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Scritto il 30 marzo 2015 alle 23:43 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 30 marzo 2015 alle 00:34 | Permalink | Commenti (6)
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Malgrado la vendita del gruppo ai cinesi, è stata bocciata la proposta di mettere sul mercato pneumatici con il battistrada a ideogrammi (di Michele Serra)
«L'ingresso dei cinesi in Pirelli non avrà alcuna ricaduta sull'italianità del marchio», si legge in un rassicurante comunicato stampa firmato Malco Tlonchetti Plovela. Ma la Milano che conta è comunque scossa: con la cessione dell'Inter all'indonesiano Tohir, dei grattacieli di porta Volta ai sauditi e delle Olgettine a Putin, quasi tutti i simboli dell'economia milanese sono passati in mano straniera.
La STORIA - La gloriosa casa di pneumatici è da più di un secolo uno dei baluardi dell'industria lombarda. Fu il fondatore Giovan Battista Pirelli, figlio di un umile panettiere di Varenna, a rendere davvero milanese la mescola della gomma introducendo anche le uvette e i canditi. Resosi conto che un uso commestibile del composto era impossibile, Pirelli capì, con straordinaria preveggenza, che prima o poi si sarebbe trovata una destinazione utile per quelle grosse ciambelle nere. Non sapeva che proprio in quegli anni il torinese Giovanni Agnelli, su diretto incarico del re, stava avviando la produzione in serie di grosse scatole di metallo con due posti davanti e due dietro. L'incontro tra i due tycoon fu decisivo: Pirelli spiegò ad Agnelli che applicando le ruote alle Fiat, era possibile farle muovere! Nasceva la motorizzazione di massa.
L'EVOLUZIONE - Impossibile riassumere in poche righe la straordinaria evoluzione tecnologica della Pirelli. Dalla gomma per cancellare dotata di battistrada, in grado di cancellare molto più velocemente, alle gomme da camion con calendario porno in omaggio; dallo pneumatico a lento rilascio termico, in grado di rischiarare la postazione di una o più prostitute anche per una settimana, alla gomma da masticare da neve, masticabile anche con temperature inferiori allo zero; dalle gomme autoreggenti, che esercitano un grande fascino sulla clientela maschile, agli pneumatici ricostruiti, sempre più di moda, per fare pendant, tra le signore che si sono fatte il lifting.
L'INSUCCESSO - L'unica vera battuta d'arresto di un'epopea industriale straordinaria fu quando, per il banale errore di trascrizione di una segretaria, l'ordine di produrre «un milione di treni di gomme» diventò «un milione di gomme da treno». Nonostante gli sforzi della famiglia Pirelli per convincere le Ferrovie dello Stato a sostituire i binari con nastri d'asfalto, le gomme rimasero invendute.
IL FUTURO - Esclusa, per adesso, l'adozione del battistrada a ideogrammi, che metterebbe in difficoltà i gommisti. Quasi certa, invece, la messa in produzione di gomme usa e getta, a bassissimo costo, orribili da vedere, pericolosissime su ogni tipo di strada, da vendere nei negozi cinesi di tutto il mondo. Con forte pubblicità indiretta sui telegiornali quando i Nas e la Guardia di Finanza fanno irruzione. Grande insistenza cinese per l'ingresso di Pirelli nel fiorente mercato delle unghie finte, che già ora impiega, solo in Italia, cento milioni di cinesi. Allo studio anche il progetto della linea di abbigliamento "Explosive", realizzata con indumenti gonfiabili ricavati da camere d'aria. È stata affidata a Lapo Pirelli. L'impatto con i nuovi soci cinesi è stato molto cordiale, e il management italiano conta, al massimo entro un paio d'anni, di riuscire a riconoscerli uno per uno.
I GRATTACIELI - Ben più incerto il destino dei nuovi grattacieli milanesi acquistati dagli emiri. Smentita la voce che le migliaia di impiegate che ci lavorano debbano indossare il velo: sarà l'intero grattacielo a essere velato, creando un effetto "misterioso oriente" che darà un'ulteriore patina internazionale a Expò. Quanto alle Olgettine, il passaggio da Berlusconi a Putin non sembra avere minato prospettive e umore della premiata maison milanese. «Si tratta pur sempre di avere a che fare con un tipo anziano, bassetto e pelato che si crede uno strafigo, e farsi pagare regolare stipendio per farglielo credere», dice Chantal Caparuozzolo, ex sottosegretaria alla Ricerca Scientifica e attuale portavoce delle Olgettine. Saranno ospitate in una isba alle porte della capitale russa e costituiranno anche lontano da casa un vero e proprio presidio dello stile italiano nel mondo. Stanno preparando per Putin un numero mai tentato prima: la spettacolare "posizione matrioska".
Michele Serra
0202/0615/1100 edit
Scritto il 30 marzo 2015 alle 00:30 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 29 marzo 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (1)
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Recensione del film "MARAVIGLIOSO BOCCACCIO" (di Angela Laugier)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Principali interpreti: Lello Arena, Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Flavio Parenti, Vittoria Puccini. «continua Michele Riondino, Kim Rossi Stuart, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Jasmine Trinca, Josafat Vagni, Eugenia Costantini, Miriam Dalmazio, Fabrizio Falco, Melissa Anna Bartolini, Camilla Diana, Nicolò Diana, Beatrice Fedi, Ilaria Giachi, Barbara Giordano, Rosabel Laurenti Sellers, Niccolò Calvagna – 120 min. – Italia 2015
Il Maraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani è un film un po’ spiazzante per chi non ce la fa a dimenticare Pasolini e la lettura personalissima che il nostro grande intellettuale diede del Decameron nel 1971. Quella pellicola* rifletteva sia la weltanschauung pasoliniana, sia il clima degli anni che immediatamente seguivano il ’68, quando nei giovani era ancora viva la speranza di costruire una società diversa, fondata non sull’ipocrisia delle leggi morali e religiose, ma sulla libertà dei comportamenti secondo natura. Non può stupire, perciò, che oggi, in una temperie del tutto diversa, il Decameron si presti ad altro tipo di lettura, forse meno affascinante e meno vivace: è tipico dei grandi capolavori del passato, del resto, offrire infinite possibilità di approccio e di interpretazione.
I fratelli Taviani, per loro libera scelta, hanno attribuito alla cosiddetta Cornice, cioè all’antefatto dei racconti, una parte importantissima, sviluppando perciò molto ampiamente, in rapporto alla durata del film, il tema della peste del 1348 (e della morte, pertanto) e attribuendo ai dieci giovani, che casualmente si erano incontrati in Santa Maria Novella e che avevano deciso di allontanarsi dalla città, un ruolo di maggiore rilievo di quanto non abbiano nelle pagine boccacciane. In conseguenza di questo i registi hanno ridotto a cinque le novelle rappresentate (che qui appaiono come unità a sé stanti, ben staccate dai narratori)**, scelte secondo le loro predilezioni di lettura, stando almeno a quanto essi stessi hanno più volte dichiarato. Lo scenario della cornice si presenta con l’anacronismo vistoso della villa La Sfacciata, costruzione sui colli fiorentini non trecentesca, ma di pure linee pre-rinascimentali (è infatti quattrocentesca) all’esterno; mentre alcuni mobili dell’arredamento interno sono riccamente scolpiti, secondo gli usi patrizi in pieno Rinascimento. Molto belli i costumi indossati dai giovani, che però ricordano più quelli di Gabriele Rossetti e dei Preraffaelliti, anche per la stilizzata corrispondenza al paesaggio, che quelli dei Toscani del ‘300. Sottolineando queste cose, non intendo affermare che siano difetti del film, ma semplicemente indicarne chiaramente i criteri di realizzazione che non rispondono allo scrupolo filologico (non presente neppure in Pasolini, d’altra parte!) di chi intende ricostruire con precisione lo scorcio di un’epoca, ma rispondono piuttosto al gusto e alla cultura dei due autori, da sempre molto attenti alla densità del colore, alle suggestioni visive, alle corrispondenze musicali. Il difetto più grave del film, invece, è nella pessima qualità della recitazione degli attori dei quali pochi si salvano: sono quasi tutti impacciati e poco espressivi, ciò che diminuisce di molto il piacere di chi lo guarda.
Peccato!
*costituiva la prima parte della Trilogia della vita, seguita nel 1972 dai Racconti di Cantebury e conclusa nel 1974 con Il fiore delle Mille e una notte
**in Pasolini erano dieci; l’insieme del film conteneva, tuttavia, numerosi riferimenti ad altre novelle.
Angela Laugier
0102/0615/1645 edit
Scritto il 29 marzo 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Strane cose accadono in quello che è stato il partito di Longo, di Ingrao, di Berlinguer... Ciò che ieri, con Letta al governo, era un obbligo morale per la Cancellieri (dimettersi senza neanche essere inquisita per rapporti troppo amichevoli con Ligresti) oggi non costituisce obbligo morale per Maurizio Lupi, "reo" dello stesso tipo di comportamento "improprio".
Oggi Renzi e i suoi vassalli criticano la vittoria alle primarie "aperte" di Agrigento, vinte per il PD da un bellimbusto di Forza Italia, e dicono che non candideranno il bellimbusto, anche se costui ha vinto legittimamente (fino a prova contraria) le primarie svoltesi con i sistemi fortemente reclamati da Renzi quando doveva mettersi in gioco nelle SUE primarie contro Bersani, poi straperse. Ricordate? Risse continue di "Renzi contro tutti" affinchè le primarie fossero libere e aperte a cani e porci, e non riservate ai "condomini" del PD. Tutto bene finchè le primarie del PD sono state vinte da margheriti vicini all'erede di De Mita, ma adesso che la destra usa - come da suo diritto - le "primarie libere" volute da Renzi, il risultato "non vale". Come ogni topo d'oratorio, Renzi gioca finchè lo lasciano vincere. Ma appena qualcun altro osa vincere con le regole dettate da Renzi ed accettate dai suoi fedeli servitori, si porta via il pallone e non si gioca più.
Ormai sopporto male "Repubblica", che a volte scrive marchette a Renzi peggiori di quelle che si possono leggere sul Corrierone o sul giornale di Confindustria. Sopporto Repubblica per abitudine, per pigrizia, perchè lo compro da quando era al suo numero zero, ma non credo che potrò andare ancora avanti per molto... Trovo insopportabile che quello che è stato un giornale d'informazione faccia i titoloni sui ben 79.000 assunti fra gennaio e febbraio con contratti a tempo indeterminato, e trova il modo di suggerire che il merito sia del "Giobatta", approvato solo in marzo. Dimenticando di dire che anche per semplici ragioni di turnover, 80.000 assunti in due mesi ci sono sempre stati, anche nei momenti peggiori della crisi. E - quel che è peggio - "dimenticando" che non abbiamo, per ora, alcuno strumento per capire se stiamo parlando di nuovi posti di lavoro, o di trasformazioni di contratti in essere. Prendi i 24.000 euri e scappa. Lo sapremo, forse, solo quando e se usciranno dati affidabili sul numero totale di occupati. Perchè laddove gli occupati non crescessero, o addirittura dovessero dimunuire, vorrà dire che il giobatta avrà avuto lo stesso magnifico effetto degli ormai mitici 80 euri, dati all'elettorato di riferimento di Renzi, piuttosto che ai più bisognosi.
Come qualcuno avrà notato, ormai di Repubblica riprendo quasi sempre articoli "non allineati": alcuni articoli di Fubini sui temi economici, molti di Francesco Merlo. Del primo apprezzo molto l'indipendenza dagli "ordini di lavoro" della direzione di Repubblica, e la competenza in campo economico: del secondo, indipendenza, e quel sottile filo ironico che contraddistingue certi siciliani colti, che hanno conservato il piacere della "parola in più", della citazione colta, della coltellata che fa male ma che non può essere "portata in giudizio". Ecco come illustra Francesco Merlo la storia delle tante etiche a geometria variabile del renzismo...
Candidabili e no. Le morali del Pd (di Francesco Merlo - Repubblica.it)
O le dimissioni del ministro Lupi diventano codice d'acciaio, oppure finiranno per essere archiviate come la punizione del perdente, l'amputazione della parte politica più esposta. E possiamo permetterci di dirlo noi che abbiamo alzato la voce in nome della politica e non del codice penale. E infatti Lupi, che non era indagato, è stato costretto a dimettersi.
C'è invece nel Partito democratico una combriccola di indagati e di condannati che resiste. E c'è una tribù di mascalzoni politici che Renzi finge di subire ma che in realtà premia con la strategia gommosa della dissimulazione onesta.
"Se consentiamo di stabilire un nesso tra avviso di garanzia e dimissioni - dice Renzi - diamo per buono il principio per cui qualsiasi giudice può iniziare un'indagine e decidere sul potere esecutivo". Ma l'idea opposta, e cioè che la politica possa annullare le ragioni della giustizia, non è garantismo. È impunità. Come se il partito avesse il potere medievale di rendere innocente un colpevole e viceversa. Insomma, più che al Montesquieu illuminista di Renzi, questa schiuma rimanda al dosaggio dei veleni, al potere come saga dei Borgia e ai fabbricatori di dossier: "Riservato per il Duce". Mussolini archiviava le informative sui nemici e soprattutto sugli amici che tanto più gli erano fedeli quanto più erano ricattabili. Erano, per dire, insospettabili i toscani Wladimiro Fiammenghi e Alfredo Peri e il modenese Graziano Pattuzzi coinvolti nel sistema Incalza.
E però ci sono i crani di Lombroso nel Pd romano contagiato da Mafia capitale sino ad Ostia Antica. "È pericoloso e dannoso" ha scritto Fabrizio Barca. Ma come sempre è il sole allo zenit che meglio rovescia i luoghi comuni. Leggete cosa ha scritto ieri su Facebook Claudio Fava che, della lotta alla mafia è il testimone più limpido e fiero: "Perché il Pd non candida a sindaco di Enna Mirello Crisafulli (prosciolto) e candida a presidente della Campania Vincenzo De Luca (condannato)? Perché ritiene impresentabile Crisafulli e si tiene al governo quattro sottosegretari indagati?".
I quattro sono Francesca Barracciu e Davide Faraone, e poi Filippo Bubbico e Vito De Filippo. Nella mancanza di regole anche la buona notizia del proscioglimento del quinto, Basso De Caro, aggroviglia il nodo. La domanda chiave rimane infatti quella di Fava su Crisafulli, al quale sarebbe stata inflitta "una porcata". E certo Fava può permetterselo perché contro Crisafulli ha speso metà della sua vita politica: "Gli si rinfaccia questa sua esuberanza gogoliana, la panza e l'effervescenza del temperamento... Lo si considera adatto a fare il segretario provinciale del partito ma inadatto a candidarsi a sindaco".
Per la verità nessuno ci obbliga a scegliere tra Crisafulli e De Luca. E l'indecenza politica, anche se assolta penalmente, rimane indecenza. Anzi, dal punto di vista amministrativo, De Luca ha fatto di Salerno una delle più vitali e solari città del Sud. Come Fava mi insegna, il notabile De Luca è la versione salernitana del siciliano Crisafulli, e anche dei notabili Tosi e Bitonci, e Formigoni e Lupi. La differenza? È in nome della sinistra che De Luca e Crisafulli mettono se stessi al di sopra di tutto, anche loro unti del Signore.
Scrive ancora Fava introducendo l'argomento trans gender: "Posso dirvi che mi sembra cento volte più impresentabile e pernicioso un campione dell'antimafia dei pennacchi come Crocetta, col suo circo di turibolanti che lo protegge?". E si capisce qui che solo nel cerchio dannato della Sicilia, dove un'antimafia indaga su un'altra antimafia, si poteva arrivare all'incappucciato di Forza Italia, Silvio Alessi, che ad Agrigento ha vinto a man bassa le primarie del Pd, con visita di rispetto a Berlusconi ad Arcore del presidente regionale dello stesso Pd Marco Zambuto.
Ovviamente sono state cancellate queste prime primarie transgeniche, un vero mostro di verità che, come sempre dalla Sicilia, illumina il labirinto-Italia. E infatti si capiscono meglio anche le primarie annullate a Napoli e quelle impiastricciate ma confermate a Genova nonostante la denunzia di Cofferati e la forza delle prove. Raffaella Paita, moglie del presidente dell'autorità portuale (meglio non farsi mancare nulla in famiglia) è rimasta in sella, ma il suo avversario Luca Pastorino non ha riconosciuto la vittoria e si è candidato anche lui a governare la Liguria.
Un pasticcio? Nulla esprime meglio il "pasticcio Pd" di quel prosciolto Crisafulli condannato dal partito e di quel condannato De Luca prosciolto dal partito perché controlla tantissimi voti con l'aria guappa del boss del Mediterraneo. Ecco: più grave della protervia del condannato c'è la complicità del Pd con il reo: "È il nostro candidato. Tocca a lui sconfiggere il centrodestra", ha detto ieri Luca Lotti. Ma tutti sanno che, appena eletto, De Luca dovrebbe subito dimettersi per poi sperare in un ricorso e in un reintegro.
Diceva Giuseppe Tatarella: "'Mbroglio aiutami tu". E va bene che Napoli rende possibile anche l'impossibile, e che solo al sud la sinistra non è più obbligata a somigliare alla sinistra, ma la doppia resistenza alla legge, quella del sindaco De Magistris, che pure fu uomo di legge, e quella del futuro governatore De Luca, che almeno uomo di legge non è stato mai, potrebbe ben presto fare della Campania il laboratorio del lazzaronismo di sinistra, una sorta di Venezuela d'Italia, la fortezza dei descamisados. Insomma, tutto il contrario della rivoluzione renziana, l'opposto della Leopolda. Altro che tablet, twitter e iPhone. Qui è il Pd che torna al gettone telefonico e ai cannoli.
Francesco Merlo
0102/0615/1030 edit
Scritto il 28 marzo 2015 alle 16:23 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 27 marzo 2015 alle 23:47 | Permalink | Commenti (1)
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...ciò che resta di 150 vite...
Oggi che diversi paesi piangono i loro morti, mi viene amaramente alla mente una vergognosa serie di articoli di giornali tedeschi sull'affaire Schettino. Non vorrei essere frainteso. Per me Schettino rimane un vigliacco, i cui comportamenti sono esattamente all'opposto di quelli che avrebbe imposto l'etica del mare.
Quello che invece non mi torna, e che non accetto da nessun giornale tedesco, è che "uno Schettino poteva nascere solo in Italia". Troppo facile, oggi, dire che solo in Germania si poteva mettere in mano a un malato di depressione la vita di 150 persone? Oggi, leggendo del percorso clinico e formativo di Andreas Guenter Lubitz, mi vengono in mente certi inquietanti personaggi dei telefilm sul "tenente Derrick", ma non mi è mai venuto in mente di dire che quei personaggi possono nascere solo in Germania.
Col passare delle ore, abbiamo sempre più riscontri sulla grave forma di depressione di cui soffriva questo ragazzo; di questi riscontri non prendiamo i dettagli da qualche giornaletto italiano di gossip, ma da giornali ed organismi che non possono essere proprio accusati di essere antitedeschi. Parliamo di "Der Spiegel" che usa "fonti della Lufthansa e della Procura di Duesseldorf". Parliamo di "Bild", che ha avuto accesso a documenti dell'Autorità Tedesca di supervisione del traporto aereo, che aveva trasmesso le sue informative alla Lufthansa. La Lufthansa SAPEVA.
Ecco come sintetizza il tutto IlSole24Ore:
La polizia che giovedì ha perquisito le due case del co-pilota dell'aereo Germanwings schiantatosi sulle Alpi Francesi ha riferito di aver fatto una scoperta «molto significativa», una traccia che potrebbe spiegare cosa abbia spinto il giovane nella sua follia omicida. Intanto la stampa tedesca sostiene che Andreas Lubitz si era appena lasciato con la compagna che avrebbe dovuto sposare il prossimo anno.
Secondo Spiegel, che cita «fonti della Lufthansa», la ragione per cui il 27enne interruppe la sua formazione aeronautica, nel 2009, fu una grave depressione, che gli diagnosticarono all'epoca e per la quale riceveva ancora assistenza terapeutica.
Più in particolare, gli inquirenti della Procura di Dusseldorf hanno trovato indizi di una malattia psichica di Lubitz, nella perquisizione della sua casa. Lo scrive Spiegel online, riferendo indiscrezioni sulle indagini in corso sul caso del copilota che avrebbe intenzionalmente fatto precipitare l'aereo di Germanwings.
Gli inquirenti hanno perquisito tanto la casa dei genitori a Montabaur, un'elegante cittadina a nord di Francoforte, che il suo appartamento all'ultimo piano di una palazzina residenziale di Dusseldorf, portando via un computer, un portatile ed altri documenti. Il giovane, che aveva sofferto di una crisi depressiva nel 2009 e, secondo Bild, attraversava «una crisi di vita personale», si divideva tra le due case, quella in cui vivono i benestanti genitori e un fratello minore, e l'elegante appartamento a Dusseldorf, che pare condividesse con una fidanzata. «Volevamo cercare qualcosa che potesse spiegare l'accaduto», ha riferito al termine delle quattro ore di perquisizione un portavoce. «Abbiamo trovato qualcosa che ora analizzeremo. Non possiamo dire cosa sia al momento, ma potrebbe essere una traccia molto significativa per spiegare cosa è successo. Speriamo possa dare qualche spiegazione».
Il tabloid Bild rivela che ha avuto accesso ai documenti ufficiali dell'Autorità tedesca di supervisione del trasporto aereo. Il 27enne, rivela il giornale, ha attraversato «un episodio depressivo pesante» nel 2009 ed è stato sottoposto a cure psichiatriche. Da allora Lubitz seguiva un trattamento «medico particolare e regolare». Queste informazioni, aggiunge il quotidiano, erano state trasmesse a Lufthansa, la compagnia aerea tedesca della quale fa parte Germanwings.
COS'E' IL "BURNOUT"
La malattia di cui soffriva Lubitz, e di cui TUTTI erano informati. Leggiamolo cos'è in QUESTO ARTICOLO della psicoterapeuta Paola Vinciguerra:
"Il burnout è intorno a noi, lo stress lavorativo è la malattia moderna. Il lavoro, oggi più che mai, può provocare un altissimo livello di stress che porta il lavoratore ad uno stato psicologico molto delicato che in alcuni soggetti può diventare molto pericoloso e causare atti che potrebbero mettere in pericolo la vita di chi ne soffre e di chi gli sta accanto".
Lo afferma Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e presidente Eurodap, Associazione europea disturbi da attacchi di panico, commentando la strage che il copilota dell'aereo della Germanwings avrebbe provocato proprio a seguito della sindrome di burnout.
Per l'esperta non è detto che "ogni forma di forte stress possa portare a commettere atti criminali o gesti aggressivi, ma il rischio concreto c'è se lo stress non viene gestito. In presenza di burnout non ci troviamo di fronte a una situazione di stress momentaneo, dove l'aumento della tensione per raggiungere un obiettivo ci rende più lucidi, efficienti, quasi instancabili, seguita da una fase di rilassamento, di pace, di soddisfazione. Siamo sempre in guerra al lavoro e anche quando siamo a casa. Perché lo stress logora il fisico e la mente. E non si può far finta di niente. Soprattutto in un lavoro come quello del pilota bisognerebbe garantire riposi adeguati, non turni massacranti perché il recupero fisico e mentale è molto difficile".
Ecco i sintomi psicologici: irritabilità, ansia, tristezza, depressione, insicurezza, inadeguatezza, paura, panico, tendenza a comportamenti compulsivi. Tutto ciò provoca anche disturbi fisici come cefalea, insonnia, disturbi della memoria, ipertensione, disturbi dell'apparato digerente, impotenza.
"Questo quadro clinico preoccupante e complesso dipende dal fatto che la situazione di continuo stress va ad alterare il funzionamento cerebrale del sistema nervoso del simpatico e del para-simpatico, producendo sintomi e patologie anche molto gravi, rendendo l'immagine del futuro sempre più minacciosa. Un circolo vizioso distruttivo e patologico che dobbiamo assolutamente interrompere", conclude l'esperta.
P.S.: La Germania ha pagato un alto tributo di sangue a questo malato, e IN QUESTO MOMENTO merita comprensione e rispetto. Ma poi, metabolizzato il lutto, la Germania e i suoi organismi dirigenti facciano una bella terapia collettiva di autocritica, e se possibile diventi più cauta nell'elargire quotidianamente pagelle a destra e a manca in tutti i campi. TUTTI hanno i propri scheletri nell'armadio. Vero, Signora Merkel?
Tafanus
3101/0615/1615 edit
Scritto il 27 marzo 2015 alle 11:25 | Permalink | Commenti (22)
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Scritto il 27 marzo 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 26 marzo 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Non ha più il sostegno della lobby di Cl. E ora l'indagine di Firenze con i favori al figlio investe il politico del Ncd. Che ha costruito il suo sistema di potere cercando di tenere insieme destra e sinistra (di Gianfrancesco Turano - l'Espresso)
Non aspetti il tuo lavoro ideale ma ti metti in gioco. Anche per me è stata la stessa cosa. Ho venduto bibite a San Siro, ho dato ripetizioni, ho insegnato religione in una scuola media al quartiere Tessera, estrema periferia ovest di Milano, e ho fatto pure l'autista. Anche se non mi piaceva molto guidare».
Maurizio Lupi si è raccontato così alla fanzine della sua fondazione "Costruiamo il futuro" nel maggio del 2013, poco dopo essere diventato ministro delle Infrastrutture e dei trasporti nel governo di Enrico Letta. È sempre stato quello il lavoro ideale per lui. Il ministero delle Infrastrutture ha consentito a Lupi di fare ciò che fa meglio: creare relazioni e consenso diffuso. Il Mit non si occupa soltanto di infrastrutture e trasporti. È anche il ministero delle Inaugurazioni e del Trasversalismo, delle coop rosse, di quelle bianche e della Compagnia delle opere (Cdo), dell'Expo di Milano e di chi l'ha voluta, con Lupi fra i padri fondatori. È il ministero dei nuovi aeroporti, dei nuovi porti, delle nuove autostrade, del Mose, del tunnel del Brennero, dell'alta velocità ferroviaria a ovest, a est e a sud, dei grandi lavori in ritardo, zavorrati dai costi delle mazzette, spesso inutili ma gestiti in armonia fra un pugno di grand commis di Stato e i costruttori.
È il posto giusto per uno come Lupi, stakhanovista del lavoro e delle presenze a "Porta a Porta". Ed è il lavoro ideale per chi non ama guidare. Il Mit fornisce autisti di primissimo ordine. È il paradiso dei gattopardi, dominato da un'alta burocrazia che non cambia col cambiare dei fattori politici. Fino allo scorso gennaio l'autista principale era Ercole Incalza, mister sette governi, finito in carcere lunedì 16 marzo dopo oltre un quarto di secolo a fare il bello e cattivo tempo negli appalti della Prima e della Seconda Repubblica.
In gennaio Incalza si era messo in disparte, forse inquieto per un tintinnare di manette annunciato dalle interpellanze dei grillini fin dal luglio scorso. Ma non c'è stato il tempo di capire se il suo sistema di potere era davvero finito o se, più verosimilmente, proseguiva con altri mezzi. Forse lo spiegheranno i magistrati fiorentini. Forse sarà lo stesso Lupi a chiarire come mai suo figlio avesse un lavoro procacciato da Stefano Perotti, anche lui arrestato in quanto perno di un sistema tangentizio tanto efficace quanto elementare con le società di ingegneria del gruppo Spm a fare da cartiera per lavori inesistenti.
La raccomandazione "triangolata" per il figlio Luca Lupi e il Rolex da 10 mila euro come regalo di laurea sono circostanze imbarazzanti per un politico che dichiara 282 mila euro di imponibile annuo, ha una Fiat 500 di proprietà, una casa, 31 mila euro di Btp, 5 mila euro in azioni Fiera di Milano e 50 euro di quota della cooperativa Tempi, editrice presieduta da Luigi Amicone e amministrata in passato da Franco Cavallo, faccendiere in quota Cdo finito in carcere con Incalza. Le spese per la campagna elettorale del 2013 hanno prezzi semipopolari e sfiorano i 59 mila euro. I costi di viaggio e missione fino al dicembre 2014 non raggiungono i 10 mila euro per trasferte a Bruxelles, a Genova e quattro giorni a Singapore per parlare di collaborazione fra autorità portuali. Insomma, il discepolo di don Giussani è uno che può vivere del suo, che non abusa dell'altrui e che è stato creduto senza difficoltà quando ha smentito i contatti con Gianstefano Frigerio, un altro highlander della Prima Repubblica finito in carcere per l'Expo dieci mesi fa.
Per dirla con Agatha Christie, Frigerio è un indizio, Frigerio più Incalza sono una coincidenza e solo un terzo indizio sarebbe una prova. Ma la pressione sull'esponente del Ncd è destinata a salire.
Di recente qualcuno lo ha visto immerso in preghiera nella cattedrale milanese di Sant'Ambrogio, a due passi dall'Università Cattolica dove è incominciata l'avventura politica del figlio di immigrati abruzzesi sotto le bandiere di Comunione e liberazione. Ma le bandiere invecchiano e le amicizie si logorano. Il primo incarico ministeriale, confermato da Matteo Renzi, aveva offerto all'ex venditore di bibite allo stadio la possibilità di rinnovarsi.
Da buon maratoneta e fondatore del Montecitorio running club, l'ex vicepresidente della Camera ed assessore all'Urbanistica con Gabriele Albertini sindaco stava ricostruendo la sua carriera lungo tre direttrici: una nuova identità politica, le opportunità offerte dalle grandi opere e nuove relazioni più romane che milanesi. Bisogna vedere che cosa resterà di questo lavoro. L'abbraccio con Incalza rischia di essere letale, con soddisfazione nemmeno troppo segreta di qualche compagno di strada.
ALLEATI ED EX AMICI - Lo schema delle alleanze dello "scoppiettante Lupi" (copyright Silvio Berlusconi) procede a slalom. Molte sue amicizie sono nate in ogni zona dell'emiciclo parlamentare quando, nel 2003, Lupi organizzò l'Intergruppo della sussidiarietà, parola-simbolo dell'universo Cdo (36 mila iscritti per un giro d'affari annuo stimato fra i 70 e i 100 miliardi di euro). Intorno al mantra della sussidiarietà, verticale o preferibilmente orizzontale, si sono raccolti esponenti del centrosinistra come Enrico Letta, Pier Luigi Bersani ed Ermete Realacci. Non tutti i rapporti si sono conservati. Letta ha assistito con una certa freddezza all'autoriciclo di Lupi nel governo Renzi e Realacci ha appoggiato l'Anac di Raffaele Cantone contro il ministro che avrebbe voluto allungare la durata delle concessioni autostradali senza passare per una gara, in cambio di nuovi investimenti e pedaggi calmierati. Con Renzi non è mai stato amore anche per le radici molto differenti nel mondo cattolico dove fra Cl e gli scout Agesci cari al premier non c'è cordialità, per non parlare dell'antipatia esplicita fra ammiratori di don Giussani e ragazzi dell'Azione cattolica come il braccio destro di Renzi, Luca Lotti. Con l'ex cavaliere Berlusconi, in compenso, l'ad di Fiera Milano congressi (autosospeso) mantiene una stima che si è rafforzata nel momento del bisogno, quando Lupi non ha esitato a difendere il diritto dell'allora premier al bunga bunga. La sua veemenza è parsa fuori dal perimetro dell'etica ciellina.
Il punto dolente è proprio nei rapporti con il mondo di Comunione e liberazione che è passato dal monolitismo dei bei tempi, con Roberto Formigoni front-man per la politica, a un frazionamento degno di un movimento di estrema sinistra. Dell'amicizia di antica data fra Lupi e Mario Mauro, ministro della Difesa con Letta passato prima ai montiani e poi ai Popolari per l'Italia, rimane poco. I due hanno abbandonato il Pdl a breve distanza l'uno dall'altro ma alle Europee del 2014 Lupi si è imposto su Mauro, ex vicepresidente del parlamento di Strasburgo, come capolista della circoscrizione Nord. Gelo con Mauro significa gelo con "il Vitta", al secolo Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà e riferimento ideologico dell'intero movimento.
Anche per tenere sotto traccia il dissidio, era stata presa la decisione di non invitare politici all'ultimo Meeting di Rimini dove Lupi è ospite fisso ab ovo. Con una manovra degna del suo passato, l'ex public relation man della Fiera di Milano ha aggirato l'ostacolo grazie alla conferenza stampa del gruppo Fs che presentava proprio nel centro congressi riminese i nuovi collegamenti dell'alta velocità con gli aeroporti di Fiumicino, Malpensa e Venezia. Mentre i cronisti si accalcavano attorno al ministro, qualche sala più in là il presidente della Cdo Bernhard Scholz guidava un dibattito sulla sfida della crescita disertato dalla stampa.
Con queste premesse la candidatura di Lupi a sindaco di Milano, che tutti danno per certa fin dai tempi di Letizia Moratti, diventa improbabile e forse nemmeno così attraente. Da un lato, la macchina del volontariato ciellino gratis et amore Dei non sembra disposta a sostenere Lupi come nelle precedenti campagne elettorali e il centrodestra è nel caos, con un Ncd guidato in tandem da Lupi e da Angelino Alfano che non si sa bene su quale base elettorale possa contare.
Dall'altro, l'aspettativa di vita del governo Renzi si è allungata fino al termine naturale del 2018. Il Mit avrà molto da fare e tanti appalti da amministrare in un'Italia dove l'economia torna a crescere. S'intende, se l'inchiesta non avrà conseguenze più pesanti.
Per minimizzare danni ulteriori, Lupi ha invocato la presunzione di innocenza nei confronti di Incalza, il capo della missione tecnica del Mit che, di fatto, aveva potere di vita o di morte sugli appalti proposti per i finanziamenti pubblici del Cipe.
Nel sito del Mit al posto del manager brindisino cresciuto alla scuola della sinistra ferroviaria Psi di Claudio Signorile e Rocco Trane c'è il nome di Paolo Emilio Signorini, incaricato ad interim. Ma il ministro ha operato altri rimpasti nello staff.
A ottobre è uscito il capo della segreteria Emmanuele Forlani, citato nell'ordinanza della Procura fiorentina per un vestito da 700 euro in regalo. Forlani, sostituito da Luca Novara (ex Fiera Milano), era un lupiano della prima ora, coinvolto nella fondazione "Costruiamo il futuro" e segretario dell'intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà celebrato da un incontro al Meeting 2011 con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Enrico Letta e Vittadini. Forlani si è dimesso per stanchezza, dicono alcuni. Altri notano che la stanchezza è in parte dovuta all'ascesa nello staff del capo di gabinetto Giacomo Aiello, avvocato dello Stato ed ex consulente della Protezione Civile con Guido Bertolaso. Anche Aiello è citato nei documenti della Procura per i suoi scontri con l'ex provveditore di Lazio e Abruzzo, Donato Carlea.
Restano stabili le quotazioni del segretario particolare di Lupi, l'ex parlamentare Pdl Marcello Di Caterina, in passato molto vicino a Marcello Dell'Utri. Noto per avere fuso la macchina mentre correva a presentare le liste azzurre in Campania per le politiche del 2013, Di Caterina è considerato ancora oggi un buon aggancio con i berlusconiani e contribuisce a garantire quel consenso multipartisan che è il dogma di Lupi.
Nel migliore dei mondi possibili questa strategia è vincente. Nel mondo reale, il politico deve rendere conto dei suoi rapporti con gli Incalza, con i Perotti, i navigatori di lungo corso come Vito Bonsignore e Antonio Bargone, con i signori delle ruspe da Ghella a Gavio, da Navarra a Pizzarotti.
LA NUOVA AGENDA DEL MINISTERO - Sotto la guida di Lupi l'agenda del Mit si è allungata come non si vedeva dai tempi della legge obiettivo, lanciata da Berlusconi nel 2001 con Pietro Lunardi ministro.
A dispetto delle ristrettezze finanziarie, lo slancio neo-keynesiano del politico del Nuovo centrodestra ha contagiato tutti i settori di attività.
La scadenza più immediata è quella dell'Expo milanese. Nella sua città Lupi ha dovuto accettare il diktat renziano che ha messo ai comandi il democrat Maurizio Martina, ministro dell'Agricoltura cresciuto nelle giovanili del sistema Sesto San Giovanni alla scuola di Filippo Penati, uno degli ex comunisti più amati dal mondo Cl-Cdo.
Lupi ha accettato di mettere in secondo piano la sua primogenitura sull'Expo perché non aveva altra scelta e perché, tutto sommato, il suo passo indietro lo colloca in una posizione che i consulenti d'impresa chiamerebbero win-win. Se Expo va bene, lui ci ha creduto fin dall'inizio. Se va male, è colpa di Martina e di Renzi.
Per adesso, di sicuro hanno fatto flop la Brebemi di Beniamino Gavio, amministrata dall'indagato Giulio Burchi, e la Pedemontana lombarda (18 mila veicoli al giorno invece dei 60 mila previsti).
Restando al settore autostradale, fra le partite più spinose che Lupi ha dovuto gestire c'è l'Anas, che anche nell'inchiesta fiorentina ha una parte importante. Fra gli incarichi dati dalla società di Pietro Ciucci a Perotti c'è la direzione lavori del macrolotto 3.2 della Salerno-Reggio dove è da poco crollato un pilastro uccidendo un operaio. Ciucci è stato messo sotto pressione dai parlamentari dell'ottava commissione del Senato per contestazioni che vanno dallo smottamento del viadotto Scorciavacche in Sicilia all'autoliquidazione milionaria del presidente. Alle audizioni davanti al presidente della commissione Altero Matteoli, ex ministro delle Infrastrutture indagato per il Mose, Ciucci si è fatto accompagnare dal viceministro Riccardo Nencini, segnalato negli atti dell'inchiesta fiorentina come uno dei politici sostenuti da Incalza. Lupi, che non si presenta in commissione dallo scorso luglio, ha voluto che fosse un democrat a sostenere il suo protetto Ciucci. Così ha messo in difficoltà l'ala del Pd che chiede aria nuova all'Anas insieme a buona parte dell'opposizione, costretta a recedere dalla commissione di inchiesta sull'Anas dopo le pressioni di Matteoli sul capogruppo forzista al Senato Paolo Romani.
Le autostrade e il possibile prolungamento delle concessioni sono centrali nella politica del Mit, che ha in gestione la vigilanza delle concessionarie. Rinviare le gare è vitale per i profitti dei due maggiori imprenditori del settore, Atlantia-Autostrade del gruppo Benetton, e le holding Aurelia-Argo della famiglia Gavio. I Benetton sono anche i protagonisti, attraverso Adr, dei nuovi progetti sull'aeroporto Leonardo da Vinci a Fiumicino, con prospettive da definire dopo l'alleanza Alitalia-Etihad, un altro accordo dove Lupi ha messo la faccia.
Il fronte alta velocità ha ripreso slancio grazie ai buoni rapporti del ministro con la dirigenza Fs, soprattutto durante il lungo regno di Mauro Moretti, oggi sostituito da Michele Mario Elia. La prospettiva è di partire con una nuova tratta al Sud, la Napoli-Bari, entro il 2018, mentre a breve termine si continuerà con la Torino-Lione e con la caduta del diaframma del tunnel del Brennero. In lista ci sarebbero anche lo snodo sotterraneo e la nuova stazione Av di Firenze. Ma si prevedono ritardi per la presenza di magistrati sui binari.
Gianfrancesco Turano
Scritto il 25 marzo 2015 alle 19:50 | Permalink | Commenti (0)
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Qualche giorno fa, tranquillizzato da un encomiastico e tranquillizzante articolo del maggior quotidiano italiano - il Corriere.it (articolo ora sparito dall'archivio), mi sono registrato sul sito swoggi.it, e ho voluto fare un'inchiesta diretta, versando il minimo consentito per iniziare a partecipare alle aste: 25 euro.
Appena iniziato il giochino, ho sentito odore di bruciato: confuse descrizioni di "crediti swoggi" che nessuno riesce a capire (non io) in che rapporto di cambio diano cogli euro versati. Aste che non finiscono mai o quasi... Morale: ho deciso che il giochino era durato abbastanza, e ho deciso di uscire dal sito. Sapevo che non avrei mai rivisto i 25 euro, ma li avevo messi in conto, come costo della mia inchiesta. Ho chiesto la disiscrizione e il rimborso. Ecco la risposta ricevuta:
Buongiorno,
Sarò grato a privati e/o siti che vorranno dare il loro contributo a diffondere questo "warning"
Tafanus
3001/0615/1545 edit
Scritto il 25 marzo 2015 alle 14:59 | Permalink | Commenti (7)
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Scritto il 25 marzo 2015 alle 11:34 | Permalink | Commenti (1)
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Clamoroso! Finalmente si sono decisi, e a "La7" hanno messo una brandina per Michele Emiliano nello sgabuzzino della fotocopiatrice...
Ieri a mezzanotte era a "Piazza Pulita". Stamattina era già in pista su "L'aria che tira"... Avrà avuto il tempo di farsi la barba e cambiarsi le mutande e la camicia?
3001/0615/0930
Scritto il 24 marzo 2015 alle 17:31 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 24 marzo 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Pochissimi omicidi, ora le cosche preferiscono usare le bustarelle. Comprando politici e funzionari, in modo da moltiplicare gli affari. E infiltrarsi ovunque. Un salto di qualità che soffoca l'economia
(di Lirio Abbate - l'Espresso)
I piccioli sono più efficaci della lupara, perché non fanno rumore e aprono tante porte. Tutte le mafie moderne lo hanno capito, mettendo da parte i kalashnikov per armarsi di mazzette o della forza intimidatoria per corrompere. E non è una buona notizia, anzi: questa metamorfosi ha già segnato un'evoluzione micidiale, capace di stringere in una morsa letale economia e istituzioni italiane.
Gli omicidi dei clan continuano a calare e hanno un profilo sempre più basso: nel 1991 erano 718, mentre nel 2013 sono stati soltanto 52, tante vendette nell'ombra senza agguati spettacolari. Basti pensare che lo scorso anno a Palermo c'è stata una sola esecuzione riconducibile a Cosa Nostra. Allo stesso tempo però cresce la penetrazione finanziaria delle cosche, che investono e muovono capitali infiniti. Tanto che l'ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia ha messo la nuova minaccia al primo posto, con un'analisi firmata dal procuratore Franco Roberti: la corruzione adesso è «fattore strategico e strumentale dell'espansione mafiosa».
L'allarme rosso nasce da tante inchieste in giro per il Paese che fanno vedere come la mafia è cambiata rispetto a vent'anni fa, soprattutto sulla penetrazione negli affari dell'Italia centro-settentrionale: dai cantieri della ricostruzione dell'Abruzzo e dell'Emilia a quelli dell'Expo milanese. Ed è frutto di un calcolo semplice: mentre i vecchi metodi violenti provocano allarme e condanne pesanti, con le tangenti si rischia pochissimo. I dati che "l'Espresso" pubblica in esclusiva rivelano che a fine febbraio su quasi 60 mila persone detenute in Italia, solo 522 erano state arrestate per corruzione. E solo la metà sta scontando sentenze definitive: gli altri hanno speranze concrete di evitare il verdetto grazie alla prescrizione che divora i processi. Lo ha sottolineato lo stesso Roberti: «Negli ultimi vent'anni si è fatto molto contro la criminalità mafiosa, sia pure in chiave emergenziale e per reagire all'esplosione di violenza stragista del 1992-93, il contrasto alla corruzione e alla criminalità economica non è mai entrato nelle strategie e negli obiettivi di alcun governo».
Le aule dei tribunali ci raccontano continui malaffari che mettono insieme mafiosi e corrotti. Non è un caso se nelle ultime indagini sulla criminalità organizzata i boss siano sempre più spesso in compagnia di dirigenti e impiegati della pubblica amministrazione, politici, magistrati, appartenenti alle forze dell'ordine, accusati di essersi piegati a colpi di mazzette e di avere in questo modo avvantaggiato i clan. E quando la "stecca" non basta ecco arrivare la violenza mafiosa a "convincere" i corrotti. I soldi cementano complicità silenziose, mentre attentati ed esecuzioni mobilitano i mass media e la reazione delle istituzioni: le pene in questi casi sono dure e la prescrizione scatta solo dopo decenni. Con le mazzette, poi, si possono costruire catene di collusione, inanellando nuove pedine sulla scacchiera di potere delle cosche: un ingranaggio che lentamente può contaminare interi settori del Paese. E oggi i boss sono quelli che hanno a disposizione più denaro liquido da spendere.
I clan si trasformano in cordate, con imprenditori, politici, funzionari di riferimento che vengono poco alla volta inglobati nella macchina criminale: finiscono a libro paga e si ritrovano ad essere parte attiva della congregazione. Nei primi anni Ottanta, quando i boss decidevano la spartizione degli appalti, in Campania e Sicilia venne creato il "tavolino" attorno al quale si sedevano mafiosi, imprenditori e uomini di partito che si spartivano gli affari. Erano soggetti distinti, adesso invece stanno diventano un'unica entità. «In realtà corruzione, criminalità economica e criminalità mafiosa sono tre facce di un'unica realtà. La criminalità mafiosa trae costante alimento dalle prime due», scrivono i magistrati.
LA MACCHINA DEGLI APPALTI - Le cordate sanno ben sfruttare le gare d'appalto con il meccanismo del massimo ribasso. Creano pool di ditte, che presentano offerte con percentuali di sconto molto simili tra di loro, variando solo le cifre decimali. Questa operazione consente di spostare la media delle offerte in modo che alla fine vince sempre una impresa del gruppo, mentre le altre rientrano nella partita con subappalti o altri contratti.
La procura dell'Aquila ha scoperto che per la ricostruzione delle case crollate nel terremoto del 2009 – sovvenzionata con denaro pubblico – era stato formulato un patto tra imprese locali, che ottenevano i lavori, e clan dei casalesi che fornivano manodopera, spesso obbligata a versare parte dello stipendio ai boss. È un'altra delle trasformazioni manageriali della criminalità, che offre servizi alle aziende: manovalanza, sicurezza, prestiti a basso tasso, ma anche – nelle regioni meridionali – la possibilità di intervenire negli uffici di comuni, regioni e organismi di controllo per garantire l'approvazione delle pratiche.
L'AFFARE DEL TERREMOTO - Il modello è Massimo Carminati, il "Cecato" che ha visto lontano, quando parla della "terra di mezzo", la zona grigia tra i "vivi" e i "morti", tra i colletti bianchi e i criminali di strada, dove «tutti si incontrano». Perché i re di denari restano comunque capaci di agire con la violenza, per imporre il rispetto dei patti e risolvere le controversie. Carminati – stando ai giudici del Tribunale della Libertà – offre una scorciatoia «necessaria all'imprenditore disonesto per risolvere i problemi che non può affidare al proprio legale; sta parlando dell'attività delinquenziale necessaria per infiltrarsi nei meccanismi della pubblica amministrazione ed inquinare il regolare svolgimento delle gare, attraverso sia la corruzione dei pubblici ufficiali che la intimidazione di quelli meno disponibili ed inclini a sottostare alle loro pretese e degli imprenditori concorrenti, riuscendo ad ottenere, così, l'acquisizione di appalti da parte di compagini riconducibili all'associazione criminale». Chi ne paga le conseguenze sono i cittadini che ricevono servizi scadenti, mentre si spreca tanto denaro pubblico.
La ricostruzione dell'Abruzzo è stata un'occasione d'oro per le joint venture delle cosche. La prefettura dell'Aquila ha bloccato 37 operatori economici, interdetti perché ritenuti collusi o oggetto di ingerenze mafiose: 28 erano impegnati in opere pubbliche e nove negli interventi affidati dai privati con l'impiego di contributi statali. Tra le ditte interdette undici hanno sede nel Nord, 19 nel Centro (di cui 12 a L'Aquila) e sette nel Sud: una mappa che fa capire come capitali e interessi mafiosi si siano infilati nella pancia di aziende locali, diventate i cavalli di troia dell'espansione. Lo stesso fenomeno si è registrato con l'Expo: delle 46 interdittive per sospette infiltrazioni criminali, con contratti per un valore vicino ai cento milioni di euro, solo undici hanno riguardato ditte meridionali. Per la superprocura, «il rischio che si crei un sistema di connessioni perverse tra società civile e "società mafiosa" che si autoalimenti è serio e reale perché la criminalità organizzata ha un'elevata capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, riesce a instaurare relazioni con la società civile e si alimenta con la collusione e la corruzione che possono essere sconfitte solo con scelte politiche forti e coraggiose e pene severissime ed effettive per chi attenta alla nostra democrazia colpendo l'economia e lo sviluppo».
Le interdittive dei prefetti fanno meno paura degli ordini di arresto. Sono misure amministrative, non si rischia il carcere: l'imprenditore può fare ricorso al Tar, che spesso accoglie gli appelli. E al limite, basta cedere la società a un altro prestanome per ricominciare il business. Così questo cancro si è diffuso in silenzio. L'attenzione è rimasta focalizzata sui fatti di sangue, sulla componente militare dei clan che, in Sicilia come in Campania, è ferma da anni: l'ultima ondata di piombo è quella scatenata dal killer casalese Giuseppe Setola, anche lui detto "o Cecato", alla fine del 2008. Una parte dell'apparato investigativo ha continuato a concentrarsi sulla minaccia dei boss a mano armata, «trascurando, invece, quella più subdola e coinvolgente della corruzione e perché, anche laddove si è parlato di vicende di corruzione connesse alla criminalità organizzata, più che sulla tecnica del coinvolgimento corruttivo, ci si è forse superficialmente soffermati solo sull'aspetto scandalistico legato al nome o agli incarichi dei pubblici funzionari coinvolti». Puntare contro la mafia militare mette tutti d'accordo, è il contrasto alla corruzione che invece crea spaccature e malumori, specie fra i politici.
L'OSPEDALE IN MANO AL CLAN - La sanità è uno dei primi campi dove i mafiosi hanno sostituito la pistola con la mazzetta, sfruttando in pieno la capacità di inserimento negli uffici delle Asl. Si è visto nella Locride, dove in alcuni centri clinici medici e capiclan vengono dalle stesse famiglie. E c'è una vicenda clamorosa, portata alla luce a fine gennaio da un'operazione della Dia, coordinata dai pm di Napoli: dal 2006 nell'ospedale di Caserta tutte le decisioni chiave sono state arbitrate da Francesco Zagaria, cognato del padrino casalese Michele Zagaria. L'uomo aveva addirittura un ufficio all'interno del nosocomio, dove decideva le nomine dei dirigenti, gli appalti, i contratti delle forniture e creava corsie preferenziali per le visite e gli esami dei pazienti cari alle famiglie. Ovviamente questo plenipotenziario agiva anche per conto della politica: all'inizio era sostenuto dall'allora segretario regionale dell'Udeur, Nicola Ferraro, che con il suo appoggio riuscì a far nominare un suo uomo di fiducia come dirigente generale dell'ospedale. Nel 2008 con la caduta del governo Prodi si passa alla "copertura politica" del Pdl campano, all'epoca controllato da Nicola Cosentino, che per gli inquirenti è rimasto il referente politico del "sistema criminale" che controllava l'ospedale casertano fino al momento del suo arresto, avvenuto nel marzo 2013. Un sistema collaudato e protetto anche dalla politica, attraverso la nomina di dirigenti compiacenti, che garantiva, a sua volta, un pieno appoggio elettorale al partito che lo sosteneva.
I magistrati non hanno dubbi: «La corruzione è un fenomeno assolutamente dilagante perché è stato per troppo tempo tollerato, in qualche modo giustificato e quindi non efficacemente contrastato né a livello giudiziario né a livello di prevenzione». Non solo: «Vi è stato un deciso arretramento su questo fronte, quando sono state assicurate ampie prospettive di impunità per il falso in bilancio, che è la premessa di ogni accumulazione di denaro nero finalizzato al pagamento di tangenti a politici e mafiosi e, quindi, rinunciando a uno strumento indispensabile per il controllo sulla trasparenza in campo economico e imprenditoriale». La soluzione per sconfiggere questa nuova mafia? La più radicale. Come scrive la Dna, «la riforma della pubblica amministrazione è necessaria per semplificare e rendere più trasparente la macchina burocratica. Semplicità e trasparenza giovano alla lotta contro le mafie, perché giovano al contrasto alla corruzione e favoriscono i controlli sugli atti della pubblica amministrazione. Ma non bastano. Perché molto spesso, soprattutto per i grandi appalti, gli accordi illeciti si fanno "a monte" saltando tutti i controlli».
Intanto il sospirato emendamento del governo sul reato di falso in bilancio è stato presentato in Commissione Giustizia del Senato, dove è in discussione il disegno di legge anticorruzione. Il presidente dell'Aula Pietro Grasso, che due anni fa è stato primo promotore di queste norme, ha accolto la notizia con queste parole, particolarmente emblematiche della vicenda del provvedimento: «C'è una buona notizia. Alleluia, alleluia! Il famoso emendamento sul falso in bilancio è arrivato e questa è una novità importante». Un primo passo, per colpire almeno il tesoro in nero che rende potenti i colletti bianchi delle famiglie.
Lirio Abbate
2901/0615/1515 edit
Scritto il 23 marzo 2015 alle 22:12 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 23 marzo 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (2)
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...finalmente Michele Serra ci svela il mistero dei confini fra paesi africani o mediorentali, che sono quasi tutti poligoni limitati da linee rette lunghe migliaia di chilometri, senza alcuna relazione con orografia, antropologia, bacini linguistici, commerciali, etnici... Tutto cominciò con la passione di Lord Francis Trelawney per il gioco "unite i puntini"...
Le potenze occidentali hanno finalmente ammesso i loro errori: tutto cominciò con le frontiere disegnate a matita (Michele Serra - l'Espresso)
Le potenze occidentali stanno facendo una seria autocritica sui gravi, storici errori che hanno contribuito a trasformare il Medio Oriente in una polveriera. «Mai più - si legge in un comunicato congiunto dei Paesi ex colonialisti - i confini degli Stati tracciati su una carta geografica con una matita. D'ora in poi useremo solo il pennarello, che ha un tratto molto più nitido e deciso».
L'ANTEFATTO - Fu lord Francis Trelawney, ministro degli Esteri della regina Vittoria, a disegnare in una tenda nel deserto gli attuali confini di Asia, Africa e Oceania, aggiungendoci, per sua generosità personale, anche uno schizzo a china raffigurante una danzatrice del ventre. Secondo i testimoni dell'epoca, l'assegnazione dei diversi Stati a questo o quell'impero coloniale fu stabilita con ammirevole imparzialità, attraverso il lancio dei dadi. Già che c'era, Trelawney tracciò sulla mappa del pianeta anche alcune località di fantasia, come Mompracem e Montecarlo. Celebre la frase che rivolse ai capi tribali che lo assistevano nel difficile compito, ancora oggi riportata dai manuali scolastici di tutto il Commonwealth: «Smettetela di urtarmi il gomito mentre tiro le righe!». Secondo testimonianze dell'epoca, gli Stati che presentano confini particolarmente sinuosi sarebbero stati concepiti da Trelawney nella sede egiziana della Gin Tonic Foundation.
L'EQUIVOCO - Meno facile spiegare i confini incredibilmente dritti, quelli che per migliaia di chilometri tagliano il deserto senza ragione apparente. Secondo alcuni storici sarebbero il frutto di un malaugurato equivoco: Trelawney, stanco del difficile lavoro, lo avrebbe sospeso un attimo per dedicarsi al suo passatempo preferito, il gioco "unite i puntini" sulla pagina enigmistica del "Times". Ma sovrappose il "Times" alla carta geografica del mondo e siccome calcava molto forte i segni rimasero impressi nei mappali sottostanti e scambiati per confini definitivi dalla sua segretaria. Secondo altri storici, la ricostruzione è assurda e tendenziosa: Trelawney non poteva essere così sciocco da cadere in un errore così grossolano. Quelle linee diritte sono del tutto intenzionali, e molto semplicemente il ministro usò la sua abilità di giocatore di "unite i puntini" anche per dividere il mondo in Paesi, per esempio unendo Samarcanda a Timbuctu, due nomi che suggestionavano da sempre la sua fantasia.
TEMPI MODERNI - Ben più raffinata la politica contemporanea. Al termine di un vero e proprio brainstorming con le migliori intelligenze diplomatiche europee e americane, presenti i ministri degli Esteri di tutto il mondo, è stato definitivamente stabilito che Irak non si scrive con la Q finale, ma con la K. Di qui l'esigenza di unificare, in tutti i documenti ufficiali e nella cartografia mondiale, la corretta grafia di quel nome. Su tutte le altre questioni all'ordine del giorno è stato deciso di prendere una pausa di riflessione. Erano presenti alla riunione anche i discendenti di Lawrence d'Arabia, considerati da sempre garanti del dialogo interculturale tra Regno Unito e mondo arabo, che hanno proposto l'introduzione della caccia alla volpe in tutto il Maghreb, ma a dorso di cammello.
IRAG E IRAX - Sono due nuovi Stati che, secondo fonti molto accreditate, sorgerebbero in Medio Oriente in aggiunta a Irak e Iran, per contribuire a disorientare eventuali aggressori. È ancora incerta la collocazione geografica, ma è già sicuro il profilo costitutivo, collaudato in secoli di storia: per evitare che il Paese possa essere oggetto di future contese, lo si depreda di ogni possibile ricchezza, dai datteri ai tappeti volanti, mettendo il tutto al sicuro in Europa. Poi si insedia un governicchio tirannico capeggiato da uno sceicco con una tovaglia a quadretti in testa e si fa a metà con lui per il petrolio. Li si chiama "paesi arabi moderati" anche se le donne sono chiuse in gabbia e costrette a cinguettare al tramonto.
I NODI DA SCIOGLIERE - Restano ancora in sospeso alcuni misteri irrisolti del mondo arabo. Per esempio, dove vengono prodotte e dove si comperano le tovaglie a quadretti che gli sceicchi sauditi si mettono in testa? E soprattutto, se si mettono le tovaglie in testa, come diavolo apparecchiano la tavola?
Michele Serra
2901/0615/0900 edit
Scritto il 23 marzo 2015 alle 07:59 | Permalink | Commenti (0)
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Diciannove su 54, il 35 per cento. Tanti sono i deputati e senatori del partito di Alfano che hanno avuto a che fare con la magistratura. Per abuso d’ufficio, turbativa d’asta e persino per concorso esterno in associazione mafiosa. Condannati, assolti o archiviati. Ecco una rassegna (di Stefano Iannaccone e Giorgio Velardi)
Dall’abuso d’ufficio alla turbativa d’asta fino al concorso esterno in associazione mafiosa. Reati da brivido quando toccano l’onorabilità e la fedina penale di un uomo politico. E non sono le uniche macchie. Riguardano i Nuovo Centro Destra finiti a vario titolo nelle maglie della giustizia. Qualcuno è stato assolto, qualcun altro archiviato. Ma c’è anche chi è stato condannato. Il caso di Maurizio Lupi – peraltro non indagato – è solo l’ultima vicenda che investe un partito che in un anno e mezzo di vita ha già collezionato tanti incidenti di percorso. Che hanno portato nelle aule dei tribunali e agli onori delle cronache 19 parlamentari su 54. Il 35%.
Percentuale che non cambia molto se si prende in considerazione l’intero gruppo parlamentare che, sia alla Camera che al Senato, unisce gli eletti del partito del ministro degli Interni Angelino Alfano a quelli dell’Udc di Pier Ferdinando Casini: in questo caso su 69 iscritti, i parlamentari attenzionati dalla magistratura salgono a 23, cioè il 33% del totale. Tanti, troppi, se consideriamo che nella squadra del governo di Matteo Renzi il Nuovo Centro Destra sta giocando un ruolo importantissimo sul fronte giustizia. Può infatti contare su un viceministro, Enrico Costa, titolare della carica proprio nel ministero di via Arenula guidato da Andrea Orlando (Pd). E poi sul relatore del disegno di legge anticorruzione, impantanato da due anni al Senato: Nico D’Ascola, ex forzista – già avvocato di Claudio Scajola e Gianpaolo Tarantini – passato nel novembre 2013 proprio nelle file del Ncd. Ma chi sono tutti questi politici? Ilfattoquotidiano.it li ha passati in rassegna.
PIERO AIELLO: senatore. È stato consigliere regionale in Calabria dal 1995 al 2013, passando dal Ccd a Forza Italia per poi finire in Ncd. Nel 2013 è entrato per la prima volta al Senato, eletto nelle liste del Popolo della Libertà. Nel luglio dello stesso anno viene coinvolto in un’inchiesta in cui è accusato di aver favorito la cosca mafiosa dei Giampà in cambio di voti. Per due volte il gip ha respinto la richiesta di arresto. Nel febbraio 2015 la Direzione distrettuale antimafia ha chiesto il rinvio a giudizio. “Ho affrontato, negli anni, numerosissime campagne elettorali senza mai promettere e/o accettare nulla e di questo possono esserne testimoni tutti”, si è sempre difeso.
ANTONIO AZZOLLINI: senatore, presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama. Avvocato, classe 1953, passa dai Verdi al Pci-Pds fino al Partito Popolare. Nella sua carriera politica ci sono poi, nell’ordine, Forza Italia, Pdl e Nuovo Centro Destra. I suoi guai giudiziari, invece, iniziano nell’ottobre 2013 quando la Procura di Trani lo iscrive nel registro degli indagati nell’inchiesta sui lavori di ampliamento del porto di Molfetta, città di cui è stato sindaco dal 2006 al 2012. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere, abuso d’ufficio, reati ambientali, truffa e falso. Per gli inquirenti l’ex primo cittadino avrebbe avallato l’opera pur sapendo che i costi iniziali sarebbero lievitati per la bonifica dei fondali marini, con un giro d’affari di circa 150 milioni. A dicembre 2014 Azzollini ha però trovato un solido supporto nei colleghi senatori: l’Aula ha negato alla Procura la possibilità di usare le intercettazioni telefoniche che lo riguardano.
GIOVANNI BILARDI: senatore. È entrato nel consiglio comunale di Reggio Calabria nel 1993, restandoci per 14 anni e facendo la trafila: Partito socialdemocratico, Ccd, Ppi e Margherita. Nel 2007 fa il salto di qualità: è nominato assessore a Reggio Calabria. Approda al Senato nel 2013 ma nel frattempo ha cambiato casacca: viene eletto col Pdl. Sul suo conto c’è un avviso di garanzia per l’ipotesi di reato di peculato nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” al Comune.
NUNZIA DE GIROLAMO: deputato, capogruppo alla Camera. Entra in Parlamento nel 2008 col Pdl. Cinque anni dopo diventa ministro dell’Agricoltura del governo Letta e in seguito, nonostante un passato da berlusconiana di ferro, aderisce a Ncd. La sua ascesa subisce una battuta d’arresto nel gennaio 2014. I fatti che la vedono coinvolta risalgono al 2012: nel corso di alcune conversazioni con Michele Rossi e Felice Pisapia, rispettivamente manager e direttore amministrativo della Asl di Benevento, la parlamentare campana avrebbe cercato di imporre le proprie nomine nell’azienda sanitaria. Messa sotto accusa, decide di rassegnare le dimissioni affermando però di essere vittima di un “linciaggio mediatico”. Iscritta nel registro degli indagati con l’ipotesi di abuso di ufficio.
ROBERTO FORMIGONI: senatore. A gennaio l’ex presidente della Lombardia è stato condannato in primo grado per diffamazione (pena sospesa) per aver definito i Radicali “criminali e maestri di manipolazione”. I suoi problemi con la giustizia non si fermano certo qui: Formigoni è infatti imputato nel processo che lo vede accusato di associazione a delinquere e corruzione in un filone dell’inchiesta sulla sanità lombarda. Secondo i pubblici ministeri avrebbe garantito protezione alla fondazione Maugeri, attiva nel settore della riabilitazione sanitaria nella Regione guidata in passato dal “Celeste”. Già in precedenza, comunque, Formigoni è finito a processo. Nel 2002 è stato rinviato a giudizio per un’inchiesta sulla bonifica di Cerro (Milano), da cui è stato assolto sia in primo grado che in appello. Nel 2009 ha ricevuto un avviso di garanzia per lo sforamento dei limiti di concentrazione delle polveri sottili in Lombardia. La sua posizione è stata archiviata.
CARLO GIOVANARDI: senatore. L’ex ministro per i Rapporti con il Parlamento del secondo e terzo governo Berlusconi è noto per le sue dichiarazioni spericolate. Una di queste gli è costata una denuncia per diffamazione. Nel corso di una puntata della Zanzara (Radio24), parlando della morte del giovane Federico Aldrovandi, disse che nella foto che ritrae il giovane privo di vita la “macchia rossa che è dietro (la testa, ndr) è un cuscino, non è sangue”. Gli atti del procedimento sono stati inviati al Senato, che dovrà pronunciarsi per far proseguire o bloccare l’iter. Lui si è sempre difeso: “Non ho mai detto che la foto è modificata”.
ANTONINO MINARDO: deputato. Nipote di Riccardo Minardo, noto alle cronache per essere stato arrestato nel 2011 con l’accusa di associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato, Antonino è stato condannato in Cassazione a 8 mesi di reclusione per abuso d’ufficio. I fatti risalgono a quando l’ex assessore provinciale allo Sport di Ragusa era presidente del Consorzio autostrade siciliane e riguardano la nomina illegittima dell’allora direttore generale dell’ente, effettuata senza selezione né utilizzo del personale già presente al suo interno.
BRUNO MANCUSO: senatore. Sindaco di Sant’Agata di Militello (Messina) dal 2004 al 2013, è approdato al Senato per la prima volta in questa legislatura. I suoi precedenti con la giustizia risalgono a un presunto reato di voto di scambio in occasione delle Amministrative del 2009. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 8 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Ma il 29 ottobre 2013 Mancuso è stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Dal 2014 il senatore è stato invece indagato per associazione a delinquere finalizzata al falso in una inchiesta della procura di Patti su un giro di appalti sospetti (“Operazione Camelot”) per un centinaio di milioni di euro e rinviato a giudizio. Prima udienza il 19 maggio.
RENATO SCHIFANI: senatore, capogruppo a Palazzo Madama. Ex democristiano, nel 1995 entra in Forza Italia e dopo aver fatto il consigliere comunale a Palermo diventa senatore. Nel 2008 viene eletto presidente del Senato, ma all’ascesa politica corrisponde anche l’avvio di una inchiesta a suo carico. Schifani viene infatti indagato per concorso esterno in associazione mafiosa per una vicenda che risale agli anni che precedono il suo ingresso in Parlamento, quando era avvocato esperto di diritto amministrativo. A ottobre 2014 la sua posizione viene definitivamente archiviata. Anche se con molta fatica. Nelle motivazioni il gip Vittorio Anania scrive infatti che “sono emerse talune relazioni con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini a detto ambiente nel periodo in cui lo Schifani era attivamente impegnato nella sua attività di legale civilista ed esperto in diritto amministrativo”. Tali relazioni che però “non assumono un livello probatorio minimo per sostenere un’accusa in giudizio tanto più che, a prescindere dalla consapevolezza dell’indagato dell’effettiva caratura mafiosa dei suoi interlocutori, tali condotte si collocano per lo più in un periodo ormai lontano nel tempo (primi degli anni Novanta). Fatti per i quali opererebbe, in ogni caso, la prescrizione”.
PAOLO TANCREDI: deputato. Dal consiglio comunale di Teramo a Montecitorio passando per Palazzo Madama. Sempre grazie a Forza Italia. La sua passione per Berlusconi si è interrotta con la fine del Popolo della Libertà. E così Tancredi ha abbracciato il progetto di Angelino Alfano. Nel 2010, quando era senatore, è stato indagato per corruzione nell’inchiesta sulla costruzione dell’inceneritore di Teramo. Il “no” all’utilizzo delle intercettazioni arrivato dall’Aula della Camera ha comunque impedito l’accelerazione del procedimento a suo carico.
N.B.: Per correttezza, e per mio costume abituale, devo sottolineare che 8 dei 19 "malaffaristi" di cui si parla nell'articolo del Fatto Quotidiano (potete aprire l'articolo completo cliccando sulla foto) sono stati da me cassati in questo post, perchè sono personaggi inquisiti o rinviati, ma successivamente assolti o archiviati. Ho quindi limitato l'elenco ("limitato" è un eufemismo, perchè restano pur sempre 11 posizioni su 54 parlamentari, cioè la bellezza di uno su cinque) a coloro che sono stati condannati, o prescritti, o non ancora arrivati a sentenza definitiva, o salvati dalla Giunta per le Autorizzazioni, e la cui posizione resta pertanto più piena di omnre che di luci.
Tafanus
2801/0615/1445 edit
Scritto il 22 marzo 2015 alle 16:00 | Permalink | Commenti (3)
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Tempo fa, eravamo stati molto criticati per aver prodotto il fotomontaggio della faccia di Angela Merkel coi celebri, famigerati baffetti di Hitler. Il fotomontaggio era stato prodotto per sottolineare l'atteggiamento dei tedeschi - e in particolare della Signora Angela Merkel - nei confronti dei paesi della UE appartenenti al c.d. "ClubMed".
La Signora Merkel ha sempre adottato una politica di estremo rigore verso chi non ce la faceva, e una politica estremamente tollerante verso la Germania. Basti ricordare che da anni la Germania non rispetta i vincoli sulla correzione dell'eccesso di surplus negli scambi commerciali cogli altri paesi UE, e che da anni la politica economica della c.d. "Unione", dominata dalla Germania e da altri paesi vassalli (i paesi nordici in particolare) ha fatto sì che la Germania godesse di enormi vantaggi competitivi in termini di minori oneri sul proprio debito pubblico.
Di quel fotomontaggio, dopo le politiche che hanno ridotto la Grecia alla fame, non solo non ci vergognamo, ma lo rifaremmo tale e quale. Si lo sappiamo... la Grecia ha imbrogliato sui conti. Ma non è stata la "casalinga di Salonicco" ad imbrogliare sui conti. E' stato l'establishment economico, legato a filo doppio a quello politico. I grandi armatori, i grandi evasori, i grandi speculatori.
L'Europa sapeva, e finchè nel rischio "Grecia" non sono rimaste coinvolte le grandi banche (e in primis quelle tedesche) nessuno si è accorto di niente. Ora, all'improvviso, la Germania si scopre integerrima paladina delle regole, molte delle quali violate dalla Germania per anni ed anni.
Far pagare con la fame, l'impossibilità di accesso alle cure mediche e all'istruzione i figli della "casalinga di Salonicco E' operazione nazista. Quando lo scrivevamo noi, eravamo "antitedeschi". Il nostro fotomontaggio era di "cattivo gusto". Posso assicurare che la fame ha un gusto molto più amaro di un fotomontaggio.
Cosa diranno i nostri critici, oggi che per una volta è Der Spiegel (che se non erro è un giornale caro ai tedeschi) a mettere in copertina la Merkel circondata da affettuosi nazisti, sullo sfondo del Partenone? Accuseranno Der Spiegel di essere un giornale antitedesco, o inizieranno SERIAMENTE a riflettere sul perchè una gran parte d'Europa inizia a vedere la Germania da un'altra prospettiva?
Tafanus
IL COMUNICATO DELL'ANSA - Angela Merkel tra i nazisti con il Partenone sullo sfondo e sopra la foto il titolo: "La superpotenza tedesca". E' la copertina choc dell'ultimo numero del magazine Spiegel che pubblica un reportage su come 'l'Europa vede la Germania'. Nel fotomontaggio la cancelliera, vestita in colori sgargianti con l'aria 'trasognata, è circondata da gerarchi del Terzo Reich in bianco e nero. A due giorni dalla prima visita a Berlino del premier greco Alexis Tsipras, la copertina ha subito scatenato forti polemiche in Germania.
2801/0615/0830 edit
Scritto il 22 marzo 2015 alle 12:00 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 22 marzo 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "VIZIO DI FORMA" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Inherent Vice
Regia: Paul Thomas Anderson
Principali interpreti: Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Eric Roberts, Josh Brolin, Benicio Del Toro – 148 min. – USA 2014.
California – 1970. Il detective privato Doc Sportello (Joaquin Phoenix) aveva visto ricomparire, nella sua casa alla periferia di Los Angeles, la donna che da un anno l’aveva lasciato, la bella Shasta (Katherine Waterston), sempre che si trattasse davvero di lei e non di un’allucinazione, non impossibile per lui, vecchio hippy alla ricerca continua di trip da marijuana. La donna, come in passato molto sexy e bellissima, adesso era anche insolitamente elegante nel vestire, segno che se la stava passando piuttosto bene, sebbene il suo sguardo tradisse una certa inquietudine ansiosa, che a Doc non era sfuggita. Egli aveva creduto alla richiesta di aiuto di lei (la vecchia fiamma non si era ancora spenta nel suo cuore), che, a sentirla, affermava di essere stata coinvolta, suo malgrado, in un oscuro complotto contro Mickey Wolfmann, il ricchissimo amante e potente boss dell’edilizia californiana, la cui moglie Sloane stava tramando per ricoverarlo in manicomio e impadronirsi del suo patrimonio. L’indagine che Doc aveva avviato nell’intento di sventare la macchinazione era arrivata un po’ tardi, poiché Mickey Wolfmann era sparito all’improvviso, e quasi contemporaneamente era sparita anche Shasta; con grande tempestività, invece, ora piovevano su di lui intimidazioni e minacce di ogni tipo, mentre strani personaggi, collegabili a Wolfmann, mostravano di conoscerlo assai bene. Si stava creando, dunque, intorno a Doc un clima confuso, quasi di colpa, senza causa plausibile, alimentato da poliziotti ambiziosi, probabili spie e agenti federali, in un crescendo di situazioni grottesche e intricate, dalle quali pareva sempre più difficile uscire.
Attenendosi abbastanza fedelmente al romanzo Inherent Vice*, dello scrittore americano Thomas Pynchon (una delle poche voci rimaste fra quelle degli hippy degli anni sessanta), il regista Paul Thomas Anderson, dopo il bellissimo The Master ci offre con questo racconto un altro grande scorcio della storia americana, agli inizi degli anni ’70, alla vigilia del Watergate. Intriso di ironico umorismo l’intreccio, in origine abbastanza lineare, è reso, come nel romanzo, vieppiù complicato per gli innesti progressivi di vicende secondarie, ma non inutili, che ne dilatano i contorni. La storia di Mickey Woolfmann, lo spregiudicato palazzinaro che aveva sfigurato Los Angeles, costruendo brutte case con vista sull’immondizia, arricchendosi con sistemi truffaldini e circondandosi di balordi neonazisti, diventa in tal modo, a poco a poco, il ritratto di un’intera città, sarabanda di corrotti e corruttori, di società segrete simil-massoniche, che, nascondendo le loro attività criminali dietro cliniche odontoiatriche o centri per il benessere, offrono copertura a qualsiasi tipo di illegalità, dal traffico internazionale di droga, a quello delle minorenni, al rapimento delle persone facoltose, depredate delle loro ricchezze e della loro identità, e allontanate dal mondo e dalla società. Tutto ciò era potuto accadere grazie alla complicità di politici compiacenti, di giudici poco interessati alla giustizia, nonché di agenti di polizia locale e federale che miravano ad arricchirsi e che si muovevano come schegge impazzite di un opaco e bulimico sistema di potere, pronte a scatenare guerre sanguinose contro i piccoli trasgressori di mezza tacca, come il povero Doc Sportello, tenace fumatore di spinelli e detective paziente e più determinato di quanto si possa credere. La Los Angeles di Pynchon – Anderson è anche l’ironica metafora di un gruppo di potere, violento e intollerante, che, azzerata la voce degli oppositori, in seguito ai delitti che nel corso degli anni ’60 avevano tolto di mezzo, a una a una, le personalità democratiche più prestigiose, non accettava, ora, neppure il dissenso della voce alquanto sfiatata degli ultimi hippy, che assai debolmente avevano cercato di cambiare il mondo. Il film, bellissimo e anche divertente è interpretato superbamente da Joaquin Phoenix e da tutti gli altri attori, fra i quali si distingue, sopra ogni altro, Josh Brolin, nella parte di Big Foot, il poliziotto carrierista, sempre sconfitto ed eterno perdente.
——–
*Il romanzo, tradotto in lingua italiana e pubblicato nel 2011 dall’editore Einaudi, porta lo strabiliante titolo, immediatamente utilizzato (che strano!) dai distributori italiani del film Vizio di forma. Inherent vice, invece significa l’esatto contrario: è il vizio connaturato ad alcuni oggetti che, proprio in quanto portatori di certe caratteristiche intrinseche (la fragilità, per esempio), vengono esclusi da qualsiasi forma di assicurazione.
Angela Laugier
2701/0615/1415 edit
Scritto il 22 marzo 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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"Basta con Renzi", il caso Lupi scuote l'Ncd - Dopo le dimissioni del ministro, il partito è sempre più diviso tra i pompieri e chi vorrebbe uscire dal governo (Fonte: repubblica.it/politica)
Le dimissioni del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi continuano ad agitare le acque all'interno del Nuovo Centro Destra con tensioni che rischiano di tracimare sulla solidità del governo. All'interno dell'Ncd sembrano confrontarsi in queste ore un'ala più intransigente, che scalpita per rompere con Matteo Renzi, ed una più accomodante, pronta ad archiviare l'incidente senza eccessivi scossoni.
"Il passo indietro di Lupi è un gesto di grande responsabilità. Da non indagato ha preferito rinunciare al suo incarico per rilanciare l'azione del governo e del nostro partito. Non ci sarà nessun ridimensionamento nella nostra presenza nel governo: è interesse del presidente del consiglio e dell'intera maggioranza", ha spiegato il capogruppo di Area Popolare al Senato Renato Schifani. "Siamo certi che il presidente del Consiglio garantirà l'equilibrio e il mantenimento della nostra forza di governo, per fare in modo che la nostra area abbia il riconoscimento che merita e che il nostro partito possa attuare il suo programma".
Decisamente più bellicosa la reazione di Nunzia De Girolamo, che è tornata a ribadire le accuse già espresse in un'intervista a Repubblica. "Non possiamo continuare ad essere subalterni nei confronti di un premier che ha una arroganza insopportabile anche nei confronti di un amico (Lupi, ndr) che non è stato difeso". La battaglia possiamo farla all'esterno, appoggiando le riforme".
Sul fuoco di questo malcontento cerca di soffiare Forza Italia, con Maurizio Gasparri che stuzzica gli ex alleati. "A Ncd dico di riflettere sulla grande ipocrisia di Renzi che ha fatto dimettere Lupi ma poi si tiene sottosegretari indagati e candida De Luca in Campania. Senza arroganza, diciamo di riflettere su cosa fare, se vogliono continuare a prendere schiaffi da Renzi che agisce in questo modo forse perché non sufficientemente incalzato o contrastato".
Intanto in questo clima di divisioni e incertezza si moltiplicano le voci di defezione e cambi di casacca, con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che ha bollato come "destituite di fondamento e messe in giro ad arte per creare destabilizzazione in Ncd" le notizie di un suo passaggio al Pd.
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Chi è l'insegnante di Etica Nunzia De Girolamo
(Quando "Nunzia" non era ancora indagata, ma solo intercettata)
L'ex ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo risulta indagata nell'inchiesta della procura di Benevento sulla Asl sannita. La circostanza - che non aveva mai avuto conferme ufficiali - emerge dalla richiesta trasmessa al al gip Flavio Cusani di proroga delle indagini preliminari che è stata notificata alla De Girolamo, ed altre cinque persone.
Sono dunque sei le persone coinvolte nell'inchiesta condotta dai sostituti Giovanni Tartaglia Polcini, Nicoletta Giammarino e Flavia Felaco.
L'iscrizione sul registro degli indagati della De Girolamo risale al dicembre scorso. I reati ipotizzati a vario titolo sono di abuso d'ufficio, truffa e turbativa di gara. Ai tre nomi già noti - Felice Pisapia (ex direttore amministrativo Asl Benevento) Michele Rossi (direttore generale Asl) e Mino Ventucci (direttore sanitario) - si sono aggiunti quelli dell'ex ministro e due suoi collaboratori, Luigi Barone e l'avvocato Giacomo Papa (Fonte: IlSole24Ore)
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Arrivano le dimissioni della Ministra, chew Enrico Letta accetta immediatamente
[...]Il premier Enrico Letta ha accettato le dimissioni del ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, assumendo momentaneamente la gestione del dicastero. Ma, naturalmente, ciò non basta per placare le polemiche del giorno dopo l'addio. Il ministro, prima di andarsene sbattendo la porta, ha infatti accusato il governo di non averla difesa a sufficienza nel momento in cui è finita nell'occhio del ciclone. E il riferimento, sottinteso ma abbastanza chiaro, è anche ad Angelino Alfano, vicepresidente del Consiglio ma soprattutto leader del Nuovo centrodestra, partito di cui la De Girolamo fa parte. Nonostante, lui, affermi di aver fatto di tutto per fargli cambiare idea [...] (Fonte: repubblica.it/politica)
Ma c'è già la "exit-strategy"
Siamo, con ogni evidenza, alle comiche finali. La bella Nunzia (qualla che nei talk-shows in TV interrompe tutti e si sovrappone a tutti), indagata per abuso d'ufficio, truffa, turbativa d'asta (...robetta...) viene insediata alla vicepresidenza di quella Giunta per le Autorizzazioni che - ove mai l'inchiesta della Magistratura dovesse richiederne l'arresto, dovrebbe decidere in merito...
Questo è un paese senza vergogna
Tafanus
2701/0615/0800 edit
Scritto il 21 marzo 2015 alle 19:26 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 21 marzo 2015 alle 12:28 | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 21 marzo 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 20 marzo 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Maurizio Lupi dovrebbe dimettersi domani mattina. È quello che si aspettano tutti, a Palazzo Chigi e ai vertici del Pd. Ma il condizionale è d’obbligo, vista la resistenza dimostrata dal ministro in questi giorni. Lupi ieri finisce di rispondere al question time a Montecitorio. E se ne va. Quasi contemporaneamente, Matteo Renzi entra in Aula, di soppiatto, evitando i giornalisti e neanche lo incontra. “Ho l’appoggio del governo”, ha detto. Ma l’evidenza plastica dei rapporti tra i due dice tutt’altro. Renzi vuole che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti se ne vada.
Lui non molla. Non ancora. Il premier non può chiedergli in maniera pubblica e diretta di dimettersi. Rischia la crisi di governo. Ma glielo dice e glielo fa dire: “Se vai avanti non ti copro”. Di più: “Guarda che se non te ne vai prima della mozione, ti faccio sfiduciare dal Parlamento”. L’altro mantiene la sua posizione. Pubblicamente: “Non ho fatto niente di male”. E soprattutto: “Riferirò in Parlamento”. Perché “è doveroso da parte mia”, come spiega anche ai colleghi di partito. Però, ora il punto non è più il “se” ma il “quando” Lupi cederà [...]
(Per leggere tutto l'articolo, clicca sulla faccia del ciellino)
P.S.: Ma renzi, che ora vuol fare pagare tutto il conto a Maurizio Lupi, non conosceva il fantastico curriculum giudiziario di Ercole Incalza? NdR
2601/0615/1345 edit
Scritto il 19 marzo 2015 alle 16:48 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 19 marzo 2015 alle 01:08 | Permalink | Commenti (1)
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(Cliccare sulla faccia del lupi per leggere la documentazione su Huiffington Post)
2501/0615/1930 edit
Scritto il 18 marzo 2015 alle 19:16 | Permalink | Commenti (0)
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Rapporti osceni fra affaristi e ministri: La telefonata a Incalza che inguaia il ministro: “Devi vedere mio figlio” - Lupi aveva garantito: mai chiesto nulla per lui. Subito dopo il supermanager chiamò Perotti (Fonte: Carlo Bonini - Repubblica)
Maurizio Lupi ha mentito. Il figlio Luca - come documentano ora almeno due diverse intercettazioni agli atti dell'inchiesta di Firenze - venne assunto da Stefano Perotti su richiesta esplicita del padre ministro.
I fatti. Nell'ordinanza depositata lunedì, la storia dell'assunzione del giovane Luca Lupi ha come apparente incipit i giorni compresi tra il 28 e il 30 gennaio del 2014, quando Stefano Perotti viene intercettato nel discutere di dove, come e quando "il figlio di Maurizio" comincerà a lavorare per lui, l'ingegnere che, da 15 anni, Ettore Incalza impone come direttore dei lavori ai general contractor delle Grandi Opere. Maurizio Lupi, che su quelle carte ha evidentemente modo di riflettere per lunghe ore, si accorge che alla storia raccontata dal gip di Firenze manca un pezzo. Il più importante. E che quel vuoto gli apre una via di uscita e la possibilità di offrire una "lettura alternativa" a quello che le carte pure sembrano già documentare in modo inequivocabile.
Decide dunque di muovere. Posando a padre cui "la politica fa pagare il prezzo alle persone che ami". Intervistato dal nostro Francesco Bei, dice: "Mio figlio si è laureato al Politecnico di Milano nel dicembre del 2013 con 110 e lode. Dopo sei mesi in America, presso uno studio di progettazione, gli hanno offerto un lavoro. Ci ha messo un anno, come tutti, ad avere il permesso di lavoro, e da marzo di quest'anno lavora a New York. Lo scorso anno ha lavorato per lo studio Mor per 1.300 euro netti al mese in attesa di andare negli Usa".
Bei insiste: "Il punto è: su sua richiesta? ". È il passaggio chiave. Il ministro risponde con enfasi: "Se avessi chiesto a Perotti di far lavorare mio figlio, o di sponsorizzarlo, sarebbe stato un gravissimo errore e presumo anche un reato. Non l'ho fatto. Ho sempre educato i miei figli a non cercare scorciatoie. Non ho mai chiesto favori per loro. Stefano Perotti conosceva mio figlio da quando, con altri studenti del Politecnico, andava a visitare i suoi cantieri. Sono amici. Così come lo sono le famiglie".
LA TELEFONATA CHIAVE - Ebbene, la storia raccontata da Maurizio Lupi sta in piedi come un castello di carte. E a farla venire giù sono due intercettazioni telefoniche che il ministro non conosce ma che fanno parte dell'inchiesta. Che le danno una sequenza logica e temporale.
È il gennaio del 2014. Luca Lupi si è laureato da appena un mese. E sappiamo già dall'ordinanza che Stefano Perotti ha già provveduto a festeggiarlo, senza che il padre trovi nulla di sconveniente, con un Rolex da 10.350 euro. È un regalo che, evidentemente, non basta. Soprattutto che non seda l'ansia di un padre che ha urgenza di vederlo sistemato. Per questo, il ministro alza il telefono e, inconsapevole dei Ros all'ascolto, chiama Ercole Incalza, l'immarcescibile mandarino che governa la Struttura Tecnica di Missione del ministero (la stanza dei bottoni degli appalti per le Grandi Opere), il Kaiser Soze delle Infrastrutture.
"Deve venirti a trovare mio figlio ", gli dice. E non c'è evidentemente da aggiungere altro. Perché quella visita ha un solo scopo. Di cui non è necessario parlare al telefono. Incalza riceve infatti il giovane Luca, sapendo già come provvederà a renderlo un ragazzo felice. E dopo averlo congedato, si mette a sua volta al telefono. Chiama Stefano Perotti, l'ingegnere che gli deve tutto e con cui è socio nella "Green Field System", la società in cui la Procura di Firenze vuole confluiscano e vengano di fatto riciclati le centinaia di migliaia di euro che sono il prezzo della corruzione delle Grandi Opere (Incalza percepisce dalla Green field 697.000 euro tra il '99 e il 2008. Mentre, solo tra il 2006 e il 2010, Perotti la alimenta con versamenti pari a 2 milioni e 400mila euro).
Anche questa conversazione tra Incalza e Perotti è intercettata dal Ros e fa parte degli atti dell'inchiesta. Anche di questa Lupi non può sapere leggendo l'ordinanza.
Incalza informa Perotti: "C'è da incontrare il figlio di Maurizio". Non c'è bisogno di aggiungere altro. Perché i due sanno evidentemente di cosa si tratta. Lo sanno a tal punto che, come ormai sappiamo, la cosa, "la triangolazione ", come la chiama il genero di Perotti, Giorgio Mor, si fa. Luca Lupi si mette l'elmetto giallo da cantiere e va a lavorare al palazzo dell'Eni a san Donato Milanese.
Sappiamo anche che non finirà qui. Che lo scorso febbraio, quando l'aria intorno a Incalza e Perotti comincia a farsi greve, si decide che è meglio per tutti che il ragazzo cambi aria. Perotti alza il telefono e chiama l'amico Tommaso Boralevi perché se lo prenda oltreoceano.
FRANK E IL PORTO DI OLBIA - La si potrebbe chiudere qui. Ma nelle pieghe dell'ordinanza è possibile afferrare almeno un altro filo che racconta di qualche altra disinvoltura del ministro. Quello che porta al cantiere per il nuovo Porto di Olbia. Si legge nell'ordinanza: "Stefano Perotti interviene su Fedele Sanciu, commissario dell'Autorità portuale del Nord Sardegna e su Bastiano Deledda, responsabile unico del procedimento, per condizionare il bando di gara relativo alla progettazione definitiva e alla direzione dei lavori per la realizzazione del nuovo terminal". E per farlo "si avvale del ruolo decisivo di Francesco Cavallo".
Arrestato lunedì, Cavallo, milanese di 55 anni ancora da compiere, si fa chiamare "Frank". Ed è un Figaro che con il ministro ha la confidenza del vecchio compagno di merende e, soprattutto, la comunione di fede e opere di Cl, di cui è creatura. Diciamo pure che di Lupi, pur non avendo alcun rapporto formale con il ministero, è l'ambasciatore e lo spicciafaccende. Le sue mosse non sono mai dritte. Ha un curriculum in cui l'uso dell'inglese dissimula il suo vero mestiere di "problem solver" o "facilitatore", se si preferisce. E di lui, Giulio Burchi, ex presidente di Italferr, al telefono con Giuseppe Cozza, già direttore generale della Metropolitana Milanese, dice: "Cavallo? È l'uomo di Lupi. Bah.... Un personaggio... Bisogna prenderlo con le pinze".
Un personaggio che in due anni (2013-2014) riceve quasi 200.000 euro dal consorzio La Cascina, il forziere di Cl, per "prestazioni professionali" di cui l'accusa non ha sin qui trovato riscontro. E che, ad Olbia, fino a quando le cose non si complicano, appare decisivo. Grazie a una storia di vacanze in barca. "È Cavallo infatti - annotano i magistrati fiorentini - a prendere contatto con Sanciu e a ricordargli di averlo in passato incontrato in barca insieme al ministro".
Sanciu cucirà dunque il bando come un vestito su misura per Perotti e tutto filerebbe liscio, se non fosse che viene avvicendato nel ruolo di commissario. Perotti proverà inutilmente un ultimo intervento su Lupi. Anche se senza successo. "Mi aspetto qualcosa sull'isola ", dice al genero Giorgio Mor. Quindi aggiunge: "Ho incontrato Luca. Pensavo avesse un messaggio da portare... Ma niente". Già, Luca. Il giovane ingegnere ridotto a staffetta carbonara e che il padre voleva assunto a sua insaputa.
Carlo Bonini
Su questo caso, si giocherà la credibilità del "rottamatore" di Frignano sull'Arno, di cui il Padreterno ci ha fatto dono preziono, affinchè moralizzasse la politica. Infatti, la legge anticorruzione sta viaggiando con la velocità delle "Ferrovie Calabro-Lucane", e della legge sulla reintroduzione del falso in bilancio si sono perse le tracce. Per ora, si vedono solo leggi e decreti che ricevono standing ovations da parte di Confindustria e di industrialotti minori, padroni delle ferriere e bottegai con l'allergia allo scontrino fiscale. Il caso Lupi (perchè di "caso" si tratta"), sarà un bel banco di prova per Matteo il Moralizzatore.
Tafanus
2501/0615/1315 edit
Scritto il 18 marzo 2015 alle 18:33 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 18 marzo 2015 alle 00:21 | Permalink | Commenti (0)
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Comunione e Libera Azione
Non è iscritto nel registro degli indagati Maurizio Lupi. Ma le buone notizie, per lui, finiscono qui. Le 268 pagine dell'ordinanza del gip Angelo Antonio Pezzuti lo documentano ministro nelle mani dell'associazione per delinquere che, negli ultimi 15 anni, ha gestito appalti delle Grandi opere pubbliche per 25 miliardi di euro. Poco più che un ventriloquo di chi di quell'associazione è il motore: l'immarcescibile Ercole, "Ercolino", Incalza, "il venditore di fumo e cipolle", "l'uomo che vuol far credere che la luna è fatta di formaggio ", come dicono di lui nelle intercettazioni.
Il Kaiser Soze delle Infrastrutture (14 procedimenti penali a carico e una sequela di assoluzioni o archiviazioni per "intervenuta prescrizione"). Così potente da "scrivere il programma del Ncd", da chiedere e ottenere la protezione di Alfano quando l'aria si fa greve e da mandargli un suo uomo, Francesco Cavallo, per cancellare un'interdittiva antimafia. Padrone a tal punto del Grande Gioco da imporre a Lupi la scelta dei suoi due sottosegretari, gli ex socialisti Riccardo Nencini e Umberto Del Basso De Caro. "Dopo che hai dato la sponsorizzazione per Nencini lo abbiamo fatto viceministro - si compiace Lupi con Incalza al telefono - Ora parlagli e digli che non rompa i coglioni. E comunque complimenti, sei sempre più coperto...".
"SE ROMPONO FACCIO LA CRISI" - Già, Lupi è a tal punto prigioniero di Incalza che, non solo - come annota l'ordinanza - va a difenderlo in Parlamento rispondendo a una lunga interrogazione dei 5 Stelle con un testo preparato dall'avvocato del grand commis (Titta Madia). Fa di più. Il 16 dicembre scorso è pronto a far cadere il governo Renzi, o comunque a giocare la carta del ricatto politico, se Palazzo Chigi dovesse insistere nel pretendere la soppressione o comunque il diretto controllo della Struttura Tecnica di Missione (di cui Incalza è presidente e che del sistema di corruzione è il perno). "Vado io - dice il ministro a "Ercolino" - Te lo dico già... Cioè io vorrei che tu dicessi a chi lavora con te che se no vanno a cagare! Cazzo! Non possono dire altre robe! Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione viene giù il governo! L'hai capito? Non l'hanno capito?".
Del resto, quello che succede negli uffici di Porta Pia sembra il segreto di Pulcinella e trova una nitida descrizione nelle parole di Giovanni Paolo Gaspari (nipote dell'ex ministro dc Remo), già alto dirigente delle Ferrovie dello Stato e consigliere del ministero. Il 25 novembre del 2013, al telefono con Giulio Burchi, già presidente di Italferr spa, dice: "Ercolino... è lui che decide i nomi. Fa il bello e il cattivo tempo lì dentro. Il dominus totale. Al 100 per cento. Non si muove foglia. Sempre tutto lui fa. Tutto, tutto, tutto! Ti posso garantire. Maurizio (Lupi ndr) crede di fare qualcosa. Ma fa quello che gli dice quest'altro". Al punto da costruirgli annualmente il "bando su misura" che lo deve riconfermare nell'incarico di capo della Struttura tecnica. "Hanno naturalmente fatto un bando che si adatta solo ad Ercolino. Cioè deve aver fatto il capo della Struttura tecnica di missione per 10 anni, se no non può concorrere... Hai capito?
GLI AMICI PEROTTI E CAVALLO - Per Lupi, essere nelle mani di Incalza significa rispondere anche ai due uomini che ne sono i suoi facilitatori: Stefano Perotti (che di Incalza è anche socio nella "Green Field system", la società in cui ritorna il denaro prezzo della corruzione), l'ingegnere asso piglia tutto delle direzioni dei lavori imposte da Incalza ai general contractor delle Grandi opere, e Francesco Cavallo, un tipo senza arte né parte che, come si legge nel suo curriculum ("Negli ultimi 10 anni - scrive di sé - ho maturato esperienze significative nella gestione delle relazioni istituzionali, promuovendo e coadiuvando con successo i rapporti con opinion leaders, policy maker, istituzioni e stakeholders e gli affari istituzionali delle organizzazioni con le quali ho collaborato"), ha pochi ma decisivi meriti: è uomo di Cl (di cui Lupi è espressione nel governo e da cui è retribuito in pianta stabile attraverso "La Cascina" per "prestazioni inesistenti"), è stato amministratore delegato dell'Editrice del settimanale di area " Tempi" e consigliere della Metropolitana milanese negli anni di Letizia Moratti sindaco. Ma, soprattutto, conosce Lupi dal 2004, come documentato da un'inchiesta di Bari sulla coop bianca "La Fiorita".
Nel rapporto tra Lupi e Perotti - che fino a prova contraria lavora con appalti del ministero - c'è un tratto amicale che non ha evidentemente in alcuna considerazione anche solo l'imbarazzo per un oggettivo conflitto di interesse. Lupi e signora sono regolarmente ospiti delle cene organizzate da Perotti nella sua casa di Firenze. Partecipano, la scorsa estate, al matrimonio della figlia in una cornice di ballerine vestite da farfalle. E, siccome - come scriveva Flaiano - gli italiani innanzitutto "tengono famiglia", Perotti si prende cura del giovane Luca, figlio del ministro, una laurea in ingegneria al Politecnico di Milano e una prima esperienza di lavoro a San Francisco.
PER LUCA REGALI E INCARICHI - A gennaio del 2014, Perotti fa infatti assumere Luca Lupi - ragazzo a cui tiene dai giorni della laurea per la quale ha pensato bene di regalare un Rolex da 10.350 euro - dal cognato, Giorgio Mor, mettendolo a lavorare nel cantiere per il palazzo di San Donato dell'Eni, di cui ha la direzione dei lavori. "Il ragazzo deve prendere 2.000 euro più Iva mensili", istruisce la segretaria e si raccomanda con il cognato di "farlo diventare il suo uomo su Milano". Ma che in quell'assunzione ci sia qualcosa che non va e che la cosa dunque non vada fatta sapere in giro è così chiaro a tutti che, al telefono, il nome di Luca Lupi non viene pronunciato. Per tutti è "il cugino della moglie di Perotti". E lo stesso Mor chiede di essere rassicurato se "la triangolazione" (e cioè l'assunzione per via indiretta, ma con costi a carico di Perotti) "non sia rischiosa ". È un fatto che, nel febbraio del 2014, dopo l'interrogazione dei 5 Stelle su Incalza e un articolo del " Fatto" che lo collega a Perotti, il figlio dell'ingegnere, Philippe, suggerisca al padre che da quel momento "niente più mail o telefono". E che, un mese fa, Perotti decida di aiutare il figlio del ministro a cambiare aria con un lavoro a New York, chiedendo che lo prenda in carico l'amico Tommaso Boralevi.
C'è anche chi pensa a saldare i vestiti sartoriali del ragazzo. È Cavallo. Che del resto è generoso anche con Nicola Beneduce, uomo nella segreteria di Lupi. Anche per lui, insieme al sarto che serve Lupi jr., un bell'orologio. "Tra i 7 gli 8 mila euro" Fonte: Carlo Bonini - Repubblica)
Il mio orologio Casio da 50 euri
Io ho un ottimo rapporto, col mio orologio Casio da 50 euri. Innanzitutto perchè, come ho detto, costa 50 euri (più o meno). Qundi nessun malvivente si sognerebbe di seguirmi in un vicolo buio per strapparmelo a viva forza dal polso.Costa una Toyota Yaris meno del pataccone di Lupo de Lupis.
Costa così poco, che quando lo perdo (mi capita) non mi sento più povero, ma più ricco, perchè posso entrare in un negozio e comprarne uno rigorosamente uguale al costo di una napoletana più birra e caffè.
Poi è un Casio. Cioè l'ossimoro dello status-symbol, e io detesto qualsiasi forma di status-symbol.
La cassa è in vera plastica. E' leggero (31 grammi), e io detesto le zavorre da 300 grammi. E' così leggero che a volte mi dimentico di averlo dimenticato a casa...
Ha una precisione non da Guiness dei primati (errore massimo di 21 secondi al mese. E io ho deciso che posso affrontare i disagi connessi ad una imprecisione di 7 millesimi di secondo al giorno.
Il cinturino è in pura gomma finta (cioè in plastica nera morbida). E' così leggero e morbido che non lo sento, e che non mi rovina il polsino di una camicia al mese.
Last but not least, si legge perfettamente che ora è! Pensate, quale innovazione! Alla Casio hanno scoperto che la cosa più leggibile sono cifre e lancette nere su quadrante bianco"! Niente più, come sul mio note-book last generation, super duper, full options, tasti neri con lettere grigio scuro, ma piccole, piccole... A volte sogno una tastiera in braille... sarei disposto persino ad imparare...
Io amo il mio Casio da 50 euri
Tafanus
2401/0615/1900 edit
Scritto il 17 marzo 2015 alle 23:06 | Permalink | Commenti (4)
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Scritto il 17 marzo 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Se sarà accertato anche solo il 10% di ciò che sta emergendo in queste ore sui rapporti fra l'ora detenuto Perotti, Maurizio Lupi e il figlio di costui, Luca Lupi, sarebbe abbastanza imbarazzante se il Moralizzatore Renzi non cacciasse Lupi dal Governo entro 48 ore. Renzi temeva la palude, ma rischia di finire nella melma, insieme ai troppi, disinvolti "brasseurs d'affaires" di cui si è circondato
Incarichi di lavoro e regali alla famiglia Lupi. Fino alle nomine politiche. Dove arrivava il “sistema Incalza“? Arrivava a far dire al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi che se qualcuno avesse solo sfiorato la “struttura tecnica di missione” creata dal superburocrate arrestato, avrebbe minacciato la crisi di governo, cosa che Ncd non ha mai fatto su temi più che sensibili come la riforma della giustizia o diritti civili. E ora che Incalza è in carcere e la magistratura lo definisce soggetto “in grado di condizionare il settore degli appalti pubblici per moltissimi anni”, il ministro continua a fargli da scudo: “Era ed è – dice – una delle figure tecniche più autorevoli che il nostro Paese abbia sia da un punto di vista dell’esperienza tecnica nazionale che della competenza internazionale, che gli è riconosciuta in tutti i livelli”.
Ma, secondo l’ordinanza del gip, nello scambio di favori che caratterizzava anche questa storia (come Expo, come il Mose) cadeva anche la famiglia Lupi. Nelle carte dei magistrati si legge che “effettivamente Stefano Perotti (imprenditore arrestato, ndr) ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi“. Cioè il secondogenito del ministro in quota Comunione e Liberazione. Così ora a chiedere le dimissioni sono il leader dei Verdi Angelo Bonelli e il Movimento Cinque Stelle, mentre Sel vuole una commissione d’inchiesta. E, in mezzo al silenzio perfetto, c’è una voce del Pd che consiglia una riflessione sul ministro: “Ancora una volta il ministro Lupi è chiamato in causa da un’inchiesta – dice Pierfrancesco Majorino, assessore comunale al Welfare – Lui, Lupi, non è tra gli indagati. Però, fossi in lui, qualche domanda sui giudizi che esprime e sulle relazioni che intrattiene me la farei. E, fossi in noi, una valutazione su di lui, la farei. Anzi: io l’ho già fatta”. In una nota Lupi precisa di non aver “mai chiesto all’ingegner Perotti né a chicchessia di far lavorare mio figlio. Non è nel mio costume e sarebbe un comportamento che riterrei profondamente sbagliato”. Ma nello stesso comunicato il ministro ammette che il figlio ha lavorato dal febbraio 2014 al febbraio 2015 allo studio Mor di Genova.
I lavori di Lupi jr - Lo studio Mor di Genova è uno dei centri dell’inchiesta: Giorgio Mor è il cognato di Perotti. A parlare, al telefono, degli incarichi a Luca Lupi nell’azienda di Perotti è Giulio Burchi, uno degli indagati, ritenuto “attendibile” dal giudice per le indagini preliminari. In due occasioni Burchi parla dell’assunzione di Lupi jr. Il primo luglio parla al telefono con Alberto Rubegni, uomo di Gavio e attuale consigliere d’amministrazione dell’Autostrada Torino-Milano: “Il nostro Perottibus ha vinto anche la gara, che ha fatto un ribasso pazzesco”, ha vinto “anche il nuovo palazzo dell’Eni a San Donato e c’ha quattro giovani ingegneri e sai uno come si chiama? Sai di cognome come si chiama? Un giovane ingegnere neolaureato, Lupi, ma guarda i casi della vita”. Perotti, scrive il giudice, nell’ambito della commessa Eni, stipulerà un contratto con Giorgio Mor, affidandogli l’incarico di coordinatore del lavoro che, a sua volta, nominerà quale ‘persona fissa in cantiere’ Luca Lupi” [...]
Il 21 ottobre 2014 è al telefono con un dirigente dell’Anas, Massimo Averardi: “Ho visto Perotti l’altro giorno, tu sai che Perotti e il ministro sono non intimi, di più. Perché lui ha assunto anche il figlio, per star sicuro che non mancasse qualche incarico di direzione lavori, siccome ne ha soli 17, glieli hanno contati, ha assunto anche il figlio di Lupi, no?”.
La “triangolazione”: “A lui dobbiamo dare sicurezza” - Ma non c’è da cercare molto per saperne di più perché della questione Mor e Perotti parlano anche tra loro, al telefono. E’ il 16 febbraio 2014. Mor sembra voler salvare almeno le forme e chiede al cognato Perotti se fosse possibile assumere il giovane Lupi “in maniera meno formale”: “Ci siamo, abbiamo fatto una riflessione che sembrava poco opportuno era la triangolazione“. La “triangolazione”: secondo il gip è un’espressione che riunisce tre nomi, cioè Perotti, Mor e Luca Lupi. Il primo riceve l’incarico da Eni per un’attività di progettazione, stipula un contratto con il secondo affidandogli un incarico di coordinatore; il secondo nominerà come “persona fissa in cantiere” il terzo. Cioè il figlio del ministro. Ma Perotti “delude” il cognato: un’assunzione “meno formale” proprio non si può fare. “A lui (Lupi, ndr) dobbiamo dare la sicurezza” precisa Perotti, anche se riconosce che “può esistere un minimo di rischio“. Quale rischio? Per il gip “la preoccupazione di Stefano Perotti e Giorgio Mor non è comprensibile al di fuori di uno scenario illecito”. D’altra parte non c’è nulla da nascondere se un privato vuole assumere chicchessia. Nulla da nascondere a meno che, ipotizzano i magistrati, l’assunzione non venga “immaginata quale il corrispettivo di qualche utilità fornita da Maurizio Lupi per il tramite di Ercole Incalza”.
I regali ai Lupi: l’abito sartoriale e il Rolex -Ma l’intreccio tra i personaggi dell’inchiesta e la famiglia Lupi non finisce agli incarichi. Sconfina anche in qualche regalino generoso. A regalare un abito sartoriale al ministro è Franco Cavallo (arrestato) che secondo gli inquirenti ha uno “stretto legame” con il ministro. “Da una telefonata del 22 febbraio 2014 – si legge nell’ordinanza – emerge che Vincenzo Barbato“, un sarto che avrebbe confezionato un abito per Emanuele Forlani, della segreteria del ministero, “sta confezionando un vestito anche per il ministro Lupi”. Al figlio Luca, invece, sarebbe stato regalato un orologio. “Va segnalato – scrive il giudice – il regalo fatto dai coniugi Perotti al figlio del ministro Lupi in occasione della sua laurea: trattasi di un orologio Rolex del valore di 10.350 euro che Stefano Perotti fa pervenire a Luca Lupi tramite Franco Cavallo”.
Lupi con Incalza a costo di far cadere il governo - Incalza pare fare e disfare. Sembra avere potere di nomina. La sua struttura sembra talmente inattaccabile che un eventuale smantellamento fa andare su tutte le furie il ministro Lupi, tanto da fargli minacciare di buttare giù il governo, altro che “centrodestra responsabile” al “servizio del Paese” per le “riforme”, eccetera. Incalza, sottolinea il gip, si batte senza riposo per difendere la Struttura tecnica di missione, da lui creata e da lui diretta per la realizzazione delle cosiddette grandi opere. Ma vuole anche non venga trasferita dal ministero a Palazzo Chigi. Il 16 dicembre 2014 Lupi chiama Incalza e lo rassicura: a difendere la Struttura di missione c’è lui. “Vabbè, l’altra cosa che mi dispiace e ne parlerò con la Ida domani, è questa roba per cui è evidente che… Cioè ancora continuare a dire che nessuno ha difeso la Struttura Tecnica di Missione mi fa girare molto i coglioni eh! Scusami, perché se non l’avessi detta io, se non fossi intervenuto io, lasciate stare il Pd che la vuole trasferire, non entrava nell’emendamento governativo questa cosa qui”.
La difesa è a qualunque costo, apparentemente (e forse è la notizia) anche a quello di mollare la poltrona di ministro: “Vado io, guarda. Siccome su questa cosa, te lo dico già, però io non voglio… Cioè vorrei che tu dicessi a chi lavora con te che sennò vanno a cagare! Cazzo! Ho capito! Ma non possono dire altre robe! Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione non c’è più il governo! L’hai capito non l’hanno capito?”.
Nencini vice di Lupi: il ritorno dei socialisti (amici di Incalza) - Incalza è così potente, secondo i magistrati, che sembra in grado di ricostruire al ministero il circolo ricreativo dei socialisti. E’ Maurizio Lupi, ancora una volta, a parlare (al telefono) e conferma al suo dirigente che è grazie alla sua “sponsorizzazione” che uno dei viceministri ai Trasporti è Riccardo Nencini: “Dopo che tu hai dato… hai coperto … hai dato la sponsorizzazione per Nencini, l’abbiamo fatto vice ministro, alle Infrastrutture”). E Lupi invita quindi Incalza a parlargli e a dirgli “che non rompa i coglioni“. Il viceministro replica che è “millantato credito”. Riccardo Nencini è un senatore eletto nelle liste del Pd, ma è segretario nazionale di quel che resta del Psi. Ha fatto il presidente del consiglio regionale della Toscana per 10 anni, successore di Giulio Boselli (sempre se qualcuno se lo ricorda). Ancora prima fu europarlamentare e si segnalò tra l’altro per una vicenda giudiziaria di rimborsi di viaggio e indennità per gli assistenti parlamentari: fu condannato dal tribunale Ue a rimborsare circa 450mila euro, ma poi la sentenza è stata annullata dalla Corte di giustizia del Lussemburgo. Ma non è l’unico socialista che ritrova Incalza al ministero. L’altro è il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, ex craxiano ed ex dalemiano, attualmente indagato per peculato nell’inchiesta sui rimborsi in consiglio regionale in Campania. Incalza, al telefono, si rallegra per la compagnia al ministero. Il suo interlocutore commenta: “Complimenti, sempre più coperto“.
2401/0615/1245 edit
Scritto il 16 marzo 2015 alle 20:18 | Permalink | Commenti (20)
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Ma non eravate quelli "nuovi, che più nuovi non si può, neanche con Perlana"? E mentre la gente normale fa la fame, dobbiano ancora sentir parlare di Incalza, di Anemone e di altri insospettabili gentiluomini di questa fatta, e a qualche settimana dall'inaugurazione (?) dell'Expò, e dopo poche settimane dalle ultime retate, siamo ancora alle mazzette brand-new sull'Expò???
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Quattro arresti e oltre 50 indagati in una maxi operazione dei carabinieri del Ros, coordinata dalla procura di Firenze. Nel mirino la gestione illecita degli appalti delle cosiddette Grandi opere.
Tra i 4 arrestati c'è il superdirigente del Ministero dei Lavori Pubblici (ora consulente esterno) Ercole Incalza. Gli altri sono gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, e Sandro Pacella, collaboratore di Incalza.
Agli indagati, tra cui ci sarebbero anche dei politici, vengono contestati i reati di corruzione induzione indebita, turbata liberta' degli incanti ed altri delitti contro la Pa.
Tutte le principali Grandi opere - in particolare gli appalti relativi alla Tav ed anche alcuni riguardanti l'Expo, ma non solo - sarebbero state oggetto di un "articolato sistema corruttivo che coinvolgeva dirigenti pubblici, società aggiudicatarie degli appalti ed imprese esecutrici dei lavori".
Le indagini sono coordinate dalla procura di Firenze, perché - sempre secondo quanto è stato possibile apprendere - tutto è partito dagli appalti per l'Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città. Da lì l'inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell'Alta velocità del centro-nord Italia ed a una lunga serie di appalti relativi ad altri Grandi Opere, compresi alcuni relativi all'Expo.
Le ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione dalle prime ore di questa mattina a Roma e a Milano da parte del Ros, che contestualmente sta effettuando in diverse regioni perquisizioni di uffici pubblici e sedi societarie riconducibili agli indagati.
I carabinieri del Ros stanno eseguendo decine di perquisizioni nei domicili degli indagati e anche negli uffici di diverse società tra cui Rfi e Anas international Enterprise. In primo piano nell'indagine, i rapporti tra il manager dei lavori pubblici Ercole Incalza e l'imprenditore Stefano Perotti cui sarebbero state affidate nel tempo la progettazione e la direzione dei lavori di diverse grandi opere in ambito autostradale e ferroviario, dietro compenso.
Secondo l'accusa sarebbe stato proprio Incalza - definito "potentissimo dirigente" del ministero dei Lavori Pubblici, dove è rimasto per 14 anni, attraversando sette governi, fino all'attuale - il principale artefice del "sistema corruttivo" scoperto dalla procura di Firenze. Sarebbe stato lui, in particolare, in qualità di 'dominus' della Struttura tecnica di missione del ministero dei Lavori pubblici, ad organizzare l'illecita gestione degli appalti delle Grandi Opere, con il diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati. Riguardo agli altri due arrestati, Pacella è un funzionario del ministero, stretto collaboratore di Incalza, così come gravitava nell'ambito del dicastero anche Cavallo, presidente del Cda di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato.
2301/0615/1830 edit
Scritto il 16 marzo 2015 alle 14:15 | Permalink | Commenti (1)
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...chi di rottamazione ferisce...
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Com'è umano lei, signor Renzi! Può persino perdere, quando non ci sono più marchette 80 euri o laurine scarpe destre e scarpe sinistre... Così accade che alle primarie per la scelta del candidato sindaco di Venezia vince un ex magistrato integerrimo, e per di più civatiano (...cosa devono sentire le mie orecchie...), oltretutto appoggiato da quei comunisti di SEL (roba del paleozoico...)
Che la gente ricominci ad aver voglia di sinistra? O che inizi finalmente a capire di aver messo il paese in mano alla destra e alla confindustria? Questi i nudi numeri: Casson prende il 55,6% dei voti, cointro il 24,4% del candidato renzin/cacciariano, tale Pellicani; un secondo candidato "vicino a Renzi", si ferma sotto il 20%. Quindi, Caro Renzi, niente alibi di "sinistra divisa". La sinistra semmai l'hanno divisa i suoi, presentando DUE candidati ai quali lei è simpatico... O no? E comunque anche sommando insieme i suoi due candidati, questi arriverebbero al 44%, contro il 56% del candidato della sinistra.
Caro Renzi, lei non ha neanche l'alibi della scarsa affluenza, visto che l'affluenza è stata ottima, avendo eguagliato i numeri del 2010, quando le primarie non erano ancora state sputtanate dalle continue variazioni di regolamento, sempre e comunque in favore suo.
Si faccia e ci faccia un regalo, Matteuccio: smetta di giocare con selfie, insulti agli avversari, slides, ciabatte, e cominci a pensare. Di cadute repentine del consenso dovrebbe ormai avere una certa esperienza: da "sindaco più amato dagli italiani" (come la Cucina Scavolini), dopo un anno era già nella seconda metà della classifica. Come premier, in un anno ha perso quasi la metà della fiducia da parte degli italiani. Parli meno, agisca di più, prima di promettere faccia fare i conticini da chi sa farli, e ogni tanto di ricordi che in Italia non esistono solo gli imprenditori e il ceto medio, ma anche gente che è alla fame, per la quale finora lei non ha fatto una beata mazza, ma ha prodotto solo "bigliettini Perugina".
Tafanus
Felice Casson sarà il candidato sindaco del centrosinistra a Venezia nelle elezioni in programma a fine maggio. Nelle primarie ha ottenuto 7.168 preferenze, pari al 55,6%. Alle sue spalle Nicola Pellicani, con il 24,42% (3.147 voti), e Jacopo Molina, con il 19,96% (2.573 voti) [...]
Buona l'affluenza - 12.888 votanti - in linea con la precedente consultazione del centrosinistra avvenuta nel 2010. Il senatore Casson, esponente dell'area civatiana e spesso critico nei confronti del governo Renzi - è stato appoggiato da Prc e Sel. Pellicani, giornalista della Nuova Venezia, aveva il sostegno dell'area filo-renziana del partito e come sponsor anche l'ex sindaco Massimo Cacciari. Filorenziano anche il terzo candidato, il consigliere comunale Molina. Nella città lagunare, quindi, si impone alle primarie la minoranza interna del Pd. La partita è apparsa senza storia già poco dopo l'inizio dello scrutinio, con Casson subito avanti in tutte le zone della città, più in terraferma (dove ha raccolto circa il 60%) rispetto al centro storico, dove i dati quasi definitivi lo danno al 55%.
Oltre alle telefonate degli sfidanti sconfitti, Casson ha ricevuto la chiamata del sindaco di Roma Ignazio Marino. "L'ho chiamato subito per fargli i miei complimenti e per dargli un benvenuto nel club dei sindaci, sono infatti convinto che saprà affermarsi alle elezioni per il comune di Venezia", ha detto Marino. E' la seconda volta che Casson cerca di conquistare la poltrona di sindaco di Venezia. Ci aveva già provato nel 2005, ma venne sconfitto per una manciata di voti da Massimo Cacciari.
P.S.: Chi volesse sapere chi sia questo Nicola Pellicani rottamato da Felice Casson, può leggere questo post
Insomma, sembrerebbe uno sponsorizzato dagli stessi sponsors di Renzi: Repubblica, e Giorgio Napolitano. Tutti bocciati.
2301/0615/1215 edit
Scritto il 16 marzo 2015 alle 10:19 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 16 marzo 2015 alle 00:22 | Permalink | Commenti (1)
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Nell'Italia degli Schettino e dei capetti improvvisati vogliono fare anche del preside un piccolo boss di paese. Senza insegnargli il comando, senza prepararlo alla leadership dell’azienda pubblica più delicata e più grande, senza formazione né stipendio da manager.
Gli danno infatti il potere e la responsabilità di assumere docenti per cooptazione e di premiare e punire il merito distribuendo danaro. E tutti capiscono che, solo per l’effetto annuncio, la famosa stanza del preside sta già diventando l’ufficio raccomandazioni e suppliche di quel proletariato intellettuale di cui parlava Salvemini. Questa è insomma la definitiva trasformazione della figura più bella della scuola italiana in un Soprastante che amministra la disperazione e l’irrilevanza sociale dell’insegnante meno pagato d’Europa che, al contrario dei suoi allievi, non ha i mezzi per comprarsi un computer né per abbonarsi alle riviste specialistiche, [...] acquistare edizioni critiche di questo o di quell’altro testo greco, e neppure i volumi con il testo a fronte della vecchia Utet, né può permettersi l’iPhone e il tablet che per il governo Renzi sono sicuramente più importanti della matita rossa e blu. Una mia amica preside a Roma mi segnala la marca scamuffa del tablet che la scuola ha potuto fornire ai suoi docenti: Archos (55 euro secondo il Trovaprezzi) che fa pendant con le polacchine “quattro stagioni” dell’Upim e con i maglioni dell’Oviesse.
Il “signor direttore” di De Amicis, che era il più bravo dei professori, una specie di primario di quel mondo rotondo e perfetto che formò l’identità italiana, diventa dunque il caporalato delle questue, degli incarichi comunque poveri, dei piccoli conforti, proprio come faceva Totò quando catalogava «il latore della presente» fregiandosi del titolo di presidente della Spa (Società parcheggiatori abusivi). Si sta parlando infatti di un preside che può omaggiare con gratifiche sino a 500 euro l’anno il 5 per cento dei suoi docenti, ovvero uno su 20. Sono piccole mance che ribadiscono però la condizione di straccioni della cultura degli insegnanti italiani che sono pagati quanto le cameriere, vivono di espedienti, prolungano la propria adolescenza in famiglia sino ai trentacinque e ai quarant’anni, e diventano canuti restando precari in scuole che più che ai pollai evocati da Renzi somigliano alle piazze, ad agglomerati di umori giovanili ingovernabili.
Nell’immaginaria scuola dell’autonomia il preside già dal 2001 è pomposamente ribattezzato “dirigente scolastico” con l’idea nominalistica, che piacerebbe certamente agli antichi grammatici, secondo la quale c’è una magica corrispondenza tra il nome e la cosa. In realtà il preside oggi fa soprattutto il procacciatore di piccoli fondi europei (si chiamano “Pon” quelli per le zone disagiate) attraverso i progetti a finanziamento: trenta ore sulla prima guerra mondiale valgono 1500 euro lorde, quaranta sulla fotografia ne valgono 1400 euro, trenta sulla danza spagnola ne valgono 1500 ed è inutile dire che si tratta in genere di uno svilimento della scuola su argomenti più o meno forzati, qualche volta inventati. Insieme al segretario, che a sua volta è diventato intanto “direttore”, il preside dirige poi i tecnici e i bidelli, promossi a loro volta “collaboratori scolastici”. E sovrintende il collegio dei docenti per garantire, per esempio, che in Italiano si vada davvero dal Trecento a Camilleri. E assegna le cattedre sezione per sezione e classe per classe.
Ma passa la gran parte del suo tempo ad accogliere le proteste dei genitori, che in tutta Italia sono sempre più conflittuali a difesa del “figlio nostro”, u figghiu miu, a creatura, il piccinin, er pischello, il toso, contro le prerogative istituzionali della scuola, contro la formazione del cittadino. Non può esserci riforma e buona scuola senza ridimensionare padri e madri che, dinanzi alla punizione del figlio, reagiscono da superbulli fabbricatori di bulli. Quasi mai i presidi riescono a farli arretrare, a convincerli a cedere il passo e consegnare il figlio all’insegnante e alla scuola. Un tempo era riconosciuto il diritto alla punizione dello scolaro, si aveva fiducia nella qualità dell’insegnante, e anche gli aristocratici mandavano i figli a scuola con la convinzione di trovarvi un assemblaggio di strumenti, uomini e opportunità educative e formative che in casa, nonostante l’agio, non c’erano. La punizione, per esempio, di copiare cento volte una frase sul quaderno scolastico si chiamava “penso” ed era un’antica, cardinale istituzione della scuola che era fatta anche di compiti a casa, interrogazioni e rimproveri. Ricordo di avere scritto per cento volte su un quaderno nero «non dirò mai più “piccolo babbeo” al mio compagno Gulizia».
E ricordo anche che mio padre, convocato a scuola, si mise a dare fin troppo ragione all’insegnante, accusandomi più di quanto non avesse fatto il professore, il quale, a un certo punto, fu costretto a difendere me da mio padre: «Non esageriamo, il ragazzo vale». E invece oggi i padri fanno ricorso al Tar anche per cinque insufficienze: in latino, greco, italiano, matematica e inglese. Persino per i 7 in condotta (ora si chiama voto disciplinare) le famiglie mandano a scuola gli avvocati. E si capisce qui benissimo che nulla si può cambiare nella scuola italiana sino a quando non si restituisce agli insegnati l’antico decoro a partire dall’innalzamento dello stipendio a livelli di decenza europea. Non è trasformando i presidi in tanti malpagati e frustrati dottor Orimbelli, il capufficio che sbeffeggia Fracchia, che si può restituire credito sociale, appeal, fascino e autorevolezza a una professione irresponsabilmente degradata. Tanto più che la riforma della buona scuola pretende che per meno di mille e cinquecento euro al mese il docente maltrattato non solo si occupi di aoristi e della scansione dei trimetri giambici, ma anche di educazione alla salute, legalità, educazione stradale, computer, lotta al bullismo, arte, musica, diritto, economia, e magari insegni pure a offrire il braccio alla vecchietta che attraversa la strada, a rispettare i diversi, ad apprezzare il progresso, a formare insomma la piccola vedetta democratica di un borgo felice. E che l’idea del preside-sceriffo sia improvvisazione si capisce dando un’occhiata ai brogli, alle irregolarità e alle inadeguatezze dei concorsi a preside. Ne sono stai annullati tantissimi: in Molise, in Abruzzo, in Toscana.
E nell’ultimo concorso in Sicilia la commissione non solo corresse 1400 compiti, di dieci pagine ciascuno, in meno di tre ore, ma promosse un testo dov’era scritto: «Ciò induce il dirigente ha (sic) ricercare accordi». E nessuno si accorse di quel candidato che aveva scritto “ledership”. Il concorso fu annullato ma i trecento promossi furono salvati da una legge nazionale. Sono ancora presidi. E presto saranno clientela, baronato dei poveri, anche loro, come Totò, presidenti di una Spa.
Francesco Merlo - (Repubblica.it)
2201/0615/1800 edit
Scritto il 15 marzo 2015 alle 12:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 15 marzo 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (6)
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Recensione del film "BIRDMAN" (di Angela Laugier)
Regia: Alejandro González Iñárritu.
Principali interpreti: Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts, Lindsay Duncan, Merritt Wever, Jeremy Shamos, Bill Camp, Damian Young, Natalie Gold, Joel Garland, Clark Middleton, Anna Hardwick, Dusan Dukic, Carrie Ormond, Kelly Southerland – 119 min. – USA 2014
ATTENZIONE SPOILER! (Avviso per i pochi che non l’hanno ancora visto)
Film discusso e discutibile, glorificato da quattro Premi Oscar (miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura originale, migliore fotografia), due Golden Globes (migliore sceneggiatura, miglior attore in un film brillante, per Michael Keaton), un Premio BAFTA (migliore fotografia), per non parlare, ovviamente, della pioggia di nomination. Il film tratta sicuramente alcuni temi interessanti, non sempre sviluppati in modo convincente, almeno secondo il mio parere modestissimo.
L’attore Riggan Thompson (Michael Keaton) aveva ottenuto negli anni ’90 una grande popolarità interpretando per il cinema e la TV il ruolo dell’uomo volante, parente stretto di Batman e degli eroi consimili che, attraversando il cielo sopra le megalopoli americane, avevano quasi miracolosamente riportato la giustizia sulla terra. Il successo aveva ricoperto Riggan di soldi, ma non ne aveva soddisfatto le ambizioni e, poiché gli pareva di essere molto lontano dall’attore che avrebbe voluto diventare al tempo dei suoi studi, si sentiva scisso nella persona, quasi schizofrenico. Se da una parte, infatti, la notorietà ne alimentava il narcisismo, dall’altra gli costruiva attorno la gabbia dorata di un ruolo che lo stava imprigionando.
Come attore, pertanto, egli non poteva dirsi realizzato, ma l’insoddisfazione conseguente si ripercuoteva anche sulla sua vita privata nella quale aveva collezionato molteplici fallimenti: una figlia drogata, una moglie che se ne era andata, tante donne, ma nessun amore vero e, soprattutto, troppo alcol. Questa era stata forse la ragione per la quale egli intendeva presentare, sulla scena di un teatro di Broadway, un testo, che collegasse alcuni brevi racconti di Carver*, lavoro abbastanza impegnativo, tale da mettere alla prova le sue qualità e la sua cultura: in tal modo si sarebbe finalmente confrontato con il pubblico newyorkese, più raffinato ed esigente di quello hollywoodiano di pasta più grossolana.
Molti segnali, però, gli annunciavano un quasi certo fallimento, accentuando le sue inquietudini; il suo manager aveva mille paure; il primo attore si era ammalato; il giovane sostituto (Edward Norton) era un gigione che rivaleggiava con lui, per dimostrargli di essere più bravo, mentre la giornalista che si occupava di critica teatrale per un importante quotidiano gli preannunciava che lo avrebbe stroncato a prescindere. Nonostante questi pessimi e male auguranti auspici (non gli unici, per altro), Riggan sarebbe riuscito a vincere la scommessa (almeno secondo la mia interpretazione), prendendo coscientemente le distanze dalla volontà di utilizzare Carver per portare la vita (la sua, in questo caso) in scena, senza mediazioni, e rinunciando quindi a mettersi a nudo, come lo avevamo visto fare dalla prima alla penultima scena del film, quando era comparso in mutande non solo nella sua stanza, ma persino tra la folla di Broadway che stava accorrendo per l’anteprima del suo spettacolo.
La sua interpretazione non era stata l’espressione diretta delle sue emozioni personali davanti al testo di Carver, ma ancora una volta la piena assunzione del ruolo di attore, che deve staccarsi dalla propria vita e assumere altre spoglie. Questo, purtroppo, viene detto dal regista in modo assai assai goffo **, che però non mi sembra offuscare il senso complessivo del film, che è in primo luogo una riflessione sul ruolo dell’attore e sui rapporti fra arte e vita, fra finzione e realtà: temi non proprio originalissimi, ma che non è inutile riproporre ogni tanto all’attenzione del pubblico, soprattutto a quello dei più giovani.
A questo scopo il regista utilizza con spregiudicata naturalezza anche numerosi effett(acc)i speciali, che movimentano il personaggio di Riggan e, riportandolo agli anni dei fasti hollywoodiani senza ricorrere ai flashback, lo banalizzano alquanto, cosicché il tema del doppio, conseguente alla schizofrenia dell’attore, si materializza nel personaggio di Birdman, il fastidioso e predicatorio uomo uccello, a cui spuntano le piume, gli artigli e le ali, col risultato di trasformare la metafora in una allegoria piuttosto fredda. Iñárritu unifica abilmente, grazie all’uso attento delle riprese digitali, i numerosi piani-sequenza che compongono il film, e rende perciò quasi impercettibili gli stacchi e i cambiamenti di scena, così da creare l’illusione di una ininterrotta continuità fra gli interni e gli esterni del teatro; fra il dentro e il fuori, fra i bui corridoi dei sotterranei del teatro e il palcoscenico, seguendo in tal modo i percorsi tortuosi della mente di Riggan, combattuto fra il suo doppio Birdman e la beffarda ironia di Norton, che più dell’uomo uccello impersona davvero l’altra faccia di sé. Opera, almeno secondo me, interessante, ottimamente recitata, molto disomogenea, ma migliore certamente della pessima presentazione che ne fanno i trailer. Gli Oscar mi sono sembrati, francamente, troppi.
*What We Talk About When We Talk About Love – Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore
Angela Laugier
2201/9615/1145 edit
Scritto il 15 marzo 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Proprio così. Il Governo Renzi (absit iniuria verbis) sembra un'armata Brancaleone capitata a Palazzo Chigi per caso. Un'ammucchiata di incompetenti guidata da uno, come direbbe Flaiano, "buono a nulla ma capace di tutto". Questa la storia tragicomica della "promessa di assunzione" dei precari della scuola. Sembra di essere su "Scherzi a parte".
Ma i precari non disperino... A maggio ci sono le elezioni, e di fronte agli appuntamenti elettorali Renzi è sempre puntualissimo. L'anno scorso "marchetta 80 euro" alla vigilia delle Europee. Quest'anno arriverà la "marchetta precari" (dovuta, peraltro), alla vigilia della regionali e di alcune amministrative. (Cliccare sulla foto per leggere l'articolo)
Scritto il 14 marzo 2015 alle 11:57 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 14 marzo 2015 alle 00:34 | Permalink | Commenti (1)
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E dal vuoto nacque il piccolo Napoleone. In Italia per i nuovi movimenti non c'è spazio. Lo ha occupato tutto Renzi. Con tanti slogan e una manovra di palazzo. Come racconta Marco Damilano in "La Repubblica del Selfie" (Fonte: l'Espresso)
IL 13 Settembre 2012 siamo in tanti nell'auditorium del Palazzo della Gran Guardia nella magnifica piazza Bra di Verona. Giornalisti, amministratori locali, sindaci. Nessun parlamentare, pochissimi volti conosciuti. In prima fila il portavoce Marco Agnoletti presenta una ragazza bionda e sorridente: «Voi non lo sapete, ma è bravissima. Guiderà lei i comitati di Matteo: l'avvocato Maria Elena Boschi». In platea l'unico noto è il sindaco di Reggio Emilia e presidente dell'Anci Graziano Delrio, e neppure lui si sbilancia: «Sono venuto ad ascoltare Matteo. Per me è fondamentale che la sua sfida si svolga all'interno del Pd».
È la giornata dell'ingresso in campo. Il sindaco di Firenze Matteo Renzi si candida a premier contro Bersani. Sale sul palco in camicia bianca e cravatta scura, diventerà una divisa, mentre sullo schermo scorrono i frame degli ultimi due decenni: Reagan, Thatcher, Madonna, Carl Lewis e poi Falcone e Borsellino, il primo Mac rudimentale, i dischetti per il computer presto andati in pensione, Steve Jobs... Sotto il podio c'è la scritta: Adesso! Il cuore del renzismo nascente.
Non un'ideologia, nessuna appartenenza. Adesso è l'anno Zero che arriva dopo il disastro. Il prima e il dopo. Il presente che è l'arma letale di Matteo e dei suoi. Non abbiamo nessun passato, per questo ora tocca a noi. Ci siamo anche noi, quelli che non c'erano prima. Quelli che sono cresciuti in venti anni di zero rappresentanza politica e di devastazione della speranza, negli anni del Blocco. La frattura del 2011-2014 è molto più profonda di quella del 1992-1994. Quella rivoluzione era rimasta puramente giudiziaria, e dunque destinata al fallimento.
Negli ultimi anni la rivolta è stata culturale, generazionale. All'inizio la crisi ha spaccato a metà il Paese, quelli che erano dentro, in un sistema di garanzie, di diritti acquisiti, di privilegi, e quelli che erano rimasti fuori. Poi anche gli interni hanno cominciato a perdere sicurezze, si sono indeboliti, spaventati. E tra i due mondi si è aperto un baratro: gli esclusi, sempre di più, e gli inclusi, sempre di meno. L'elettorato cui si rivolge Renzi è l'Italia normale che si vede in sala, un'Italia periferica e un po' incazzata. Un'Italia di giovani outsider, di non iscritti, di non tesserati, di non invitati, di non tutelati. Un'Italia di figli che non conta nulla, tra la crisi economica e le liste bloccate.
Renzi invoca speranza, sogno, desiderio, passione, ma la spinta a candidarsi è più di tutto la terribile accusa rovesciata sulla classe dirigente dell'ultimo quarto di secolo: «Hanno trasformato il futuro in una discarica». Un bersaglio enorme, evocato dal leader quando spiega il significato esatto della parola rottamazione.
Non solo svecchiare i gruppi dirigenti. No, c'è qualcosa di molto più grande da rottamare: un'intera generazione di sinistra, la sua cultura, la sua pretesa di dettare modelli di vita, miti e idoli culturali, il sistema delle idee.
«Dobbiamo rottamare la generazione del Sessantotto che dipinge se stessa come l'unica che ha gli ideali, l'unica Meglio Gioventù che ci sia mai stata. No, ci siamo anche noi»
Ecco fissata una volta per tutte la narrazione della scalata renziana. Non la abbandona neppure quando, cinquecentoventisette giorni dopo, in vestito blu entra nel salone delle feste del Quirinale per il giuramento del suo governo. La sconosciuta Boschi presentata a Verona giura in tailleur cobalto da ministro delle Riforme. Il barbuto Delrio che era mescolato nella platea della Gran Guardia affianca i ministri da sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Cinquecentoventisette giorni per diventare il padrone d'Italia.
L'outsider arriva al potere non con un voto popolare, ma con una manovra di Palazzo. Un tradimento, il brutale assassinio politico del capo del governo Enrico Letta, appena rassicurato.
Dal tweet con l'hashtag #enricostaisereno alla defenestrazione del premier non è passato neppure un mese. Renzi va a comunicare all'inquilino di Palazzo Chigi che il giorno dopo sarà sfiduciato dal suo partito, il Pd, senza neppure un passaggio parlamentare, l'onore delle armi, la possibilità di difendere il suo operato in una sede istituzionale.
L'unico ostacolo che incontra sulla sua strada è una macchina che esce in senso contrario dall'ingresso secondario di Palazzo Chigi: la Smart blu su cui viaggia Renzi guidata dal deputato Ernesto Carbone è costretta a fare retromarcia. Una volta entrati, però, i giochi sono fatti. Il ministro Dario Franceschini, amico di Letta, è già sintonizzato sul nuovo padrone di casa, si fa fotografare accanto alla macchinina parcheggiata nel cortile mentre al piano di sopra si conclude lo sfratto. Rientrerà nel governo Renzi da ministro della Cultura.
Renzi è un politico neppure quarantenne che conquista il potere spostandosi nel vuoto lasciato dal precedente regime, come insegnano i teorici del ramo, per esempio Curzio Malaparte in "Tecnica del colpo di Stato": «La tattica bonapartista non è soltanto un gioco di forza: è soprattutto un gioco di misura e di abilità. Quasi una partita di scacchi, in cui ogni esecutore ha il suo compito preciso e il suo posto assegnato, dove il più lieve errore nella mossa di una pedina può produrre incalcolabili effetti e compromettere l'esito della partita».
Renzi, più ancora di Berlusconi, appare chissà quanto inconsciamente nella storia repubblicana il leader maggiormente vulnerabile alla sindrome napoleonica, intesa come megalomania, rilancio continuo, voglia di vincere sempre, anche quando non è più chiaro esattamente cosa significhi vincere o perdere.
Più che le somiglianze con il protagonista della rupture più fragorosa degli ultimi tre secoli conta però il passaggio epocale in cui si trovano l'intera Europa e l'Italia, con la sua traballante storia nazionale. In cui assemblee parlamentari, Stati nazionali, partiti, corpi intermedi, giornali e media - tutto ciò che era la politica del Novecento - sono un ancien régime destinato a essere spazzato via. Nella sinistra italiana il fantasma dell'uomo solo al comando è stato liquidato come un cedimento al populismo, un male da esorcizzare. Invece, in tutte le società occidentali con l'avanzare della crisi democratica e lo svanire dei partiti cresce la richiesta di una leadership personalizzata.
Succede ovunque. È l'altra faccia della moltitudine, «un insieme di singolarità non rappresentabili», come la definisce Toni Negri. I movimenti senza volto e senza capi, Occupy Wall Street, Anonymous sulla Rete, collettivi e individuali. Eppure anche le formazioni della nuova sinistra radicale europea hanno sentito il bisogno di darsi un capo. In Grecia l'esperimento Syriza è stato fondato da Alexis Tsipras, un federatore delle vecchie sigle della sinistra che appartiene alla generazione dei figli, classe 1974, chiamato a ricostruire sulle macerie del Partenone, arrivato a sfiorare la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento greco alle elezioni del gennaio 2015 portando in sei anni il suo partito dal 4 al 36 per cento. In Spagna il movimento Podemos ha rapidamente chiuso la fase anarchica e movimentista e dopo il successo alle elezioni europee del 2014 si è dato una dirigenza votata dalla Rete e fondata sulla leadership indiscussa di un personaggio carismatico, Pablo Iglesias, nato nel 1978.
Syriza e Podemos sono i Partiti della Crisi, nell'Europa del Sud, nati e cresciuti tra la recessione e la disoccupazione e il fallimento delle politiche di austerità indifferenti allo Stato sociale, per raccogliere la rabbia contro le generazioni precedenti. Il loro fratello italiano naturale era il Movimento 5 Stelle. Ma a raccogliere i vantaggi del terremoto elettorale del 2013 che Grillo non è stato in grado di sfruttare è il coetaneo fiorentino di Tsipras e Iglesias. Con la differenza che Renzi non è passato dalle elezioni per conquistare la guida del governo. E non ha dato vita a un nuovo partito, gli è bastato occupare e svuotare il guscio di un partito che già esisteva, il Pd. Non c'è in Italia il Partito della Crisi. C'è il Leader della Crisi che avanza tra le macerie. Che fa coincidere il partito con se stesso. È il Populista che costruisce il suo Popolo, non viceversa.
Marco Damilano
2101/0615/1115 edit
Scritto il 13 marzo 2015 alle 13:33 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 13 marzo 2015 alle 00:48 | Permalink | Commenti (0)
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Caro Emiliano,
lei non mi piace. Mi scusi per la brutalità, ma credo che ci sia ancora, in questo paese, libertà d'opinione, e non ci sia ancora l'obbligo di diventare, al seguito del Vincitore, adoratori del renzusconismo. Lei non mi piace per un sacco di motivi, e mi permetterò di elencarne alcuni, solo i più recenti.
-a) Non mi piace la sua ossessionante presenza in TV. Forse - ma non ho i dati del Centro d'Ascolto" - neanche Salvini riesce ad eguagliarla. Ormai, quando vedo il suo bel faccione riempire lo schermo, mi viene in mente il Cinescopio d'antan, che occupava ogni spazio libero della TV, o le pecore dell'Intervallo.
-b) Ieri lei ha prestato il suo faccione a "L'Aria che tira" di Myrta Merlino (ore 11:00 su La7), dove si è affrettato a congratularsi con Berlusconi per l'assoluzione, e per affermare che la Procura di Milano dovrebbe "scusarsi" con Berlusconi. Definire le sue affermazioni "sconcertanti" significa qualificarle con un aggettivo che rende solo una pallida idea dello sconcerto che le sue parole hanno creato in me, e in tutti quelli che ho avuto modo di ascoltare.
-c) Neanche 24 ore, ed ecco il suo faccione riempire stamattina (ore 09:45, sempre su La7), lo schermo di "Coffee Break", trasmissione condotta dalla bravissima Tiziana Panella... Un sospetto sorge spontaneo... Per caso La7 è riuscita a ricavarle un piccolo pied-à-terre all'interno dei suoi studi? Così... solo per praticità..
E che ci faceva a Coffee Break? Ho avuto come un'impressione che stesse cercando, senza riuscirvi, di mettere una toppa peggiore del buco alla sconcertanti dichiarazioni pro-Silvio del giorno prima.
[...] Oltre 4 secoli fa, mentre le corone di Francia e di Spagna si fronteggiavano per la supremazia in Europa e nel nuovo mondo, i prìncipi e i duchi italiani, la classe politica del tempo, gretti, rissosi e municipalistici, incapaci di pensare ad un futuro di prosperità, si appoggiavano o meglio si mettevano a disposizione dell'una o dell'altra potenza pur di salvare un minimo di potere entro le mura della loro cittadella.
Allora fu coniato il proverbio "o Franza o Spagna, purché se magna" attribuito a Guicciardini, che era stato prima come ambasciatore di Firenze in Spagna presso la corte di Ferdinando il Cattolico e poi, tornato in patria, aveva propugnato, con l'accordo di Cognac del 1526, un'alleanza con i francesi per fermare lo strapotere di Carlo V e salvaguardare un po' di indipendenza della penisola italiana. Tanti secoli non sono passati invano [...].
-f) Trovo assolutamente sconvolgente la sua teoria che un PM non debba richiere il rinvio a giudizio, tranne che non abbia "prove certe" sulla colpevolezza. A questo punto potremmo "rottamare l'ufficio del GIP, quello del GUP. il processo d'appello, e persino le sentenza della magistratura giudicante. Se un PM deve avere "prove certe" può aprire e chiudere un processo, emettere la sentenza, e risparmieremmo un sacco di soldi, e un sacco di tempo.
E dire che a me avevano detto (ma si vede che erano male informati) che la prova "si forma nel dibattimento". Che a fronte di indizi numerosi e coinvergenti l'azione giudiziaria sia obbligatoria; che è previsto che il PM possa sbagliare, tanto è vero che esiste il PM, ma anche il GIP (Giudice per le Indagini Preliminari), ed esiste il GUP (Giudice per l'Udienza Preliminare). Ma per lei, col plauso di Forza Italia e della Michaela Biancofiore, è solo la Procura di Milano, a dover "chiedere scusa?
-g) Vede, signor mio, qui NESSUNO deve chiedere scusa. Forse altri (lei, Emiliano?) essendo ormai DENTRO la magistratura - in aspettativa - ma FUORI dalla pratica di Magistrato (visto che fa il politico e non il magistrato da ormai 13 anni, dovrebbe fare un ripassino sulle funzioni... Le diamo una mano, attingendo alla scienza di Natale Iommi:
PM, GIP, GUP facciamo chiarezza!
Il pubblico ministero (PM) è un organo vero e proprio designato dallo Stato o da altre istituzioni, a seconda della Nazione, per favorire il rispetto della legge e per valutare le azioni penali di un individuo. E’ istituito presso la Corte di Cassazione, le Corti di Appello, i Tribunali per minorenni ed i Tribunali ordinari.
Il pubblico ministero esercita dunque l'azione penale vera e propria che condurrà poi al successivo processo, all'interno del quale sarà la controparte dell'imputato. Il pubblico ministero si occupa infatti di trovare le prove d'accusa nei confronti di coloro che commettono reati, violando le leggi. Le prove raccolte dal pubblico ministero vengono poi presentate in tribunale e utilizzate per accusare l'assistito di un determinato avvocato, che invece si occupa della difesa. Il PM dunque:
Il giudice per le indagini preliminari (GIP) svolge compiti di garanzia dei diritti dei cittadini sottoposti ad indagini da parte del PM ovvero:
Il giudice dell'udienza preliminare (GUP) è la figura preposta a decidere, durante l'udienza preliminare, sulla richiesta del pubblico ministero di rinviare a giudizio l'indagato. Fa da spartiacque fra la fase delle indagini preliminari e quella del giudizio. Al termine delle indagini preliminari il PM richiede l’archiviazione o il rinvio a giudizio; il GIP fissa l’udienza, il PM espone i risultati delle indagini e le prove che giustificano l’eventuale rinvio a giudizio. Prendono parte alla discussione davanti al GIP l’imputato (se vuole rilasciare dichiarazioni spontanee), i difensori ed i PM (che possono replicare una sola volta). Finita la discussione il GUP valuta se disporre il giudizio o sentenza di non luogo a procedere. Il Magistrato che ha svolto funzioni da GIP non potrà svolgere anche quella di GUP. Il GIP diventa GUP nei processi per direttissima, cioè quando vi è la flagranza, e quando entrambe le parti, accusa e difesa, sono d'accordo e richiedono il patteggiamento o il rito abbreviato. Con il patteggiamento, l'imputato ammette di aver commesso il reato e in cambio della confessione e di non aver ulteriormente intasato il sistema giudiziario, il GIP diventa giudicante e lo condanna, applicandogli uno sconto di un terzo della pena, più sconti su multe, se ci sono.
-f) Penultimo punto: non mi piace, Caro Emiliano, perchè nella mia ottica non è la cosa più limpida di questo mondo stare ancora in Magistratura, a distanza dalla messa in aspettativa per poter esercitare attività politica. Molti magistrati (che mi piacciono più di lei) hanno lasciato la Magistratura, senza la "ciambella di salvataggio" dell'aspettativa, senza attendere i 12 anni che lei ha già trascorso in aspettativa. Forse dovrebbe aver già deciso "cosa farà da grande". E non mi piace - Dio non voglia - che un giorno io possa finire indagato dal nuovamente magistrato Michele Emilano, magari per una querela per diffamazione ad opera - che so... - della ministra Boschi, o di Graziano delrio, o dello stesso Renzi... Sa, non mi sentirei abbastanza tranquillo, come cittadino. Comse di dice? Non basta che la moglie di Cesare sia senza peccato, ma deve anche essere percepita come tale.
-g) Last but not least: non mi piace, caro Emiliano, che lei contesti la decisione della Cassazione di aprire un'inchiesta nei suoi confronti per non aver lasciato la Magistratura in via definitiva dopo ben 12 anni di attività politica. E ancor meno mi piacciono le motivazioni da lei addotte per attaccare la Cassazione (la quale, sia detto per inciso, le ha solo reso un piacere attaccandola solo adesso, a 12 anni dall'inizio della storia, e non magari subito o dopo un anno).
Ed ecco l'articolo del Fatto Quotidiano che descrive il contenzioso fra lei e il Procuratore Generale della Cassazione Gianfranco Ciani:
Giustizia & Impunità - Azione disciplinare contro Emiliano: “Fa politica ma è ancora magistrato”
Da febbraio di quest'anno è anche segretario pugliese del Partito democratico. E questo dato di fatto, in particolar modo, ha spinto la Cassazione ad avviare la procedura. La replica: "Per 11 anni nessuno mi ha mai contestato alcunché"
“Svolge attività politica abitualmente, ma è ancora magistrato: non potrebbe farlo”. E’ questo il senso dell’azione disciplinare avviata dal procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani nei confronti di Michele Emiliano. L’ex sindaco del capoluogo pugliese è attualmente il candidato per il centro-sinistra alle elezioni regionali in Puglia, che si terranno nel 2015. Emiliano, però, da febbraio di quest’anno è anche segretario pugliese del Partito democratico. E questo dato di fatto, in particolar modo, ha spinto la Cassazione ad avviare la procedura. La ragione dell’iniziativa disciplinare, del resto, deriverebbe proprio dal fatto che, in quanto leader regionale del Pd, Emiliano svolge con carattere di continuità attività politica. Una condotta che sarebbe incompatibile, visto che ai magistrati non è consentita l’iscrizione ai partiti politici. E le limitazioni varrebbero anche per quelli che come Emiliano, sono fuori ruolo.
L’ex sindaco di Bari, però, ha contestato aspramente l’iniziativa del pg: “Per 11 anni nessuno mi ha mai contestato alcunché e per tale motivo ho ritenuto di non aver mai violato alcuna norma di legge, altrimenti il CSM e la Procura Generale della Cassazione avrebbero rilevato molto prima eventuali violazioni. Se la mia condotta dovesse essere considerata quale violazione dei miei doveri di Magistrato, sono pronto a rimuovere immediatamente le cause di tali violazioni. Ovviamente attendo l’esito dell’eventuale procedimento disciplinare cui mi sottoporrò collaborando all’accertamento dei fatti e del diritto effettivamente applicabile al mio caso che costituisce il primo precedente nella storia della magistratura italiana”.
Il candidato governatore del centrosinistra alle regionali del 2015, poi, ha attaccato il timing e i modi dell’iniziativa della procura: “Ho appreso dalle agenzie di stampa, dell’avvio di un’azione disciplinare nonostante io sia Magistrato in aspettativa per incarichi politici sin dal 2003. La comunicazione alla stampa precede la notifica di qualunque provvedimento”. Poi la conclusione: “Resta il fatto che io sono effettivamente iscritto al PD sin dal 2007, avendo svolto funzioni di segretario dal 2007 al 2009, di Presidente del partito dal 2009 al 2014, e da sei mesi ancora funzioni di segretario regionale della Puglia. E che sin dal 2004 sono stato leader di una formazione politica denominata Lista Emiliano per Bari non diversa da un partito politico”.
Per chiudere in allegria: la presunta caccia di Emiliano ad incarichi di vario genere, ha suscitato l'ironia di SEL, che nel suo sito ha inserito un "generatore automatico" di incarichi per Michele Emiliano:
Cliccando sull'immagine, potrete non solo sfogliare la lista degli incarichi "a titolo gratuito" del Magistrato - Segretario - Candidato Michele Emiliano, ma potrete attivamente contribuire all'allargamento del "pacchetto-incarichi", immaginandone di nuovi e creativi.
Chissà che questo non serva ad allargare anche il giro delle comparsate televisive...
P.S.: questi i primi commenti apparsi in calce all'articolo di Repubblica che pubblicava i video degli interventi di Emiliano in favore di Berlusconi, e molto critici nei confronti della Procura di Milano:
Tafanus
2001/0615/1700 edit
Scritto il 12 marzo 2015 alle 18:37 | Permalink | Commenti (4)
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Scritto il 12 marzo 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Storie di ordinaria Provincia nella (una volta) ricca Brianza. Qui hanno decisamente vinto i Gattopardi. Tra la politica e la giustizia, in questi ultimi anni è stata moltiplicata la politica. Così da fine gennaio Tribunale e Procura sono costretti a chiudere un giorno alla settimana. Mancano 37 impiegati amministrativi, 14 cancellieri. E forse non ci sarebbero abbastanza scrivanie per ospitarli, perché ormai i fascicoli arretrati hanno preso il sopravvento sulle persone. Già adesso i magistrati ricevono avvocati, indagati e testimoni in spazi grandi come sottoscala. A fine gennaio, la clamorosa decisione della presidente del Tribunale, Anna Maria Di Oreste, e del procuratore, Corrado Carnevali: limitare a tre ore al giorno l'apertura degli sportelli e chiudere gli uffici al pubblico di mercoledì.
Vi ricordate il tweet del ministro Marianna Madia il 21 gennaio? «Mobilità sbloccata: 1.071 dipendenti pubblici verso uffici giudiziari dove c'era carenza personale. Priorità a quelli di province». Testuale. Bene: appena due direttori amministrativi andranno dalle Province al Tribunale di Monza e un funzionario al giudice di pace. Ad Avellino ne arrivano 9. A Napoli 151. Una presa in giro, protestano i pochi magistrati della Brianza.
A quattro chilometri dal palazzo di giustizia, la storia cambia. Ecco la nuovissima sede della Provincia di Monza. L'ha inaugurata Fabrizio Sala, ospite d'onore, lo scorso ottobre nonostante la riforma e i tagli all'orizzonte. Il palazzo è lungo quasi come tutta via Montevecchia, periferia scomoda, lontana dagli altri servizi: tre piani di cemento, vetrate a specchio. Un mausoleo al federalismo di quartiere che è costato 24 milioni e mezzo. Adesso basta sedersi in macchina e contare quante persone entrano ed escono. All'ora di punta, dalle 11 alle 12 di una mattina qualunque, sul foglio restano sedici crocette. Hanno speso 24 milioni e mezzo per sedici utenti all'ora. Sarebbe bastato un chiosco. È vero che non tutti gli uffici sono stati trasferiti qui. Ma dopo la riforma, molte stanze resteranno vuote per sempre.
La Brianza è uno dei tanti modelli di spreco autonomista che ha attraversato l'Italia. In cinque anni la Provincia di Monza ha messo insieme 287 dipendenti, 26 collaboratori, 12 milioni di spesa annua per il personale e 120 milioni di bilancio per raddoppiare sedi e servizi che fino al 2009 già forniva la Provincia di Milano.
E guardate la Sardegna. Quattro delle prime sei mini Province sono sarde. Ogliastra, la più piccola, conta 57 mila abitanti. Lanusei, uno dei due capoluoghi, è un paese di poco più di cinquemila persone. Il Medio Campidano ha centomila residenti e Sanluri, il capoluogo, 8.400. Un referendum regionale le ha abolite insieme con Carbonia e Olbia fin dal 2012. Ma soltanto tre mesi fa la Regione ha nominato i commissari che dovrebbero condurle allo scioglimento. Nel frattempo la gestione provvisoria continua a produrre atti e spese: 592 dipendenti, 21 milioni e 252 mila euro di costo all'anno soltanto per gli stipendi dei quattro enti. Cosa è cambiato allora? L'aggiunta di due lettere, la «e» e la «x»: nei documenti ora appare la scritta «ex Provincia».
Fino al 2009 nemmeno la Provincia di Monza esisteva. Certo, la sua istituzione ha portato grande attività in Brianza. Soprattutto per i magistrati. Prima le dimissioni dell'assessore al Personale tirato in ballo nelle telefonate dei boss della 'ndrangheta. Poi la lapidazione dell'assessore alla Sicurezza con l'accusa inventata di violenze sessuali: costretto anche lui alle dimissioni, ma perché dava fastidio alle speculazioni urbanistiche. Terzo terremoto, l'arresto del vicepresidente Antonino Brambilla, che dopo tre anni sul sito ufficiale appare ancora come vicepresidente. In Brianza nemmeno il lento progresso digitale della pubblica amministrazione riesce a tenere il passo degli scandali. Dopo Brambilla alla vicepresidenza arriva proprio l'assessore provinciale all'Ambiente, Fabrizio Sala, principe dei Gattopardi di provincia. Ed è il suo trampolino.
La telefonata con Narducci viene intercettata nel 2010 durante l'inchiesta che coinvolge l'amico costruttore, il funzionario dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente, Sebastiano Pupillo, e un architetto. Tutti e tre condannati in primo grado. Tutti destinati alla prescrizione, come spiegano gli avvocati della difesa, Attilio Villa e Stefania Bramati e Roberto De Vito, parte civile. La Procura e il Tribunale, azzoppati dalla mancanza di personale, hanno impiegato troppo tempo. Secondo l'accusa, Pupillo falsificava le relazioni in modo che si potesse risparmiare sulla bonifica dei terreni industriali trasformati in aree residenziali. Narducci dà la colpa al funzionario: Pupillo faceva tutto a sua insaputa. Una difesa alla Claudio Scajola, l'ex ministro della casa regalata con vista sul Colosseo.La conversazione, depositata agli atti, rivela che i presunti beneficiari dei favori del costruttore di Monza sono Fabrizio Sala, l'attuale senatore Paolo Romani. E suo figlio Federico, che anche dopo la riforma è rientrato nel consiglio della Provincia di Monza: come capogruppo del centrodestra, ha approvato il bilancio presentato dalla nuova maggioranza Pd. Nessuno di loro è indagato, ovviamente. È soltanto semplice, provinciale quotidianità.
Narducci racconta di avere venduto un bell'appartamento a Federico Romani. Con «il suo sconto tra virgolette amico», sottolinea. Sala gli chiede invece di trovare una casa ai genitori di «Mario, l'onorevole». Si tratta di Mario Valducci, attuale consigliere all'Autorità della regolazione dei trasporti, tra i fondatori di Forza Italia e allora deputato del Pdl. «Non conosco questo Narducci», precisa l'ex parlamentare: «Conosco invece Sala e non escludo di avergli chiesto se poteva indicarmi locali da affittare. Ma senza alcuna risposta, mio papà ha fatto da sé».
Fabrizio Sala comunque è rimasto nel settore: oltre all'Expo e alla Internazionalizzazione delle imprese lombarde, il governatore Maroni gli ha affidato come terza delega proprio l'assessorato alla Casa. Tra Gattopardi i favori non sono mai gratis. «A me interessa nel senso che, voglio dire», ricorda Narducci, «intanto gli facciamo un favore, poi vedremo». Sala lo rassicura sulla presunta gratitudine dell'onorevole: «Poi dopo, lui c'è». Da queste parti non si è nemmeno amici: ci si «tratta» da amici. È diverso. «È un po' il discorso tuo: ti devo trattare da amico, ti tratto da amico; ti devo trattare da assessore, ti tratto da assessore», avverte Narducci. Scherzano anche sulle bonifiche: «Purtroppo ho una bonifica da fare», dice il costruttore sotto inchiesta. «Allora sei nelle mie grinfie», replica Sala. «Quindi mi sa che devo passare da te», deduce Narducci. «Preparati a un carotaggio profondo un chilometro e a uno sbancamento di cinquanta centimetri», risponde il principe brianzolo. Ridono. La prima grande differenza con il passato è che oggi gli elettori hanno perso ogni forma di controllo. Presidenti e consiglieri li votano gli amministratori comunali. Grazie alla riforma delle Province, i cittadini non contano più nulla
(Fonte: l'Espresso del 6 Marzo 2015)
2001/0650/1045 edit
Scritto il 11 marzo 2015 alle 18:11 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 11 marzo 2015 alle 00:14 | Permalink | Commenti (4)
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Dieci vite troncate per una cosa così stupida come può essere stupido, fin dalla definizione, un "reality", cioè per un tipo di trasmissione dove di "real" non c'è il resto di niente... Il rammarico per la perdita di dieci vite è grande "a prescindere", la fama di alcuni dei personaggi aggiunge "glamour" ma non dolore al dolore. La morte di un pompiere che muore "lavorando" a un incendio, o di tre pesrone che muoiono per aiutarsi l'un l'altro quando il primo cade in una cisterna piena di gas tossici, sono eventi molto più tragici, perchè avvengono per la necessità di "campare la vita". E tuttavia - non vorrei essere frainteso - sono rimasto colpito da questo evento. in maniera particolare per la storia di Muffat e di Arthaud. Il pugile non lo conoscevo.
Della Muffat in vita mi ha sempre colpito il talento nel periodo in cui collezionava medaglie, e ancor più la discrezione e la semplicità con cui è stata capace di smettere, in pieno periodo di vittorie, semplicemente perchè ha sentito che non voleva passare altri anni della sua gioventù ad inanellare vasche su vasche di allenamento, gare su gare... Una grandissima nuotatrice, una bellissima persona.
Ma ciò che mi ha colpito di più è stata la morte di Florence Arthaud. Mi ha colpito non solo perchè per un quarto di secolo la vela l'altura è stata la mia passione, coltivata tutte le volte che ne ho avuto il tempo e l'occasione, con barche mie o altrui... Mi ha colpito perchè di Florence ho seguito la lunghissima carriera, e perchè rivedendo oggi la storia della sua vita, la trovo lastricata di "segnali di morte"...
Il papà di Florence era un editore appassionato di mara e di vela, che aveva conosciuto il successo con le collezioni dedicate al mondo della vela, e soprattutto a due personaggi IMMENSI.
Bernard Moitessier, che col suo piccolo "Joshua", un ketch che non arrivava ai dieci metri, stava stravincendo alla grande il primo giro del mondo senza scalo in solitario. Ma in vista del traguardo, forse per la nausea e lo stress per tutto ciò che si sarebbe scatenato intorno a lui, virò, ripercorse per tre quarti il globo, e andò a terminare felice e povero la sua vita nei mari della Polinesia.
Il "segnale di morte" era stato un altro mito della casa editrice degli Arthaud, Eric Tabarly, l'armatore di un numero infinito di "Pen Duick", col primo dei quali aveva vinto la traversata atlantica in solitario. Grandissimo e semplicissimo marinaio, rideva quando vedeva libri interi destinati ai "nodi" marini... Scherzando (ma non troppo) era solito affermare che quelli erano libri per i "banchinisti", non per i navigatori. E aggiungeva che "per navigare basta saper fare tre nodi, ma quelli devi farli anche cogli occhi bendati e con le onde che ti frangono addosso: la gassa d'amante, il nodo piano, e il nodo Savoia.
Fu ucciso dal mare che tanto aveva amato... Una notte era in navigazione nel Mare d'Irlanda, con quattro amici, diretto alla festa di un famoso cantiere. Durante una burrasca, finì in mare, al buio, in un'acqua che non arrivava a 11 gradi. Sopravvivenza massima: 3/4 ore. Il corpo fu ritrovato solo dopo alcuni giorni da alcuni pescatori.
Ma Florence aveva conosciuto in prima persona la morte già a 17 anni, quando per un gravissimo incidente stradale entrò in coma, restò sei mesi in rianimazione, e poi due anni in terapia di riabilitazione. Ma durante il periodo di riabilitazione, per dare una mano alla convalescenza, si producsse nella prima traversata atlantica con l'amico Jean-Claude Parisis.
Nasce così "M.lle Atlantique"... Nel 1978 (a 21 anni) prende parte alla prima edizione della "Route du Rhum", e si classifica undicesima in "generale" e prima nella sua categoria.
Generosissima e coraggiosa, nell'86 si stacca da una regata, per andare a cercare e soccorrere un altro concorrente, Loïc Caradec, di cui aveva captato il "may-day". Riuscirà a trovare il catamarano, capovolto, ma a bordo non c'era più nessuno...
Nel 1990 (a 33 anni) da l'assalto al record del mondo della traversata in solitario dell'Atlantico del Nord. Polverizza il record precedente, dell'amico Peyron, in poco meno di dieci giorni, con un vantaggio di due giorni. Nello stesso anno, trionfa nella mitica "Route du Rhum". Nel '97 (a 40 anni) si attacca al sogno si abbattere il record del giro del mondo in solitario, ma la crisi del settore immobiliare colpisce il suo sponsor principale, e il sogno svanisce.
Il colpo di grazia alla passione di Florence arriverà nel 2010, ventesimo anniversario dalla sua prima vittoria importante. Avrebbe voluto partecipare skipperando un enorme trimarano da trenta metri, ma Florence ha 53 anni. La barca viene affidata a un uomo (Sidney Gavignet) che abbandonerà per un'avaria. Florence è disgustata, delusa, e "scende a quella fermata". Ma non completamente. Nel 2011, al largo di Capo Corso (chi conosce quelle zone sa quanto può essere incazzato il mare da quelle parti) cade in mare di notte, per fortuna ha una lampada frontale e un satellitare stagno. Riesce a chiamare casa, casa sua avverte il "Cross-Med" (l'organizzazione di soccorso ina mare dei francesi), e Florence sarà recuperata, ancora in vita.
Florence (lo scrive lei, con grande coraggio, facendo outing nella sua autobiografia), cadrà vittima dell'alcolismo. Arriverà a bere fino a quattro litri di vino al giorno. Nel 2010 le viene tolta la patente nautica, gli sponsoors si squagliano, arriva la tremenda avventura di Cap Corse... Fine della storia di Florence come velista. Ma purtroppo l'appuntamento con la morte è solo rimandato, e la "comare secca" arriva da lei, che aveva conosciuto le insidie dei sette mari, nella maniera che non t'aspetti... un vacuo reality, in aria e non in acqua, un botto, una fiammata... Voglio credere che Florence non abbia neanche avuto il tempo di accorgersi di cosa le stava accadendo...
Che tutti riposino in pace, e nessuno me ne voglia se, per "fatto personale", dico che per me la più insopportabile delle morti è stata quella di Florence. I morti sono tutti uguali, ma alcuni sono, nostro malgrado, "un po' più uguali deglia altri"...
Tafanus
1901/0615/1630 edit
Scritto il 10 marzo 2015 alle 20:55 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 10 marzo 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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