Recensione del film "CORRI RAGAZZO CORRI" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Lauf Junge lauf
Regia: Pepe Danquart
Principali interpreti: Andrzej Tkacz, Jeanette Hain, Rainer Bock, Itay Tiran, Katarzyna Bargielowska, Zbigniew Zamachowski, Elisabeth Duda, Urs Rechn, Sebastian Hülk, Grazyna Szapolowska, Olgierd Lukaszewicz, Miroslaw Baka, Izabela Kuna, Przemyslaw Sadowski – 108 min. – Germania, Francia, Polonia 2013
E’ uscito per pochi giorni questo film, ispirato a un romanzo di Uri Orlev che è la storia vera del cittadino israeliano Yoram Friedman. Il film meriterebbe una lunga permanenza nelle nostre sale, sia per la sua bellezza intrinseca, sia perché il suo contenuto storico, morale e civile dovrebbe essere conosciuto da tutti, soprattutto in un paese come il nostro, dalla memoria troppo corta. La mia recensione è un invito a chi se lo fosse perso, a vederlo, sia pure solo nella versione in DVD, che spero esca al più presto.
Dopo il rastrellamento nazista del Ghetto di Varsavia, il padre del piccolo Srulik aveva sacrificato coscientemente la propria vita pur di agevolare la fuga del suo bambino, affidandogli le ultime e terribili parole, il significato profondo delle quali egli, solo a guerra finita, avrebbe compreso compiutamente. Quelle parole paterne lo invitavano a mettersi innanzitutto in salvo, a qualsiasi costo, dimenticando il proprio nome, i suoi cari e tutto quanto di bello e di amabile egli aveva conosciuto fino a quel momento, ma gli raccomandavano anche e soprattutto di non tradire mai le proprie origini, avendo sempre e comunque presente di essere ebreo.
Iniziò pertanto, col falso nome di Jurek, la drammatica fuga del piccino attraverso le foreste della Polonia, giorno dopo giorno, in ogni stagione dell’anno, anche quando il gelo non dava tregua e la fame si faceva sentire più acuta. Durante quegli anni tremendi, prima che i soldati russi attraversassero le frontiere polacche, liberando quelle terre e anche gran parte dell’Europa dall’incubo nazista, Jurek aveva incontrato altri bambini in fuga come lui, contadini polacchi che l’avevano accolto e fatto lavorare in cambio di cibo, donne che gli avevano fatto da madre nei momenti più duri, famiglie che gli avevano insegnato le preghiere cattoliche, sperando anche in questo modo di sottrarlo alla caccia dei nazisti. Altri incontri, però, erano stati molto difficili e gli avevano rivelato il volto bestiale dell’odio, come quando si era imbattuto in uomini e donne senza scrupoli e incapaci di compassione, le cui infamie più efferate erano spesso il frutto della sete di denaro che avrebbe compensato le loro delazioni, ma anche il prodotto avvelenato del razzismo antisemita che penetrando, purtroppo, nei cuori e nelle menti, aveva imbarbarito le coscienze di troppi. A Jurek era persino capitato di vedersela con un ufficiale delle SS, che, impressionato dal suo coraggio, aveva desistito dal feroce inseguimento.
Alla fine della guerra, ormai adolescente, portando nel corpo i segni indelebili dell’ottusa persecuzione di cui era stato vittima, il ragazzo, aveva dovuto scegliere fra l’affetto protettivo della famiglia cattolica che l’aveva adottato, e l’incognita di un suo inserimento nell’orfanotrofio della Comunità Ebraica che intendeva farlo arrivare, insieme ad altri orfani, alla terra di Israele: solo allora le ultime parole del padre ne avrebbero determinato destino.
Non rivelo altro su questo film, ma ne raccomando la visione, augurandomi che siano soprattutto le scuole a utilizzarlo, perché occorre davvero che i più giovani sappiano e ricordino: a prescindere dai pregi estetici, pur presenti nella pellicola, questo è un film che deve essere visto.
Angela Laugier
2501/0615/1345 edit
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