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Scritto il 30 aprile 2015 alle 23:46 | Permalink | Commenti (2)
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Stamattina, nonostante le decine di rassegne-stampa e talk-show che affliggono le nostre albe, ho dovuto attendere fin oltre le nove per sapere delle dimissioni di Ferruccio De Bortoli dalla direzione del "maggior quotidiano italiano", il Corriere della Sera.
Da quando esistono i quotidiani, la notizia delle dimissioni del Direttore di un grande quotidiano è, tradizionalmente, una notizia accompagnata da un editoriale messo in grande evidenza in prima pagina. Un editoriale a volte polemico, a volte meno, del direttore uscente.
Non questa volta. La notizia non è arrivata in TV fin oltre le nove del mattino, perchè le rassegne-stampa (fotocopia una dell'altra) mostrano solo la prima pagina dei quotidiani. Quindi se l'arroganza e la mala-educazione degli "editori di riferimento" (nel nostro caso il gruppo Agnelli-Marchionne in primis, e a seguire il gruppo Montedison - il tutto manovrato da Mediobanca) decidono stupidamente di tenere la notizia seminascosta, basta "nasconderla a pag. 7 del cartaceo, dove le rassegne-stampa TV non arrivano mai.
Tentativo non solo maleducato, ma assolutamente stupido, perchè il risultato finale è esattamente l'opposto rispetto a quello desiderato. Oggi, infatti, le persone avvertite trovano più rumoroso il tentativo di sminuire le dimissioni di Ferriccio De Bortoli, che non le dimissioni stesse (delle quali peraltro si "sussurra" da circa nove mesi).
E' chiaro fin dall'inizio del renzismo che l'autonomia di giudizio di De Bortoli avrebbe difficilmente trovato un modus-vivendi col renzismo peloso degli Agnelli e dei Marchionne. Il motto di Casa Agnelli è sempre stato: "Noi siamo governativi per definizione". Lo sapevamo, anche senza che gli Agnelli ce lo dicessero. E De Bortoli purtroppo non è "governativo a prescindere". E' uno che pretende ancora di capire, e persino di criticare.
Un ulteriore esempio di pessimo giornalismo arriva anche dalla versione online del Corrierone ex-P2. Ci saremmo aspettati di trovare la notizia che il cartaceo aveva nascosto a pag. 7, almeno nella home-page di Corriere.it, in "first scroll" (cioè - per i non addetti ai lavori - nella parte alta della home-page, visibile senza bisogno di "scendere" in altre schermate. Non è stato così. E per documentarlo, pubblichiamo lo screen-shot del "first-scroll" della home-page odierna del corriere.it:
Home-page Corriere.it, first scroll
Come ognuno può constatare, nella parte immediatamente visibile della home-page non c'è alcun riferimento alle dimissioni di Ferruccio De Bortoli. Il titolo d'onore (iol primo) è dedicato al "trionfo" del Renzino che incassa la fiducia. Il secondo ai cattivoni che vogliono rovinare la festa dell'Expò; il terzo ai "Mille Ministri" che da tutto il mondo arriveranno per rendere omaggio al fagiolo borlotto.
Per trovare un riferimento alle dimissioini di De Bortoli, dobbiamo scendere nel sito, e troviamo uno "strillino" che solo un occhio allenato e attento riesce a trovare. Pubblichiamo questa sezione con la stessa larghezza dedicata alla foto di cui sopra:
Lo "strillino" dedicato a De Bortoli è quello in basso a sinistra. Per realizzare che si sta parlando di dimissioni, si dev'essre capaci di individuare l'occhiello evidenziato:
IL COMMIATO DEL DIRETTORE
Chi riesce nell'impresa, vince una bambolina di pelouche...
A me non appare neanche come una grande, educatissima genialata la vignetta di Giannelli che è inserita nell'occhielo: godetevela, se potete...
Ma forse è il caso di passare alla pubblicazione di un ampio stralcio della lettera di De Bortoli, perchè sono certo che fra pochi giorni sarà introvabile persino nell'archivio del Corsera...
Il bilancio di questi anni di direzione: risultati e prospettive - Il saluto di Ferruccio de Bortoli ai lettori del Corriere della Sera «I giornali devono essere scomodi» «Via Solferino è una meravigliosa comunità civile. Un confronto continuo di idee» (Fonte: Ferruccio De Bortoli, Corriere.it )
Devo ai lettori del Corriere, una meravigliosa comunità civile, un piccolo rendiconto della mia seconda direzione. Ho avuto l’onore di guidare questa straordinaria redazione per dodici anni complessivi. Un privilegio inestimabile. All’editoriale Corriere della Sera fui assunto, giovanissimo praticante, la prima volta nell’ottobre del ‘73. La proprietà era ancora Crespi. I Rizzoli sarebbero arrivati l’anno dopo. Il Corriere era stato il mio sogno giovanile, è diventato la mia casa, la mia famiglia. Il rapporto di lavoro con gli editori pro tempore si conclude oggi, come è ormai noto da nove mesi. Il legame sentimentale con il giornale era e resta indissolubile.
Nell’aprile del 2009, al momento di assumere la seconda direzione, scrissi che il Corriere - lungo il solco della sua tradizione liberaldemocratica - ambiva a rappresentare «l’Italia che ce la fa». Credo che vi sia riuscito perché è stato indipendente, aperto e onesto. Ha svolto il ruolo che compete a un grande organo d’informazione, orgoglioso dei suoi valori e di una storia di ormai 140 anni. Ha dato spazio e rappresentatività a un’Italia seria, laboriosa, proiettata nel futuro e nella modernità. Il Corriere non è stato il portavoce di nessuno, tantomeno dei suoi troppi e litigiosi azionisti. Non ha fatto sconti al potere, nelle sue varie forme, nemmeno a quello giudiziario. Ha giudicato i governi sui fatti, senza amicizie, pregiudizi o secondi fini. E proprio per questo è stato inviso e criticato. Chi scrive ha avuto lunghe vicende giudiziarie con gli avvocati di Berlusconi, con D’Alema e tanti altri. Al nostro storico collaboratore Mario Monti - che ebbe, per fortuna dell’Italia, l’incarico dal presidente Napolitano di guidare il governo - non piacquero, per usare un eufemismo, alcuni nostri editoriali. Come a Prodi, del resto, a suo tempo. Pazienza.
Del giovane caudillo Renzi, che dire? Un maleducato di talento. Il Corriere ha appoggiato le sue riforme economiche, utili al Paese, ma ha diffidato fortemente del suo modo di interpretare il potere. Disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche. Personalmente mi auguro che Mattarella non firmi l’Italicum . Una legge sbagliata.
Ad alcuni miei - ormai ex - azionisti sono risultate indigeste talune cronache finanziarie e giudiziarie. A Torino come a Milano. Se ne sono fatti una ragione. Alla Procura di Milano si sono irritati, e non poco, per come abbiamo trattato il caso Bruti-Robledo? Ancora pazienza. L’elenco potrebbe continuare.
Con il tempo, cari lettori, ho imparato che i giornali devono essere scomodi e temuti per poter svolgere un’utile funzione civile. Scomodi anche quando sono moderati ed equilibrati come il Corriere . La verità è che i bravi giornalisti spesso ne sanno di più di coloro che vorrebbero zittirli. In questo Paese, di modesta cultura delle regole, l’informazione è considerata da gran parte della classe dirigente un male necessario. Uno dei tanti segni di arretratezza. Piaccia o no, le notizie sono notizie. I fatti sono i fatti, anche quando smentiscono le opinioni di chi scrive. E le inchieste sono un dovere civile, oltre che professionale. Perché le democrazie si nutrono di trasparenza e confronto, di attenzione e rispetto. Dove c’è trasparenza c’è riconoscimento del merito, concorrenza e crescita. Nell’opacità si regredisce. Una società democratica non deperisce solo se ha un’opinione pubblica avvertita e responsabile, alla quale - come diceva Luigi Einaudi, collaboratore del Corriere e presidente della Repubblica - devono essere forniti gli ingredienti utili per scegliere. Non solo nelle urne ma nella vita di ogni giorno. Conoscere per deliberare. L’opinione pubblica, architrave di una democrazia evoluta, è composta da cittadini con spirito critico non da sudditi che se le bevono tutte. E le opinioni vanno rispettate. Tutte [...]
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2302/0630/1230 edit
Scritto il 30 aprile 2015 alle 20:59 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 30 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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pssttt!!!! nessuno faccia rumore! Mattarella potrebbe svegliarsi!...
PER NON DIMENTICARE
LA LEGGE ACERBO/MUSSOLINI - Il disegno di legge, redatto da Giacomo Acerbo (Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio), fu approvato il 4 giugno 1923 dal Consiglio dei Ministri presieduto da Mussolini [...] Il successivo 9 giugno venne presentato alla Camera dei Deputati e sottoposto all’esame di una commissione nominata dal presidente Enrico De Nicola, secondo il criterio della rappresentanza dei gruppi.
La commissione fu composta da Giovanni Giolitti, Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Salandra, Ivanoe Bonomi, Giuseppe Grassi, Luigi Fera, Antonio Casertano, Alfredo Falcioni, Pietro Lanza di Scalea, Alcide De Gasperi, Giuseppe Micheli, Giuseppe Chiesa, Costantino Lazzari, Filippo Turati, Antonio Graziadei, Raffaele Paolucci, Michele Terzaghi e Paolo Orano.
La Legge Acerbo/Mussolini modificava il sistema proporzionale in vigore da 4 anni, inserendo un premio di maggioranza a favore del partito più votato, che avesse anche superato il quorum del 25%, aggiudicandogli i 2/3 dei seggi. Durante la discussione in commissione, i popolari avanzarono numerose proposte di modifica, prima cercando di ottenere l'innalzamento del quorum al 40% dei votanti e poi l'abbassamento del premio ai 3/5 dei seggi. Ogni tentativo di mediazione fu però vano e la commissione licenziò l'atto nel suo impianto originale, esprimendo parere favorevole a seguito di una votazione terminata 10 a 8 (...ricordate... premio al PARTITO, non alla COALIZIONE).
Il ddl venne quindi rimesso al giudizio dell'aula, dove le opposizioni tentarono nuovamente di modificarlo: esse confluirono attorno ad un emendamento presentato da Bonomi, che proponeva ancora di alzare il quorum per lo scatto del premio di maggioranza dal 25% al 33% dei voti espressi. Il tentativo fallì, anche per la rigida posizione assunta dal governo, che, opponendo la fiducia, riuscì a prevalere (seppur di stretta misura): su 336 presenti in 178 votarono a favore della fiducia e contro l'emendamento, 157 a favore dell'innalzamento della soglia e contro il governo. Decisivo risultò il numero degli assenti - ben 53 - che avrebbero potuto orientare in modo diverso l'esito del voto (...già... non votare non cambia un cazzo, cara sinistra "opposizione immaginaria". LE LEGGI SI CAMBIANO VOTANDO CONTRO, non NON VOTANDO. Capito, Bersani, Fassina & C.?)
Il 21 luglio del 1923 il ddl Acerbo venne infine approvato con 223 sì e 123 no. A favore si schierarono il Partito Nazionale Fascista, buona parte del Partito Popolare Italiano, la stragrande maggioranza dei componenti dei gruppi parlamentari di tendenze liberali e la quasi totalità degli esponenti della destra, fra i quali Antonio Salandra.
Negarono il loro appoggio i deputati dei gruppi socialisti, i comunisti, la sinistra liberale e quei popolari che facevano riferimento a don Sturzo (Don Sturzo, lo stesso nome col quale si sciacquavano Berlusconi, Renzi, e il peggio della DC di destra, sempre stata organica al potere economico, e con una singolare idea della democrazia rappresentativa (Fonte: Wikipedia)
LA LEGGE-TRUFFA - Voluta dal governo di Alcide De Gasperi (si, proprio lo stesso della legge Acerbo/Mussolini), venne proposta al Parlamento dal ministro dell'Interno Mario Scelba e fu approvata solo con i voti della maggioranza, nonostante i forti dissensi manifestati dalle altre formazioni politiche di destra e sinistra. Vi furono grandi proteste contro la legge, sia per la procedura di approvazione che per il suo merito.
Il passaggio parlamentare della legge vide un lungo dibattito alla Camera, ma una lettura fulminea al Senato, i cui presidenti Paratore e Gasparotto in sequenza si dimisero quando capirono che la maggioranza aveva intenzione di forzare la mano per ottenere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in tempo per svolgere le elezioni in primavera con la nuova legge. Il nuovo Presidente della Camera alta, Meuccio Ruini, approfittò della sospensione domenicale dei lavori per la domenica delle Palme del 1953 per riaprire la seduta e votare l'articolo unico della legge: ne scaturì un tumulto d'aula, che secondo Roberto Lucifero produsse l'uscita dall'aula del segretario generale Domenico Galante alla testa dei funzionari parlamentari. Il gruppo del PCI contestò la regolarità della seduta, preannunciando che non avrebbe mai votato a favore del processo verbale di quella seduta: non ve ne fu bisogno, perché il giorno dopo il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi firmò il decreto di scioglimento delle Camere ed il Senato si riconvocò solo nella nuova legislatura. In ogni caso, quel processo verbale non fu mai approvato.
Quanto al merito, la polemica s'è riaperta negli ultimi anni. Secondo gli oppositori l'applicazione della riforma elettorale avrebbe introdotto una distorsione inaccettabile del responso elettorale. I fautori invece vedevano la possibilità di assicurare al Paese dei governi stabili non ritenendo praticabili alleanze più ampie con i partiti di sinistra o con i monarchici e i missini.
Si noti che la legge andava a innovare una materia che, almeno nell'Europa di diritto latino, era tradizionalmente regolata secondo le elaborazioni di alcuni giuristi, principalmente Hans Kelsen, i quali vedevano in un sistema elettorale strettamente proporzionale (e con pochi correttivi o aggiustamenti) la corretta rappresentatività politica in Stati di democrazia. Se anche appare scorretto sostenere che la Costituzione del 1948 recepisse un favore per il proporzionale, è però vero che già da allora il sistema del premio di maggioranza era considerato assai rudimentale, per conseguire le esigenze di governabilità delle democrazie moderne, da buona parte della dottrina politologica. Queste critiche sono riemerse, a cinquant'anni di distanza, nei confronti della legge n. 270 del 2005 (il cosiddetto "Porcellum", dall'epiteto denigratorio rivoltole dal suo stesso proponente, l'allora ministro Calderoli), che contiene al suo interno un premio di maggioranza nazionale alla Camera e regionale al Senato.
Le reazioni alla legge - Nel tentativo di ottenere il premio di maggioranza, per le elezioni politiche di giugno, effettuarono fra loro l'apparentamento la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Democratico Italiano, il Partito Liberale Italiano, il Partito Repubblicano Italiano, la Südtiroler Volkspartei e il Partito Sardo d'Azione.
Con l'obiettivo contrario si mossero importanti uomini politici, tra i quali Ferruccio Parri, proveniente dal Partito Repubblicano che, insieme a Piero Calamandrei e Tristano Codignola, provenienti dal Partito Socialdemocratico, partecipò alla fondazione di Unità Popolare: tale movimento aveva proprio lo scopo di avversare la nuova legge elettorale. Non mancarono infatti, all'interno dei partiti che appoggiarono la nuova norma, forti contrarietà. Da una scissione nel partito liberale si costituì Alleanza Democratica Nazionale.
Le forze apparentate ottennero il 49,8% dei voti: per circa 54.000 voti il meccanismo previsto dalla legge non scattò. Unità Popolare e Alleanza Democratica Nazionale raggiunsero l'1% dei voti riuscendo entrambe nel loro principale proposito. Rispetto alle elezioni del 1948 si constata una riduzione dei voti verso i partiti che avevano voluto e approvato la legge: la DC perse l'8,4%; i repubblicani arretrarono dello 0,86%, più di 200.000 voti; perdendo circa 34.000 voti il Partito Sardo d'Azione dimezzò il suo consenso, anche liberali e socialdemocratici dovettero registrare perdite. Il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano aumentarono i consensi ottenendo 35 seggi in più; il Partito Nazionale Monarchico aumentò da 14 a 40 deputati e il Movimento Sociale Italiano aumentò da 6 a 29 deputati.
Come si vede, un grande risultato. Ottenuto non già "non votando", ma votando contro, facendo scissioni, combattendo con fucili armati a pallettoni e non con tappini di sughero. Altra opposizione. Una volta gli oppositori avevano i nomi (e la statura) di Don Sturzo, di Ferruccio Parri, di Piero Calamandrei, ed avevano un garante come il Presidente della Repubblica di nome Luigi Einaudi.
Oggi i fautori sono gli stessi di sempre (cascami della DC come Matteo Renzi, leccaculo di varie estrazioni a caccia di benevolenza e poltrone, veline e velini dove il dolce YES suona, e il peggio dell'opportunismo politico dell'ultimo mezzo secolo). Se Don Sturzo potesse sentire questi piccoli caimanini di provincia dichiararsi ispirati a lui, credo che vomiterebbe nella bara.
Ora ci risiamo con una legge ancora peggiore, voluta da piccoli politicanti in sedicesimo, appoggiati da cacciatori e conservatori di prebende, e purtroppo non ci sono più i Luigi Einaudi, i Ferruccio Parri, i Calamandrei, ma un'armata Brancaleone di braccia rubate all'agricoltura, e un Presidente della Repubblica che fino a questo momento si è limitato a fare discorsetti commemorativi, visitare vedove, e fare concorrenza - quanto a invisibilità sui problemi reali della conservazione della democrazia - al Cossiga prima maniera: quello che Chiappori illustrava come il riquadro nero della finestra del Quirinale. Da quella finestra cieca e nera non si affacciava nessuno: era Cossiga. Adesso continua a non affacciarsi nessuno: è Mattarella.
Ma oggi accade qualcosa si sconvolgente! UN EDITORIALE! Un editoriale di Ezio Mauro, che si sveglia da un lunghissimo letargo, succhiando le ruote di un Eugenio Scalfari (il cui letargo è stato solo "lungo), contro le attuali forme di renzismo. Meglio tardi che mai, ma forse molti si stanno svegliando fuori tempo massimo: dopo aver consegnato un Parlamento di yes-man ad un serial-twitter, che col Parlamento in mano sta tentando si appropriarsi anche di tutti gli strumenti di controllo, dui tutti i contrappesi, e di tutti gli altri strumenti tipici delle dittaure. E noi dobbiamo ormai ritenere Grandi Eroi gli Speranza, i Bersani, i Cuperlo, i Fassina, e gli altri Campioni Mondiali di Penultimatum.
Forse solo Crozza potrà salvarci.
Tafanus
Quello che segue è l'editoriale di stamattina di Ezio Mauro su Repubblica. Ha avuto bisogno di più di un anno per uscire dal letargo. Risveglio lento. Pressione bassa?
La prova di debolezza (di Ezio Mauro - Repubblica)
TRAVESTITA da prova di forza, ieri è andata in scena alla Camera la prima, pubblica e plateale prova di debolezza di Matteo Renzi. Mettere la fiducia sulla legge elettorale è sbagliato sul piano del metodo, perché dimostra l'incapacità di costruire un ampio e sicuro consenso politico su una regola fondamentale, ed è sbagliato soprattutto nel merito perché come diceva lo stesso premier a gennaio - per far accettare l'alleanza con Berlusconi - non si cambia il sistema di voto a colpi di maggioranza, tanto più se quella maggioranza riottosa è tenuta insieme dalla minaccia del voto anticipato.
Perso per strada Berlusconi, Renzi sembra aver perso anche la politica, sostituita da una continua prova muscolare. Che non può però nascondere la rottura evidente tra la sinistra del Pd e il presidente del Consiglio, che è anche segretario del partito.
È contro la minoranza interna, infatti, quel voto di fiducia: che diventa così un attestato di sfiducia reciproca tra Renzi e la sinistra Pd, una sfiducia così forte da finire fuori controllo, fino a una decisione che sfida il Parlamento, ma soprattutto il buon senso. Renzi ha il diritto di portare avanti le sue riforme, anche la legge elettorale, e il Paese ha bisogno di cambiamento. In politica però non conta solo il "quanto", cioè il saldo del voto finale, ma anche il come, vale a dire il percorso, le alleanze, il consenso che si sa costruire.
Qui si porterà a casa la legge, dissipando però il patrimonio accumulato col metodo seguito per l'elezione di Mattarella, che ha fatto per un breve momento del Pd non solo il partito di maggioranza relativa, ma la spina dorsale del sistema politico e istituzionale. Tutto gettato al vento, perché la minoranza continua a considerare Renzi abusivo (mentre ha vinto legittimamente le ultime primarie, così come aveva perso le precedenti) e perché il leader preferisce comandare il suo partito piuttosto che rappresentarlo nel suo insieme.
Così non si va lontano, prigionieri di due mentalità minoritarie. Ma come leader e premier, Renzi ha oggi una responsabilità in più. Può avere i numeri: ma dovrà capire che senza il Pd nel suo insieme, il governo è nudo di fronte a se stesso, perché i partiti sono cultura, valori, storia e tradizione: quel che fa muovere le bandiere.
A patto di non usarli come un tram.
2202/0630/1800
Scritto il 29 aprile 2015 alle 12:58 | Permalink | Commenti (19)
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Scritto il 29 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Restyling completato. Malpensa è pronta per l’Expò 2015. C’è un nuovo Terminal 1 nell’aeroporto del varesotto dopo un anno e mezzo di lavori e 30 milioni di euro di investimento serviti a rivoluzionare l’aspetto e la funzionalità dell’aerostazione grazie a un progetto architettonico firmato Gregorio Caccia Dominioni. Novanta gates di imbarco, 270 nuovi banchi check-in, 41 pontili mobili e la possibilità di accogliere contemporaneamente due Airbus A380, il cosiddetto gigante dei cieli, imbarcando passeggeri su tre pontili. Inoltre nuovi controlli di sicurezza, spostati al secondo piano del Terminal 1 con 21 postazioni operative più confortevoli e soprattutto in maggior numero così da dimezzare i tempi di attesa ai filtri di sicurezza del controllo passeggeri e bagagli.
Lunedì 20 aprile il taglio del nastro simbolico (l’aeroporto non ha mai chiuso) alla presenza del neo ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio che ha definito la ristrutturata Malpensa “bella, accogliente, ben pensata e orgogliosamente italiana” (...se lo dice Delrio...) Un cambio di passo in cui crede molto il presidente di Sea Pietro Modiano, che ha parlato di “rinascita dell’aeroporto”. “Non si dovrà mai avere la sensazione che Malpensa sia un’occasione persa”, ha dichiarato Modiano. La scommessa aperta nel 1998 (data di inaugurazione di Malpensa 2000 e del nuovo Terminal 1) viene ripresa diciassette anni dopo.
Ma intanto lo scalo, candidato ad essere tra i migliori d’Europa, con Alitalia compagnia aerea di riferimento e hub carrier, è rimasto con il cerino acceso in mano, abbandonato dalla stessa Alitalia tra la fine del 2007 e il 2008 lasciando sul campo 8,5 milioni di passeggeri soltanto in transiti. Cancellati quasi tutti i voli Alitalia, a terra per sempre tutti gli aerei e i voli all cargo della ex compagnia di bandiera.
Ora Sea, la società di gestione, prova a rimettere in pista Malpensa a partire da un look accattivante e funzionale che conquisti le compagnie aeree. Nel frattempo, sono già stati convinti i grandi marchi del lusso (prima apertura in un aeroporto europeo per Armani) che hanno occupato i 13.000 metri quadrati della nuova galleria commerciale per la prima volta accessibile a tutti i passeggeri Schengen e non-Schengen. Nel bilancio 2014, il comparto retail ha prodotto nelle casse di Sea 75,6 milioni di euro (su un totale di 211,1 milioni di euro quali ricavi non aviation) e il business potrà soltanto aumentare con il rinnovamento dell’aerostazione. Ma servono i voli (...ma va??? Piccolissimo dettaglio... NdR)
“Abbiamo detto ai nostri interlocutori principali, le grandi linee aeree: noi ci crediamo e voi? Se vi mettiamo a disposizione un’infrastruttura eccellente, quanti voli ci portate in più per arrivare qui senza scali intermedi?” ha spiegato il presidente Sea. “C’è stata una prima risposta l’anno scorso con +12% di passeggeri intercontinentali”. Ora si spera in Expo quale volano anche per il futuro.
“Noi scommettiamo su Malpensa, porta di accesso per la nostra economia e per il nostro Paese che non è soltanto quello dei viadotti che crollano, degli scandali e delle corruzioni, ma anche delle sfide di oggi come quelle dei nostri nostri antenati che hanno saputo costruire grandi opere. Qui vedo un pezzo della bellezza italiana”, ha affermato il ministro Delrio nel giorno dell’inaugurazione. Presenti anche il presidente di Enac Vito Riggio, il governatore della Lombardia Roberto Maroni e il vicesindaco di Milano Ada Lucia De Cesaris (...a proposito di "scandali"... nessuno ricorda i filmati degli addetti ai bagagli che rubavano, e che ancora nessuno è riuscito a licenziare? NdR)
A un terminal in vetro e acciaio si contrappone però la realtà dello stesso, identico, terminal utilizzato da parecchi senza tetto come casa in cui passare la notte, lavarsi e stare al caldo d’inverno. Sono circa un’ottantina, vivono nei sotterranei ma occupano anche gli spazi dei diversi piani dell’aerostazione dormendo sulle poltroncine e i sedili usati di giorno dai passeggeri regolari di Malpensa. Chi è senza dimora il mattino si sposta, va altrove. Ma a una certa ora della sera l’andazzo è sempre lo stesso. Il cardinale di Milano Angelo Scola, che ha visitato Malpensa prima di Natale, ha chiesto esplicitamente di trovare una soluzione per aiutare queste persone. Si tratta di italiani senza lavoro, separati che non riescono più a sbarcare il lunario e stranieri, regolari e non. E’ l’altra faccia di Malpensa che crea qualche problema di immagine in vista di Expo 2015. “Sea è disponibile, a fronte di richieste degli enti preposti, ad affrontare la situazione e metterci anche delle risorse”, rende noto il gestore aeroportuale. Ma finora nulla è accaduto e non una soluzione non è stata trovata Alessandra Pedroni - Il Fatto)
Sembra di sognare. Un cumulo di sciocchezze industriali simili non troverebbero posto neanche in una tesina di laurea breve della Cattolica. Malpensa è nato male, e finirà peggio. Ricordo l'inaugurazione in pompa magna... Tutto fermo, perchè il software per la gestione delle prenotazioni era sbagliato. Hanno dovuto farsi "prestare" un duplicato del vecchio e collaudato software di Linate per riuscire a far partire qualcuno.
Poi è arrivata la nevicata (poca roba, pochi centimetri...) Ma gli spalaneve sono arrivati dopo ore ed ore. Per le condizioni meteo? No! Perchè per qualche ragione che mi sfugge (o che mi è fin troppo chiara) l'appalto era stato dato a una ditta di Bergamo,. Quindi per ripulire le piste di Malpensa, bisognava attendere che le "tartarughe arrivassero da Bergamo.
La navetta stradale per Malpensa arrivava ad uno dei terminal, da cui non partiva quasi nessuno, senza fermata al terminal che serviva alla gente, Quindi dal terminal sbagliato si doveva prendere una navetta per andare in quello giusto.
I parcheggi per lunghe permanenze richiedevano altre navette... L'autostrada dei Laghi è un terno al lotto. Basta un tamponamento con rottura dei fanalini di coda di una Panda, e si crea una coda da Milano a Gallarate.
Partire da Malpensa per un milanese comportava una "uscita" prudenziale da casa (viaggio in auto, probabilissimo ingorgo, parcheggio, navetta, arrivo al check-in un secolo prima), tre ore prima dell'imbarco. In un'epoca in cui in tre ore si va col treno da Milano Centrale a Roma Termini.
Un taxi per Malpensa costa due volte un volo Milano-Londra con un volo low-cost.
Ora c'è quest'altra botta di megalomania... 270 (duecentosettanta) nuovi banchi di check-in, perchè c'è l'Expò... Se TUTTI i 24 milioni di visitatori attesi per arrivare al break-even-point (all'inizio erano 36 milioni) arrivassero SOLO usando Malpensa (nientre treni, niente bus, niente Orio al Serio, niente Linate), SOLO i nuovi banchi dovrebbero gestire 24 milioni di viaggiatori in 180 giorni.
Un vero record di inefficienza nel rapporto costi/benefici. Ma qui siamo evidentemente alla fanta-programmazione, perchè per ora hanno venduto 9 milioni di biglietti, e la gente non arriverà solo in aereo, e non arriverà solo a Malpensa.
Ma una terrificante domanda sorge spontanea: e dopo: E DOPO IL 30 OTTOBRE, su questi banchi ci metteremo in vendita le cozze di Taranto, e le magliette col logo dell'Expò?
Tafanus
2202/0630/1130 edit
Scritto il 28 aprile 2015 alle 23:36 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 28 aprile 2015 alle 00:06 | Permalink | Commenti (0)
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Il Nepal è in una situazione disperata. In un contesto generalizzato di distruzione e disperazione, la situazione peggiore è quella dei bambini, che a migliaia hanno perso tutto, e spesso anche i genitori. Ciò che per noi può rappresentare una serata in pizzeria, per un bambino nepalese può rappresentare la differenza fra vivere e morire. Inviamo il nostro contributo all'Unicef, Progetto Nepal. Grazie
Scritto il 27 aprile 2015 alle 21:57 | Permalink | Commenti (0)
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Siamo davvero un popolo fantastico! quasi un "dichiaratore" su tre rinuncia alle detrazioni fiscali su farmaci (e magari su interessi del mutuo, donazione e altro), pur nin non correre il rischio (peraltro minimo, visto il numero di accertamenti annuali possibili), di un'ispezione fiscale. Italiani bbrava ggente...
2102/0630/1030 edit
Scritto il 27 aprile 2015 alle 15:58 | Permalink | Commenti (8)
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Scritto il 27 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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...non succedeva da sessant'anni... dai tempi della "legge-truffa"...
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La Bindi all'attacco: "Non voto la fiducia". L'ex capogruppo Speranza: "Nessun fatto politico nuovo, confermo le dimissioni". Di Battista: "Pronti ad azioni extraparlamentari
"La fiducia sull'Italicum tradisce la nostra vita democratica". Dopo Pierluigi Bersani è Rosy Bindi la prima a rinfocolare lo scontro tra il premier Matteo Renzi e la minoranza del suo partito. E se l'ex segretario parlava di "pressioni indebite" la presidente della commissione Antimafia fa un passo avanti e chiama in causa anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. "Il capo dello Stato - dice la Bindi - conosce bene le prerogative del Parlamento e del governo. Io comunque non faccio previsioni né do consigli a Capo dello Stato ma mettere la fiducia vuol dire tradire i rapporti fra governo e Parlamento e tradire la nostra vita democratica". E poi aggiunge: "La richiesta di fiducia sull'Italicum sarebbe una prova di debolezza da parte del governo e da Renzi non ce lo aspettiamo, ci aspettiamo prove di coraggio".
Anche il capogruppo dimissionario Roberto Speranza pianta un altro paletto: "Confermo senz'altro le dimissioni, non ci sono stati fatti politici nuovi, mi sono dimesso perché penso che le idee vengano prima delle poltrone". Nel merito Speranza è chiaro: "Penso che Renzi stia commettendo un errore grave nel procedere con questa legge elettorale senza alcuna modifica". E sulla fiducia aggiunge: "La scelta della fiducia è irricevibile, sarebbe errore politico madornale, una violenza vera e propria al Parlamento italiano".
E se il fronte interno continua ad essere caldo per il premier-segretario ancora più violente sono le bordate che arrivano dalle opposizioni. I 5 Stelle minacciano "azioni extraparlamentari", e lo fa con Alessandro Di Battista a "l'Intervista di Maria Latella" su SkyTg24. "Nel Pd c'è solo un giorco delle parti - dice il deputato - l'opposizione interna non è vera, io non mi fido di questa gente". "Con tutti i problemi che l'Italia ha, la priorità è l'Italicum... Il fatto che si scannino fa capire che a loro interessano solo le regole per farsi eleggere", ha aggiunto. Di Battista ha poi affermato che se il dibattito verrà compresso dal governo, il M5S "userà mosse extraparlamentari perché il Parlamento sarebbe completamente esautorato".
E un appello a tutti i deputati lo fa Arturo Scotto, capogruppo di Sel e Montecitorio. "La fiducia sulla legge elettorale è un'aberrazione; è una legge di rango costituzionale e sulla Costituzione nessun governo guidato dal buonsenso porrebbe mai la questione di fiducia. Se il premier, come sembra ormai chiaro a tutti, dovesse optare per questo strumento, cambierebbe in un colpo solo la natura della nostra Repubblica: da parlamentare a neo presidenziale. Ci appelliamo a tutti quei depurati liberi che in tutti questi mesi hanno espresso rilievi critici sull'Italicum: non consentiamo questo stupro della Costituzione" [...]
2002/0630/1600 edit
Scritto il 26 aprile 2015 alle 23:15 | Permalink | Commenti (7)
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Recensione del film "MIA MADRE" (di Angela Laugier)
Regia: Nanni Moretti
Principali interpreti: Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini – 106 min. – Italia, Francia, Germania 2015.
Margherita (Margherita Buy) fa la regista cinematografica; è scontenta del suo film e ne addossa la colpa all’operatore, le cui riprese sono troppo a ridosso della finta polizia, intenta a caricare i finti operai in procinto di occupare la fabbrica in vendita. Allo stesso modo è scontenta degli attori che dovrebbero prendere maggiormente le distanze dal personaggio che interpretano. L’ideale sarebbe tenere distinta la realtà dalla sua rappresentazione, e ricordare che la prima può ispirare la seconda, ma non deve coincidervi, pena l’impressione di artificio che ne deriverebbe. E’ prossimo ad arrivare, intanto, l’attore più importante (John Turturro) per il ruolo del dirigente industriale italo-americano acquirente della fabbrica, che intende risanare con cura d’urto (Marchionne?). Piovendo dal cielo, letteralmente e metaforicamente, l’attore si muove davvero come un pesce fuor d’acqua e molto spesso non ricorda le battute, forse perché gli risultano incomprensibili, forse perché gli sta venendo meno la memoria. Fuori dal set, Margherita ha una vita simile a quella di molte altre donne: qualche problema sentimentale, dopo la separazione, risolto sbattendo fuori di casa il giovane amante; una figlia (Beatrice Mancini) con poca voglia di studiare; una madre, Ada (Giulia Lazzarini), ex insegnante di lettere classiche al liceo; un fratello ingegnere, Giovanni (Nanni Moretti). Da un po’ di tempo la vecchia Ada è in ospedale malata e condannata a morire: da quando Giovanni ne ha preso coscienza, si è messo in aspettativa per dedicarle quell’accudimento amorevole che renderà a lei (e anche a lui, però) meno pesante l’addio: nulla lo consolerà meglio, dopo, della coscienza di averle reso meno penoso il distacco, che avverrà, infatti, nell’affetto dei figli e della nipotina, nella bella casa piena di libri e nel ricordo ancora vivo degli studenti che aveva preparato alla vita. Giovanni, dunque aveva cercato di razionalizzare l’evento ineludibile; Margherita, invece, aveva assunto un maggiore distacco dal proprio lavoro e più prontamente ne aveva colto limiti e contraddizioni. Il diverso modo con cui Margherita e Giovanni affrontano l’annunciata morte della madre è la sostanza solo apparente del film, poiché i due personaggi sono in realtà riconducibili alla sola persona del regista che in questo come in tutti i suoi film parla di sé. Qui, in maggiore misura che nel bellissimo La stanza del figlio, il tema della morte permette a Nanni Moretti di esprimere la propria crisi esistenziale, forse perché la morte della madre, per lui come per tutti, rappresenta sul piano simbolico lo strappo definitivo col passato e anche l’opportunità per riesaminare autocriticamente ciò che siamo stati, ciò che abbiamo fatto, ciò che ci attendiamo dal futuro.
“… un misto tra una sgangherata seduta psicanalitica e un disordinato esame di coscienza in un’atmosfera da limbo”. Così, in piena crisi creativa, dopo La Dolce Vita, Fellini aveva presentato il suo nuovo capolavoro, 8 e 1/2. Credo che, nonostante le migliori intenzioni di Nanni Moretti, questa definizione si adatti poco alla sua ultima fatica, che certamente cita con abbondanza il grande Federico (anche Le tentazioni del dottor Antonio, l’episodio felliniano di Boccaccio ’70: bevete più latte!). La crisi di Margherita – Giovanni – Nanni, però, almeno secondo me, non ha molto in comune con la crisi di Guido, poiché è la crisi soprattutto dei suoi (nostri, forse) riferimenti politici che, di fronte alla realtà completamente mutata, mostrano tutta la loro improponibilità e tutto il loro carattere di incomprensibile finzione. Abbiamo perso la memoria, come John Turturro: è insensato, perciò che continuiamo a raccontarci la favola bella che ieri ci illuse, poiché oggi non ci illude più. Oggi, quando per davvero la messa è finita, molto più soli ci ripieghiamo sulle tragedie personali, più intime, né sappiamo se il nostro privato farà trovare al regista quel linguaggio nuovo che sta invano cercando. Forse, allora è meglio che la narrazione cinematografica assuma modelli meno gloriosi: Haneke (Amour è certamente presente nell’immaginario morettiano), o addirittura Denys Arcand, che nel suo Le invasioni barbariche è forse il regista che può avvicinarsi di più al racconto morettiano della fine, dolce, fra le persone amate. Fellini e anche Wim Wenders, splendidamente citato nella rappresentazione degli spettatori in coda per ri-vedere (appunto!) Il cielo sopra Berlino sono legati, forse, ai giovani che siamo stati e che non saremo più. Film splendidamente recitato, molto ambizioso, per molti aspetti interessante, con alcuni grandi momenti di riflessione meta-cinematografica. Non sempre mi ha pienamente convinta, ma ritengo che sia sicuramente da vedere.
Angela Laugier
2002/0630/0930 edit
Scritto il 26 aprile 2015 alle 19:03 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 25 aprile 2015 alle 23:52 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 25 aprile 2015 alle 00:01 | Permalink | Commenti (4)
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New York Times: Obama sapeva della morte di Lo Porto, ma non lo disse a Renzi. Il premier: "Ce l'hanno detto quando hanno avuto la certezza" (Fonti: New York Times e Repubblica)
Renzi mente, o semplicemente vuole compiere un difficile "salvataggio della faccia". Tre clamorose figure da "caratterista del Salone Margherita" nella stessa settimana (una negli USA, una in Europa, una in Italia) sono troppe persino per l'ego ipertrofico di Renzi. Se ne faccia una ragione. é stato trattato a pesci in faccia in due continenti, solo perchè non ha avuto occasione di visitare anche gli altri. Tafanus
Barack Obama, nonostante già sapesse della morte dei due ostaggi in Pakistan, l'italiano Giovanni Lo Porto e l'americano Warren Weinstein, non disse nulla a Matteo Renzi nel corso dell'incontro di venerdì scorso alla Casa Bianca. Lo scrive il New York Times, confermando che il capo della Casa Bianca ha avvertito Renzi con una telefonata mercoledì. Una ricostruzione destinata ad alimentare le polemiche, di fronte alla quale il presidente del Consiglio ha riaffermato la propria fiducia nell'alleato: "La certezza che i due corpi fossero dei due cooperanti noi l'abbiamo avuta mercoledì e credo che anche gli americani l'abbiano saputo mercoledì. Ce l'hanno detto quando c'era la conferma, quando hanno avuto la certezza", ha detto durante un'intervista alla trasmissione Otto e mezzo, su La7.
"Non è stato un blitz per il quale ci dovevano avvisare - ha aggiunto Renzi - ma un tragico errore della Cia. Il modo con il quale gli americani hanno gestito questa vicenda è stato corretto. Ho apprezzato che Obama non abbia fatto giri di parole e si sia assunto la responsabilità. Se poi c'è chi vuole fare polemica sugli orari...".
"Faremo di tutto per recuperare quel corpo anche se è molto difficile - ha aggiunto Renzi - Come si fa a definirlo un ostaggio di serie B? La Farnesina ha fatto di tutto in questi anni, alla famiglia abbiamo portato prove che era in vita. Io capisco il dolore della famiglia, non capisco la polemica politica".
La ricostruzione del Nyt. "Dopo aver messo insieme ogni dettaglio sulla vicenda - sostiene il Nyt - le morti di Lo Porto e Weinstein sono state legate a un attacco con un drone svoltosi a gennaio. Solo la scorsa settimana l'intelligence Usa lo ha riferito a Obama con quello che hanno definito come 'il più alto livello di certezza'". "Obama - prosegue l'articolo - ha chiesto quindi che l'episodio venisse declassificato, ma non ha detto niente a Renzi durante la sua visita alla Casa Bianca venerdì scorso. Quando tutti i preparativi erano stati fatti Obama ha chiamato Renzi mercoledì per informarlo dell'accaduto. E ha chiamato anche la moglie di Weinstein. Chi è vicino a Obama lo ha definito come uno dei momenti più dolorosi della sua presidenza. Come quando le paure peggiori si materializzano".
Gentiloni alla Camera. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, nel suo intervento in una Camera semideserta, ha definito Giovanni Lo Porto "un volontario generoso ed esperto nella cooperazione internazionale" che "ha vissuto dedicandosi agli altri, in maniera concreta, ovunque per portare solidarietà, lo ha fatto con convinzione e consapevolezza, attività in cui migliaia di nostri connazionali sono impegnati". "Cresce il pericolo, la prudenza ma soprattutto il nostro sostegno. Questa attività fa onore all'Italia", ha aggiunto.
"L'Italia troverà il modo di onorare la memoria di Giovanni, lavoreremo per acquisire il massimo delle informazioni possibili sul tragico errore riconosciuto ieri dal presidente Obama", ha poi sottolineato il ministro.
Le polemiche con gli Usa. Sulle polemiche relative alla tardiva comunicazione della morte di Lo Porto da parte del governo americano, Gentiloni ha detto che iI governo italiano prende atto dell'impegno alla massima trasparenza assunto ieri dagli Stati Uniti. Il presidente Obama ha informato il presidente Renzi della morte di Lo Porto nella tarda serata del 22 aprile. "Appena finalizzate le necessarie verifiche, che si sarebbero protratte per tre mesi a causa della particolarissima natura del contesto dell'operazione antiterrorismo, è stata data la notizia". "L'ultima evidenza secondo cui risultava in vita risaliva allo scorso autunno. Colpe ed errori ammessi dal presidente Obama, non incrinano la determinazione che il governo italiano intende perseguire nella lotta contro il terrorismo, che è una minaccia seria", ha aggiunto il ministro [...]
Obama sotto accusa. Sempre oggi, il Washington Post scrive che "per anni i consiglieri del presidente hanno detto che errori come quello che ha provocato la morte di due ostaggi occidentali 'non sarebbero mai avvenuti'. Ed ora l'amministrazione si sta chiedendo se si sia fatto abbastanza per eliminare i rischi di questi errori".
Ad essere messa in discussione è la stessa strategia seguita in questi anni in cui l'amministrazione Obama ha usato i droni come arma principale della lotta al terrorismo, cioè quella della "near certainty". Le linee guida per l'autorizzazione ai raid, elaborate dal direttore dalla Cia John Brennan e firmate da Obama, prevedono infatti che la luce verde per l'azione venga data quando, sulla base delle informazioni di intelligence, si ha la 'quasi certezza' che l'obiettivo è terroristico e che non si rischia di mettere in pericolo civili. "Purtroppo quest'ultima valutazione della 'near certainty' si è rivelata sbagliata", ha detto il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest.
Una strategia che in questi anni è stata duramente condannata e contestata dalle associazioni per i diritti umani che accusano l'amministrazione Usa di aver provocato la morte di centinaia di civili. Weinstein e Lo Porto "non sono assolutamente i primi innocenti uccisi dai nostri droni, e in nessun altro caso gli Stati Uniti hanno chiesto scusa per i loro errori", ha detto Alka Pradhan, avvocato di Reprive U.S., organizzazione che rappresenta le vittime civili dei droni.
I droni. Barack Obama ha annunciato che un'inchiesta verrà condotta per determinare come si sia arrivati a questo tragico errore, ma negli ambienti dell'intelligence c'è chi crede che non sia possibile arrivare a un livello più alto di certezza se si vuole mantenere l'uso dei droni. "Chiedere uno standard più alto di prova vorrebbe dire la fine di questo tipo di operazioni", ha detto Adam Schiff, capogruppo democratico alla commissione Servizi della Camera, ricordando che in questo caso non si è trattato di un drone che ha colpito "l'edificio sbagliato, una famiglia innocente, la tragedia è stata che vi fossero nascosti ostaggi innocenti". La Cnn, citando una fonte pachistana, ha riferito tra l'altro che nel 2012 la famiglia di Weinstein pagò un riscatto nella speranza di ottenerne la liberazione.
38 occidentali morti a causa dei droni. Secondo un'analisi diffusa dal Bureau of Investigative Journalism, dal 2002 a oggi sarebbero 38 gli occidentali rimasti uccisi durante operazioni americane con droni. Nell'elenco figurano dieci americani, otto britannici, sette tedeschi, tre australiani, due canadesi, due spagnoli, un italiano, uno di nazionalità ancora da stabilire (svizzera o belga). Il Paese di provenienza è invece sconosciuto per quattro vittime. Sei persone sono rimaste uccise nello Yemen e due in Somalia, tutte le altre sono cadute in Pakistan.
Cerchiamo di separare i fatti dalle pugnette: l'amico e grande estimatore di Renzi ha saputo per certo e con certezza, secondo il NYT (che non è "Libbbero", né "Il Geniale") che fra i morti c'erano John Brennan e Giovanni Lo Porto, già dal giorno 16. All'amico fidato Matiio Renzi ha trovato il modo di spiegare che l'Italia doveva comprare gli F-35 come da accordi, e che gli USA MAI avrebbero messo piede in Libia. Ha trovato il modo di informare Matiio che gli italiani, senza il consenso degli USA, non possono usare i droni regolarmente acquistati (ma disarmati), Non ha trovato il modo, fino alla "zona Cesarini" di dirgli che Giovanni Lo Porto e John Brennan erano stati ammazzati da loro.
L'altro grande successo di Renzi è stato in Europa. E' tornato tronfio come un pavone, ma la realtà è che non ha ottenuto un cazzo. Nessunissima apertura alla redistribuzione sui vari paesi dei migranti, Solo un pacchetto di caramelle col buco scadute. L'Europa si è impegnata a triplicare i costi da 3 a nove milioni di euro (suddivisi fra 27 paesi). Fatti i conticini? Ogni paese in media spenderà 111.111 euro. La metà del valore di un appartamento medio, in edilizia civile, in una cittadina del Nord. E sso' cazzi!. Non solo. Dopo aver "triplicato" (che suona bene) l'attuale impegno economico di Triton (da 3 a 9 milioni), siamo ritornati ai 9 milioni che l'Italia spendeva da sola per "Mare Nostrum". Invece TUTTI i paesi europeri si sono dichiarati indisponibili a rivedere il protocollo di Dublino. Dunque Spagna, Italia e Grecia continueranno a prenderla nel culo, e ad occuparsi di dare asilo politico ai richiedenti aventi diritto, in quanto "paesi di primo ingresso".
Ma nessuna preoccupazione: adesso Renzi ha dato l'incarico alla Mogherini di ottenere il consenso degli altri paesi... Avete presente la Mogherini???
Per finire in bruttezza: Il Renzacolo in luogo del Cenacolo
Last but not least: si profila la terza, epocale figura di merda dell'Italia (e di chi la guida): volevamo portare a Milano i Bronzi di Riace, ma purtroppo non riusciremo a tenere aperto alle visite neanche il Cenacolo di Leonardo (Corso Magenta, Milano). A sette giorni dalla inaugurazione dell'evento del millennio, non sono riusciti a trovare uno straccio di sponsor o di organizzazione capace di gestire l'apertura, le prenotazioni, il "traffico" di visitatori. Da tutto il mondo fioccano richieste di informazioni, prenotazioni, acquisto dei biglietti, e non c'è un solo minchione di Stato in grado di fare uno straccio di risposta.
1902/0630/0930 edit
Scritto il 24 aprile 2015 alle 21:51 | Permalink | Commenti (6)
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Scritto il 24 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Ex berlusconiani, ex nostalgici, figli di, sindaci autodecaduti, persone inquisite e sotto processo. Vincenzo De Luca è un politico generoso. Accoglie tutti a braccia aperte. Il candidato Pd alla Regione Campania è pronto a dare ospitalità anche ai dem che, per una ragione o l’altra, non dovessero entrare nella lista di partito. Per loro ci sarà un posto nelle civiche ‘De Luca presidente’ e ‘Campania Libera’. A cominciare da Franco Alfieri, imputato di corruzione in una vicenda di appalti, sindaco Pd di Agropoli che si è fatto decadere con l’artificio del ricorso a una multa, l’apripista di un escamotage copiato da altri colleghi, come il sindaco di San Sebastiano al Vesuvio, Pino Capasso, le cui ambizioni di carriera in Regione però non hanno trovato sbocco.
Al contrario di Alfieri: la direzione Pd di Salerno ha detto sì alla sua candidatura, interpretando in maniera garantista il codice etico. Ma da Roma hanno fatto sapere che non sarebbe il caso. La direzione regionale di domenica scioglierà il nodo. Mal che vada, Alfieri si candiderà in una delle civiche deluchiane. Farà compagnia a Paola Raia, ex cosentiniana, poi confluita in ‘Forza Campania’, il movimento di Nicola Cosentino e Vincenzo D’Anna, ed ora indipendente. Secondo più fonti qualificate la consigliera regionale uscente ha sostenuto Andrea Cozzolino alle primarie democrat. I 6 x 3 della Raia con lo slogan deluchiano “Mai più ultimi” già sono affissi a Napoli.
Tra i consiglieri regionali un tempo con Caldoro e oggi con De Luca, ecco poi Carlo Aveta, eletto nella Destra. Nelle foto sui social ricorda le gite a Predappio. Aveta ha rinunciato al vitalizio (gli sarebbe maturato tra una ventina d’anni) ed è uno dei pochissimi consiglieri neanche sfiorato dalle indagini della Procura di Napoli sulla Rimborsopoli della Campania: ha contrattualizzato i collaboratori, li ha pagati regolarmente. Persino la Corte dei conti lo ha tenuto fuori dagli inviti a dedurre. Passa dal centrodestra al centrosinistra di De Luca anche l’ex questore e parlamentare Franco Malvano, che fu il candidato sindaco di Forza Italia a Napoli nel 2006 e su nomina di Caldoro è il presidente della commissione antiracket regionale. Con De Luca inoltre troviamo Tommaso Barbato. L’ex senatore mastelliano che nel 2008 quasi mise le mani addosso a Nuccio Cusumano durante le votazioni per la sfiducia a Romano Prodi, ha annunciato tramite Facebook la candidatura in ‘Campania Libera’. E’ sotto inchiesta per un presunto voto di scambio alla vigilia delle ultime elezioni politiche, mentre le indagini sulle clientele Udeur nell’Arpac gli attribuirono 43 raccomandazioni.
Capitolo lista Pd. Sgomita per un posto a Salerno il sindaco di Giffoni Valle Piana Paolo Russomando. Si è fatto decadere in un modo più fantasioso di quello del primo cittadino di Agropoli: ha fatto causa al Comune per danni da buca stradale. Ha già aperto un comitato elettorale di fronte a piazza della Concordia. A trenta metri da quello di Alfieri. Poi c’è l’elenco dei ‘rampolli’. E’ quello più ricco. E al suo intero, forzando un po’, c’è pure Mario Casillo, che in verità ha una consiliatura alle spalle e punta, legittimamente, alla riconferma. Ma fino a quando andrà alle riunioni politiche accompagnato dal padre Franco Casillo, un potente ex consigliere regionale del vesuviano dai trascorsi demitiani, se ne ricorderà la parentela. Casillo, che con la sua corrente ‘areadem’ è stato determinante per la vittoria di De Luca alle primarie, è tra gli indagati della Rimborsopoli della Regione Campania: il pm Novelli ne ha chiesto il rinvio a giudizio per peculato. Potrebbero entrare nelle liste dem tra Napoli e Salerno Enza Amato, segretaria di circolo a Fuorigrotta e figlia del consigliere regionale uscente Tonino Amato, Carmela Fiola, figlia del consigliere comunale di Napoli Ciro Fiola, Federico Conte, figlio dell’ex ministro della Prima Repubblica Carmelo Conte. E’ tramontata la candidatura di Rosa Casillo, figlia dell’ex senatore Tommaso Casillo. Tornerà in campo il padre. Ma in ‘Campania Libera’ (Fonte: Vincenzo Iurillo - Il Fatto)
1802/0630/1500 edit
Scritto il 23 aprile 2015 alle 22:44 | Permalink | Commenti (2)
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Correva l'anno 2008. Era il 4 Giugno, il problema non era la Libia ma l'Albania, i numeri degli immigrati e dei rifugiati non erano quelli di oggi - ma molto più "maneggevoli", quando noi abbiamo pubblicato il post riprodotto in calce, dal titolo La memoria corta degli italiani
Oggi prendiamo spunto dal semplice post di Gianni Morandi, che riprendeva per conto suo lo stesso tema, ricordando che anche noi siamo stati un paese di "emigranti" e di "clandestini", accolto sui "social" networks (...chissà perchè si chiamano social...) da decine di migliaia di insulti, e prendiamo spunto dall'elogio che di Gianni Morandi ha fatto Michele Serra, perchè ci teniamo ad essere insultati anche noi.
Speriamo che gli insulti vengano estesi anche a Michele Serra, e a tutti i Morandi, i Serra, e - perchè no - ai tafani che non hanno ancora dimenticato di aver accompagnato, da bambini, maree di zii, cuginetti, e parenti vari, al famoso "Molo Beverello" del Porto di Napoli, dal quale "partivano i bastimenti, 'pe terre assaie luntane...". Terza classe, bliglietto comprato facendo debiti pagati per anni.
Molti non li ho mai più rivisti. Alcuni hanno fatto fortuna, altri hanno avuto una vita semplicemente dignitosa, di altri ho perso qualsiasi traccia.
Australia, Argentina, Venezuela, Stati Uniti... Gran parte dell'uscita dell'Italia dalla grande crisi del dopoguerra la dobbiamo alle famose "rimesse degli emigranti". Ma non abbiamo esportato solo braccia e menti. Abbiano esportato anche criminalità, malattie endemiche, affaristi. Eppure non siamo riusciti ad "ammazzare il mondo". Caso mai, il mondo ha aiutato (magari per egoismo) l'Italia a non affondare nella miseria irreversibile.
Vorrei che i Salvini e le Santanché queste cose non le dimenticassero mai.
La memoria corta degli italiani
(Post del 4 Giugno 2008)
Per non dimenticare. Questo post è dedicato a tutti i "non sono razzista però" che affiorano a valanga. I dati sono tratti in prevalenza da un libro di Gian Antonio Stella ("L'orda: quando gli albanesi eravamo noi"). Il libro mi è stato segnalato da Claudio, che ringrazio. Pur essendo Stella un giornalista stimatissimo, soprattutto dopo aver scritto "La Casta", questo libro precedente è stato di scarso successo. Perchè? Forse perchè La Casta è in grado di giustificare (anche se non era questo l'obiettivo) l'invettiva generalizzata, mentre "L'Orda" ci ricorda impietosamente "come eravamo", e come in generale vorremmo che non ci fosse ricordato di essere stati.
"...volevamo braccia, sono arrivati uomini..." (Max Frisch)
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Nel 1961 c'era già il "miracolo italiano", però nel ricco Veneto dei Gentilini alcuni stentavano a vederlo, il miracolo, persino da lontano. Ecco com'erano le case venete nel 1961
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Negli anni del miracolo, un italiano su 12 era totalmente analfabeta
L'Italia non ha esportato solo Enrico Fermi e Meucci: ha esportato principalmente masse di analfabeti.
Non è vero che i maggiori serbatoi di emigrazione siano state le regioni meridinali. I dati, separati dalle opinioni, raccontano un'altra storia. Friuli, Veneto e Lombardia hanno fornito più carne da emigrazione che Sicilia, Calabria e Campania.
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Non è vero che abbiamo esportato solo piastrellisti, pizzaioli e contadini: abbiamo esportato fior di delinquenti, in quantità industriali. Questo è il numero di carcerati negli USA, solo per reati gravi, nel 1908.
Schio: prima del boom, la fame. Rara foto di una famiglia patriarcale contadina di Schio conservata alla Biblioteca Scledense. Da quelle campagne vicentine oggi operose e opulente partirono a decine di migliaia, andando incontro spesso a tragedie come quella raccontata in una lettera, raccolta da Emilio Franzina nel libro "Merica! Merica!", da Bortolo Rosolen: "Il viaggio è stato molto pesante tanto che per mio consiglio non incontrerebbe tali tribolazioni neppure il mio cane che ho lasciato in Italia. (...) Piangendo li descriverò che dopo pochi giorni si ammalò tutti i miei figli e anche le donne. Noi che abbiamo condotto 11 figli nell'America ora siamo rimasti con 5, e gli altri li abbiamo perduti. Lascio a lei considerare quale e quanta fu la nostra disperazione che se avessi avuto il potere non sarei fermato in America neppure un'ora".
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Veneto 1930: tracce di medioevo: nella foto dell'archivio del "Gazzettino", marito e moglie davanti al loro "casòn", l'abitazione tradizionale delle campagne venete. Siamo già nel 1930, il treno è stato inventato da 105 anni, il telegrafo da 79, il telefono da 74, il fax da 65, la metropolitana elettrica di Londra da 40, il cinema da 35, l'automobile Mercedes da 30, l'aereo da 27, la radio da 24. Eppure dal nostro paese partono altre 280 mila persone in un anno nonostante il freno del fascismo e nelle terre che diventeranno pochi decenni dopo la "locomotiva d'Italia" c'è chi vive ancora come nel medioevo. Poco è cambiato da quel 1877 in cui il municipio di Padova stimava che su 3187 case coloniche del circondario poco meno di un terzo erano casoni. Cioè: "Gabbie di legname a quattro pareti piane, collocate sopra muriccioli a secco, rifoderati da canne di sorgo turco, dentro e fuori spalmate di creta: superiormente un'intelaiatura di legno a forma di piramide, colle facce esterne intessute e coperte di strame o di paglia, un uscio che permetta l'entrata della gente e dentro l'angusto ambiente un focolare, cui sovrasta una qualsiasi via d'uscita per il fumo, una o due finestrelle, difese da impannate od anco da vetrate; pavimento la nuda terra".
Scuole da terzo mondo - Nella foto di Tino Petrelli, una classe delle elementari di Africo (Reggio Calabria) nel 1948. Dicono i censimenti che nel 1951, tra gli abitanti con più di sei anni, erano ancora analfabeti 5.456.005 italiani, pari al 12,9% della popolazione. Una percentuale spaventosa (che saliva al 24% in una regione del Sud non particolarmente arretrata come la Puglia) e che sarebbe scesa molto lentamente all'8,3% nel 1961.
I trogloditi di Mergellina - Nella foto scattata negli anni Sessanta, l'interno di una grotta abitata da alcune famiglie povere a Mergellina. Poco o niente era cambiato dal quel 1951 in cui il sindaco Achille Lauro aveva spiegato: "secondo calcoli molto attendibili e semmai errati in difetto a Napoli si alzano ogni mattina 80.000 persone che non sanno se e in che modo potranno sfamarsi nella giornata". Il reddito italiano pro capite era allora di 235 dollari l'anno, contro i 1.453 degli Stati Uniti. Il meridione poi era così povero che il suo reddito medio (130 dollari) era inferiore a quello della Jugoslavia titina, che secondo la commissione parlamentare d'inchiesta del 1951 arrivava allora a 146.
Venditori di cianfrusaglie - Il banchetto carico di cianfrusaglie di due ambulanti italiani in Francia agli inizi del Novecento. Una foto che somiglia a troppe immagini di cinesi, arabi e africani scattate in questi ultimi anni e fa giustizia da sola di chi dice, come lo scrittore Rino Cammilleri, che "noi non siamo mai stati vu cumpra'".
In navigazione verso l'odio - Nella foto Farabola, emigranti a bordo del "Principe di Udine" nel 1926. Alcuni avrebbero fatto fortuna, molti no. Tutti sarebbero stati accolti, in Australia come negli Usa, da forti ostilità. Un giornale di Melbourne del 1925 dedicato agli italiani, in gran parte veneti e piemontesi, titolava: "L'invasione delle pelli-oliva"
Una stanza per dormire, lavorare, cucinare - Nella foto di Jacob Riis scattata a Bayard Street nel 1888, un gruppo di italiani ammucchiati in una sola stanza in un condominio di Bayard Street. Scriveva lo stesso Riis nel libro "Così vive l'altra metà": "i rapporti di polizia che parlano di uomini e di donne che si uccidono cadendo dai tetti e dai davanzali delle finestre mentre dormono, annunciano che si avvicina l'epoca delle grandi sofferenze per la povera gente. È nel periodo caldo, quando la vita in casa diventa insopportabile per dover cucinare, dormire e lavorare tutti stipati in una piccola stanza, che gli edifici scoppiano, intolleranti di qualsiasi costrizione. Allora una vita strana e pittoresca si trasferisce sui tetti piatti. [...] Nelle soffocanti notti di luglio, quando quei casermoni sono come forni accesi, e i loro muri emanano il caldo assorbito di giorno, gli uomini e le donne si sdraiano in file irrequiete, ansanti, alla ricerca di un po' di sonno, d'un po' d'aria. Allora ogni camion per la strada, ogni scala di sicurezza stipata, diventa una camera da letto, preferibile a qualsiasi altro luogo all'interno della casa. [...] La vita nei caseggiati, in luglio e agosto, vuol dire la morte per un esercito di bambini piccoli che tutta la scienza dei medici è impotente a salvare".
Noi oggi siamo capaci di indignarci quando veniamo le condizioni nelle quali vivono certi immigrati. Ci indignamo con loro, come se vivere in un porcile fosse una loro scelta. Raramente ci indignamo con noi stessi, che in queste condizioni li facciamo vivere. Ah... la memoria corta...
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"Fenicotteri" sfracellati al confine - Nella fotografia Judlin-Dalmas ripresa dal settimanale "Settimo giorno" del gennaio 1962, il salto della morte alle spalle di Ventimiglia dove la notte di capodanno del 1962 si era sfracellato Mario Trambusti, un giovane fiorentino che cercava di entrare clandestinamente in Francia. Era l'87° italiano morto esattamente in quel punto. E quel 1962 era l'anno in cui Dino Risi girava il film simbolo dell'Italia che si arricchiva: "Il sorpasso"
Gli "orfani" della frontiera - Nella foto di "Tempo illustrato" n. 7 del 1971, alcuni figli di emigranti alla "casa del fanciullo" di Domodossola. Un orfanatrofio. Ma di 120 ospiti una novantina erano "orfani di frontiera" i cui genitori lavoravano in Svizzera ma avevano per legge il divieto di portare con loro la famiglia.
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Sui sentieri dell'esodo illegale - Nella foto di Jack Le Cuziat, pubblicata dall'"Europeo" il 5-3-1963, una lunga fila di italiani che passano clandestinamente il confine con la Francia. I sentieri alpini erano battuti da secoli. Il 9-2-1958, sul "Giorno", il grande Tommaso Besozzi aveva scritto che ("anche se il lettore stenterà a crederlo"), erano stati almeno diecimila dalla sola Calabria a varcare clandestinamente il confine nella seconda metà degli anni Cinquanta "con una lunga marcia sui nevai della Vasubie". Per entrare in Francia bastava allora la carta d'identità ma "non potevano credere che gli uomini potessero andare da un paese all'altro con così poche formalità".
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La tratta delle bianche - La "tratta delle bianche" non è il titolo di un romanzo d'appendice. Il commercio internazionale di donne da avviare alla prostituzione nelle Americhe, in giro per l'Europa e perfino in Africa era a cavallo tra Ottocento e Novecento assai florido e vedeva gli italiani tra i protagonisti. Il fenomeno era così preoccupante che a Parigi nel 1902 fu organizzata addirittura una Conferenza cui l'Italia inviò come suo delegato Raniero Paulucci de Calboli. Il quale in un saggio sulla Nuova Antologia si scagliò furente, per esempio, contro certi loschi "uffici d'emigrazione" che facevano "tratta regolare di ragazze per l'Egitto" dove il console italiano aveva denunciato "il numero sempre crescente di uomini e donne italiane che vivevano con la prostituzione" e riferito che "alcuni speculatori appartenenti alla numerosa classe dei lenoni e degli sfruttatori di donne", approfittando del disastroso terremoto del 1894 in Calabria "e della conseguente miseria di quei luoghi", si disponevano "a indurre giovani donne e fanciulle calabresi a emigrare in Egitto colla speranza di essere collocate a servizio, ma in realtà per essere gettate nella malavita".
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Mafia's Brothers, con fratello prete - Nella foto i fratelli Anastasia, una delle tante famiglie mafiose italo-americane: da sinistra seduti Antonio (Tony), Giuseppe (Joe), don Salvatore, Umberto (Albert). In piedi Gerardo (a destra) e il nipote Antonio. Tony era il capo del potente sindacato dei portuali, Albert (destinato a morire falciato da una raffica di mitra mentre era dal barbiere) il creatore dell'Anonima Assassini. Don Salvatore, arrivato a New York dalla Calabria per raggiungere i fratelli dopo essersi fatto prete, giurò fino all'ultimo che non sapeva assolutamente nulla delle loro attività criminali: . "La tragedia della mia vita cominciò con un giornale deposto da una vecchia signora sui banchi della chiesa della Cromwell Avenue." Era il Natale del 1950 e scoprì su quel quotidiano che la Commissione sul Crimine avrebbe interrogato "il ras della malavita newyorkese" Albert Anastasia: "Vidi nero, mi coprii di freddo e di sudore, un fiotto di sangue mi uscì dal naso; ho ripreso conoscenza il giorno dopo, mi tennero per ventiquattr'ore sotto la tenda a ossigeno".
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Arandora Star: la strage ignorata - Nella foto, l'Arandora Star, un transatlantico da crociera sequestrato dalle autorità inglesi all'inizio del secondo conflitto mondiale. Fu qui che, dopo la dichiarazione di guerra da parte di Benito Mussolini, vennero caricati, con l'accusa di essere spie in servizio o potenziali, oltre 700 immigrati italiani in Inghilterra. Una retata vergognosa: moltissimi erano indifferenti alla politica, molti vivevano in Inghilterra da quarant'anni e avevano figli nell'esercito britannico, altri ancora erano addirittura antifascisti da anni in esilio o ebrei fuggiti dall'Italia dopo le leggi razziali del 1938. La nave, sulla quale erano stati concentrati anche 500 prigionieri tedeschi (tra i quali diversi antinazisti ed ebrei che avevano cercato rifugio oltre Manica) fu intercettata da un sottomarino tedesco il 2 luglio 1940, silurata e affondata. Gli italiani che sparirono tra i flutti, urlando disperati nel tentativo di superare le barriere di filo spinato stese sul ponte, furono 446. Ma sui giornali dell'epoca non uscì una riga. Il primo libro italiano sul tema, di Maria Serena Balestracci, è uscito nel 2002: 62 anni dopo l'ecatombe.
New Orleans, eccidio in carcere - Una immagine del linciaggio di 11 italiani a New Orleans tratta dalla rivista Illustreted American del 4 aprile 1891 e ripubblicata da Richard Gambino nel libro "Vendetta" edito da Sperling & Kupfer nel 1975. Racconta Gambino che le mamme con i bambini in braccio si chinavano sui cadaveri per inzuppare i fazzoletti nel sangue come souvenir.
1802/0630/0830 edit
Scritto il 23 aprile 2015 alle 12:07 | Permalink | Commenti (8)
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Scritto il 23 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Le "purghe" renziane contro chi non applaude ad ogni minchiata che spara. E ora speriamo che ciò che resta del PD capisca, e passi finalmente dai "penultimatum" agli ultimatum. Sempre che si sia ancora in tempo... (Fonte: International Business Times)
Forse perché oscurata dall’immane strage di migranti o perché sul banco degli imputati c’è il partito di Matteo Renzi e non uno di opposizione, la vicenda dell’epurazione dei 10 dissidenti in Commissione rischia di scivolare via come una mossa dura, al limite, ma necessaria. In realtà si tratta di un atto senza precedenti.
[...] Non è la prima volta che il governo Renzi elimina dalla sua strada gli ostacoli interni. Accadde qualcosa di simile la scorsa estate, vittime in Commissione al Senato i ‘critici’ Mineo e Chiti. Ora la mossa è molto più grave, politicamente e non solo. Sostituire 10 membri della Commissione (su un totale di 22 appartenenti al PD) perché contrari all’Italicum è una forzatura del regolamento della Camera.
Articolo 19.3: “Nessun deputato può essere designato a far parte di più di una Commissione. Ogni Gruppo sostituisce però i propri deputati che facciano parte del Governo in carica con altri appartenenti a diversa Commissione. Inoltre ogni Gruppo può, per un determinato progetto di legge, sostituire un commissario con altro di diversa Commissione, previa comunicazione al presidente della Commissione”.
Si evince che sostituire un commissario si può, ma è altrettanto evidente come nel caso Italicum non si stia parlando di una sostituzione dettata da uno spostamento in altra Commissione o di una promozione dei 10 ad una carica di governo. E’ il contrario: la maggioranza PD si sbarazza, in blocco, della corposa minoranza perché contraria alle sue volontà. In pratica c’è un “utilizzo politico dell’istituto della sostituzione” come ha sottolineato Pino Pisicchio (Misto).
Ci sarebbe anche la Costituzione di mezzo: l’esclusione del vincolo di mandato è espressamente citato nell’articolo 67. Anche la Consulta, ricorda il professore di diritto costituzionale Andrea Pertici intervistato oggi sul Fatto Quotidiano, si è espressa in tal senso, mezzo secolo fa (sentenza n.14 del 1964). “Il divieto di mandato imperativo importa che il parlamentare è libero di votare secondo l’indirizzo del suo partito, ma è anche libero di sottrarsene. Nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito”.
Ora diventa preminente, per ciò che resta del PD, l'obiettivo di liberarsi di qauesto dittatorello da strapaese. Non importa come. Facendogli prendere una batosta alle regionali (dova ha candidato il Gotha delle Procure), votando CONTRO (non non votando e basta) qualsiasi cosa, e soprattutto votando CONTRO eventuali voti di fiducia posti su materie che non rispondano ai requisiti di necessità e urgenza, e/o abbiano una forte connotazione costituzionale, e riguardano materie che dovrebbero essere sottratte a interessi da bassa bottega (vedi Italicum e marchette da 80 o da 12 euro).
Spero che di fronte a queste epurazioni il PD, che tanto aveva criticato quelle del M5S, trovi il coraggio di "sfoderare i coglioni", e di mandare a casa chi non si sta dimostrando degno e capace di lavorare con la cassetta degli attrezzi chiamata DEMOCRAZIA
Tafanus
1602/0630/1930
Scritto il 22 aprile 2015 alle 18:00 | Permalink | Commenti (4)
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Scritto il 22 aprile 2015 alle 00:12 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 21 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Renzi ha dato truppe in Afghanistan e un freno a Draghi sul cambio euro-dollaro. Da Obama ha avuto ornamenti di cartone (di Eugenio Scalfari - Repubblica)
Che cosa ottenne l'Italia da questo vasto ventaglio di amicizie di Silvio? Assolutamente nulla, ma lui se ne infiocchettò l'abito da premier sontuosamente. Purtroppo (per lui) dopo le sue sfortunate vicende giudiziarie la Merkel lo scaricò del tutto e gli altri governanti europei fecero altrettanto, al punto che evitarono di farsi fotografare in sua compagnia nelle riunioni internazionali. Avevano capito prima di noi italiani che la sua strada era finita.
Da questo punto di vista Matteo è molto più bravo di lui, e col bunga bunga non ha nulla da spartire. Non possiede aziende private, non ha conflitti di interesse. Silvio sperava che fosse il suo erede al potere, ma ha fatto un errore: non ha accettato la candidatura di Mattarella. Comunque Renzi non lo abbandonerà, farà in modo che abbia onorata sepoltura (politica ovviamente) e prenderà da lui parecchi voti di ex forzisti in cerca d'autore.
E questo è quanto. Ma ora vediamo che cosa veramente è accaduto a Washington, a parte i complimenti reciproci, le pacche sulle spalle e il Brunello di Montalcino.
Obama l'ha complimentato per le riforme che Renzi ha compiuto. Non ha detto quali. Si è complimentato anche per la sua battaglia per la crescita economica in Europa, che però non è affatto venuta. In aggiunta a questi complimenti Obama si è però lamentato perché l'euro è troppo debole e rende difficili le esportazioni americane su tutta l'area europea. Renzi ha incassato il rimprovero rispondendo che vedrà quel che potrà fare. In che senso? Veramente il nostro premier non vorrebbe consolidare la rivalutazione del dollaro di fronte alla moneta europea? L'autore di quel mutamento del cambio è Mario Draghi che sta lavorando per il bene dell'Europa e quindi dell'Italia.
Poi il discorso è passato alla Russia. Poche settimane fa Renzi aveva promesso a Putin un intervento per far togliere le sanzioni economiche contro la Russia. Obama ha invece detto a Renzi che sarebbe un errore gravissimo togliere quelle sanzioni che semmai dovrebbero essere aumentate. Piglia e porta a casa.
A pranzo il discorso si è spostato sulla Libia. Obama tra un bicchiere di Brunello e l'altro ha detto che in Libia gli Usa non intendono intervenire e tantomeno fornire armi ed aerei al governo libico (che di fatto non esiste). Ha detto che bisogna pacificare le tribù e che questo compito spetta senz'altro all'Italia. Quindi l'ha incoronato negoziatore principale della pace in Libia. Naturalmente incoronare qualcuno senza avere la corona da calcargli sulla testa non costa nulla ed è quello che ha fatto Obama. La corona in questo caso ce l'ha l'Onu e sembra difficile che l'Onu la metta in testa ad un italiano che per di più rappresenta un Paese che ebbe la Libia come colonia dal 1911 al 1942, dopo la sconfitta di El Alamein.
Obama lo ha simbolicamente incoronato come leader dell'Europa (altra corona che Obama non possiede), ma a scanso di equivoci ha ricordato che gli Usa hanno un rapporto con la Germania che non può e non deve essere indebolito.
Infine Obama ha preso atto con piacere che le truppe italiane dislocate in Afghanistan resteranno in quel Paese ancora un paio di anni mentre quelle americane stanno già rientrando in patria.
Insomma: chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto. Renzi ha dato truppe in Afghanistan e possibilmente un freno a Draghi sul cambio euro-dollaro. Ha dato anche il suo appoggio al trattato commerciale Usa-Ue attualmente in discussione.
In contropartita ha avuto due corone di cartone. Su quelle due Renzi torna a Roma felice e contento. Giornali e televisioni hanno già cominciato a suonare a festa e continueranno. Mi viene in mente la canzone "Madonne fiorentine" quando dice che «Madonna Bice non nega baci/ baciar le piace, che male fa?». Infatti, che male fa mettersi in testa due corone di cartone e far credere che sono d'oro massiccio e ingioiellato.
Tornato in Italia Matteo (che Giuliano Ferrara non a caso chiama "Royal baby") comincerà col respingere e far respingere all'unanimità dalla direzione del Pd le dimissioni di Speranza da capogruppo dei deputati del partito. Speranza accetterà quel voto o insisterà nelle dimissioni? Per ora l'interessato ha detto che insisterà ma ha anche spiegato il perché: vuole trattare un compromesso accettabile per tutte e due le parti in causa. E qual è il compromesso? Un cambiamento della riforma del Senato in seconda lettura in Parlamento: elezione diretta dei senatori e voto compatto dei dissidenti sulla legge elettorale.
È possibile questo do ut des? Sembrerebbe di no. Secondo la legge vigente le materie già approvate dalle Camere nella prima lettura della legge costituzionale non possono essere più emendate in seconda lettura. Le cose stanno esattamente così, salvo che c'è un impensabile calembour cui appigliarsi: nella prima lettura una Camera ha votato che «i senatori saranno votati nei Consigli regionali» e l'altra Camera ha votato che «i senatori saranno votati dai Consigli regionali». Il significato è identico ma la forma è diversa.
È un appiglio valido che consente un mutamento sostanziale? La risposta sulla base dei regolamenti parlamentari spetta al presidente del Senato. Grasso non è persona che gioca alle quattro carte; in materia di legge e di procedure ha speso tutta la sua vita e perciò la sua risposta, ove fosse necessaria, sarà motivata in modo sicuramente accettabile, quale che sia.
Ma se fosse negativa? Allora mancherebbe la contropartita al voto unanime sulla legge elettorale. E allora Renzi che farà? Metterà la fiducia su quella legge? È avvenuto una sola volta, la mise De Gasperi sulla cosiddetta legge truffa del 1953. Ma in quel caso la sostanza era completamente diversa: il premio scattava soltanto nel caso che ci fosse in Parlamento una maggioranza assoluta del 50 per cento più uno. Solo allora scattava il premio per accrescere la governabilità. Comunque quella legge fu battuta nonostante la fiducia. Figurarsi qui e ora.
Perciò il problema resta apertissimo su come si comporteranno i dissidenti del Pd. Per loro il tema è se osservare la disciplina di partito o non accettarla se sono convinti che quella legge è un passo assai pericoloso verso un governo autoritario. Sta a loro rispondere e decidere come comportarsi.
Una parola sulle decisioni di Marchionne di associare i lavoratori della Fiat agli utili dell'azienda; qualora quegli utili ci siano spetterà a lui di stabilire l'entità del premio e la sua ripartizione tra i dipendenti.
Tutti i sindacati hanno plaudito salvo la Fiom-Cgil che parla di esproprio dei poteri sindacali. Sembra un'opposizione più corporativa che sindacale. In parte lo è, ma in parte no. Infatti in quasi tutte le aziende esiste un "premio di rendimento" che le imprese discutono con le rappresentanze sindacali, le quali trattano sull'entità del premio (sempre che un profitto ci sia stato), sulla sua ripartizione ed anche su problemi connessi alle condizioni di lavoro nel comune interesse dell'impresa e dei lavoratori.
Dunque non è l'imprenditore che decide da solo, ma l'interlocutore sindacale è allo stesso tavolo e si arriva ad una decisione comune.
A me sembra che questo metodo sia buono e che comunque il profitto sia di comune utilità; senza di esso la discussione si dovrebbe spostare sui sacrifici da compiere, sia dall'una che dall'altra parte e questo è il massimo di un capitalismo democratico e di un sindacalismo riformista [...]
Eugenio Scalfari
1602/0630/1300
Scritto il 20 aprile 2015 alle 17:36 | Permalink | Commenti (8)
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Scritto il 19 aprile 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (14)
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Alcuni film di un certo interesse sono comparsi nelle nostre sale, oltre a quelli di cui ho già pubblicato le recensioni: possono risultare gradevoli quando ci si vuole distrarre un po’ senza, tuttavia, rinunciare a pensare.
Recensione del film "LA FAMIGLIA BELIER" (di Angela Laugier)
Titolo originale: La famille Bélier
Regia: Eric Lartigau
Principali interpreti: Karin Viard, François Damiens, Eric Elmosnino, Louane Emera, Ilian Bergala. -100 min. – Francia 2014
Non sempre è una sventura essere nati sordomuti come i propri genitori, Gigi e Rodolphe Bélier, se ci si vuole bene, si lavora e si vive dignitosamente vendendo i prodotti di una piccola azienda agricola in Normandia; alle volte, anzi, in quella famiglia ci si era anche divertiti, perché l’espressione gestuale era servita a dire cose che ad alta voce non si sarebbero dette per educazione, per pudore o per rispettare le convenienze sociali. La condizione serena dei Bélier ora stava diventando più difficile, però, poiché la più grande dei due figli, l’adolescente Paula, che era l’unica a sentirci benissimo e a parlare, stava cambiando . La giovinetta, infatti, era stata notata per la sua bellissima voce da soprano dal professore di musica della sua scuola media, che addirittura le aveva proposto di prepararla gratuitamente perché potesse partecipare all’imminente e importantissimo concorso per voci nuove a Parigi, ciò che avrebbe causato il suo allontanarsi dalla gestione degli affari di famiglia, dal banco del mercato, dalle occupazioni agricole. Poiché, come bene ci fa intendere il film, la “normalità” è solo una questione di punti di vista, all’interno della famiglia Bélier veniva dato per certo che la “diversa” Paula avrebbe quasi certamente procurato grane e seccature, che si manifestavano appunto ora, quando l’adolescente, imprevedibile e spiazzante, come tutti a quell’età, diventava quasi l’immagine emblematica dell’alieno tra noi, incomprensibile per genitori e fratellino, nessuno dei quali capiva che cosa volesse, a che cosa aspirasse, quali segreti nascondesse, perché se ne volesse andare. Il mutismo e la sordità, perciò, sembrano quasi la metafora del muro di incomprensione che si erge fra i genitori, sordi veri o presunti, e i figli che, prendendo coscienza delle opportunità che il futuro può offrire loro, non intendono farsi “normalizzare” dalla routine quotidiana della vita famigliare. Un film intelligente, molto ben recitato, che lascia intravedere l’attenta indagine del regista nel rappresentare il momento critico del distacco dalla famiglia, quando l’affetto e la protezione degli adulti nei confronti dei figli finirebbero per soffocarli, tarpandone le ali nel momento in cui essi vorrebbero almeno provare a volare da sé.
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Recensione del film "LATIN LOVER" (di Angela Laugier)
Regia: Cristina Comencini
Principali interpreti: Virna Lisi, Marisa Paredes, Angela Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Candela Peña, Francesco Scianna, Lluís Homar, Neri Marcorè – 114 min. – Italia 2015.
A San Vito dei Normanni, paese natale di Saverio Crispo, grande attore e divo del cinema, si commemora il decimo anniversario della sua morte. Allo scopo si riuniscono nella casa di famiglia, oltre alle due vedove, (Virna Lisi, alla sua ultima opera, e Marisa Parades), le numerose figlie, non solo quelle ufficialmente riconosciute, i generi nonché i nipoti dell’ultima generazione. Dal mare di ricordi che affiorano alla memoria delle due compagne della vita, ormai troppo anziane per la gelosia, ma ancora sufficientemente giovani per lanciarsi qualche bella battuta al vetriolo, emerge, come in un santino d’epoca, il ritratto di un uomo bellissimo, affettuoso, buon marito e buon padre, ma un po’ troppo sensibile alla bellezza delle donne che lo assediavano e lo insidiavano dovunque egli si trovasse. La verità di Saverio (Francesco Scianna), invece, era un po’ più complicata, come sarebbe apparso evidente di lì a poco alle vedove costernate e alle figlie attonite, e dava un’immagine del personaggio assai lontana anche da quella idealizzata delle celebrazioni ufficiali.
Il film è assai interessante non solo perché ricostruisce, sull’ esile traccia biografica di un uomo immaginario (che ho descritto molto sommariamente), l’icona del maschio italiano, il latin lover per l’appunto, quale poteva essere diffusa dagli attori che attraverso il nostro cinema, parlavano al mondo, ma soprattutto perché Saverio Crispo, compendiando in sé molti famosi interpreti dei film di un tempo (da Mastroianni, a Gassman, a GianMaria Volonté, a Rossano Brazzi a Ugo Tognazzi e, probabilmente, anche a Rodolfo Valentino), fornisce l’occasione per una bella e garbata evocazione di opere cinematografiche molto famose e anche per una riflessione sui loro registi grandissimi, spariti insieme a un’intera società, sommersa dall’omologazione dei gusti e dei comportamenti e perciò sempre più simile alle altre società del mondo occidentale. Un omaggio dunque al nostro cinema, oltre che ai grandi interpreti che, come Virna Lisi, avevano rappresentato con gusto e intelligenza l’Italia di allora, vitale e piena di speranza.
Angela Laugier
1502/0630/1830 edit
Scritto il 19 aprile 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 18 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Basta andare a Bresso, dove i velivoli restano incustoditi sulla pista. Ecco l'inchiesta choc sulle falle nella sicurezza dell'evento milanese (Fonte: l'Espresso)
TRE MINUTI E QUALCHE SECONDO. Il tempo per rubare un aereo e schiantarlo sull'Expo. Un minuto e 53 secondi dal decollo e la prua è già dritta sull'obiettivo. Tre minuti e 38 secondi di volo e addio Padiglione Italia. Un terrorista impiegherebbe ancora meno manovrando senza regole, alla massima velocità. Meno di tre minuti separano l'aeroporto di Milano Bresso dagli oltre centocinquantamila visitatori attesi ogni giorno all'Esposizione universale. Nemmeno un caccia riuscirebbe a intercettare un attacco a 180 secondi dall'allarme. E tra le centinaia di milioni spesi in appalti, scandali e sicurezza privata, nessun ministro, nessun prefetto, nessun commissario delegato al più grande evento del 2015 deve averci pensato. Perché rubare un aereo a tre minuti dall'Expo è facilissimo.
Nelle ultime due settimane Bresso, il terzo aeroporto di Milano, ha subito sei incursioni: per sei volte sono entrato tranquillamente attraverso i tanti buchi nella recinzione e nessuno si è accorto di nulla. Nonostante le telecamere appese agli hangar, i cartelli con la scritta «proprietà protetta da Civis Vigilanza» e l'allarme scatenato ovunque dalla strage milanese di Claudio Giardiello, 57 anni, salito con la pistola a Palazzo di giustizia.
Una simulazione, ovviamente. Un mese vissuto come farebbe un terrorista, a trovare falle nelle misure di protezione intorno a Expo. Le ultime due settimane passate dentro e fuori l'aeroporto. Ore trascorse di giorno e di notte, seduto ad aspettare sotto le ali o la fusoliera. Fingendo ispezioni pre-volo e filmando con la telecamera (video e foto su lespresso.it). Ore così, molto più del tempo necessario a un pilota-kamikaze per scassinare l'accensione, mettere in moto e decollare. E sempre con la speranza che qualcuno appaia e dimostri che le segnalazioni sulle possibili minacce dall'aria, raccolte dagli 007 dell'Aise e girate alla polizia, sono tenute in considerazione. I rapporti riservati parlano di estremisti marocchini e libici addestrati al pilotaggio che potrebbero compiere clamorosi attentati anche in Europa. E di undici aerei executive e di linea rubati dagli islamisti lo scorso anno all'aeroporto di Tripoli. Invece niente. Non arriva nessuno. Avessi avuto altre intenzioni e qualche pratica aeronautica e criminale, sarei potuto ripartire su un bimotore Partenavia P68, quasi identico al pattugliatore usato dalla polizia. Oppure su un potente Cessna 182 Skylane inglese, o un Piper Pa28 appena arrivato dalla California. E su altri aerei ancora.
LA BARRIERA BOCCIATA - Nemmeno le minacce via terra sembra siano valutate in modo approfondito dallo staff del commissario delegato dal governo per l'Expo 2015, Giuseppe Sala, e del prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca. Le quattro settimane dell'inchiesta hanno infatti rivelato che il sistema di sicurezza non rispecchia affatto le dichiarazioni ufficiali. Né quelle estremamente rassicuranti del premier Matteo Renzi. Il punto debole è proprio il curriculum delle sei imprese alleate, alle quali il 2 febbraio scorso la società pubblica Expo 2015 ha affidato per venti milioni l'appalto sulla vigilanza armata e non, durante i sei mesi della manifestazione. Sono "All System spa", "Ivri spa", "Ivri servizi fiduciari srl", "Sicuritalia spa", "Sicuritalia Group Service scpa" e "Consorzio Prodest Milano srl". Per loro, un bingo di tre milioni e 300 mila euro al mese sottoscritto dal responsabile del procedimento di gara, Christian Malangone, 41 anni, direttore dei contratti e degli acquisti di tutta l'operazione Expo.
Un appalto vinto in cambio di un curriculum sicuramente curioso per un evento così delicato, che "l'Espresso" è in grado di rivelare per la prima volta. Eccone un assaggio. Tre coltelli, un pugnale, vari ordigni esplosivi e un passeggero lasciati transitare senza controlli pochi mesi fa dalle guardie giurate ai metal detector dell'aeroporto di Ryan Air a Orio al Serio, dove "Sicuritalia" condivide l'appalto con "Italpol". E poi la licenza di vigilanza e trasporto ritirata a dicembre 2014 dal prefetto di Cosenza all'amministratore delegato di "Ivri Servizi Fiduciari", per le gravi carenze di un altro istituto del gruppo ai danni di Inps e Poste Italiane a Taranto: «È stata accertata a più riprese», scrive il prefetto di Cosenza tra le irregolarità denunciate, «l'assenza del personale che avrebbe dovuto essere impiegato per il piantonamento come da contratto». Oppure la triste storia delle guardie mandate a rischiare la pelle dalla "All System" nei servizi antirapina senza giubbotti antiproiettile e radio ricetrasmittenti. È la capogruppo nell'appalto Expo e controlla anche gli ingressi del Palazzo di Giustizia a Milano. Tutti tranne quello da cui giovedì 9 aprile è passato il killer che ha ucciso il giudice Fernando Ciampi, l'avvocato Lorenzo Claris Appiani e l'ex socio Giorgio Erba, precisa adesso la società. Come se la sicurezza di una sede altamente a rischio possa essere garantita da un piano organizzato a compartimenti stagni.
IL SALTO DELLE RETI - Cosenza e Taranto, città che non ospitano alcun evento mondiale, sono dunque più rigorose di Milano? Sembra proprio di sì. Alcune di queste società, come "Ivri" e "Sicuritalia", già vigilano sugli ingressi dell'Esposizione. La realtà è quella che abbiamo scoperto domenica scorsa lungo il perimetro di Expo e che Massimo Sestini ha fotografato: decine di operai italiani e soprattutto stranieri scavalcano la recinzione in entrata e in uscita, sottraendosi a qualunque forma di controllo. Forse sono lavoratori in nero. Ma in queste condizioni, le precauzioni antimafia e antiterrorismo sbandierate da almeno tre anni diventano ridicole. Al punto che l'apparato di sicurezza di qualunque capo di Stato in visita a Milano potrebbe chiedere al nostro governo: «Siete sicuri che non siano stati introdotti esplosivi o armi per futuri attentati nell'area dell'Esposizione?». E per ora la risposta sincera non può che essere una: «No».
La possibilità di rubare aerei è un problema di molti aeroporti minori. Come a Valbrembo, 60 chilometri a Est, provincia di Bergamo, recintato soltanto su due lati. Ma lì la sera tutta la flotta viene richiusa a chiave nell'hangar. Bresso è molto più vicino a Expo. Appena fuori Milano, direzione Nord. Già nel 2012 e nel 2013 sono stati aperti gli hangar di notte, senza nessun segno di scasso. Sabotarono alcuni degli oltre cinquanta aerei ospitati. Un giallo ancora irrisolto. Ma con le minacce dello Stato Islamico, gli squilibrati in circolazione e i vari comitati per l'ordine e la sicurezza, convocati con il ministro dell'Interno Angelino Alfano in vista dell'Esposizione universale, probabilmente saranno tutti più prudenti. Invece no. Il cancello dell'aeroporto resta sempre aperto. Giorno e notte. E a pochi metri dalla pista, al di là di una rete piuttosto bassa, la Croce Rossa ha allestito la tendopoli del ministero dell'Interno, in cui Milano accoglie i profughi arabi e africani sbarcati in Sicilia. Proprio lì accanto, un hangar nasconde il grosso elicottero giallo del servizio di elisoccorso della Regione Lombardia. Sono le 6.16 della domenica delle Palme. È ancora buio.
Lungo via Matteotti, appena oltre il cancello sempre aperto, la recinzione è di plastica. Ma non è da qui che si passa. Bisognerebbe poi scavalcare una facile balaustra sotto le telecamere degli hangar. Più avanti, dove si allarga il parco, la rete fin troppo bassa per un aeroporto è anche rotta. Ecco un buco comodissimo. Non serve scavalcare. Basta alzare il piede di circa 30 centimetri. La pista di rullaggio che porta ai decolli è subito oltre. E a ottantacinque passi dal buco nella rete, è parcheggiato un bimotore. È il Partenavia P68 I-Gaus di una società di Cagliari: due motori a elica, 320 chilometri all'ora, oltre 650 litri di benzina, quasi due tonnellate di peso massimo al decollo.
LA MINACCIA VOLANTE - Numeri che nella perversione terroristica hanno il loro significato. Il portellone è chiuso da una fragile serratura, come le Cinquecento di quarant'anni fa. I costruttori di aerei devono risparmiare sul peso. Si può girare intorno al bimotore per quasi un'ora e mezzo, fino alle 7.36. In volo questo aereo sarebbe già arrivato a Grosseto. Non si fa vedere nessuno. Né prima, né dopo. La regola ovviamente è di non toccare nulla e nemmeno provare ad aprire gli hangar. Ma se un criminale sapesse come fare, avrebbe tutto il tempo per manomettere il blocco di accensione, rabboccare i serbatoi e andarsene. I motori fanno rumore, certo. Ma prima che qualcuno capisca, il Partenavia sarebbe già in quota. Nella testa di un kamikaze, un viaggio di sola andata non richiede grandi abilità aeronautiche.
Il manuale per avviare un P68 si scarica da Internet: «Freno di parcheggio: regolato. Circuito: on. Radio: off. Batteria e alternatori: on. Selettori carburante: on. Controllo miscela: al minimo. Manetta del gas: aprire mezzo pollice. Controlli delle eliche: avanti. Interruttore generale: on. Accensione: magneti on. Pompa carburante ausiliaria: on. Miscela: ricca, finché il flusso di carburante si stabilizza, poi al minimo. Eliche: libere. Avviare lo starter. Pressione dell'olio: a livello entro trenta secondi...Ripetere l'operazione con il secondo motore». A questo punto si decolla. Ci sono altri due aerei più piccoli sul piazzale: un costosissimo Cirrus Sr20 e un glorioso Beechcraft P35 Bonanza. Ma con quelli riproviamo domani.
Tornando davanti al cancello sempre aperto, esce un custode. Non ha divisa ed è piuttosto maleducato. Forse mi ha visto girare in pista ed è arrabbiato. No, non è il custode. È soltanto uno che abita dentro l'aeroporto, non si capisce a quale titolo perché non si presenta. Ha visto la macchina fotografica e dice che l'ho immortalato mentre stava facendo la pipì nel parcheggio. Sicuro: avrei potuto rubare tre aerei, ma il suo problema è sapere se l'ho fotografato. Certo che no. Vede sul display le immagini colorate dell'alba. Non si accorge nemmeno che sono state scattate in pista. Si calma e ritorna dentro l'aeroporto.
«SI PUÒ RUBARE ANCHE UN AIRBUS» - Lunedì, due nuove visite. La prima dalle 2.59 alle 3.54. Solito giro intorno al bimotore P68, sempre parcheggiato a ottantacinque passi dal buco nella rete. Poi camminata sul piazzale alla luce dei riflettori davanti agli hangar e alle telecamere. E infine un lungo relax seduto sotto la pancia del costosissimo Cirrus Sr20. Questo aereo di ultima generazione è molto più complicato da avviare. «Ma se uno conosce la procedura», spiegava giorni fa GB Molinaro, ex comandante e famoso solista delle Frecce tricolori, «può rubare perfino un Airbus. E lì non servono nemmeno le chiavi. La sicurezza degli aerei a terra è una questione aperta». Comunque accanto al Cirrus, c'è ancora il più spartano Bonanza. E non succede niente. L'aeroporto è immobile. Terza incursione in pieno giorno. Un'altra ora a gironzolare intorno al bimotore oltre la recinzione bucata. Possibile che non ci sia nessuno? Proviamo sul piazzale principale. Passeggiata fin davanti agli hangar. Ecco che finalmente esce un meccanico: «Qui non può stare, la devo accompagnare all'uscita».
Forse il bimotore è fuori uso. No: martedì vola tutto il giorno. Alla fine i due piloti lo riportano alla piazzola a ottantacinque passi dal colabrodo nella rete. C'è ancora carburante nei serbatoi. Fermano le eliche, chiudono i portelloni e se ne vanno. Sono le 16.22. Si entra e si esce liberamente dal buco. Perfino un cane si infila in pista. I suoi padroni lo aspettano al varco. Domani mattina, quarta incursione.
Alle 5.58 di mercoledì è ancora buio. La torcia illumina la sigla I-Gaus del bimotore. È sempre lo stesso Partenavia P68. Ci si può sedere ad aspettare l'alba. Alle 6.27, con la prima luce dell'aurora, aprono il grande hangar oltre la pista accanto al campo profughi. Il grosso elicottero dell'elisoccorso viene tirato all'aperto. Richiudono l'hangar. L'elicottero resta lì. Alle 7.13 il sole sorge sopra il filare di pioppi. Alle 7.41 si può uscire tranquillamente dalla rete. La sera di martedì 7 aprile quinta passeggiata indisturbata. Il bimotore non c'è, ma altri tre aerei sono a disposizione sul piazzale.
L'Esposizione universale avrà gli stessi standard di sicurezza e gli stessi controlli di un aeroporto, hanno promesso gli organizzatori. Ma non basta un annuncio a qualificare il personale. Lorenzo Manca, presidente e amministratore delegato di "Sicuritalia", spiega con entusiasmo dal sito di Expo che due terzi dei sorveglianti e delle guardie giurate sono nuovi assunti. Mentre Enac, l'ente dell'aviazione civile, rivela che non ci sono stati contatti con le società di vigilanza di Expo per la formazione dei nuovi dipendenti. E riconoscere un'arma o un pacco bomba ai raggi x non è sempre semplice. Lo dimostrano i buchi nella sicurezza all'aeroporto di Orio al Serio, appalto affidato proprio a "Sicuritalia" con "Italpol". Il 9 settembre 2014, antivigilia del tragico anniversario, le guardie pur essendo addestrate e certificate da Enac non vedono nei bagagli a mano un pugnale, due finti ordigni esplosivi e si dimenticano di chiedere la carta d'imbarco a un passeggero. Tutto in un giorno. Per fortuna quelli in partenza non sono terroristi, ma funzionari dell'Enac. A novembre arrivano anche gli ispettori della Commissione europea: «Su otto tentativi di introduzione di esplosivi, ne sono stati rinvenuti sei», spiega l'ente italiano. Cioè due bombe passano indenni il controllo. Il test europeo viene ripetuto e gli addetti finalmente scoprono tutti gli ordigni, superando così l'esame. Sei mesi prima, il 12 maggio, erano già sfuggiti tre coltelli proibiti. Una passeggera sbadata li teneva in un sacchetto e li ha consegnati al bar prima dell'imbarco.
SECURITY AL RIBASSO - Le principali organizzazioni di imprese del settore, Assvigilanza e Anivp, denunciano ora che le loro aziende associate si sono tenute alla larga da Expo: perché, accusano, si tratta di appalti basati sul principio del massimo ribasso e «per eluderlo, prevedono l'affidamento di servizi a società di portierato con mansioni che, per le loro peculiarità, dovrebbero essere invece assegnate a guardie giurate». Una pratica non proprio regolare. In soldi, si tratta di stipendi forfait per un custode a 700 euro netti per dodici ore al giorno, contro la paga base di una guardia armata che non dovrebbe scendere sotto i 1.200 euro. "Consorzio Prodest Milano" è una società di portierato. Negli anni scorsi è stata segnalata per aver svolto servizi di vigilanza disarmata senza l'autorizzazione del prefetto. Tra i clienti sensibili, perfino Banca Intesa.
Ci sono molti modi per tagliare sui costi. Ad esempio assumere fantasmi: si prende l'appalto e non si manda nessuno a vigilare. Come, secondo la prefettura di Cosenza, è più volte accaduto alla sede dell'Inps e delle Poste a Taranto. Per questo, Giuseppe Milazzo, amministratore delegato di "Ivri Servizi Fiduciari", altra società di portierato nell'appalto Expo, si è visto negare la licenza per la vigilanza nelle province di Foggia, Taranto e Lecce. L'aveva chiesta come amministratore della "Sicurcenter spa" di Palermo che con "Ivri" appartiene al Gruppo Basile. In Sicilia la famiglia Basile è quasi un partito. E non solo per la vicinanza con l'ex presidente del Senato, Renato Schifani. Rosario Basile, che nel 2014 ha rilevato "Ivri" con quasi 24 milioni di perdite, è anche presidente di Irfis, la finanziaria della Regione Sicilia. A Palermo Luciano Basile è vicepresidente di Confindustria. E Salvatore Finazzo, amministratore di società del gruppo, è vicepresidente del consiglio comunale, eletto con l'Udc di Pier Ferdinando Casini.
Le contestazioni della prefettura calabrese fanno riflettere sull'organizzazione che proteggerà i visitatori dell'Expo: «Utilizzo improprio delle guardie giurate che tramite ordini verbali vengono allontanate» dalle loro postazioni di vigilanza fissa «per effettuare altri servizi, a causa dell'insufficienza di personale»; orari di lavoro delle guardie armate «di sovente superiore alle 12 ore»; trasporti di valori fino a un milione e mezzo con a bordo due agenti di scorta invece dei tre previsti e rischi gravissimi in caso di rapina. A Torino nel 2013, prima della scalata dei Basile, la polizia scopre che "Ivri" ha risparmiato sui corsi di aggiornamento professionale, sulle esercitazioni di tiro al poligono e sulle dotazioni di sicurezza come il Gps obbligatorio. I colleghi raccontano che la notte del 23 gennaio 2014 la guardia giurata di vigilanza allo stabilimento Indesit di None, in Piemonte, non può fare ispezioni nei reparti al buio: è senza torcia. Non può comunicare: la ricetrasmittente è guasta. Non è addestrata: non ha mai frequentato i corsi obbligatori. Una presenza praticamente inutile.
L'ULTIMA INCURSIONE - C'è tempo per un'altra incursione dentro l'aeroporto di Bresso. La sesta in due settimane. L'ultima. Entrata in pista: ore 5.47. Uscita: 6.50. Domenica 12 aprile, tre giorni dopo la strage al Palazzo di giustizia, non è cambiato nulla. Massimo Sestini, il fotografo, usa addirittura il flash davanti agli hangar. Ci aspettano due aerei parcheggiati all'aperto: il solito Bonanza e il Cessna 182 G-Bmmk, immatricolato in Inghilterra. Il Piper californiano è invece ripartito ieri. Qualcosa di nuovo però dobbiamo riconoscerla. L'Enac ha firmato una deroga agli obblighi antincendio dei piccoli aeroporti. In vista dell'Esposizione universale, Bresso può ospitare i voli commerciali degli aerotaxi anche se i suoi sistemi di soccorso sono limitati. Questo colabrodo diventa il business-airport di Expo. Già, business is business. Gli affari sono affari. Ci saranno più traffico, più passeggeri. E più aerei incustoditi sul piazzale.
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Scritto il 17 aprile 2015 alle 22:54 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 17 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (7)
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Crescono gli oppositori di Renzi nel PD, ma molti sono solo dei "penultimatori". In assemblea dei deputati in 120 su 310 abbandonano la riunione al momemto della mozione Renzi che impegna i parlamentari a non cambiare neanche una virgola in quella porcheria chiamata "Italicum", ma in pochi, se si dovesse arrivare allo show-down, voteranno la sfiducia, ove questa fosse posta sull'Italicum. Insomma, parole tante, azioni poche: finora, solo le dimissioni di Roberto Speranza.
Intanto Repubblica reinventa le regole fondamentali dell'aritmetica elementare. Per Repubblica 120 non votanti sono "quasi un terzo" del gruppo di 310 deputati. "Quasi un terzo" di 310 sono meno di 103. A casa mia 120 su 310 non sono "quasi il 33,33%", ma "quasi il 39%. Lo so, lo so... dettagli. Ma visto che Renzubblica scende nei dettagli, lo facciamo anche noi. Con maggior accuratezza. La porcheria chiamata Italicum passerà, coi voti dei peones del tipo "tengo famiglia", ma anche coi voti di quelli che proprio non ce la fanno a tirar fuori le palle. Forse perchè non le hanno mai avute.
Quella che segue è la cronaca di un'assemblea da vergogna:
Deflagra in un'infuocata assemblea notturna, lo scontro interno al Pd sulla legge elettorale. All'ennesimo appello della minoranza a modificare l'Italicum, Matteo Renzi dice no. E avverte che lo stesso destino del governo è legato "nel bene e nel male" all'approvazione di questo testo così com'è, senza cambiare neanche una virgola. (Traduzione dal politichese: se non volete andare a casa, e rinunciare 3 anni prima del consentito a percepire le ricche prebende, fate atto di sottomissione. Non c'è dubbio che tanti, troppi "senza mestiere" del PD ascolteranno la voce del portafogli... NdR)
È il fallimento di ogni tentativo di mediazione: Roberto Speranza ne trae le conseguenze e si dimette da capogruppo. La minoranza chiede di sospendere i lavori dell'assemblea, ma si va avanti. E allora Civati, Bindi, Fassina, D'Attorre e altri si alzano e vanno via. Pier Luigi Bersani resta e parla: "Se si vuole, si può cambiare. Se non volete farlo, non sono convinto, se si va avanti così non ci sto". Alla fine il sì all'Italicum passa con 190 voti, l'unanimità dei presenti mentre all'appello mancano tutti gli esponenti della minoranza, i non votanti sono stati 120: quasi un terzo del gruppo (Cara Renzubblica, 120 su 310 sono "quasi il 40% del gruppo", non "quasi un terzo").
Il premier è soddisfatto per l'esito dell'assemblea e - riferiscono fonti vicine al presidente del Consiglio - esprime grande rispetto per la discussione che si è sviluppata ieri alla riunione e per le varie dinamiche in atto all'interno della minoranza pd. "Adesso, però, concentriamoci sulle priorità a cominciare dai temi che saranno al centro del'incontro con Obama", ha detto Renzi (...già... le "priorità" di Renzi... Cambiare insieme a Obama i destini del mondo... De minimis con curat praetor... NdR)
Nessuna ritirata. Non ci sta a considerare quella di ieri una "ritirata" Pier Luigi Bersani: "Leggo ricostruzioni strane sui giornali dell'assemblea pd di ieri. "Ma quale ritirata? Ho visto più un'idea di combattimento che di ritirata", ha detto l'ex segretario, contestando le letture della maggioranza che vedono le minoranze divise. "Divisioni fin qui non le ho viste. Chiedo: ieri sono uscite posizioni diverse? Io non le ho viste e non le vedo. Poi ognuno ha i suoi occhiali". Sulla fiducia all'Italicum, Bersani non ha dubbi e a chi gli domanda se voterà, qualora Matteo Renzi la ponesse, risponde: "Non voglio neanche considerare questa ipotesi, pensa un po' te". E risponde con una battuta alla domanda sulle dimissioni di Speranza: "La speranza è l'ultima a morire, anche se è la prima a dimettersi..." (Bene, Bersani ricco - come al solito - di "sense oh humour". Ma io avrei preferito ascoltare meno battute, e più risposte nette. Si si, no no. Non è stato così. NdR)
Fiducia estrema ratio. Anche per il presidente Pd, Matteo Orfini, la fiducia all'Italicum è un'ipotesi lontana: "Ieri la fiducia non è stata nemmeno nominata e non ce ne sarà bisogno, speriamo non ce ne sia", ha detto all'indomani della spaccatura del gruppo parlamentare alla Camera sulla legge elettorale. Per Orfini la fiducia è "l'estrema ratio, ma faremo di tutto per evitarla, sarebbe un errore innanzitutto per il nostro gruppo parlamentare. Dobbiamo dimostrare di essere in grado di svolgere la nostra funzione e gran parte del gruppo rispetterà la decisione che abbiamo preso ieri". "È legittimo che chi non condivide la decisione non abbia partecipato ieri al voto ma molti di loro hanno detto che la rispetteranno". (Traduzione: la fiducia è l'estrema razio, ma se la minoranza non obbedirà, saremp costretti a porla. Mattarella permettendo. Ma credo che Mattarella permetterà. NdR)
Quanto alle dimissioni del capogruppo, Speranza, Orfini osserva: "Speranza ha posto un tema politico, non se la sentiva di andare avanti ma proprio per rispettare la sua scelta bisognava continuare a fare la discussione. Ho trovato inopportuno chi ha cercato di strumentalizzare quel gesto non partecipando più alla discussione. Il problema di un partito è se non discute non se discute, in passato io ho assunto decisioni complicatissime senza alcun tipo di discussione tra noi" (...alzi la mano chi riesce a tradurre dal politichese in italiano le "nette osservazioni" di Orfini. MdR)
21 senatori: "Riaprire confronto". "Un gesto lineare e coerente, quello di Roberto Speranza che ha rassegnato le proprie dimissioni da capogruppo Pd alla Camera. Un gesto tanto più apprezzabile in tempi di trasformismo e opportunismo. Sentiamo, dunque, di manifestargli, senza riserve, condivisione e solidarietà, per una scelta di autonomia e responsabilità", si legge in una nota congiunta 21 senatori appartenenti alla minoranza Pd. "Nel contempo - scrivono Corsini, Broglia, Cucca, D'Adda, Fornaro, Gatti, Gotor, Guerra, Guerrieri Paleotti, Lai, Lo Giudice, Lo Moro, Manassero, Martini, Mineo, Migliavacca, Mucchetti, Pegorer, Ricchiuti, Sonego, Tocci - formuliamo l'auspicio che la sua decisione, così politicamente connotata, possa consentire, prima del voto in Aula, l'apertura e la ripresa di un confronto su un tema, come quello della legge elettorale, segnato da rilevanti risvolti costituzionali e delle evidenti ripercussioni sulla qualità della democrazia nel nostro Paese. Un confronto che possa consentire dovute correzioni e suscitare più ampi consensi a livello parlamentare e presso l'opinione pubblica".
Camusso: "Voto a nessun partito". Nell'ambito delle fratture all'interno della sinistra si inserisce anche la leader Cgil, Susanna Camusso, che in un'intervista al Foglio dice che, data la situazione attuale, non voterebbe per nessun partito: "Sono particolarmente contenta di essere una cittadina lombarda non costretta a votare a queste elezioni, ma se mi chiedete per chi voterei oggi io dico che voterei comunque a sinistra, voterei per qualche candidato singolo, magari, ma per la prima volta in vita mia non voterei nessun partito attualmente presente nella nostra cartina politica... Sono convinta che l'elettore di sinistra, per come è fatto, è incompatibile con il modello di uomo solo al comando". Secondo Camusso nel futuro prossimo è possibile un'evoluzione del sistema che porti alla formazione di un nuovo soggetto esterno al Pd. "Credo che alla lunga sia una dinamica naturale. Lo spazio c'e, è evidente, il Pd non è più un tradizionale partito di sinistra e da qui alle prossime elezioni immagino che qualcosa di importante succederà". Ma a promuovere questo soggetto "non può essere il sindacato come sta facendo Landini in modo improprio ma, nel modo più naturale, deve essere la politica".
La cronaca dell'assemblea. Renzi, nel suo intervento di replica, ha ribadito le sue ragioni, ma ha chiesto a Speranza una ulteriore riflessione sulle ragioni delle sue dimissioni e ha proposto una assemblea ad hoc per la prossima settimana. Area riformista, la componente di Speranza, decide di non partecipare al voto dell'assemblea ma resta, perché non si interpreti la rottura come un preannuncio di scissione. La situazione è ancora recuperabile, secondo i più moderati: anche le dimissioni del capogruppo, sottolinea Matteo Mauri, non sono "definitive".
Nell'aprire l'assemblea dei deputati, Renzi è moderato nei toni, netto nella sostanza: è l'ora di "chiudere la discussione sulla legge elettorale in modo definitivo", scandisce subito. Nessuna sorpresa per la minoranza: a Roberto Speranza e Gianni Cuperlo, che tentavano un'estrema mediazione, nel pomeriggio il segretario-premier ha offerto ben pochi margini. Unica concessione: l'apertura a "ulteriori modifiche alla riforma costituzionale", che è all'esame del Senato. Ma la richiesta di cambiare il testo dell'Italicum viene respinta. Non solo, spiega il premier, perché 'tecnicamente' la legge è "in linea con quanto proposto sin dai tempi dell'Ulivo", sia perché politicamente è l'ora di chiudere il capitolo delle riforme e andare avanti con l'agenda del governo, dai decreti fiscali, in Cdm il 21 aprile e il 16 giugno, alle intercettazioni ("Bisogna chiudere la partita") al contrasto alla povertà.
Renzi mette ai voti la sua linea, già approvata a maggioranza dalla direzione Pd: approvare in via definitiva la legge elettorale alla Camera a maggio. Il premier non fa nessun accenno alla possibilità - contro la quale i partiti di opposizione si sono appellati al presidente Mattarella - di mettere la fiducia in Aula. Ma neanche la esclude. E soprattutto avverte che all'Italicum "questo governo è totalmente legato nel bene e nel male", anche perché il testo è frutto di un accordo nella maggioranza che ha portato all'abbassamento delle soglie di sbarramento in cambio del premio alla lista e non alla coalizione. Se crolla la legge elettorale, è il sottotesto, rischia di crollare il governo.
È un invito a ritrovare l'unità e andare avanti, quello che rivolge Renzi ai suoi deputati. "La mediazione sulla legge c'è stata: basta toni da Armageddon", soprattutto - afferma - per non prestare il fianco agli "sciacalli" che ci sono fuori. Ma la minoranza dem guarda alla sostanza. Il "dissenso sull'Italicum è profondo", dice Speranza, che parla subito dopo il premier. Conferma il sostegno al governo e al Pd, ma ammette la personale sconfitta: "Non sono nelle condizioni di guidare questa barca perciò rimetto il mio mandato di presidente e non smetto di sperare che questo errore che stiamo commettendo venga risolto".
Gianni Cuperlo prende la parola per chiedere di sospendere l'assemblea: non si può andare avanti senza capogruppo. Rosy Bindi chiede a Renzi "l'atto magnanimo" di fermare i lavori, per una questione di "stile e sensibilità". Ma si va avanti. Stefano Fassina e Pippo Civati vanno via. Con loro Bindi e altri. "Ci vediamo in Aula", annunciano. Ma la riunione prosegue con Dario Franceschini che prende la parola per dire che dopo aver "ripreso per i capelli la legislatura non si può mandare tutto in fumo" e invita a chi, come Bersani e Cuperlo ha avuto responsabilità nel partito, a non andare via, non promuovere fratture. Bersani coglie la disponibilità di Renzi a mediare sulla riforma costituzionale, ma chiede modifiche sostanziali: non basta una correzione di facciata. (Fonte: Renzubblica)
1402/0630/1730 edit
Scritto il 16 aprile 2015 alle 18:32 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 16 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Credo che sia giunta l'ora di rimandare a casa questo aspirante dittatorello della mutua. Non so se con l'Italicum siamo alla scena-madre, o all'ennesimo, ridicolo "penultimatum". C'è molta confusione, nella sedicente "opposizione interna al PD, sulle parole e sui sottostanti contenuti.
Dire "non votiamo l'Italicum" ha un significato; dire "votiamo contro" ne ha un altro. Nella prima accezione, è come sparare con una scacciacani.
Cosa vogliamo che gliene freghi, a Renzy, se la minoranza interna non dovesse votare??? Tanto la porcata elettorale passerebbe coi voti dei piddini attaccati col culo allo stipendio, con quelli di giganti della politica come i cascami del berlusconismo, i galantuomini di NCD+UDC, le "tracce molecolari" di Scelta Cinica, e di tanti altri che - nel segreto dell'urna - voterebbero in modo da non far cadere contestualmente Renzi e la propria poltrona. Ha più volte dimostrato di non avere alcun rispetto per le opinioni altrui, e men che meno delle opinioni di chi ha fatto di tutto per consegnargli le chiavi del Palazzo.
Votare contro, invece, ha altro significato. Significa mettere molto probabilmente Renzi in minoranza, significa molto probabilmente rimandarlo ad organizzare gli strilloni di qualche giornaletto locale toscano, di quelli con lo sterzo che tira a destra. Potrebbe significare la fine del renzismo. The sooner, the better.
Questo il punto della situazione, ad oggi, secondo un giornale "non ostile" a Renzi, come Repubblica:
"Il governo è legato a questa legge elettorale, nel bene e nel male: si è fatto promotore di un documento firmato dalla maggioranza convinta. In quel documento c'era lo scambio tra l'abbassamento delle soglie in cambio del premio alla lista, anziché alla coalizione". Parla così Matteo Renzi dinanzi all'assemblea dei deputati Pd. La resa dei conti è iniziata, il redde rationem all'interno del Partito democratico si gioca sull'Italicum. E' un braccio di ferro carico di tensione. Il capogruppo dem Roberto Speranza è pronto a rimettere il proprio mandato: 'Area riformista', di cui lui è a capo, non cede e annuncia di non voler votare - al termine dell'incontro- una legge elettorale 'blindata'. Ma il premier-segretario dem non vuole più perdere tempo: a suo parere sono già state fatte molte modifiche e ora è il momento di andare avanti con le riforme costituzionali. "Non è il Monopoli", aveva già ammonito ieri.
"La legge elettorale perfetta non esiste da nessuna parte - ha rincarato la dose stasera-. Chi voterà la proposta della segreteria parte dalla consapevolezza che non esiste la legge perfetta. Chi deciderà di votare contro dovrebbe comunque riconoscere un lavoro di mediazione e di cambiamento lungo 14 mesi". Renzi, dunque, blinda l'Italicum ma apre sulla riforma del Senato: sono possibili, avrebbe detto, ulteriori modifiche alla riforma costituzionale.
Per tutta risposta, la minoranza del Pd stasera non parteciperà al voto del gruppo sulla riforma della legge elettorale: si tratterebbe di una settantina di deputati su un totale di 310 parlamentari eletti alla Camera [...]
"Se le posizioni della minoranza" sulla legge elettorale "rimarranno inamovibili non c'è alternativa alla fiducia", ha detto in un'intervista a Repubblica la vicesegretaria Pd Debora Serracchiani, che sottolinea come arrivare a una resa dei conti nel partito "non è l'intenzione di Renzi e della maggioranza del Pd. Considerare questo passaggio come una sfida non serve al Paese. L'Italicum è il frutto del lungo lavoro fatto anche nel partito per accogliere i contributi della minoranza oltre che di altre forze politiche".
Ma le parole di Serracchiani non sono piaciute a Sel: "Come si permette la Serracchiani, che non è deputata né ministro, di minacciare la fiducia sull'Italicum? Tratta il parlamento come una sezione del Pd", è la reazione su Twitter del capogruppo dei deputati vendoliani a Montecitorio, Arturo Scotto. E scongiurare la fiducia sull'Italicum, che equivarrebbe a un "golpe" e a un gravissimo "strappo costituzionale", è la richiesta inoltrata da Sel, Forza Italia e Lega Nord, che hanno inviato, ciascuno per proprio conto, tre lettere distinte al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Alle tre forze di opposizione si aggiungerà poi anche Fratelli di Italia di Giorgia Meloni [...]
"Immaginare di cambiare ancora la legge elettorale significa riportare la discussione al punto di partenza" e questo non avverrà perché "per noi questa legge funziona e funziona bene, garantisce la governabilità, si sa chi vince e chi perde, ha il premio di maggioranza alla lista che è una spinta formidabile alla semplificazione del panorama politico", ha ribadito il vice segretario del Pd, Lorenzo Guerini.
Contrario all'ipotesi fiducia anche Ncd: "Io credo che la fiducia sull'Italicum sarebbe un grande errore e faremo di tutto per evitarla perché la fiducia sulle regole non si mette e non è mai stata messa. Solo De Gasperi nel '53 dopo un lungo ostruzionismo alle Camere lo fece quando il Paese era sull'orlo di una guerra civile", ha detto l'esponente alfaniano, Gaetano Quagliariello. "Non sto facendo una minaccia, noi non soltanto garantiamo lealtà, ma faremo uno sforzo per capire che non tutti possono ottenere tutto quando si tratta di regole e su questo noi siamo i primi. Vogliamo far rispettare i patti anche a voto segreto".
Duri i toni di Forza Italia: "La legge elettorale della quale discuterà oggi il gruppo del Pd alla Camera è una legge fatta su misura per Renzi. Il premio alla lista, cosí come la previsione del ballottaggio, che avvantaggia sempre la sinistra, sono tutte cose pensate esclusivamente per favorire il Partito democratico", dichiara in una nota Alessandro Cattaneo, membro del Comitato di presidenza di Forza Italia e responsabile Formazione del partito.
ULTIM'ORA: Roberto Speranza conferma le dimissioni da capogruppo del PD
Finchè c'è Speranza, c'è vita. Roberto Speranza, quello che non t'aspetti. Quello che non urla, non insulta, non insegue microfoni e telecamere. Si sussurrava già da oggi di sue possibili dimissioni, e ora sono arrivate. Dure come un macigno, per Renzi, proprio perchè arrivano da uno di quelli che urlano di meno... Il Ragioniere della porta accanto. Un segnale forte e chiaro, se vorranno capirlo, agli "specialisti in penultimatum". A quelli che "ci opponiamo", ma poi "difendiamo la Ditta.
La Ditta non c'è più. C'è un coacervo di parolai e di penultimatori, ai quali Roberto Speranza lancia un segnale che non potrà essere ignorato. Ora gli "oppositori all'amatriciana" dovranno prendere atto della lezione del mite Speranza: l'opposizione non si fa con le chiacchiere, ma coi fatti.
Questa l'ultima ora:
Lo strappo del capogruppo. Per tutta risposta, la minoranza del Pd stasera non parteciperà al voto del gruppo: si tratterebbe di una settantina di deputati su un totale di 310 parlamentari eletti alla Camera. Speranza, tuttavia, non rinuncia a prendere la parola dopo l'intervento iniziale di Renzi. E dice: "Sull'Italicum esprimo profondo dissenso". Poi annuncia il proprio passo indietro rispetto all'incarico di capogruppo: "Non sono nelle condizioni di guidare questa barca perciò con serenità rimetto il mio mandato di presidente del gruppo e non smetto di sperare che questo errore che stiamo commettendo venga risolto. Credo nel governo, credo nel Pd e nel gruppo - ha aggiunto - ma in questo momento è troppo ampia la differenza tra le scelte prese e quello che penso".
1402/0630/1100 edit
Scritto il 15 aprile 2015 alle 22:13 | Permalink | Commenti (4)
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Scritto il 15 aprile 2015 alle 20:58 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 15 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Oggi sono stato piuttosto assente dal sito, e lo sarò anche domani. Purtroppo oggi ho dovuto subire d'urgenza un piccolo intervento chirurgico per una cisti sulla schiena. In se una sciocchezza, ma poichè l'area era molto infiammata, il chirurgo ha dovuto operare senza anestesia. Per usare un eufemismo, ho avuto un po' di dolore... Insomma, oggi non è stata una bella giornata, e credo che la notte non sarà migliore.
Farò del mio meglio, che al momento non è troppo...
Tafanus
1302/0630/1000
Scritto il 14 aprile 2015 alle 22:50 | Permalink | Commenti (10)
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Scritto il 14 aprile 2015 alle 10:00 | Permalink | Commenti (0)
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Il soffitto di un’aula della scuola elementare «Pessina» di Ostuni è crollato durante le lezioni del lunedì mattina. Due bambini di 7 anni sono rimasti feriti, con prognosi di 10 e 15 giorni, e sono stati portati in ospedale. Uno, colpito alla fronte, è stato medicato con due punti di sutura. Si chiama Luca, e racconta: «Stavamo incollando delle schede di matematica. Poi è venuto tutto giù il soffitto». Anche un’insegnante è stata trasportata in ospedale e sottoposta a medicazioni: la donna è scivolata mentre cercava di aiutare gli alunni. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, i carabinieri e i sanitari del 118, oltre al sindaco di Ostuni, Gianfranco Coppola, che ha sia effettuato un sopralluogo nella scuola, sia fatto visita ai feriti in ospedale. L’edificio scolastico, costruito in epoca fascista, era stato inaugurato il 7 gennaio dopo essere stato chiuso per ristrutturazione per quattro anni.
La Ministra Giannini: «Governo sta andando nella direzione giusta» - «Stiamo cercando di verificare cosa è successo e perché, dobbiamo capire come mai questo sia successo nonostante la ristrutturazione fosse stata appena fatta», ha commentato la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini. Che ricorda: «La ristrutturazione è a carico degli enti locali, anche se naturalmente come governo ciò non ci esime dal verificare cosa sia successo e di chi siano le responsabilità. Questa è l’ennesima riprova che tutto quello che siamo facendo come governo sta andando nella direzione giusta».
Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, subito dopo l’accaduto twitta: «Crollo del soffitto scuola di Ostuni. I lavori erano appena finiti. Accerteremo le responsabilità e chi ha sbagliato pagherà. «Tutto questo è inaccettabile, chiedo si faccia piena luce su questa vicenda e che i responsabili di quello che appare come un crimine nei confronti dei bambini siano assicurati rapidamente alla giustizia» interviene il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola [...]
P.S.: Le altre dichiarazioni esilaranti le trovate aprendo l'articolo in alto. Incluso un terrificante video (guardato oggi), nel quale si vede un terrificante, tronfio taglianastri durante l'inaugurazione della scuola di Ostuni.
...Per non dimenticare... Correva il febbraio 2014 quando Matteo Renzi, vittima della sua annuncite compulsiva, non solo annunciava che avrebbe visitato una scuola a settimana per tutta la durata del suo mandato, ma anche la minchiata di costruire una scuola in ogni comune entro il 15 giugno dello stessi anno... In tre mesi e mezzo. Una scuola in ogni comune. Qualcuno, da qualsiasi comune italiano piccolo o grande, può segnalarci le scuole costruite da Renzi? Vorremmo visitarle, fotografarle, descriverle... Cliccate sulla fotina di Pinocchio per aprire l'articolo...
P.S.: Qualcuno (magari la Ministra Giannini) ci può fornire l'elenco delle 60 scuole (una a settimana) visitate da Renzi da quel febbraio ad oggi? Grazie...
#labuonascuola
#lecattiveminchiate
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Scritto il 13 aprile 2015 alle 21:04 | Permalink | Commenti (0)
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Chissà poi perchè dobbiamo chiamarlo "cronoprogramma"... Tutti i "programmi" sono "crono", o non sono "programmi". Che, per definizione, devono indicare "chi fa cosa, come, quando, dove". Altrimenti non sono programmi, ma fuffa renzina. Indici degli argomenti senza capitoli sottostanti.
All'inizio fù "Abbiamo fatto in 8 giorni quello che gli altri non hanno fatto in otto anni". Modesto, il ggiovane premier... Si riferiva all'Italicum, che come tutti sanno non è stato fatto né in otto giorni, né in otto mesi.
Poi è stata la volta delle "Quattro Grandi ed Epocali Riforme", da fare una al mese. Per informazioni, rivolgersi alla trasmissione "Chi le ha viste".
Infine, la Grande Innovazione: il "Cronoprogramma".
Vede, Signor Renzi, qualcosa di più evoluto di un indice di capitoli da scrivere esiste da almeno mezzo secolo. Si chiama P.E.R.T. (acronimo di "Program Evaluation & Review Technique"... Gliene fornisco un esempio: è una specie di tabellone a lettere e linee componibili, in cui per un certo programma vengono indicati gli steps, quali siano quelli che presuppongono il previo completamento dello step precedente, e quali sono quelli che possono camminare in parte o in toto contemporaneamente ad altri. Inoltre in ogni fase sono indicate le date esatte di inizio e fine. Lasci stare il "cronoprogramma"... Non significa nulla, e per quelli che hanno operato in aziende più complesse della sua aziendina di famiglia che organizzava gli strilloni della "Nazione" (azienda peraltro fallita, mi risulta...), roba alquanto più utile e complessa. Si informi.
Esempio facile facile di P.E.R.T.
Ora, cliccando sul suo faccino, nella foto in alto, si apre un dettagliato articolo del "Fatto Quotidiano" sulle cose che ha ficcato nei vari programmi, fogli excel, cronoprogrammi. Cioè, sui "titoli" dei problemi. E c'è lo smontaggio quasi integrale delle fesserie che ha detto. Facciamo un sunto?
E’ un libro dei sogni lungo tre anni quello delineato dal governo nel Programma nazionale delle riforme (Pnr), una delle parti del Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri nella serata di venerdì, e i cui testi sono stati resi pubblici sabato sul sito del Tesoro. Un cronoprogramma di auspici e promesse che ha come traguardo la fine della legislatura, ma da cui l’esecutivo Renzi punta a ottenere un’utilità immediata: il via libera della Commissione europea alla possibilità di “deviare temporaneamente” dagli obiettivi di bilancio". Proprio in virtù del fatto che Roma sta mettendo in campo interventi strutturali da cui dovrebbe derivare una spinta positiva alla crescita pari all’1,8% del Pil di qui al 2020 e addirittura del 7,2% nel lungo periodo.
La partita con Bruxelles, però, è apertissima, perché stando alla comunicazione di gennaio sulla flessibilità nell’applicazione del Patto di stabilità, le riforme che “valgono” sono solo quelle già approvate. E quelle messe in campo da Renzi sono tutte ancora in cantiere o prossime venture. Per di più, nella versione finale del Pnr il varo di alcuni provvedimenti slitta in avanti e l’impatto sul Pil di misure cruciali come la privatizzazione delle aziende pubbliche viene rivisto al ribasso.
Tra aprile e luglio gli ultimi decreti del Jobs Act e la riforma della Pubblica amministrazione – Subito, entro fino aprile, è prevista l’approvazione da parte delle Camere dei decreti attuativi del Jobs Act sul riordino delle forme contrattuali e sulla conciliazione vita-lavoro e la stesura del nuovo piano nazionale dei porti e della logistica.
A maggio la presentazione dei decreti sulla semplificazione degli adempimenti contrattuali e sull’Agenzia ispettiva unica e l’avvio della riforma della tassazione locale attraverso l’introduzione di una local tax che assorbirà Imu e Tasi.
A giugno è in calendario poi il varo da parte del Parlamento del ddl Concorrenza, che secondo il governo di qui al 2020 spingerà il Pil dello 0,4%. Sempre in giugno dovremmo sapere che cosa il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan intende fare per aiutare le banche a liberarsi di una parte dei crediti deteriorati: “Le operazioni allo studio sono volte a facilitare la cessione da parte degli intermediari di una rilevante quota delle sofferenze nei confronti delle imprese”, si legge nel Programma.
Slitta invece ulteriormente in avanti la legge delega di riforma della Pubblica amministrazione, in cui sono contenute molte misure cruciali ai fini della spending review: nelle bozze circolate nei giorni scorsi era previsto che il provvedimento, presentato alle Camere nel luglio 2014, fosse varato entro giugno. Ma, probabilmente a causa dei dubbi sulle coperture espressi nel frattempo dalla commissione Bilancio, la versione definitiva sposta la deadline a luglio. E’ invece prevista entro il 2016 l’attuazione integrale del piano di riforma delle banche popolari.
Delusione privatizzazioni: calano i proventi previsti - Colpo di scena per quanto riguarda i proventi da privatizzazioni: è dallo scorso anno che Renzi e Padoan vanno ripetendo che dalla vendita sul mercato di quote delle aziende pubbliche intendono ricavare ogni 12 mesi l’equivalente dello 0,7% del Pil, cioè quasi 11 miliardi. Ma il Pnr ridimensiona in modo deciso le aspettative: nella tabella di pagina 6 si legge infatti che la cessione di partecipazioni in Enel, Poste Italiane, Fs, Enav e Grandi Stazioni, da completare entro il 2018, varrà nel 2015 solo lo 0,4% del Pil, percentuale destinata a salire allo 0,5% nel 2016 e 2017. Per il 2018, infine, è previsto un misero 0,3 per cento del Pil, 4,6 miliardi. Per quanto riguarda la cessione della partecipazione in STMicroelectronics, di cui è socio anche il governo francese, sono confermati i rumors in base ai quali la quota dello Stato italiano sarà ceduta al Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti. La solita partita di giro, insomma, per incassare soldi freschi mantenendo però le azioni nel perimetro pubblico.
I decreti fiscali rimandati a settembre – Slittano a settembre, stando al testo, i decreti attuativi della delega fiscale, compreso quello sull’elusione finito al centro delle polemiche all’inizio dell’anno a causa della norma battezzata “salva Berlusconi”. Come è noto, il governo ha infilato infatti nel decreto sull’Imu agricola un articolo che proroga la delega fino al 27 giugno. Dopodiché serviranno altri tre mesi perché le Commissioni parlamentari diano il proprio parere. Renzi durante la conferenza stampa di venerdì ha anticipato che “il 21 aprile il ministro Padoan porterà in Consiglio dei ministri parte dei decreti fiscali e la seconda parte arriverà poi a giugno”. Quanto ai contenuti, il testo che accompagna il cronoprogramma spiega che “la revisione del sistema sanzionatorio penale e amministrativo nel campo tributario ridefinirà il rapporto tra gravità dei comportamenti e sanzioni comminate, secondo un criterio più stretto di proporzionalità, nello spirito originario che aveva ispirato il decreto di riforma dei reati tributari”. Confermato anche che “il raddoppio dei termini di accertamento si verificherà solo in presenza dell’invio della segnalazione all’Autorità giudiziaria entro il termine di decadenza dell’accertamento”, una decisione contestata dall’Agenzia delle Entrate secondo la quale in questo modo “viene inibito il potere di contrastare efficacemente le forme più insidiose di frode fiscale”.
Banda larga a 100 mega per tutti entro il 2020. Slittamenti permettendo – Nessuna novità sul fronte del piano per la banda larga, il cui orizzonte temporale resta il 2020. Slittamenti permettendo, visto che il decreto sugli sgravi fiscali previsti dallo Sblocca Italia è ancora in stand by. Per quanto riguarda infine gli interventi a sostegno del sistema imprenditoriale, in luglio arriverà il “piano di interventi straordinario” per la promozione del made in Italy sui mercati internazionali e l’attrazione degli investimenti esteri e tra settembre e ottobre è in programma il rafforzamento dei contratti di rete e quello del fondo di garanzia per le pmi.
Dalla “buona scuola” un impatto sul pil del 2,4% nel lungo periodo – Tra le altre riforme citate ci sono poi quella della giustizia (entro giugno il ddl di contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti, entro settembre quello sul rafforzamento del tribunale delle imprese e della famiglia e la razionalizzazione del processo civile) e quella dell’istruzione, da completarsi entro quest’anno e da cui l’esecutivo si attende un impatto fortissimo sulla crescita economia: grazie alla “buona scuola” il prodotto interno lordo dovrebbe salire, nel lungo periodo, del 2,4%. Prevista poi entro maggio 2015 l’approvazione del ddl di rifoma elettorale ed entro fine anno quella del Ddl Boschi sulla riforma costituzionale.
A quanto scritto in questo articolo, è doveroso aggiungere che la stragrande maggioranza dei "titoli dei capitoli" sono "Disegni di Legge". Cioè, come tutti sanno, fuffa destinata agli armadi metallici delle Camere. Ci sono ddl che si tramando di padre in figlio dal paleozoico. Caro Renzi, le mando un "hastag": #nonprendiamociperilculo
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Scritto il 13 aprile 2015 alle 19:13 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 13 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Il nuovo che disavanza
Renzi col Card. Betori e con Ciriaco De Mita
Imprenditori, banchieri, uomini di Chiesa ed editori: così la lobby di Re Matteo mette le mani su soldi e potere (Di Paolo Bracalini)
Non era mai stato così facile imbattersi all'aeroporto di Firenze, uno scalo secondario, in qualche pezzo grosso del gotha finanziario-imprenditoriale italiano. Lì non come passeggeri, ma per affari e relazioni, da quando è diventato l'ufficio operativo del network renziano, la rete di potere attorno al premier.
Lì c'è l'ufficio di Marco Carrai, presidente di AdF, l'uomo che insieme a Luca Lotti (sottosegretario) e all'avvocato Alberto Bianchi (legale di Renzi, da qualche mese nominato nel Cda di Enel) sta al vertice della piramide renziana. Pur romano da un anno, il network economico lobbistico ruota ancora, in buona parte, su Firenze. Lì sono i finanziatori storici, gli imprenditori amici, le famiglie patrizie che hanno cullato l'ascesa di Renzi. Per il versante Capitale, invece, bisogna rivolgersi (oltreché a Lotti) al tesoriere nazionale del Pd Francesco Bonifazi, tributarista fiorentino titolare dello studio dove ha lavorato la giovane Maria Elena Boschi, e al vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini, esterno al cosiddetto «giglio magico».
BANCHIERI E IMPRENDITORI - Le ramificazioni partono, storicamente, dall'Ente Cassa di Firenze (azionista di Intesa San Paolo) la prima banca dove i renziani mettono piede. Con Carrai consigliere e Jacopo Mazzei presidente, entrambi di famiglie importanti e finanziatori di Renzi. Mazzei ora è consigliere di sorveglianza di Intesa San Paolo. Suo cugino è Lorenzo Bini Smaghi, ex Bce, attualmente presidente della banca d'affari francese Société Générale. Poi Davide Serra, capo del fondo Algebris (da cui l'Ente cassa comprò 10 milioni in bond), e poi i banchieri accorsi al matrimonio di Carrai. Tutti i più importanti: Palenzona (Unicredit), Viola (Mps), Gian Maria Gros Pietro e Luciano Nebbia (Intesa San Paolo), Marco Morelli (Merrill Lynch Italia).
Ancora più lunga la lista di imprenditori amici, facoltosi sponsor di Renzi grazie ai quali ha raccolto più di 5 milioni di euro di donazioni (tra associazioni e cene di autofinanziamento Pd) in pochi anni.
NELLE SOCIETÀ PUBBLICHE - Già a Firenze Renzi si era costruito una rete ristretta di fedelissimi a cui affidare ruoli nelle partecipate comunali. Da premier la linea non è cambiata. Con l'ultima tornata di nomine nelle società del Tesoro ne sono entrati diversi. In Enel è andato Alberto Bianchi, avvocato di Matteo Renzi nonché il presidente della Fondazione Open che per Renzi raccoglie i fondi da donatori privati. Uno dei quali (con 10mila euro), Fabrizio Landi, ex amministratore delegato di Esaote, azienda leader del biomedicale con sede a Firenze, è finito nel Cda di Finmeccanica. Altro renziano doc è Marco Seracini, uno dei soci fondatori e presidente di un'altra associazione di raccolta fondi per Renzi, NoiLink, che siede ora nel collegio dei sindaci di Eni. Sempre in Eni, ma nel Cda, c'è un'altra conoscenza renziana, Diva Moriani, amministratore della Fondazione Dinamo, presieduta da Vincenzo Manes, imprenditore e generoso finanziatore di Renzi (62mila euro di donazioni), che lo ha fatto nominare nel 2010 in Aeroporti di Firenze. Altri «leopoldini» sono finiti in Eni e Poste, vale a dire rispettivamente Luigi Zingales e Antonio Campo dall'Orto. Mentre a guidare la macchina legislativa di Palazzo Chigi è arrivato l'ex capo dei vigili di Firenze, la fedele renziana Antonella Manzione. E per Renzi questo era solo il primo giro di nomine da premier.
COSTRUTTORI - Quelli romani, noti come «palazzinari», sono da sempre filo-governativi. Il Pd romano, con cui hanno sempre intessuto relazioni, è tenuto a distanza da Renzi, che lo sente estraneo (per ora l'ha commissariato). L'occasione di incontro diretto col segretario è stato a novembre, con la cena di autofinanziamento all'Eur. Lì c'erano (a botte di almeno mille euro a testa) Luca Parnasi, ad del gruppo immobiliare Parsitalia, costruttore del nuovo stadio della Roma, con tutti gli appalti annessi. I fratelli Claudio e Pierluigi Toti, della Toti Invest (si dice interessati a rilevare il Foglio , giornale molto renziano), e poi i Cerasi. Nella cena omologa a Milano, i costruttori Mattioda, e Manfredi Catella della Hines (immobiliare), padrone di casa della cena milanese.
EDITORI - Con molti giornalisti che sgomitano per essere graditi a Renzi non c'è neppure bisogno di tenersi buoni i proprietari di tv e giornali. Anche qui però di amici ce ne sono in abbondanza. Buoni i rapporti con i due grandi azionisti di Rcs-Corriere della Sera , Bazoli di Intesa San Paolo e Marchionne-Fiat (proprietaria anche della Stampa ), stabili con Della Valle, altro azionista Rcs. Sintonia anche con De Benedetti, editore di Repubblica e di diversi giornali locali. Il sottosegretario Delrio fu scoperto in visita a casa dell'Ingegnere, che venne poi invitato direttamente da Renzi a Palazzo Chigi.
Dalla Rai il premier per ora si è tenuto a distanza, anche se si racconta a Viale Mazzini alcuni renziani doc girano già con le liste di proscrizione per i corridoi. Con i vertici di Sky c'è stato un incontro formale, e in passato lo Squalo, Rupert Murdoch, ha speso parole di elogio per Renzi: «Un italiano giovane e brillante». Per il resto, a tenere le fila con gli editori, ci pensa il buon Lotti (n.b.: la notizia sulla RAI dalla quale Renzi si terrebbe lontano è già superata... Renzi ha già detto che la RAI dev'essere governata da un AD, di nomina governativa, e cioè nominato da lui. NdR)
VATICANO - È forse il lato meno coperto del network. Buono il rapporto con il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze (che ancora a dicembre ha detto: «Renzi rappresenta un vento di novità di cui l'Italia aveva bisogno»), ma con le alte sfere vaticane le relazioni sono deboli. Monsignor Renato Boccardo, vescovo di Spoleto-Norcia, conosce bene Agnese Renzi, cattolica molto praticante. Il solito Carrai poi era sulla terrazza affacciata su San Pietro, per la canonizzazione di papa Giovanni XXIII e papa Giovanni Paolo II, insieme a Francesca Immacolata Chaouqui, voluta da Papa Francesco nella Commissione sui dicasteri economici della Santa Sede, amica di Carrai. Capitolo Cei: con Bagnasco in scadenza, il riferimento del Papa tra in vescovi è monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Che, finora, non ha dispensato critiche al governo («Basta slogan»). Il vero perno di Renzi nel mondo cattolico, insomma, non è Oltretevere, ma nell'associazionismo, i boy-scout, l'Agesci (uno ascoltato è il direttore del settimanale Vita , Riccardo Bonacina), e col mondo Comunione e Liberazione, Compagnia delle Opere e anche Opus Dei.
STATI UNITI - Terreno di divagazioni cospirazionistiche, il rapporto di Renzi con gli Usa ha un punto fermo nell'amicizia con l'ambasciatore John Philips («Renzi è bravo, mi ricorda Ronald Reagan»), già conosciuto quando era sindaco di Firenze e Philips un ricco villeggiante proprietario di resort nel Senese. Già da presidente della Provincia Renzi ha lavorato per farsi conoscere negli ambienti dei Democratici a Washington (la Clinton), anche sfruttando il ruolo istituzionale di Rutelli, vicepremier e segretario del suo partito (Margherita). Si copre anche con gli ambienti repubblicani, sempre con l'aiuto di «Marchino», il Carrai, amico di Michael Ledeen, intellettuale conservatore membro della Foundation for Defense of Democracies di Washington.
Viaggi, missioni speciali, iniziative a stelle strisce a Firenze. Alcune anche singolari, come «500 anni-500 camere», alloggi gratis per i primi cinquecento americani che faranno richiesta in occasione dei 500 anni del nome «America», o «Cento canti a Washington», cittadini americani che leggono la Divina Commedia . Nel frattempo si muove anche con Londra, col suo mito Tony Blair, attraverso Matt Browne, già direttore del think tank politico di Blair e oggi nel Center for American Progress del clintoniano John Podesta. Un impegno che gli porta bene, nel 2009 il Time si chiede: «La sinistra italiana ha trovato il suo Obama?». Ma neanche loro, forse, immaginavano che in cinque anni sarebbe diventato capo del Pd, radendo al suolo la nomenklatura diessina, e anche premier.
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Scritto il 13 aprile 2015 alle 07:50 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 12 aprile 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (3)
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Recensione del film "CHI E’ SENZA COLPA" (di Angela Laugier)
Titolo originale: The Drop
Regia: Michael R. Roskam
Principali interpreti:
Tom Hardy, Noomi Rapace, James Gandolfini, Matthias Schoenaerts, John Ortiz – 106 min. – USA 2014
Michael Roskam è il poco noto regista belga di questo bellissimo film, che si è ispirato al breve racconto (Animal Rescue) dello scrittore bostoniano Dennis Lehane, celebre anche per due romanzi da cui furono tratti due film famosi: Mystic River e Shutter Island. Dal tandem Roskam – Lehane è nata la notevole sceneggiatura della pellicola, ambientata a Brooklyn e non a Boston, come, in origine, nel racconto*.
Brooklyn, dunque, è l’ambiente in cui si svolge la vicenda, in un locale che ogni tanto diventa il punto di riferimento di un gruppo di gangster ceceni, uno dei tanti “drop bar” della zona, all’interno dei quali, a rotazione, i delinquenti fanno rifluire una considerevole quantità di denaro sporco: quando tocca a loro, i gestori Bob Saginowski e Marv, suo cugino, provvedono a custodirlo e riciclarlo con scrupolosa cura.
Entrambi hanno un passato non proprio limpido: Marv (James Gandolfini, al suo ultimo film) è il più anziano dei due ed è un uomo che, già temuto e rispettato dalla malavita locale, rimpiange quel tempo in cui era lontano dall’immaginare che presto le umiliazioni, le minacce e i ricatti di un gruppo di feroci Europei dell’Est lo avrebbero piegato; Bob (Tom Hardy, il bravissimo interprete di Locke), più giovane, ma con pesanti e oscuri trascorsi, appare ora animato da una qualche volontà di riscatto: va a messa ogni giorno; alleva con amore e tenerezza Rocco, un cucciolo di pittbull trovato in un bidone della spazzatura tutto pesto e sanguinante, obbedisce silenziosamente agli ordini di Marv e ha un atteggiamento conciliante persino nei confronti di Eric Deeds (Matthias Schoenaerts, il bravissimo interprete di Un sapore di ruggine e ossa), uno psicopatico balordo, appena uscito dalla galera dopo aver scontato la pena per un omicidio pienamente confessato.
In questa situazione di precario e difficile equilibrio, una rapina del tutto inattesa concentra sul locale di Marv e Bob l’attenzione della polizia e in modo particolare del detective Torres (John Ortiz), mentre la giovane Nadia (Noomi Rapace, la Lisbeth di Uomini che odiano le donne), a cui era destinato il cucciolo Rocco crudelmente torturato, non riesce più a difendersi dalle minacce di Eric.
In un crescendo di tensione, il film si avvia alla sorprendente conclusione, che ben si colloca all’interno di questo “noir” particolare, che è anche e soprattutto indagine psicologica approfondita sulle contraddizioni dei personaggi, sulla loro umanità, mai del tutto perduta, sui loro tentativi forse maldestri di uscire da un pasticcio che poco promette di buono e in cui, a un certo punto della loro esistenza, li aveva cacciati la loro stessa marginalità. Un bel giallo all’europea, dunque, che punta poco sugli effetti splatter (non mancano, tuttavia!), ma che si fa invece ricordare in primo luogo per la credibilità psicologica degli uomini tristi coinvolti in una vicenda infernale, nonché per la bella sinergia di interpreti, regista e sceneggiatore, che hanno insieme creato un film molto interessante e sicuramente da vedere!
* Dopo il film Dennis Lehane è tornato sulla sceneggiatura del suo originario racconto e l’ha trasformata nel romanzo (uscito nel 2015 anche in italiano per le edizioni Piemme) che ha titolato The Drop, come il film. Come poi sia stato possibile tradurre The drop in Chi è senza colpa, è una bella domanda senza alcuna risposta sensata, ma tant’è!
Angela Laugier
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Scritto il 12 aprile 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 11 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Il 2014 è stato un anno record per il numero di imprese chiuse. Un fenomeno su cui lucrano anche imprenditori disonesti. Con un danno di 200 miliardi per fisco e fornitori. Ma ora qualcosa può cambiare (di Gloria Riva - l'Espresso)
Ha il cuore in gola, Rita Tronchin, ogni volta che chiude il portellone del camion carico di maglie e golfini. «Mi chiedo: stavolta mi pagheranno?». Rita, titolare di una stireria-finissaggio a Martellago, nell'entroterra di Venezia, è incappata per tre volte nel fallimento di propri clienti, tre sberle che l'hanno costretta a tagliare il personale - da 22 a 14 addetti - e a vivere nell'angoscia.
«Il guaio più grosso è iniziato nel 2008, con una fattura da 242 mila euro mai pagata da un maglificio della zona; il cliente è andato in concordato e la mia impresa non è stata considerata artigianale, quindi non ci hanno ammesso tra i creditori privilegiati». Per sperare di recuperare qualche quattrino Rita dovrà aspettare il 12 maggio, quando si discuterà la causa di fallimento dell'azienda che non l'ha mai pagata: «Ma temo che non ci sarà più niente, per noi». Mentre il marito ha venduto tutto quel che aveva, i padroni del maglificio inadempiente hanno riaperto lo stesso business all'estero. Negli altri due casi, la Tronchin ha recuperato tra il 7 e il 10 per cento delle spettanze. «Nell'ambiente mi chiamano "la sopravvissuta"», racconta con autoironia.
Di vicende come questa ce ne sono migliaia, in giro per l'Italia. Come quella della Cremonini di Pescarenico (Lecco). Anche l'azienda lombarda di carpenteria metallica ha fronteggiato tre fallimenti, l'ultimo pochi giorni fa, senza essere riconosciuta come artigiana. «Ma noi siamo in nove, a lavorare!», si accalora il patron Daniele Riva, che attacca i concordati in bianco: «Sono una porcheria: le grandi aziende lo avviano, congelano i debiti e alla fine non pagano». Stesso spartito per Fabrizio Chelucci, padrone dell'omonima ditta livornese che opera nella manutenzione di navi e impianti industriali. Tra i debitori di Chelucci - che nei momenti d'oro aveva 27 dipendenti, adesso quattro - ci sono Lucchini, Lencioni Costruzioni e parecchie società cantieristiche labroniche. «Dovrei incassare un milione di euro, mi sono insinuato nei fallimenti ma so già che prenderò cifre ridicole. In compenso dovrò ridare, in dieci anni, il milione di debiti che ho contratto con le banche per tirare avanti mentre gli altri non mi pagavano, ed Equitalia, nonostante io non abbia debiti con fornitori e dipendenti, mi ha sequestrato i conti correnti. Se dai fallimenti mi arriva un centesimo se lo prende Equitalia».
BENTORNATO FALSO IN BILANCIO - L'anno scorso oltre 15 mila imprese sono fallite. Un record. Con pesanti ripercussioni sull'occupazione: le 83 mila società che tra il 2008 e il 2014 hanno aperto una procedura impiegavano quasi un milione di addetti, e soltanto nel 2014 le imprese fallite davano lavoro a 175 mila persone. Ci sta, che molti alzino bandiera bianca, quando l'economia arranca. Nascite e decessi sono fisiologici. Ci sta meno che i fallimenti e i concordati d'ogni tipo lascino in braghe di tela migliaia di fornitori e un conto salatissimo per le casse dello Stato. Sono stimabili in almeno 200 i miliardi di euro di crediti vantati da banche, fornitori dipendenti ed erario in seguito a fallimenti e concordati aperti. «Al 30 giugno 2014 erano 20,2 miliardi soltanto al tribunale di Milano, in aumento di 5,7 miliardi nell'ultimo anno», rivela il sostituto procuratore di Piacenza, Roberto Fontana, a lungo giudice delegato della Sezione fallimentare del tribunale meneghino.
Per il 40 per cento, i crediti sono erariali e previdenziali, dunque in capo allo Stato. Con il 25 per cento a testa inseguono fornitori e banche. Il restante 10 spetta ai dipendenti: sul Tfr e gli ultimi tre mesi di stipendio interviene però il fondo di garanzia dell'Inps, dunque pure questa fetta è sulle spalle dello Stato, che quindi della stratosferica somma di 200 miliardi è creditore per la metà. Il ritorno del reato di falso in bilancio, che era stato depotenziato nel 2002 e il governo Renzi ha inserito nel decreto legge "anti-corruzione", secondo i magistrati va nella direzione di debellare i comportamenti fraudolenti. Ma non basta. «Le "stecche" si fanno con le omesse dichiarazioni dei redditi e le fatture false. E tra cinque milioni di società, ce ne sono ben 3,5 milioni che il bilancio non sono tenute a redigerlo», sottolinea Walter Mapelli, sostituto procuratore a Monza, con una lunga esperienza di reati finanziari. Sul piatto c'è pure la rivisitazione dell'intera materia fallimentare. A fine gennaio, il ministero della Giustizia ha istituito una commissione, presieduta da Renato Rordorf, per razionalizzarne la normativa. Tra i suoi compiti, uno dei più delicati riguarda l'individuazione di misure idonee a «incentivare l'emersione della crisi». Già, perché troppo spesso le stalle vengono chiuse quando i buoi sono scappati. Tutto si gioca sulle cosiddette "misure d'allerta".
BASTEREBBE COPIARE L'ESEMPIO FRANCESE - «Analizzando i bilanci del 2008-2012 è emerso che l'87 per cento delle imprese già tre anni prima di chiedere l'ammissione al concordato si trovava in situazione di alta probabilità di fallimento ossia, in sostanza, in situazione d'insolvenza. Mentre, pochi mesi prima, i bilanci davano l'idea di aziende sane, o comunque non in dissesto», denuncia Fontana. Significa che i problemi erano stati mascherati. Così, nel 90 per cento dei fallimenti i normali creditori, che per legge sono definiti "chirografari", ma anche parte dei privilegiati, tipo gli artigiani, dalla procedura non porteranno a casa un euro. Ecco perché, su questo fronte, da anni i magistrati spingono per copiare la Francia, dove vige il sistema più efficace per l'emersione tempestiva delle crisi: appena smette di pagare tasse e contributi, una società viene segnalata ai tribunali di commercio, che la convocano per capire se esiste la volontà di risanarla.
«In Italia, l'introduzione del "campanello d'allarme" è stata contrastata per motivi ideologici, in nome dello slogan "meno giudici, più mercato", ma anche e soprattutto per la difesa di interessi specifici», dice Fontana, riferendosi soprattutto alle banche. Che, di fatto, un meccanismo d'allerta già ce l'hanno, la Centrale Rischi gestita dalla Banca d'Italia. «Basterebbe renderla pubblica per tutti i creditori», propone il magistrato, ponendo fine a quella "asimmetria informativa" che favorisce le banche, le prime a scoprire che un'azienda sta andando male, due-tre anni prima degli altri. Spesso, tra l'altro, le banche hanno garanzie su beni che i soci tengono fuori dalla società operativa. E quando questa va nei guai, qualcosa recuperano sempre, grazie alle garanzie "esterne" all'attività della ditta allo sbando.
Nel mirino dei critici c'è anche il concordato, rivisitato nel 2006, quando fu tolto l'obbligo di rimborsare almeno il 40 per cento. Risultato: molte procedure si chiudono con percentuali di rimborso irrisorie. «L'Italia non è un Paese amico dei creditori, che dovrebbero avere voce in capitolo in tutte le procedure e invece non contano nulla», è l'analisi della società di consulenza AlixPartners, leader mondiale delle grandi ristrutturazioni, da GM a Kodak: «Le norme sono orientate alla continuità aziendale ma punitive per i creditori». Cambierà qualcosa? Di certo, la posizione di Confindustria è ora meno rigida, anche perché molti associati sono vittime di imprenditori disonesti, che operano indisturbati e mettono in ginocchio la concorrenza. Peraltro, non solo non pagano le tasse, ma s'intascano pure l'Iva che non versano mai, truffando ulteriormente lo Stato, e mandano sul lastrico i fornitori. Con conseguenze anche tragiche, come ha raccontato in un libro di successo Serenella Antoniazzi dell'Aga, aziendina veneziana che di mestiere leviga il legno. Per tre anni viene beffata da una piccola multinazionale friulana che non onora le fatture e che nel 2013 fallisce, riprendendo però a produrre mobili con un nuova società. «Ci dovevano 300 mila euro, ho cominciato a non poter pagare più i contributi né le tasse», racconta lei, che arriva a meditare il suicidio, come tanti colleghi. Poi trova la forza di raccontare la sua storia a "La Nuova Venezia", scrive il libro "Io non voglio fallire" (editore Nuovadimensione) e diventa un simbolo della rivolta dei fornitori gabbati.
Gloria Riva
1002/0630/1330 edit
Scritto il 11 aprile 2015 alle 07:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 10 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Gianni De Gennaro, la difesa è bipartisan L'ex prefetto unisce (quasi) tutta la politica (Fonte: l'Espresso)
«Il governo non ha alcun dubbio sulla qualità e la competenza del presidente di Finmeccanica De Gennaro, lo diciamo in modo molto chiaro». Matteo Renzi chiude così la polemica innescata dalla sentenza della Corte Europea per i diritti umani. Dice che serve «subito» una legge che introduca il reato di tortura, ma anche che i fatti di Genova, il massacro della scuola Diaz, non fanno di Gianni De Gennaro uomo imbarazzante. Anzi. Dovrà continuare quindi a vergognarsi, il presidente del Pd Matteo Orfini che, appena uscita la sentenza per le “torture” della Diaz, aveva twittato: «Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica».
Smentita dunque l’interpretazione diffusa sulla stampa di oggi, secondo cui il prolungato silenzio di Renzi, così come nel recente caso del ministro Maurizio Lupi, sarebbe dovuto suonare come un’invito alle dimissioni spontanee. (Alla coscienza di De Gennaro si era rimessa anche la vicepresidente del Pd Debora Serracchiani).
Hanno invece trovato una risposta le dichiarazioni arrivate da Forza Italia, che suonavano un po’ tutte come quella di Gianfranco Rotondi: «De Gennaro è un servitore dello Stato apprezzato da tutti i governi della prima e della seconda Repubblica. Se Renzi non ferma la speculazione di Orfini non si apre un "caso De Gennaro", ma un caso di affidabilità del governo sul piano del senso delle istituzioni».
Già il presidente dell’autorità anti corruzione Raffaele Cantone - come De Gennaro nominato dal governo - aveva preso le difese del capo di Finmeccanica: «Gianni De Gennaro è stato indagato e assolto» ha ricordato il magistrato intervenendo ad Agorà su Raitre, «l'assoluzione conta pure qualcosa, quindi non può pagare le responsabilità complessive di una macchina intera» [...]
Gianni De Gennaro è uomo potente e si difende da solo ma, come ricorda Rotondi, l’apprezzamento è bipartisan da sempre. L’allora ministro della giustizia Piero Fassino quando De Gennaro fu nominato per la prima volta a capo della Polizia (dopo che il governo di centrodestra, con Maroni all’Interno, lo aveva fatto vicecapo) parlò di «un’ottima nomina». Silvio Berlusconi, dopo i successi di Genova, lo mise a capo dei servizi segreti. Mario Monti se lo portò a palazzo Chigi come sottosegretario. E anche con l’ultima nomina, quella di Letta e di Renzi, ricorda Sergio Rizzo sul Corriere della Sera , si scrisse dell’avallo di Giorgio Napolitano (oggi tirato in ballo da Beppe Grillo: «Si dimetta» scrive sul blog) e di pressioni americane, mai smentite. Fu Luigi Bisignani ad anticipare l’incarico: «In Finmeccanica» vaticinò, «penso che alla fine andrà il prefetto De Gennaro».
Insieme a Roberto Cota per la Lega Nord e a Fabrizio Cicchitto e Maurizio Lupi per gli alfaniani, così anche il senatore Massimo Mucchetti, sempre nel Pd, si schiera con De Gennaro: «Prefetto, tieni duro», dice. Membro della commissione industria del Senato, Mucchetti scrive così sul suo blog : «Orfini torna alla carica perché la Corte europea di Strasburgo, richiamando i tristi fatti del G8 di Genova, censura l'Italia per non aver ancora approvato una legge sulla tortura. Che il prefetto De Gennaro sia stato assolto da ogni imputazione in Italia per il presidente del Pd non rileva. Il suo giudizio è politico. Se capisco bene, politico significa non fondato su dati e fatti precisi, ma sulla libera e mera opinione del giudicante che attribuisce a De Gennaro una responsabilità oggettiva nei fatti di Genova».
Il senatore dem si preoccupa soprattutto dei destini dell’azienda guidata da De Gennaro: «Vogliamo prendere atto una buona volta che la lesione della reputazione di un grande gruppo quotato in Borsa, senza che poi le sentenze confermino le accuse, provoca un danno ingente e insensato?». La riflessione di Mucchetti è simile a quella di un altro democratico, Andrea Marcucci, che però trae, lui sì, una conclusione diversa: «Finmeccanica» dice Marcucci a Coffe Break su La7, «è una grande azienda italiana che opera sui mercati internazionali. La sentenza della Corte Europea sui fatti della Diaz può minarne la credibilità. Per questo, è doveroso che De Gennaro faccia una riflessione».
...cosa concludere, di fronte a questa universalità di consensi? Forse che molti conoscevano bene De Gennaro, o che De Gennaro conosceva bene molti? NdR
0902/0630/1900 edit
Scritto il 10 aprile 2015 alle 00:09 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 09 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (3)
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Non ci volevo credere. La notizia era così incredibilmente vergognosa, che pensavo fosse un pesce d'aprile in ritardo di una settimana. Invece è tutto vero. Ciò che segue è legale? E' pulito? Il garante per la concorrenza non ha nulla da dire? E il commissario per l'Expò nominato da Renzi neppure? E gli altri partiti?
E' una bufala? Niente di tutto questo! La notizia non la da il Geniale, o Libbbero, ma il Sito ufficiale del PD di Milano. Ecco cosa c'è scritto (ma potete verificare personalmente, aprendo il link:
Il PD è l'unico partito a Milano ad essere rivenditore ufficiale dei biglietti per Expo 2015 - spiega il Segretario Bussolati - questo perché crediamo fortemente nel successo della manifestazione e vogliamo, come è nel nostro dna, metterci a disposizione della città anche in questa importante occasione. Vogliamo che tanti milanesi visitino Expo. Per questo abbiamo deciso di acquistare e rivendere i tagliandi ai nostri iscritti con una promozione dedicata. E per i giovani under 30, che si iscriveranno al Partito Democratico di Milano, un’opportunità in più: con 25 euro riceveranno tessera [del PD] 2015 e un biglietto per visitare Expo.
Il PD vuole essere un soggetto vivo e protagonista a Milano e nella sua Area Metropolitana, con un'attenzione ai più giovani, offrendo loro l'opportunità di partecipare alla vita politica e pubblica della città. Per informazioni e richieste di iscrizioni occorre scrivere a [email protected]
Ormai il PD di Renzi, i cui iscritti si sono ridotti di due terzi, è alla disperazione, e all'accattonaggio molesto. E noi vorremo porre alcune domande. Risponda chi può:
Questa è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Finchè Renzi avrà un qualsiasi ruolo (foss'anche solo da office boy nel PD), il mio voto è da considerarsi definitivamente perso. Voterò per il primo partito d'opposizione, foss'anche il partito di un comico bollito o di un razzista conclamato. La Vergogna Renzi deve cessare. The sooner, the better.
Tafanus
0902/0630/1230 edit
Scritto il 08 aprile 2015 alle 23:06 | Permalink | Commenti (25)
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Scritto il 08 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Addii. Un ricordo di Giovanni Berlinguer, morto a Roma all'età di novant'anni. Fratello di Enrico, protagonista della storia del Pci, la sua è stata una vita divisa tra università e politica
Scompare con Giovanni Berlinguer un vero uomo di scienza e un vero combattente politico. Ci sono uomini – o donne — di scienza prestati alla politica e uomini – o donne – della politica che furono anche scienziati. È cosa rara una persona che sia stato, come lui, così pienamente e fino in fondo l’una e l’altra cosa insieme, con eguale impegno ed eguale passione. Diversamente da altri di noi della sua medesima generazione, e dall’esempio che aveva in famiglia, egli non volle concludersi in una sola dimensione – quella cui lo spingeva la adesione precoce, fin dai banchi di scuola, all’idea di emancipazione sociale e di liberazione umana rappresentata, allora, dal Partito comunista italiano.
Eccellente studente universitario di medicina fu contemporaneamente capace di essere abile dirigente del movimento studentesco di sinistra in tempi duri – era la fine degli anni 40 e l’inizio dei 50 del secolo scorso, quando non era facile essere comunisti in nessun luogo – fino diventare presidente (tra il ’49 e il ’53) dell’Unione internazionale degli studenti, con sede a Praga. Era una organizzazione formalmente gigantesca (cinque milioni di iscritti, un centinaio di associazioni nel mondo) non tutta di comunisti, difficile da dirigere in tempi di guerra fredda e di supremazia sovietica.
Come sia riuscito a laurearsi brillantemente – e in medicina — proprio durante quella impresa calamitosa è stato sempre per me, che ci arrivai più tardi e in materia affine alla politica, un motivo di ammirata stupefazione. E pochi anni dopo era già abilitato all’insegnamento universitario in medicina sociale. Quando, molti anni dopo, gli dissi del mio stupore, attribuì ogni merito alle sue adorate pulci, pessime protagoniste di tante orribili pestilenze, ma anche della speciale citazione a lui dedicata (come poi spiegò in un delizioso libro) dalla Accademia reale inglese della scienze: aveva trovato una nuova pulce, sarda, con qualche peluria in più sulle potenti zampine. Aveva un sorriso buono e arguto, indimenticabile.
Era capace di ironia e di autoironia, proprio perché era uomo forte e determinato come vidi ancora meglio quando ci trovammo su fronti opposti al tempo dello scioglimento del Pci.
Eravamo stati insieme nella commissione culturale del Pci in solida sintonia. Dal mio maestro Antonio Banfi avevo appreso il fastidio per una cultura umanistica che fosse incapace, come per troppo tempo è avvenuto da noi, di intendere la medesima valenza di quella scientifica. Quando ebbi la responsabilità di dirigere il settore delle politiche per la cultura, Giovanni si occupava del campo delle attività scientifiche. Organizzammo un memorabile convegno del Pci per le politiche della scienza (relatori la Levi Montalcini e Paolo Rossi, uno dei maggiori filosofi della scienza del tempo). E forse per quella nostra buona intesa, me lo mandarono in una sezione di Roma, al tempo dello scontro tra chi voleva il superamento del Pci in una nuova non precisata identità e chi pensava a un suo radicale rinnovamento che non ne distruggesse le buone ragioni, a sostenere la tesi di maggioranza, quando mi affannavo a dimostrare che il nostro non era solo un «no».
Ma ho un grato ricordo di quel giorno lontano. Perché sentivo che Giovanni esprimeva una sofferenza sincera, non diversa dalla mia sebbene con conclusioni opposte, per quel che avevano fatto i molti che, altrove, avevano sporcato indegnamente la parola e l’idealità comunista. E perciò rimanemmo amici — forse più di prima. Fui felice di sentirlo partecipe della volontà di ricostruire la sinistra quando scelse con altri di fondare il movimento della Sinistra Democratica quando i democratici di sinistra scelsero la strada che poi il Pd ha effettivamente percorso.
Giovanni ha combattuto fino allo stremo per le sue convinzioni. Si è trovato ad avere un fratello, amato e ricambiato, che è rimasto nel cuore di moltissimi. Ma egli è stato sempre fedele a se stesso, alle sue inclinazioni e alle sue battaglie. Come parlamentare comunista alla Camera e al Senato e, già molto avanti negli anni, come parlamentare europeo aderente al Pse, si è battuto senza risparmio per la causa dei lavoratori e per la causa di una ricerca scientifica libera e indirizzata al bene comune. Ha avuto anche molti onori e riconoscimenti come scienziato da diverse università del mondo e dalla presidenza della Repubblica italiana. Ma per me, e credo per tanti, egli rimane innanzitutto il compagno carissimo pacato e sorridente, acuto e buono, di cui ti sentivi felice di essere amico.
Aldo Tortorella
0802/0630/1800
Scritto il 07 aprile 2015 alle 22:32 | Permalink | Commenti (0)
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La mitica Expò 2015 rischia di trasformarsi nell'ennesima figuraccia planetaria, come Italia '90, come lo Stadio del Nuoto di Calatrava, come la Maddalena, come gli oltre mille cantieri dell'Expò già ufficialmente dichiarati non completabili, come gli scenari di cartapesta a nascondere "le vergogne", come il Padiglione Italia che sarà completato "almeno nelle strutture funzionali"...
Tanto per cambiare, le uniche "strutture" che hanno funzionato alla grande sono state le procure, e le galere. Ormai è certo. Sarà un bagno di sangue anche dal punto di vista economico. E' stato dichiarato dal commissario che con 24 milioni di biglietti venduti ci sarà il pareggio, ma per ora (e da un mese) i biglietti venduti sono 9 milioni.
Per completare l'opera, nessuno sa esattamente cosa ne sarà delle opere e delle aree dell'Expò una volta finita la festa...
Le statue di Ferretti
Lo scenografo, tre volte premio Oscar, denuncia che il suo allestimento per la viabilità del sito non sarà pronto per l'apertura. In una lettera a Sala il suo avvocato annuncia un ricorso alle vie legali.
Del Cardo e del Decumano, le due dorsali principali lungo le quali si allineano i padiglioni dell'Expo, "non è stata posta neanche la prima pietra". E' "sconcertato e arrabbiato" Dante Ferretti: a meno di un mese dall'apertura del Primo Maggio, lo scenografo tre volte premio Oscar denuncia che il suo progetto, consegnato oltre un anno fa, "è ancora fermo" e diffida da una realizzazione parziale, dicendosi pronto in tal caso a chiedere i danni. Uno scontro che rinfocola le polemiche di questi giorni sui ritardi e sugli extra-costi dell'esposizione.
"Sono quattro anni che lavoro a questo progetto", sbotta Ferretti, che si trova a Taiwan, sul set di Silence, dove lavora per la nona volta a dare corpo al genio immaginifico di Martin Scorsese. "Ci ho messo la faccia e il nome. E' stato approvato da tempo, ma la gara di appalto è stata perfezionata soltanto da poco: non sarà mai pronto per l'apertura. Mi sento dire che forse sarà realizzato per il 2 giugno, festa della Repubblica. Ma non ci penso proprio a una realizzazione parziale e li diffido dall'usare il mio nome".
Ferretti si chiama fuori anche dall'evento di apertura: "Certamente all'inaugurazione non parteciperò. Ho un nome da difendere. E anche ammesso che accelerino nella realizzazione, la qualità è fondamentale". Di qui la decisione di tutelarsi a livello legale. "A pochi giorni dall'inaugurazione della manifestazione - si legge nella lettera inviata dal legale dello scenografo, Giorgio Assumma, al commissario Expo Giuseppe Sala - è da escludere che la completa realizzazione traspositiva del progetto stesso possa avvenire".
L'eventuale realizzazione parziale determinerebbe "una grave lesione della integrità dell'opera dell'ingegno", sottolinea Assumma, "tutelata dalla legge sul diritto d'autore". Né si possono chiamare in causa, secondo il legale, "i motivi di necessità oggettiva, che secondo tale legge giustificano le alterazioni della stesura originaria dell'opera". Di qui la determinazione ad adire le vie legali per salvaguardare l'integrità dell'opera, "con ogni più ampia riserva - conclude il testo della lettera - di azioni inibitorie e risarcitorie" [...]
Nato a Macerata 72 anni fa, dal 1969 Ferretti ha lavorato come scenografo in oltre 50 film, decine di produzioni liriche e più di una dozzina di progetti per televisione, musei, moda, festival e pubblicazioni. Nel suo ricchissimo palmares - in gran parte condiviso con la moglie Francesca Lo Schiavo - spiccano tre Oscar per la scenografia (The Aviator nel 2005, Sweeney Todd nel 2008 e Hugo Cabret nel 2012) più sei nomination (Fonte: Repubblica.it)
0802/0630/1130
Scritto il 07 aprile 2015 alle 21:40 | Permalink | Commenti (2)
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