Napolitano lascia, con un bilancio non esaltante, e a volte sinceramente incomprensibile, degli ultimi tre anni.
Napolitano preannuncia le imminenti dimissioni, dopo un "novennato" con luci e ombre, e con un messaggio di fine anno non esaltante. Lascia con un grande merito: quello di aver affrettato la cacciata del pregiudicato di Arcore, e con l'incolpevole scelta di averci inflitto Mario Monti e la Madonna Piangente Fornero. Per quanto riguarda la scelta di Monti, sarebbe ingeneroso rimproverargliela. Sarebbe puro esercizio - molto italiano - del "senno di poi".
Quando è stato scelto Monti, molti di noi - compreso il sottoscritto - hanno applaudito. Arrivava un personaggio che come commissario UE aveva lasciato una forte immagine di se in Italia e in Europa. Arrivava un economista alla guida di un paese sull'orlo del default, con uno spread ad un livello insostenibile (570 punti). Arrivava una persona seria a sostituire quello che l'Express aveva definito, con una copertina dedicata, "Il Buffone d'Europa".
Fine delle scelte condivisibili degli ultimi tre anni. Monti ha nominato un governo pieno zeppo di impresentabili, e di "associati all'impresa" sulla base del più bieco e veto manuale Cencelli. Vogliamo ricordarne alcuni?
Antonio Catricalà, Carlo Malinconico, Giovanni De Gennaro, Enzo Moavero Milanesi, Anna Maria Cancellieri, Paola Severino, Corrado Clini,
Elsa Fornero, Michel Martone...
Ovviamente si tratta della mia "black-list", e non pretendo che tutti la condividano. Sui nomi scelti Napolitano non aveva grandi poteri costituzionali di veto, ma avrebbe potuto esercitare maggiormente il potere sotterraneo della "moral suasion". Non lo ha fatto, o lo ha fatto in misura insufficiente.
E' bastato pochissimo per capire che Monti stava diventando un OGM: non più il sobrio e severo commissario UE, ma un uomo dedito a costruirsi un futuro politico. Chi non ricorda la minchiata della "quota 285"? Per chi non ricordasse: una semplice operazione d'immagine. "285" era la metà dello spread toccato da Berlusconi, ma 285 era anche - e Monti avrebbe dovuto saperlo - un obiettivo facile facile da raggiungere, una volta fatto fuori Berlusconi, ma duro duro da sostenere. Per un paese che per tutti gli anni di Prodi aveva avuto uno spread inferiore a 100 punti-base, "quota 285" significava accettare uno spread di due punti d'interesse sul debito più su di quello dell'era Prodi. Significava mettere in bilancio un aggravio di circa 40 miliardi di euro all'anno per il solo costo degli interessi. Una operazione che ti puoi aspettare da un Renzi, non da un Monti.
Poi sono arrivate le "misure anti-evasione" da TG: i blitz a Cortina e a Capri in favore di telecamera, anzichè l'avvio - sarebbe ora - di un serio incrocio dei database che lo Sato è in grado di usare: catasto (mancano all'appello oltre due milioni di case sconosciute al fisco), con gli elenchi degli utenti di elettricità, acqua, telefono, collegamenti internet. Sono arrivati i Clini che in 24 ore dall'insediamento andavano in TV a straparlare di ritorno al nucleare, appena ri-bocciato da un secondo referendum; sono arrivati i Malinconico, la Severino e la sua risibile legge anti-corruzione, è arrivata la Cancellieri e la storiaccia brutta dei rapporti col pregiudicato Ligresti, è arrivato il bimbominchia Martone a dar lezioni ai giovani disoccupati senza speranza dall'alto della sua fulminea carriera di "figlio di"...
Last but not least, è arrivata l'oscenità di un premier in carica che di faceva il suo partitino mentre era in carica come primo ministro. Una oscenità mai vista prima. A quel punto, ad horas, Monti andava cacciato, con le buone o con le cattive, arrivando se necessario alla crisi di governo ed alle elezioni anticipate.
Invece siamo arrivati alle elezioni "non perse" da Bersani, all'Aventino tragicomico dei 5 Stelle, al governo di larghe intese, con Letta.
Governo di larghe intese, e di largo compromesso. Colpa di Letta? No. Le larghe intese in Italia non funzioneranno MAI. Letta ha dovuto imbarcare cani e porci per avere la fiducia. Era chiaro che un governo con dentro mezza Forza Italia, avrebbe avuto problemi ad attuare una qualsiasi politica utile al paese. Nel suo elenco dei ministri ci sono Angelino Alfano, Emma Bonino la liberale-liberista-libertaria insieme al ciellino Maurizio Lupi; Anna Maria Cancellieri "gradita" alla Giustizia da Forza Italia; Mario Mauro "Franza o Spagna purchè se magna"; Dario Franceschini, fedele vice di Bersani, che presto salirà sul carro di Renzi; Gaetano Quagliariello (una vita dedicata al cambio della maglietta); Nunzia De Girolamo, sulla quale salteranno fuori intercettazioni a dir poco imbarazzanti; l'altro berlusconiano Gianpiero D'Alia; l'amazzone di FI Betrice Lorenzin; Graziano Delrio (un altro "Franza o Spagna", diventato appena possibile giannizzero di Renzi).
Il governo Letta cadrà in maniera ignobile. Cadrà due giorni dopo che il "ggiovane velocista" di Frignano sull'Arno aveva rassicurato #enricostaisereno, mentre affilava il coltello... Napolitano ha, purtroppo, partecipato in maniera ignobile al regicidio, con la famosa cena con Renzi, Letta non invitato, per definire tempi e modi della cacciata di #enricostaisereno.
Pochi giorni dopo, avevamo un premier ggiovane ggiovane. Cultura economica ZERO (vedasi la serie di fallimenti e bancarotte delle "aziende di famiglia"). Etica politica "rivedibile" (vedasi la condanna per danno erariale inflittagli dalla Corte dei Conti, la scelta del principale finanziatore "con sede isole Cayman", la storiaccia dell'imprenditore Carrai da cui accetta l'uso gratuito, da Sindaco di Firenze, di un lussuoso appartamento a due passi da Piazza della Signoria... Lo stesso Carrai, per una pura coincidenza avrà una serie infinita di ricchi appalti dal comune di Firenze.
Matteo Pié Veloce, appena indesiato, dopo otto giorni metteva il timbro "FATTO" sulla riforma elettorale. Peggio di Berlusconi. Cosa ci sia di "FATTO" su quella riforma lo sa solo Iddio... "Abbiamo fatto in otto giorni quello che altri non hanno fatto in otto anni". Sic. E dopo aver FATTO la legge elettorale, Renzi ha stilato il famoso elenco delle quattro riforme "epocali" (...useless to say...) da fare una al mese. Marzo, Aprile, Maggio, Giugno, e saremmo andati tutti al mare con un'Italia rivoltata come un calzino.
Come abbia fatto Napolitano prima ad innamorarsi, poi a sopportare così a lungo, e infine nel messaggio di fine anno a regalare un "endorsement" a Renzi e al suo governo, è un altro mistero, ed è un altro motivo per cui dopo averlo difeso per anni, non mi sento di difenderlo più. Non arriverò alle critiche a 360° del fondo di oggi sul Manifesto (di cui pubblicherò ampi stralci), ma c'è comunque una vasta area di cose, nel messaggio di Napolitano, che non mi convincono.
68 miliardi: a "Chi li ha visti?"
Non mi convince l'elogio a Renzi per aver "avviato" le riforme. Ad "avviarle" co un ddl pieno di niente siamo capaci tutti. Le lodi andrebbero riservate a chi è capace di "avviare" e di "completare". Un piccolo esempio? Tanti superpagati idioti hanno approvato il ddl noto come "Giobatta" senza neanche averlo letto. Colpa loro? Si, perchè non si approvano delle pagine bianche. Tanto è vero che solo dopo la fiducia al "giobatta" molti si sono accorti che l'art. 18 non si applica alla PA. Alla stessa PA che a Roma ha ringraziato con un assenteismo, il 31 gennaio, dell'85% dei Vigili Urbani. Tutti cagionevoli. Si possono cacciare? Per carità! Hanno fatto un concorso!
Anch'io, nel mio piccolo, ho fatto un "concorso". Alla Unilever. Non si chiamava "concorso", ma "selezione". Cosa cambia? Niente. In 1200 abbiamo risposto agli annunci, una sessantina siamo stati convocati per un primo screening, in 24 per una tre giorni di discussioni di gruppo e di colloqui individuali, in tre, alla fine, siamo stati assunti.
Caro Napolitano, l'Italia non ha bisogno di correre "a fari spenti nella notte", come il suo adorato Renzi. L'Italia ha bisogno di cose sensate, non annunciate ma fatte. Ed ha bisogno di equità. L'Italia ha bisogno di dare dieci miliardi di marchetta non già all'elettorato di riferimento di Renzi, ma a coloro che hanno maggiormente bisogno. Ai disoccupati, ai pensionati con la "minima", agli esodati, ai poveri.
Grande successo delle mense della Caritas
Caro Napolitano, il suo accenno al "protagonismo" di alcuni magistrati l'ho trovato estremamente fuori luogo e stonato. E sa perchè? Perchè alcuni potrebbero metterlo in collegamento con la storia del patto Stato-Mafia, e con certe reticenze che si sono sviluppate ai piani alti delle istituzioni. Così come non mi è piaciuto l'elogio della "velocità", che è solo velocità di annuncio, e mai di concluso. Le uniche cose fatte sono la "marchetta 80 euro", che non è servita a "rilanciare i consumi" (siamo stati facili profeti), ma solo a "rilanciare" in maniera moooolto provvisoria il "gradimento" del Serial Twitter.
Caro Napolitano, questa porcheria del governo di larghe intese doveva servire a rilanciare l'economia. Dopo queste cure, l'Italia è l'UNICO paese della UE allargata a restare con segno meno accanto al PIL, e Renzi vaneggia ancora di allentamento dei vincoli di bilancio, in un paese che per debito accumulato sta meglio della sola Grecia? In un paese che "cura" l'evasione fiscale aumentando di tre volte i livelli di evasione per i quali di prevede la galera? Ne prenda finalmente atto. Il nostro mitico semestre di presidenza UE non lascerà traccia di se. Renzi, vantandosene, è riuscito solo a balbettare che prima di "flessibilità" non si poteva neanche parlare, e ora invece si. Parliamone. Tutti quelli che parlano di "flessibilità", si affrettano ad aggiungere che i vincoli di bilancio vanno rispettati.
In cosa consiste allora il grande "achievement" renziano? Negli annunciati 300 miliardi di investimenti europei "strappati" a Junker, di cui Renzi mena vanto?. Bene, i miliardi veri sono 21, ancora tutti da raccogliere, e diventano 300 con un giochino desueto: quello di prevedere un effetto di trascinamento (o di "leverage") di 1:15. Il "non detto" è che gli stessi 21 sono a carico dell'Europa e quindi dei paesi membri; che gli investimenti non saranno distribuiti in maniera proporzionale; che le aziende (quelle del "leverage") investiranno dove vorranno loro, non dove vorrebbe Renzi; e che se anche all'Italia spettasse una bella fettina di spesa così finanziata, non potrebbe spendere un cent proprio perchè di "flessibilità si può ancora parlare", ma solo parlare DOPO aver rispettato i vincoli di bilancio. Un fallimento totale. E mentre Renzi ad ogni tweet si inventa un nuovo numero, sempre diverso, di "posti di lavoro" creati, l'ISTAT, impietosamente, ogni mese ci dice di quanto è aumentata la disoccupazione, di quanto è cresciuta la povertà, di quanto è diminuito il PIL.
Caro Presidente, noi le facciamo auguri sinceri di molti anni di vita serena, fuori dalla battaglia politica. In cambio, le chiediamo solo di essere un po' più autocritico, e di essere meno "attivo" nell'endorsement di un ragazzotto che con la sinistra e con l'amministrazione di uno Stato non ha niente a che vedere. Grazie e Buon Anno.
Tafanus
Pochi giorni e la scrivania del Quirinale sarà vuota. Giorgio Napolitano si rende conto che la sua successione metterà alla prova il governo. E che le condizioni di sicurezza per il paese e per le istituzioni, ora che lascia, non sono molto diverse da quando raddoppiò (Andrea Fabozzi - Il Manifesto)
Delle due condizioni che aveva indicato all’inizio del secondo mandato - «resterò presidente fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e fino a quando le forze me lo consentiranno» - se n’è dunque verificata almeno una. Giorgio Napolitano lascia, e nel farlo insiste sul peso degli anni. Un dato di fatto: «Ho il dovere di non sottovalutare i segni dell’affaticamento». Ma si è anche creata quella condizione di «sicurezza» del paese che il presidente cercava? Aveva preso l’incarico di orientare, e per un tratto ha direttamente guidato, una faticosa transizione; se ne vede l’approdo? Questo neanche Napolitano riesce a dirlo. Nell’ultimo messaggio di capodanno cerca di indicare una speranza - ma l’ha sempre fatto e sempre è andata delusa. Il vecchio presidente fa un piccolo elenco di successi, tutti parziali, incerti e discutibili. La scommessa del doppio mandato «eccezionale» non è vinta. Lascia e non siamo lontani dal punto in cui aveva raddoppiato [...]
Il capo dello stato ha fatto un ultimo regalo al giovane premier, del quale approva esplicitamente ogni scelta politica. Aspetterà almeno altre due settimane prima di far avere le sue dimissioni alla presidente della camera; lo avesse fatto già a capodanno la convocazione delle camere in seduta comune con i delegati regionali avrebbe sbarrato troppo presto la strada parlamentare delle «riforme». Che invece così (almeno quella elettorale) possono fare un altro passo, che non è ancora quello definitivo. Il presidente le approva entrambe, anche la revisione costituzionale scritta dal governo e fatta ingoiare al parlamento con costante minaccia di voto anticipato. Non è la riforma che aveva applaudito ai tempi di Letta, né quella che aveva incoraggiato quando si preoccupava di mettere al centro sempre la separazione dei poteri. Ma è qualcosa per riempire il bilancio del novennato.
La scelta del suo successore «sarà una prova di maturità e responsabilità nell’interesse del paese», dice agli italiani il capo dello stato uscente. Ed è appena un auspicio. I giochi sono tutti da farsi e lo stesso Napolitano qualche pedina muove, quando dice che le sue «riflessioni» sul paese hanno «per destinatario anche chi presto mi succederà»: l’identikit che ha in mente non è quello di un uomo (o di una donna, visto ne cita tre su quattro «italiani esemplari») destinato a vivere nell’ombra del capo del governo.
Come nel messaggio dell’anno scorso, il presidente deve tornare a difendere la scelta di aver accettato un secondo mandato. «È risultata - dice - un passaggio determinante per dare un governo all’Italia, rendere possibile l’avvio della nuova legislatura e favorire un confronto più costruttivo tra opposti schieramenti». «L’aver tenuto in piedi la legislatura è stato di per sé un risultato importante (…) si è evitato di confermare quell’immagine di un’Italia instabile che tanto ci penalizza». Eppure: il governo delle «larghe intese», costruito al Quirinale a fine aprile 2013, ha retto nove mesi appena. Le larghe intese anche meno. A palazzo Chigi c’è il terzo presidente del Consiglio consecutivamente scelto dal Colle senza mandato elettorale. Anche questa è stabilità.
Un appello all’altruismo e alla responsabilità chiude l’ultimo messaggio di Napolitano, il presidente indica nell’impegno pubblico l’antidoto all’antipolitica che da tempo lo preoccupa. E che proprio le larghe intese, il rigore «tecnico» e le elezioni negate hanno alimentato.
Sulla crisi economica il bilancio di una sconfitta: «Tutti gli interventi pubblici messi in atto dall’Italia negli ultimi anni stentano a produrre effetti decisivi». Sconfitta per chi tutte quelle misure di austerità ha approvato e spinto ad approvare, fino a chiedere alle minoranze e ai sindacati di non mettersi di traverso. Quanto al fatidico semestre di presidenza italiana in Europa, «l’Italia ha colto l’opportunità per sollecitare un cambiamento nelle politiche», dice Napolitano. C’è stato questo cambiamento? Nemmeno lui può affermarlo, lo facciano altri: «Renzi tirerà le somme dell’azione critica e propositiva svolta a Bruxelles». E ancora le riforme. Non c’è più un’ombra di quello spirito di «condivisione» che proprio il capo dello stato ha sempre raccomandato. Il rapporto con una parte della non maggioranza passa per un patto segreto che ha assai poco dello «spirito costituzionale». Eppure devono andare avanti «senza battute d’arresto» insiste Napolitano. Che ha ormai superato anche il doppio binario che teorizzava con Monti e Letta - al governo l’economia, al parlamento le riforme. Faccia tutto Renzi.
Infine le parole dure contro la corruzione, a tutti piaciute. Eppure anche in queste c’è la traccia di un equivoco, quando Napolitano riprende il gergo dell’inchiesta romana sui rapporti «tra mondo di sotto e mondo di sopra». «Sì - dice - dobbiamo bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società». E invece no, presidente. Quello marcio era il soprassuolo.
Andrea Fabozzi.
Che il Manifesto, giornale di sinistra (forse l'unico rimasto in vita) non veda di buon occhio il sostenersi a vicenda di Renzi e Napolitano, può essere scambiato per una forma come un'altra di critica ad un governo (e a chi lo sostiene) che niente ha a che fare con la sinistra. Ma il fatto che in tutto l'agire di Napolitano & Renzi persino un giornalista "vicino a Confindustria" come Stefano Folli veda un tentativo di mantenere in vita una diarchia fra Presidenza della Repubblica e Presidente del Consiglio, che si sostengono a vicenda, ognuno declamando la necessità/opportunità di "lunga vita politica" all'altro, è l'aspetto più preoccupante dell'intera vicenda.
Noi non abbiamo bisogno di "diarchie". Non abbiamo bisogno del Duo Fasano, né delle Gemelle Kessler. Noi abbiamo bisogno di un Governo che provi a governare, e di un Presidente della Repubblica che provi a fungere da organismo di controllo e di garanzia non già del Governo, ma della Costituzione. E che invece si è fin qui acconciato a non disturbare il manovratore, ma ha anzi bacchettato chi il manovratore che parla troppo e si distrae mentre guida ha tentato timidamente di contrastare. Noi abbiamo bisogno di un controllore cazzuto, che non permetta che si faccia tutto per decreto, per voto di fiducia, per disegno di legge con dentro il nulla.
E, per dirla tutta: cominciamo a trovare ridicola una opposizione interna che si oppone a parole e nei talk-show, e che al momento dell'ennesimo voto di fiducia corre "per disciplina di partito", o perchè - per dirla con Bersani - "non si vota contro la Ditta" - a dare l'ennesimo voto di fiducia ad uno che non ne meriterebbe alcuna. Quindi dico a TUTTI (al prossimo Presidente della Repubblica, ma anche ai Cuperlo, ai Fassina, ai Bersani), che è ora di decidere se vogliamo ancora essere rovinati da Renzi fino al 2018, o se non sia giunto il momento di far valere, almeno una volta ogni dieci, ciò che ci dicono scienza e coscienza. A volte la Ditta la si manda in malora obbedendo "sempre e comunque" ai voleri dell'Amministratore Delegato. Che a volte può essere anche una mezza calzetta. E se nelle ditte accade (raramente, ma accade) che i dipendenti si rivoltino contro il management, DEVE poter accadere anche in un Parlamento esautorato, che sbraita e poi approva. Di tutto, di più. E' la Costituzione, e non i "gufi", chq assegna ai parlamentari il diritto/dovere di operare "senza vincolo di mandato".
E' ora di mandare Renzi a fare il Sindaco di Rignano sull'Arno, affinchè possa continuare così la dinastia di suo padre.
Tafanus
0701/0615/1630
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