Recensione del film "MARAVIGLIOSO BOCCACCIO" (di Angela Laugier)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Principali interpreti: Lello Arena, Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Flavio Parenti, Vittoria Puccini. «continua Michele Riondino, Kim Rossi Stuart, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Jasmine Trinca, Josafat Vagni, Eugenia Costantini, Miriam Dalmazio, Fabrizio Falco, Melissa Anna Bartolini, Camilla Diana, Nicolò Diana, Beatrice Fedi, Ilaria Giachi, Barbara Giordano, Rosabel Laurenti Sellers, Niccolò Calvagna – 120 min. – Italia 2015
Il Maraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani è un film un po’ spiazzante per chi non ce la fa a dimenticare Pasolini e la lettura personalissima che il nostro grande intellettuale diede del Decameron nel 1971. Quella pellicola* rifletteva sia la weltanschauung pasoliniana, sia il clima degli anni che immediatamente seguivano il ’68, quando nei giovani era ancora viva la speranza di costruire una società diversa, fondata non sull’ipocrisia delle leggi morali e religiose, ma sulla libertà dei comportamenti secondo natura. Non può stupire, perciò, che oggi, in una temperie del tutto diversa, il Decameron si presti ad altro tipo di lettura, forse meno affascinante e meno vivace: è tipico dei grandi capolavori del passato, del resto, offrire infinite possibilità di approccio e di interpretazione.
I fratelli Taviani, per loro libera scelta, hanno attribuito alla cosiddetta Cornice, cioè all’antefatto dei racconti, una parte importantissima, sviluppando perciò molto ampiamente, in rapporto alla durata del film, il tema della peste del 1348 (e della morte, pertanto) e attribuendo ai dieci giovani, che casualmente si erano incontrati in Santa Maria Novella e che avevano deciso di allontanarsi dalla città, un ruolo di maggiore rilievo di quanto non abbiano nelle pagine boccacciane. In conseguenza di questo i registi hanno ridotto a cinque le novelle rappresentate (che qui appaiono come unità a sé stanti, ben staccate dai narratori)**, scelte secondo le loro predilezioni di lettura, stando almeno a quanto essi stessi hanno più volte dichiarato. Lo scenario della cornice si presenta con l’anacronismo vistoso della villa La Sfacciata, costruzione sui colli fiorentini non trecentesca, ma di pure linee pre-rinascimentali (è infatti quattrocentesca) all’esterno; mentre alcuni mobili dell’arredamento interno sono riccamente scolpiti, secondo gli usi patrizi in pieno Rinascimento. Molto belli i costumi indossati dai giovani, che però ricordano più quelli di Gabriele Rossetti e dei Preraffaelliti, anche per la stilizzata corrispondenza al paesaggio, che quelli dei Toscani del ‘300. Sottolineando queste cose, non intendo affermare che siano difetti del film, ma semplicemente indicarne chiaramente i criteri di realizzazione che non rispondono allo scrupolo filologico (non presente neppure in Pasolini, d’altra parte!) di chi intende ricostruire con precisione lo scorcio di un’epoca, ma rispondono piuttosto al gusto e alla cultura dei due autori, da sempre molto attenti alla densità del colore, alle suggestioni visive, alle corrispondenze musicali. Il difetto più grave del film, invece, è nella pessima qualità della recitazione degli attori dei quali pochi si salvano: sono quasi tutti impacciati e poco espressivi, ciò che diminuisce di molto il piacere di chi lo guarda.
Peccato!
*costituiva la prima parte della Trilogia della vita, seguita nel 1972 dai Racconti di Cantebury e conclusa nel 1974 con Il fiore delle Mille e una notte
**in Pasolini erano dieci; l’insieme del film conteneva, tuttavia, numerosi riferimenti ad altre novelle.
Angela Laugier
0102/0615/1645 edit
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