.
She then had her first leading role, in a film by one of the emerging generation of leftist directors, Francesco Maselli – La Donna del Giorno (The Doll That Took the Town, 1957).
While appearing in a Roman theatre production in 1959, Lisi was persistently courted by an architect, Franco Pesci. They married in 1960 and soon had a son, Corrado.
Meanwhile, she appeared with the two musclemen heroes of the moment, Steve Reeves and Gordon Scott, who played the twins of early Roman legend, Romulus and Remus, in Sergio Corbucci’s Romolo e Remo (1961). Even in this historic spectacular, she was able to bring depth to a glamorous but spineless heroine invented by six scriptwriters (including Sergio Leone). She later commented good-humouredly: “I weighed less than 50 kilos at the time, but the muscular Steve Reeves dropped me at the first take when he had to carry me into Romulus’s tent to seduce me.”
Lisi made several films in France, including Les Bonnes Causes (Don’t Tempt the Devil, 1963), directed by Christian-Jaque, who then cast her in the role that brought her first international attention, in La Tulipe Noire (Black Tulip, 1964). As the heroine to Alain Delon’s dashing swashbuckler, she combined sexiness with dexterity. Shortly afterwards, her first Hollywood offer arrived, to play opposite Lemmon in Richard Quine’s tongue-in-cheek romantic comedy How to Murder Your Wife (1965), for which the blonde Lisi was given a platinum gloss.
Though she enjoyed her American experiences and appreciated the professionalism she encountered, Lisi soon tired of the “new Marilyn” image foisted upon her. She accepted becoming a cover girl but refused a lucrative offer to pose for Playboy. Her two other Hollywood films were Assault on a Queen (1966), with Sinatra, and Not With My Wife, You Don’t! (1966), with Curtis and George C Scott.
Returning to Italy, she turned down Dino De Laurentiis’s offer to play Barbarella (the role that Jane Fonda accepted), preferring instead to appear in Pietro Germi’s scintillating satire on Italian provincial mores, Signori e Signore (The Birds, the Bees and the Italians, 1966).
In 1968, she was paired with George Segal in Il Suo Modo di Fare (Tenderly, or The Girl Who Couldn’t Say No), an offbeat and sophisticated romantic comedy written and directed by Franco Brusati. In Stanley Kramer’s outlandish The Secret of Santa Vittoria (1969), alongside bombastic performances by Anthony Quinn as a combative mayor and Anna Magnani as his rancorous wife, Lisi gave passionate credibility to the local countess who cedes to the amorous advances of Hardy Kruger’s commandant.
She starred with William Holden in the weepie L’Arbre de Noël (The Christmas Tree, 1969) and appeared in a British-produced film, The Statue (1971), alongside David Niven, “the co-star with whom I felt most at ease”.
For Alberto Lattuada’s La Cicala (The Cricket, 1980) she had to put on weight to play a grotesque singer, contrasting with the nymphet played by Clio Goldsmith. She starred in one of Luigi Comencini’s last and most underrated films, Buon Natale, Buon Anno (Merry Christmas, Happy New Year, 1989): she and Michel Serrault were an ageing couple who rekindle their passion.
After her success in La Reine Margot, she won further praise as the grandmother-narrator in the screen adaptation of Susanna Tamaro’s bestselling novel Vai Dove Ti Porta il Cuore (Go Where Your Heart Takes You, 1996). This was directed by Cristina Comencini, Luigi’s daughter. The two women went on to make a much better film, Il Più Bel Giorno della Mia Vita (The Best Day of My Life, 2002), in which Lisi was a mother coping with the amorous problems of her three grown-up children; her final role came in Cristina’s comedy Latin Lover, due for release next year.
Lisi received career achievement prizes at the David di Donatello awards and the Venice film festival, and in later years did much television work.
Franco died last year. She is survived by Corrado and three grandchildren.
• Virna Lisi (Virna Lisa Pieralisi), actor, born 8 November 1936; died 18 December 2014
2612/0930/1930
Scritto il 19 dicembre 2014 alle 14:09 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 18 dicembre 2014 alle 23:20 | Permalink | Commenti (8)
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In Senato si discute della più importante legge dell'anno (la legge di stabilità, una volta "legge finanziaria"), ma al Senatore PD (coté renziano) sembra che interessi di più la partita Cagliari-Juve che la discussione d'aula. In fondo, ha ragione lui... Sa già come finirà: ad un certo punto, anzichè discutere degli emendamenti, al banco del Governo arriverà la Madonna Pellegrina tacco 12, che ai sensi dell'art. questo e quello, porrà la questione di fiducia.
E allora, perchè mai questo statista dovrebbe rompersi i coglioni ad ascoltare, e magari ad intervenire, nella discussione d'aula? Tanto, da fedele renziano, sa già come andrà a finire la storia. Con l'ennesimo voto di fiducia.
Ed allora Forza Juve, e grazio allo Stato che gli passa gratis anche il collegamento in banda iper-super-larga, per poter vedere l'incontro in HD, in aula.
Tafanus
2612/0945/0945
Scritto il 18 dicembre 2014 alle 22:57 | Permalink | Commenti (5)
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Anno quasi nuovo, grafica quasi nuova. Abbiamo lasciato invariati i colori della testata, per non perdere la "memoria visiva" del blog, ma abbiamo modificato il colore di fondo dei post e della colonna laterale.
Il fondo dei post, anche se sembra bianco come prima, ha una punta di grigio chiaro, che permette di inserire anche foto scontornate in bianco senza che se ne perdano i contorni. Inoltre abbiamo aumentato di un punto il corpo dei caratteri, per rendere meno faticosa la lettura.
Il colore di fondo della colonna laterale è passato dal giallo/ocra della testata, ad un grigio perla, che rende più leggibili le scritte (anche qui aumentate di corpo), e graficamente associa la colonna laterale al corpo principale del blog, tenendo separata la testata.
Credo che in complesso si possa parlare di un miglioramento della grafica, ma mi piacerebbe avere anche il parere dei miei amici. Grazie
Tafanus
2512/1000/1145
Scritto il 18 dicembre 2014 alle 08:00 | Permalink | Commenti (17)
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Quando ho sentito l'Annunciatore dire che avrebbe candidato l'Italia per le Olimpiadi 2024, ho pensato che stesse solo lanciando una minchiata a mezz'aria "per vedere l'effetto che fa"... Invece parlava sul serio, e non c'è niente di più comico del nostre venditore di pentole antiaderenti quando parla sul serio.... Con rarissime eccezioni, le Olimpiadi sono senza alcun dubbio il sistema più sicuro: quasi infallibile.
Ieri, su Repubblica cartaceo, c'erano due articoli che sembravano sostenere tesi opposte, solo che ad una lettura attenta mi è sembrato che sostenessero con sistemi diversi tesi molto vicine. L'articolo apparentemente favorevole era di Francesco Merlo, quello nettamente contrario era di Federico Fubini, uno degli ultimi giornalisti politici dalla testa lucida rimasti su Renzubblica.
Mezz'ora fa, mi accingevo a pubblicare i due articoli "side-by-side". Con grande sorpresa, ho scoperto che i due articoli erano già spariti dall'edizione online. Strano... perchè in genere gli "articoli d'autore" resistono in home-page per qualche giorno... Invece li ho dovuti cercare nell'archivio, come roba di un mese fa. Quello di Fubini l'ho trovato sotto due titoli monchi: uno si apriva, l'altro no. Quello di Francesco Merlo invece era in archivio, ma cliccando sul titolo di apriva questo disarmante annuncio:
Per fortuna Francesco Merlo ha un suo blog, sul quale archivia tutta la sua produzione, salvandosi da queste strane "sepolture in vita" di Renzubblica. Quindi, per fortuna, riesco quindi a mettere in fila i due articoli. Eccoli:
La candidatura di Roma per il 2024 - Olimpiadi per non morire (di Francesco Merlo)
Le Olimpiadi per non morire. Sembrerebbe, questa candidatura ai giochi del 2024, l’ultima cosa da fare. E invece è la prima. E non per la vanagloria dell’Italia dei carini con la retorica del made in Italy esibita ieri da Giovanni Malagò, tedoforo dell’opacissima trasparenza del Coni. Né si può fingere, come ha fatto il sindaco Marino, che Roma “città per bene” non somigli a Buzzi e Carminati e sia solo vittima e non anche complice, forse persino peggiore di loro.
Il punto è che quando tocchi il fondo solo il superfluo trascina il necessario. E Roma, che da sola non ce la fa, ha bisogno delle Olimpiadi per rinascere o fallire. E il 2024, che non è poi così lontano, può diventare il nuovo Giubileo, il piccolo Big Bang della città smarrita che si ritrova nell’ universo dello sport.
Sconvolgendo, per cominciare, l’arretratezza del sistema viario e il degrado del manto stradale, Roma può diventare più Roma, perché le Olimpiadi accelerano e parificano, e puliscono pure le strade. E anche con i bilanci in rosso sarebbero comunque ricchezza, risorse, opportunità, nuovi posti di lavoro, il riscatto di una città che è la grande bellezza svillaneggiata dal mondo perché “la corruzione a Roma – ha scritto il New York Times – solleva nuove domande circa la capacità dell’Italia di riformarsi”. E le Monde ha parlato di una grande piovra nera. Insomma Carminati e Buzzi degradano a suburra non una città ma il cuore dell’Italia, il suo essere Universo senza frontiere e in perenne esposizione. E qui si capisce bene che se l’Expo ‘espone’ Milano nel senso che la mette a rischio perché nella lingua italiana ‘esposizione’ è anche il conto bancario scoperto, ed ‘esposto’ è l’avvio di un’azione giudiziaria, le Olimpiadi di Roma esporrebbero l’intero paese, la macchina della nuova Italia, lo Stato, il governo Renzi che, per la prima volta, si misurerebbe con la concretezza di un ottimismo sinora soltanto declamato. Il “cambia verso” qui diventerebbe cantieri, treni e navette, ex mercati da trasformare in stadi, il ripristino dell’Accademia della scherma di Luigi Moretti e di tutto il Foro Italico che sarebbe un magnifico parco olimpico, del Velodromo, della città dello sport mai finita con le piscine di Calatrava, qualche nuovo Palazzetto, edifici in disuso da far diventare arene, ex cinema da riadattare …
Non affari per i soliti costruttori-corruttori, per la canea avida degli speculatori e palazzinari romani che non appena ieri Renzi e Marino e Malagò hanno pronunziato la parola Olimpiadi si sono leccati i baffi di cemento, ma “la svolta buona” della grazia e della sapienza edificatoria combinata con l’intelligenza urbana e sorretta dall’interesse economico lecito. Insomma, un’operazione laica, simbolica e keynesiana, la fine di un lungo ciclo di handicap, come avvenne nel 1960 nella Roma del miracolo economico; a Barcellona che smise di essere provincia; a Torino, che i giochi invernali restituirono alla cultura e all’eleganza; a Tokio che nel’ 64 divenne metropoli globale, a Sydney che si trasformò in capitale dell’energia ambientalista, e persino a Monaco che nel ‘72, nonostante la strage del Settembre nero, si fece vetrina della nuova economia bavarese.
Certo, ci sono anche città che non ce l’hanno fatta e cito per tutte Atene, il cui default cominciò con i cinque cerchi. Tanto più che a Roma qualsiasi investimento oggi corre il rischio della mafia. Ma forse, contro la mafia, non bisognerà più investire a Roma? Dobbiamo abbandonare la capitale d’Italia? E non sarebbe, il rinunciare al progresso e allo sviluppo per paura della mafia, la maniera più vile di arrendersi alla mafia?
Per alcuni la mafia cresce nella povertà e nel sottosviluppo, per altri nella ricchezza e nello sviluppo, ma dovunque si combatte con polizia e magistratura, con la dura pazienza della politica, con l’eroismo dell’impegno quotidiano, con il rischio d’impresa che è fatto di innovazione e perciò anche di Olimpiadi.
Una scossa tellurica per ricominciare, dunque; per guardarsi allo specchio, farsi il chek-up e progettare il proprio futuro in competizione, pensate, anche con Parigi, che ha posto la candidatura dopo che le Monde aveva chiesto ai francesi se fosse meglio “l’Expo del 2020 o le Olimpiadi del 2024 per uscire dalla crisi e togliersi di dosso il pessimismo” .
Più scaltro Marino vuole togliersi di dosso er cecato e sfilarsi dal mondo di mezzo. E c’è il rischio che Renzi creda di cavarsela con l’ennesimo annuncio. Tanto il 2024 è lontano. E invece bisognerebbe riuscirci davvero a gareggiare , in trasparenza , con il resto del mondo. E sarebbe fantastico che partendo in coda vincessimo l’eterno derby perché “le palle di nuovo gli girino” a loro che soffrono dell’antichissimo “complesso di Vercingetorige”, il gallo che già una volta le buscò.
Ma, appunto, questa è solo scienza triste. John Maynard Keynes diceva che sarebbe «splendido» se gli economisti riuscissero a essere «umili e competenti come dei dentisti», perché non lo sono. Ma anche altri aspetti della vita di una nazione permettono di dubitare della praticabilità di una candidatura di Roma. Il governo la presenta mentre fa i conti con sconvolgenti casi di corruzione emersi quasi ovunque ci siano lavori pubblici, anche di consistenza minima.
I miliardi del Mose di Venezia, i commissariamenti decisi per alcune delle grandi imprese dell'Expo, il racket degli appalti che ha trascinato il Comune di Roma al default e poi ha continuato ad infierire. È vero che, come ha ricordato ieri il commissario anti-corruzione Raffaele Cantone, le Olimpiadi di Torino hanno dimostrato che anche in Italia possono svolgersi grandi eventi nella legalità. Ma su questo fronte il Paese ha già fatto abbastanza per essere credibile? Toccherebbe al comitato promotore di Roma 2024 spiegarlo ma, malgrado la svolta pubblica del premier Matteo Renzi, sembra che non sia ancora ben formato né abbia un proprio budget da spendere.
A discolpa di Roma, va detto che non tutto finirebbe lì. Competizioni si terrebbero a Milano, Napoli e a Firenze, per qualche ragione, andrebbe la pallavolo. L'ultima volta che la città ha vinto uno scudetto in questa disciplina correvano gli anni ‘70 e andò alle ragazze dello Scandicci: metafora perfetta del lavoro che resta da fare per tornare credibili. Di solito le Olimpiadi migliori e più fertili di crescita futura sono sempre andate a città risorgenti: Londra dalla grande crisi, Pechino dalla povertà, Barcellona da 40 anni di franchismo. Roma e l'Italia risorgenti non lo sono ancora: se quei soldi ci fossero, dovremmo forse spenderli per ridurre le tasse, cambiare la giustizia, in modo da ridare lavoro stabile agli italiani. Allora saremo pronti a candidarci di nuovo ai Giochi, per festeggiare la nostra rinascita un'estate intera.
Franesco Merlo
Insomma, l'articolo di Merlo - che a leggere solo i titoli e l'incipit sembrava favorevole, alla fine si rivela per quello che è: una sfilza di dubbi sulle capacità etiche, economiche, organizzative del nostro paese di cialtroni, e sulla "reliability"del venditore di pentole. Il 2024 è lontano, ma il 2015 (anno entro il quale bisogna formalizzare e garantire l'impegno), è domani. Sarà per questo che l'articolo di Francesco Merlo è sparito non solo dalla home-page, ma anche dall'archivio di Renzubblica? Tafanus
Olimpiadi 2024: un disastro annunciato che affosserà i bilanci (di Federico Fubini - Repubblica)
Sedici anni fa, un ministro del Tesoro chiamato Carlo Azeglio Ciampi firmò un impegno a nome dell'Italia: avrebbe coperto spese fino a due miliardi di euro (in denaro attuale) per una città che si candidava alle Olimpiadi d'inverno. Torino. E quando i delegati del comitato promotore andarono in Australia per farsi conoscere, si resero conto che mancava un tassello: dovettero stampare nuove brochure, con inclusa una mappa d'Europa nella quale Torino era chiaramente situata rispetto a Roma, Milano, Parigi.
Quella città candidata andava rimessa sulla carta del mondo, perché ne era sparita dopo i lunghi anni di crisi della Fiat. Non c'è dubbio che questa sia un'assonanza con la proposta di Roma per le Olimpiadi estive 2024, avanzata dopo sei anni di recessione italiana, ma i parallelismi finiscono qui. Non solo perché a Roma si possono rimproverare molti difetti, ma non di non essere già sulla carta. In realtà anche la scienza triste, l'economia, fa sorgere dubbi sulla praticabilità della candidatura di un Paese che oggi ha un debito al 130% del Pil: sei volte più alto rispetto a quando ospitò le prime Olimpiadi romane nel 1960.
I conti sono sotto gli occhi di tutti. Le Olimpiadi d'inverno di Torino alla fine sono costate 5 miliardi di euro, per metà coperti da denaro pubblico, mentre per quelle estive il successore di Ciampi, Pier Carlo Padoan, dovrebbe sottoscrivere una garanzia di copertura fra le tre e le dieci volte superiore. Un "pagherò" (se vince Roma) che va dai sei ai venti miliardi di euro e va firmato non fra dieci anni ma fra dieci mesi, quando le proposte andranno depositate.
I Giochi estivi più economici ed efficienti della storia recente, Londra 2012, sono costati circa 160 euro in media per ogni suddito di Sua Maestà, 12 miliardi di euro di denaro pubblico, e restano un raro esempio di gestione oculata. Per molti altri eventi del genere, secondo le stime del National Geographic , le previsioni iniziali di spesa sono state regolarmente sfondate: a Pechino 2008 del 4%, ad Atene 2004 del 60%, a Sydney 2000 del 90%, ad Atlanta del 147% e a Barcellona 1992 del 417%. Montreal 1976 ha impiegato tre decenni a rientrare dai costi.
A Roma, dove la società di trasporto pubblico locale ha chiuso senza perdite un solo bilancio negli ultimi 11 anni, come finirebbe? Se la storia dell'Expo di Milano 2015 insegna qualcosa, finirebbe in senso opposto a Atene, Atlanta, Sydney, o agli sprechi dei mondiali di calcio Italia ‘90. Invece di pagare troppo, per mancanza di risorse Roma rischia di poter spendere molto meno di quanto previsto e di quanto necessario. All'Expo di Milano sta già succedendo, con la Regione e il governo che gareggiano nel trattenere e negare i finanziamenti, mentre l'evento promette di essere meno ricco e attraente del previsto.
Federico Fubini - Repubblica
In memoria di "Italia '90"
Questo immenso scheletro di cemento si trova a cavallo tra i comuni di Milano e Ponte Lambro. Costruito per i mondiali di calcio del 1990, non è mai stato finito e 20 anni dopo rimane vuoto e abbandonato. Un servizio di Chantal Dumont e Leandro Diana, con l'aiuto di Luca Ragone.
Vi lascio con questo incubo, e con una buona notizia fresca di giornata: oltre alla candidatura da ridere dell'Italia, da oggi non c'è solo quella di Parigi, ma anche quella di New York. Possiamo sperare. Di non farcela.
Tafanus
2312/1030/1900
Scritto il 17 dicembre 2014 alle 22:49 | Permalink | Commenti (2)
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La Professoressa Roberta Pinotti
Ricordiamo i punti fondamentali:
-a) Due marò italiani, di scorta anti-pirateria ad un mercantile italiano, sparano a due pescatori indiani, ammazzandoli. Non tocca a noi, e nemmeno ai politici italiani o indiani, stabilire se si sia trattato di insipienza, di reale legittima difesa, di eccesso di legittima difesa, o di tiro a segno. Tocca ai magistrati
-b) L'incidente è avvenuto in acque internazionali, gli sparatori erano su una nave battente bandiera italiana, quindi il giudizio spetta all'Italia, o al massimo ad un tribunale sovranazionale.
-c) L'India chiede che la nave approdi in India per poter interrogare il personale di bordo, el il mitico "Supermario in loden" abbocca come un allocco, manda la nave in India, dove i marò vengono arristati con l'accusa di omicidio volontario".
-d) L'India è l'India. Noi abbiamo problemi di politica interna, ma li ha anche l'India. La giustizzia indiana è lenta e farraginosa, ma gli ultimi che possano ragionevolmente accusare i sistemi giudiziari altrui siamo noi italiani, il cui sistema giudiziario può impiegare anni a risolvere una bega condominiale.
-e) A Natale i marò ottengono un permesso "sull'onore" di rientrare in Italia per le feste. All'approssimarsi della data concordata per il rientro in India, Monti dichiara che non restituirà i marò all'India, come da accordi. Gli indiani si incazzano, molto probabilmente fanno capire all'Italia di quali e quanti strumenti di ritorsione abbiano in mano, e a questo punto Supemario cala le braghe, e rimanda i marò in India.
-f) Quinto atto: Latorre si ammala di ischemia in settembre, e gli viene accordato il permesso di tornare in Italia per ricevere le cure necessarie, con l'impegno di rientrare il 13 gennaio.
-g) All'avvicinarsi della data del rientro di Latorre in India, l'Italia chiede alla Suprema Corte indiana di concedere la libertà provvisoria ai marò: a Girone perchè possa trascorrere il Natale in famiglia, a Latorre,un permesso aggiuntivo di quattro mesi perchè possa operarsi in Italia e fare anche la convalescenza.
-h) Il no arriva veloce come un TAV. Gli indiani saranno immorali, ma non sono fessi. Memori dell'esperienza precedente, rispondono con due NO. Mai più i due marò insieme in mani italiane. Latorre si curi nei tempi concordati, ma Girone rimanga in ostaggio in India. Questo il senso. Il "non detto" - per quanto riguarda Latorre - è che ci sono strutture sanitarie anche in India. Saranno strutture fatiscenti per la gente normale, ma ci sono anche poche strutture d'eccellenza per i VIP. E comunque l'Italia, se vuole, può mandare un proprio staff per l'intervento.
A questo punto esplode, nei modi più sbagliati e improduttivi che si possano immaginare, la rabbia impotente di ministri trovati nei fustini del Dixan, guidati da un premier ggiovane ggiovane, trovato a Frignano sull'Arno. Ecco come riporta la cosa Repubblica, un giornale che ormai in termini di "renzismo acritico" è superato solo da "EUROPA" diretto dall'ineffabile Stefano Menichini (quello che qualche giorno fa ha dedicato un servizio ai grandi "achievements" di Renzi Segretario.
Federica Mogherini (cosa avrà da ridere?)
India, no della Corte Suprema alle richieste dei marò. Il ministro degli Esteri: "L'Italia valuta richiamo ambasciatore Mancini per consultazioni. Obbligati a reagire in modo fermo e unitario"". Pinotti dura: "Latorre non si muoverà dall'Italia" (Fonte: Repubblica.it - Articolo non firmato)
"Abbiamo l'obbligo di reagire e mi auguro che la reazione sia ferma e unitaria". Lo ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato parlando delle ultime decisioni della Corte Suprema sul caso dei due marò. "Oggi per essere forti abbiamo bisogno di mostrare decisione e fermezza e unità all'esterno. Di fronte ad un atteggiamento così grave ci riserviamo tutti i passi necessari a partire dall'urgente richiamo per consultazioni dell'ambasciatore italiano a Nuova Delhi" anche se "non si tratta di rottura delle relazioni diplomatiche". "Non c'è dubbio che tra le ulteriori decisioni su cui dobbiamo ragionare non possiamo affatto escludere il pratico avvio dell'arbitrato internazionale, e dobbiamo sapere che questa ipotesi è molto chiaramente sul tavolo", ha aggiunto il ministro (...CAZZO!!!! e ci vogliono tre anni per fare l'unica cosa FORSE utile, e cioè l'avvio delle procedure di arbitrato internazionale??? Ma #stiamosereni: Il Pluri-Nobile Gentiloni "non esclude"...)
Relazioni diplomatiche tese fra Italia e India dopo il rifiuto della Corte Suprema indiana di esaminare le richieste dei due marò italiani e di bocciare la domanda di Massimiliano Latorre di prolungare di altri 4 mesi la convalescenza in Italia dopo l'ictus di cui ha sofferto a settembre, permesso che che scadrà il 13 gennaio.
Sul caso interviene anche il ministro della Difesa, Roberta Pinotti (...Roberta Pinotti Chi???) L'impegno per il pieno recupero fisico di Massimiliano Latorre è una priorità per il governo e nulla sarà fatto per mettere a rischio le sue condizioni", ha detto Pinotti, anche lei parlando in audizione alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. "Cerco di seguire quotidianamente la vicenda dei marò e conosco perfettamente la situazione medica e le condizioni di Massimiliano Latorre", per questo "dico che non sono condizioni che possono consentire una partenza dall'Italia. Siamo non solo delusi ma anche irritati. Le istanze erano di carattere puramente umanitario. Ci aspettavamo un risultato diverso - ha aggiunto il ministro della Difesa. La posizione di Girone, ancora trattenuto in India, è quella che in questo momento in cima ai nostri pensieri - ha proseguito Pinotti -. Il governo prenderà tutte le misure per rimediare a questa situazione. Il recupero di Latorre in Italia prosegue, e il governo farà di tutto per non mettere a rischio questa situazione. Auspico che in questo momento difficile per i nostri due fucilieri si dia una risposta forte e unitaria". "L'Italia - ha aggiunto il ministro della Difesa - è responsabile per i suoi militari ed è interesse dell'India riconoscere l'immunità dei due marò davanti ai tribunali indiani". Proprio ieri Pinotti ha dichiarato che Latorre non si muoverà dall'Italia.
Fine dell'articolo di RenziPubblica. Non una parola di commento sulle belinate dei nostri ministri da fustino. Non una firma. Quindi non sappiamo chi ringraziare per questo articolo il cui estensore non ritiene di dover esprimere un giudizio sui fatti, e sulle belinate ministeriali. Insapore, inodore, incolore come l'acqua distillata.
Ma neanche la superflua Mogherini ci fa mancare le sue bustine di aria fritta imballate sotto vuoto spinto. Leggiamo sul Messaggero:
Marò, Mogherini: Decisione della corte può incidere sulle relazioni India-Ue
(...l'avreste mai immaginato???... NdR) La decisione della Corte Suprema indiana sui marò Latorre e Girone «deluse le aspettative per una soluzione di comune accordo attesa da lungo tempo, e può incidere sulle relazioni Ue-India e sulla lotta globale contro la pirateria in cui l'Ue è fortemente impegnata». Così l'alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini [...]
Vi risparmio la domandina su cosa significhi "soluzione di comune accordo attesa da lungo tempo". Fior di studiosi di linguistica dibatteranno per mesi. La Mogherini, prima Ministro degli Esteri per caso in Italia, poi inflitta da Renzi all'Europa (Unica Grande Conquista del semestre di Presidenza Italiana), tanto come è noto in una Unione Europea priva di una politica estera comune di chi sia il Commissario non frega niente a nessuno...
Per quanto ci riguarda, noi vorremmo invitare questi ministri da fustino Dixan, produttori di aria fritta, a rispondere ad una domanda. Una sola:
Prima di tirar fuori il fuciletto che spara tappi di sughero, i Nostri si sono chiesti quale sorte toccherebbe a Girone, in mani indiane, qualora non rispettassimo l'impegno a far rientrare in India Latorre entro il 13 Gennaio?
Sulla uscita di Gentiloni, discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silverj, nobile di Filottrano, nobile di Cingoli e nobile di Macerata, che ha "valutato" la possibilità di richiamare l'Ambasciatore in Italia per "consulazioni" (affrettandosi ad aggiungere che "ciò non significa, per carità... rottura delle relazioni diplomatiche"...), stendiamo un velo pietoso. Vogliamo solo ricordare che è un signore che ha passato la vita a cambiare maglietta (Movimento Studentesco con Mario Capanna ed eschimo, Democrazia Proletaria, Movimento Lavoratori per il Socialismo, Partito di Unità Proletaria per il Comunismo... Poi nel 2001 la svolta teodem (Franza o Spagna, purchè se magna): col neo teodem Rutelli-Cicoria (non più liberale liberista libertario). Fra il 2006 e il 2008, come Ministro Per le Comunicazioni, non trova di meglio che trattare del conflitto d'interessi con tale Fedele Confalonieri, plenipotenziario di Berlusconi.
E che dire del Renzino, malato cronico di annuncite?
In Febbraio annunciava: "Li riporteremo subito a casa" (Huffington Post)
In luglio il problema "marò" finisce in un angolino del mitico "crono-programma" (Panorama-News) (a proposito... qualcuno potrebbe spiegare al Renzino che un programma o è "crono" o non è programma, ma pura dichiarazione d'intenti?)
Sotto ferragosto la Ministra Pinotti (a quanto pare appassionata di aerei di Stato) vola in India per "far sentire la vicinanza dell'Italia" ai marò. Poi risale sull'aereo di Stato e torna in Italia, perchè il Ferragosto incombe. Renzi invece fa una tefefonata al premier indiano, il quale gli dice #matteostaisereno (Repubblica.it)
In Novembre Renzino si ricorda dei marò, assicura che "stiamo facendo di tutto per riportarli a casa", ma poi si affretta a tranquillizzare gli indiani "...non vogliamo disturbarli..." (Il Tempo)
Adesso, l'epilogo tragicomico dei ministri da fustino. Il Premier tace, impegnato com'è a discutere con Alfano e con la Boschi; la professoressa di lettere Pinotti, indagata per peculato d'uso per la brutta storia del Falcon, forse sta pensando di dichiarare guerra all'India; la Mogherini biascica frasi incomprensibili, e il Nobile di Filottrano, di Cingoli e di Macerata sta pensando di far venire per una breve vacanza di un paio di giorni in Italia l'Ambasciator che non porta Pene, per chiedergli delle cose che potrebbe chiedergli per telefono o in videoconferenza.
Io non so se i marò siano colpevoli o innocenti. So per certo che affidati alle cure di questi "regali" da fustino Dixan non hanno alcuna ragione per #staresereni. Con o senza hastag.
Tafanus
2312/1045/0815
Scritto il 17 dicembre 2014 alle 18:55 | Permalink | Commenti (14)
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Scritto il 17 dicembre 2014 alle 17:51 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 17 dicembre 2014 alle 00:01 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 16 dicembre 2014 alle 19:29 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 16 dicembre 2014 alle 11:52 | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 16 dicembre 2014 alle 08:01 | Permalink | Commenti (4)
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Se ieri fosse rientrata nella nostra atmosfera, Samantha avrebbe avvistato scontri per le strade, antiche sindacaliste e premier precoci che si urlavano addosso senza ascoltarsi, mamme che annegavano i figli e altre che non riuscivano a seppellirli per mancanza di soldi e solidarietà umana. E in sottofondo il cicaleccio televisivo di criminologi e politologi che discutevano di famiglie dissestate, tangenti ben assestate, infanticidi, femminicidi e correnti assassine del Pd. Samantha ha ragione. Vista dall’alto, da fuori, da qualsiasi posto tranne che da vicino, l’Italia scalda il cuore. Il problema è l’atterraggio.
2012/1130/1030
Scritto il 16 dicembre 2014 alle 07:59 | Permalink | Commenti (0)
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Aggiornato al sondaggio "Quorum" del 9 dicembre
EVVIVA! Con Renzi si vince! Questa era la Grande Motivazione di coloro che spiegavano così il loro voto per Renzi. Ma non sapevano indicare UNA SOLO QUALITA' dell'ometto. Non di cultura economica, non di esperienza di governo, al di fuori della sindacatura di una città media, o di una Provincia (istituzione assolutamente inutile secondo Renzi, ma solo DOPO aver goduto personalmente dei privilegi di Presidente di questa istituzione assolutament inutile).
Come Sindaco di Firenze, dopo i primi giorni di sindacatura era, secondo l'annuale ricerca del Sole24Ore, il Sindaco Più Amato Dagli Italiani (come le cucine Scavolini) fra i sindaci delle città-capoluogo. Tempo un anno, ed era piombato sotto la cinquantesima posizione.
Con Renzi si vince.: trade mark delle sue pagliacciate tipo "Leopolda": "40,8 - 80": l'inutile 40,8% alle europee, gli 80 euro ad un ceto medio basso (suo elettorato di riferimento), anzichè ai milioni di poveracci morti di fame.
Ora l'Italia comincia a fare i conti e a confrontare proclami e realizzazioni. Morale: mai luna di miele fu più breve. Come avevamo annunciato, la luna di miele è finita a ferragosto, e la caduta di consensi al suo PD ed alla sua persona è verticale.
Il grafico riporta le linee di tendenza, che seguono con un certo ritardo i dati puntuali. Ma volete sapere quale sia la triste realtà "puntuale" (ultimi sondaggi freschi di settimana?)
Chi di populismo vive, di populismo altrui muore... Gli italiani hanno un bisogno vitale di cazzari al governo. Non me la prendo col Signor Nessuno di Frignano sull'Arno. Lui giustamente incassa (perchè non dovrebbe?) quello che gli italiani - popolo di coglioni - gli hanno portato su un vassoio d'argento. Adesso s'avanza il nuovo populista Salvini, quindi è iniziata la gara a chi la spara più grossa.
Nel frattempo, finisce il mitico Semestre di Presidenza Italiana della UE, senza lasciare tracce destinate a finire sui libri di storia.
Fassina Santo Subito!
Tafanus
1912/1145/1045
Scritto il 15 dicembre 2014 alle 12:16 | Permalink | Commenti (7)
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Scritto il 15 dicembre 2014 alle 00:40 | Permalink | Commenti (1)
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Quelli che "un milione di posti di lavoro": Partita la lettera della tesoriera Rossi al ministero del Lavoro. Via anche Gasparotti, l'uomo del video della "discesa in campo" (di Carmelo Lopapa - Repubblica.it)
Berlusconi illustra da Vespa le Grandi Opere
ROMA - Silvio Berlusconi licenzia. Ed è licenziamento "collettivo". Cade il mito del super imprenditore e del leader politico che in mezzo secolo di "onorata carriera" non aveva mai messo alla porta un solo dipendente. Vengono fatti fuori in un solo colpo 55 dipendenti su un organico complessivo di 86 lavoratori a tempo indeterminato occupati da Forza Italia nelle sedi di Roma, Arcore e Milano. Porta la data del primo dicembre il documento (di cui Repubblica è venuta in possesso e di cui pubblichiamo di fianco uno stralcio) con cui il partito comunica al ministero del Lavoro, alla Regione Lazio, alla Regione Lombardia e ai sindacati, tra gli altri, l'avvio della "procedura di licenziamento collettivo ex art.24 della legge 223 del '91". In calce, la firma della tesoriera e ormai amministratrice di fatto del partito, la senatrice Mariarosaria Rossi.
È la mannaia tanto annunciata e temuta dai dipendenti, che viene messa nero su bianco adesso e attribuita dalla stessa parlamentare, nelle motivazioni, al taglio drastico e alla imminente abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. La Rossi scrive della "impossibilità di sostenere finanziariamente l'attuale struttura del personale per le seguenti cause: totale abolizione del diretto finanziamento pubblico ai partiti; forte limitazione della possibilità di raccolta dei contributi volontari ugualmente determinata dalla stessa legge che penalizza in modo rilevante l'attività di fund raising; mancanza di riscontri positivi all'introduzione della destinazione del 2 per mille dell'Irpef". Se fosse un'azienda, insomma, dovrebbe portare i libri in tribunale. La conseguenza, continua la Rossi, è che la spesa "sostenibile" per il personale è di 1 milione 600 mila euro e non più i 5 milioni 700 mila euro sborsati fino all'anno scorso.
Il quasi azzeramento fa vittime illustri, compreso Roberto Gasparotti, uomo immagine berlusconiano fin dal celebre collant sulla telecamera del primo video del '94. Ma anche i due riservatissimi addetti stampa da 15 anni in servizio ad Arcore, a conoscenza anche di ogni documento riservato transitato da Villa San Martino. Due impiegati abbandonati che ora non escludono azioni legali in autotutela. L'elenco dei licenziati (solo numeri senza nomi nel documento) è impietoso: 6 della segreteria del Presidente a Roma e Arcore, 2 impiegati presso il consigliere politico del Presidente, 1 alle dipendenze del portavoce, 1 dell'ufficio del personale, 11 dell'amministrazione, 9 dei servizi generali, 8 dell'organizzazione e altri a seguire fino a quota 55. C'è anche un capitolo sui "salvati": alle dipendenze di Berlusconi restano in 7 tra Roma e Arcore. E per i 31 sopravvissuti è previsto il ricorso alla "cassa integrazione nella misura del 50 per cento". Fi S. p. A è insomma in default. Ed è la prima vittima eccellente della norma taglia finanziamenti approvata pochi mesi fa. La Rossi - sodale della Pascale e factotum del capo - nei fatti ne diventa la liquidatrice, dopo aver smantellato e ridotto a un solo piano la sede di San Lorenzo in Lucina (20 mila euro al mese in meno di affitto). Ammette il fallimento delle cene di fund raising che lei stessa aveva provato a organizzare tra Roma e Milano portando in giro un "Silvio" che ha perso appeal.
Ma il licenziamento collettivo potrebbe non essere privo di conseguenze per la tesoriera e altri amministratori. Come fanno notare i sindacalisti che hanno seguito la pratica, nonostante il profondo rosso, lo scorso anno il partito ha assunto, anzi riassorbito, 53 dipendenti ex Pdl: oggi ne licenzia 55 ma tra loro anche lavoratori con anzianità ventennale in Forza Italia, capifamiglia monoreddito, perfino (sembra) soggetti appartenenti a categorie protette per via di handicap. Tutti, fanno notare, con stipendi da 1400 euro. Del resto Forza Italia è in rosso per 25,5 milioni, mantenuta in vita finora dalla bombola d'ossigeno di una "donazione liberale" del leader di 15 milioni di euro, ma soprattutto dalle fideiussioni personali del capo per 83 milioni necessari per coprire il disavanzo accumulato o ereditato. In tutto questo, la legge taglia finanziamenti consente al "privato" Berlusconi di erogare d'ora in poi 100 mila euro l'anno, non uno di più.
Carmelo Lopapa
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Scritto il 15 dicembre 2014 alle 00:15 | Permalink | Commenti (1)
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...forse sarà "logico" per il pregiudicato di Arcore, e col pupazzo fiorentino telecomandato. Non è logico per le persone perbene, che il Presidente della Repubblica possa essere eletto solo col beneplacito col pregiudicato delle cene eleganti. Renzi non ha ancora capito che queste cose fanno vomitare le persone perbene, ma se ne dovrà rendere conto in breve tempo, a sue spese. Tafanus
Il leader di Forza Italia torna a parlare del Quirinale. Poi sul patto di governo: «Come facciamo a dire di no alle riforme che consentono il bipolarismo?» (Fonte: readazione corriere.it)
Forza Italia non poteva dire no al patto del Nazareno, anche perché prevede «come conseguenza logica che non potrà essere eletto un capo dello Stato che a noi non sembri adeguato all’alta carica che dovrà ricoprire». Con queste parole Silvio Berlusconi torna sul tema del Quirinale in un collegamento telefonico con i club dell’Emilia Romagna.
«Il patto del Nazareno fastidioso ma...» - In un altro passaggio il leader di Forza Italia parla del cosiddetto «patto del Nazareno»: «Sapete come è difficile in questo momento la posizione di Forza Italia. Abbiamo ritenuto di stipulare il Patto del Nazareno, che ci dà tanto fastidio, perché non ci fa fare opposizione vera e ci crea problemi all’interno - sottolinea Berlusconi - Ma come facciamo a dire di no alle riforme che consentono il bipolarismo e il superamento del bicameralismo?».
La fine dei servizi sociali - Infine un breve passaggio sulla fine dei servizi sociali, iniziati per l’ex premier il 9 maggio scorso, cioè il lavoro di assistenza agli anziani malati di Alzheimer presso l’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, come previsto dalla sentenza Mediaset. Secondo quanto ha comunicato nelle settimane scorse lo stesso Berlusconi la fine dei servizi sociali è stata «anticipata per buna condotta» al 15 febbraio. «Il 15 febbraio riconquisterò la mia piena agibilità politica - ha detto l’ex premier - e questo sarà un cambio assoluto nel nostro modo di relazionarci con gli elettori».
1712/1215/1030
Scritto il 14 dicembre 2014 alle 16:14 | Permalink | Commenti (4)
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...e Fassina impartisce al Bischero una lezione di stile politico...
Scritto il 14 dicembre 2014 alle 08:01 | Permalink | Commenti (3)
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recensione del film "MOMMY" (di Angela Laugier)
Regia: Xavier Dolan
Principali interpreti: Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine-Olivier Pilon – 140 min. – Francia, Canada 2014.
E’ finalmente visibile anche in Italia Mommy, il film di Xavier Dolan che all’ultimo festival di Cannes ha ottenuto il premio speciale della giuria ex aequo con Adieu au Langage di Godard. Il prestigioso riconoscimento, nonché l’abbinamento con Godard sanciscono il riconoscimento della giuria del festival più importante per questo regista canadese, giovanissimo, che ha all’attivo altri precedenti film, che i cinefili italiani per lo più non conoscono, non essendo mai usciti nel nostro paese. Qualche locale eccezione c’è: a Torino il cinema Massimo, in collegamento col Museo del cinema sta facendo vedere un po’ alla volta i film precedenti, tutti molto interessanti, ma la speranza è che entrino a far parte dei normali circuiti della distribuzione. Inutile, sennò, lamentarsi che la gente “scarica”! Che altro può fare?
Mommy è la storia intrecciata, ma anche maledettamente solitaria di tre personaggi che vivono nella periferia di Montréal: una madre, Diane (Anne Dorval, splendida); un figlio, Steve (Antoine-Olivier Pilon, molto bravo) e una vicina di casa, Kyla (eccezionale interpretazione di Suzanne Clément). Diane ha perso il marito, fatto che ha negativamente inciso sul già precario equilibrio mentale e sul comportamento di Steve, che al momento del film è un adolescente in grave difficoltà, turbato, oltre che dai problemi della sua età, dall’impossibilità di controllare la propria esuberanza, di contenere i propri impulsi talvolta violenti e la propria logorrea, nonché dall’incapacità di dedicarsi con costanza a qualsivoglia occupazione. L’istituto al quale era stato affidato aveva dovuto espellerlo, in seguito alle lesioni che aveva causato a un suo compagno, cosicché Diane, piuttosto che affidarlo alle durezze di una struttura correzionale, come la legge canadese del 2015 le avrebbe consentito (l’azione è immaginata in un anno del non lontano futuro), decide di tenerlo con sé, scommettendo che il proprio smisurato amore per lui certamente sarebbe riuscito a trasformarlo, così da “confondere gli scettici” che non ci volevano credere. Con queste parole la donna si era riportata a casa Steve, col sogno di farlo studiare, ricuperandolo alla normalità. I confini della normalità sono sempre molto labili, però (nei film di Dolan lo sono particolarmente). Diane è in realtà una donna di mezza età pericolosamente vicina a quei confini: una bella donna, sciupata dai dolori e dai sacrifici, indurita dalla vita, da cui ha imparato a difendersi con modi assai sbrigativi e rudi, che ora investe su Steve tutto l’amore e la tenerezza profonda di cui è capace, nonché tutte le sue speranze, ma il suo carattere impulsivo, le delusioni continue e l’imprevedibilità delle scenate di questo figlio, a sua volta tenero, petulante e aggressivo, la fanno uscire facilmente dai gangheri, tanto da attirare, per i suoi strilli, l’attenzione di Kyla. Di Kyla il regista non ci dice molto: sappiamo che è un’insegnante in anno sabbatico, che è anche lei in un momento assai difficile della propria vita, ma comprendiamo presto che diventa l’elemento di equilibrio fra madre e figlio e che, accettando senza scomporsi la diversità di Steve, riesce a farlo studiare e a calmarlo almeno un po’. Sono i momenti magici del film, quelli in cui sembrano realizzarsi persino i sogni di “normalità” di Diane. I tre potrebbero farcela solo se i fatti della vita, spesso casuali, non intralciassero i loro propositi virtuosi: la bolla di amicizia e di affetti, che sembra proteggerli, si rivela presto un rifugio troppo fragile in un mondo in cui gli innocenti non trovano spazio. Il primo a soccombere sarà Steve, poi sarà la volta di Kyla, sopraffatta dalla sua stessa famiglia che ne ha sempre ignorato i problemi; toccherà, infine a Diane, apparentemente la meno debole e la più incline a trovare i compromessi col principio di realtà necessari per sopravvivere: il suo pianto sconsolato ci testimonia, infine, la sua tragica sconfitta. Il regista ci racconta, dunque, dall’ottica degli esclusi, una storia simile a molte altre, ma con singolare forza coinvolgente per la potenza espressiva delle immagini che scorrono sullo schermo nell’insolito formato 1 a 1, cioè in un formato quadrato che, occupando solo una piccola parte dello schermo ci obbliga a concentrare la nostra attenzione sui volti, simili a ritratti, dei singoli personaggi, i perdenti della vita. Quando lo schermo si allarga è per sottolineare i momenti di aperta frizione fra la loro soggettività e la realtà, come quando Steve si esibisce nel Karaoke, volutamente ignorando l’ostilità crescente intorno a lui o come quando Diane rivive i momenti sognati, i desideri irrealizzati, le speranze deluse… Tutta la narrazione è poi sottolineata da una colonna sonora che, nel suo notevole eclettismo, diventa parte non separabile dalle immagini stesse, cui imprime ulteriore pathos ed espressività.
Il film potrebbe anche non piacere: infatti ha diviso la critica, soprattutto in Italia, ma è molto interessante e merita certo una visione attenta.
Angela Laugier
1612/1230/1000
Scritto il 14 dicembre 2014 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 13 dicembre 2014 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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