ATTENZIONE! Questo è un blog dedicato alla politica pornografica, o alla pornografia politica! Aprire con cautela!
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Scritto il 07 aprile 2015 alle 16:28 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 07 aprile 2015 alle 00:29 | Permalink | Commenti (1)
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...oggi ho scelto di fare "pasquetta" a casa, con BuzzFeed...
Il sito americano BuzzFeed, uno dei più visti al mondo, con circa 200 milioni di utenti unici al mese, ha pubblicato una galleria fotografica che può trarre in inganno: "39 motivi per cui l'italia è il posto peggiore". Il lettore si aspetta i soliti stereotipi, episodi di inciviltà, scandali e corruzioni, rifiuti che invadono le strade. E invece no. La frase è assolutamente ironica e in realtà vuole dire l'esatto contrario: 39 motivi per cui vale la pena viaggiare nel nostro Paese. Basta dare un'occhiata alle immagini scelte: scenari mozzafiato, esempi di architettura incantevoli, monumenti, località di mare che non hanno eguali al mondo. E ovviamente il cibo. "Se vi dicono che l'Italia è bellissima non credeteci" scrive l'autrice del 'pezzo'. Ma una volta viste tutte le foto anche il turista più critico dovrà ricredersi: se qualcuno vi dice che l'Italia è belissima, fidatevi.
CLICCATE QUI, poi su "slideshow", e iniziate la vostra "pasquetta"
Scritto il 06 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 05 aprile 2015 alle 19:06 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 05 aprile 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "FOXCATCHER – UNA STORIA AMERICANA" (di Angela Laugier)
Regia: Bennett Miller
Principali interpreti: Steve Carell, Channing Tatum, Mark Ruffalo, Vanessa Redgrave, Sienna Miller, Anthony Michael Hall, Guy Boyd, Stephanie Garvin, Tara Subkoff, Brett Rice, Roger Callard, Cindy Jackson, Lee Perkins, Richard E. Chapla Jr., Samara Lee, Dan Anders, Daniel Hilt, Laurie Mann – 134 min. – USA 2014.
Il film racconta un fatto di cronaca nera avvenuto in Pennsylvania nel 1996, ma il regista, per propria scelta, sposta quegli accadimenti sanguinosi nei mesi che seguirono le Olimpiadi di Seul del 1988*. Uno spaventoso crimine aveva turbato profondamente l’opinione pubblica, soprattutto per la notorietà delle persone che ne erano state coinvolte: John Du Pont, ricchissimo erede di una famiglia di industriali di origine francese, e i fratelli David e Mark Schultz, entrambi campioni olimpionici di lotta (wrestling) nel 1984.
John (Steve Carrell) era un uomo di mezza età, che, appassionato di quello sport, aveva investito, nonostante l’aperta disapprovazione della madre novantenne (Vanessa Redgrave), una parte cospicua dell’eredità di famiglia per ospitare in una struttura idonea i valorosi atleti candidati a vincere, sotto la sua guida, le Olimpiadi di Seul. Foxcatcher sarebbe stato il nome della loro squadra e anche quello del complesso edilizio che li avrebbe accolti nel verde della foresta intorno all’enorme villa padronale dei Du Pont: una palestra attrezzatissima e numerose ville confortevoli erano sorte allo scopo.
John aveva in mente un progetto complesso e ambizioso, proiezione della propria megalomania frustrata e del proprio bisogno di affermazione personale, che metteva in relazione le future medaglie alle Olimpiadi di Seul con una sua possibile carriera politica nella destra nazionalista del Partito repubblicano, quello degli uomini duri e puri, legati come lui (e come i “sani” e muscolosi giovanotti che egli allenava) ai valori veri delle tradizioni patriottiche. In questo modo, egli sarebbe finalmente uscito dall’ombra in cui l’aveva cacciato la sua prestigiosa famiglia, la quale, pur avendogli sempre assicurato agi e privilegi, non gli aveva, però, mai permesso di emergere, non riconoscendogli alcun merito o qualità. La sua conoscenza dei due fratelli David e Mark Schultz (rispettivamente interpretati da Mark Ruffalo e Channing Tatum) era avvenuta per sostanziare, con l’arrivo di due campioni, quel suo progetto: un appuntamento telefonico, un’offerta strabiliante di denaro e una sistemazione lussuosa avevano conquistato subito la fiducia incondizionata di Mark, che era un giovane molto fragile, di carattere cupo e di aspetto sgradevole, che poco si stimava. David, con la sua tenace e affettuosa pazienza, lo aveva aiutato a crescere umanamente prima ancora che atleticamente, ma non aveva alcuna intenzione di sistemarsi vicino a lui in quel villaggio: era un uomo equilibrato e solare, aveva una graziosa moglie e una tenera figlioletta, oltre a un lavoro sicuro, ciò che gli bastava per vivere serenamente, né intendeva diventare un professionista del wrestling, che avrebbe continuato a praticare come un semplice hobby nelle palestre un po’ squallide delle periferie urbane. La sua presenza a Foxcatcher gli si era imposta, però, poiché alla sua osservazione attenta non era sfuggita la metamorfosi profonda del fratello, a cui il sodalizio con John nuoceva visibilmente: era ingrassato oltre il limite consentito a un atleta, mentre il suo sguardo, sempre più torvo e sfuggente, nascondeva qualcosa.
John si stava rivelando, infatti, non solo un allenatore inadeguato per lui, ma anche un falso e inaffidabile amico: le differenze di reddito e di classe sociale stavano trasformando il debole Mark in uno schiavo quasi plagiato, che ora dipendeva completamente dalla volontà e dai vizi del suo guru cocainomane e alcolista, che stava mettendo a rischio non solo la sua forma atletica, ma, ciò che era più grave, l’equilibrio precario che sembrava aver finalmente raggiunto. Per stargli vicino, perciò, anche David aveva infine accettato di stabilirsi a Foxcatcher, insieme alla moglie e alla bambina. Sarebbe stato lui l’allenatore della squadra per Seul, nonostante le velleitarie pretese di John.
Nel tranquillo e sereno territorio della Pennsylvania, si erano dunque create le premesse del fatto tragico che costituisce la conclusione, a lungo preparata, di tutta la narrazione.
Il regista Bennet Miller, al suo terzo lungometraggio (il primo era stato nientemeno che il magnifico Truman Capote – A sangue freddo), indaga con impressionante limpidezza, che ricorda il suo passato di documentarista, gli aspetti più inquietanti e meno spiegabili del comportamento umano. Questa sua ultima fatica non è, infatti, né un film su uno sport povero e poco praticato, né un’inchiesta sulle differenze sociali nella società americana, e neppure un’analisi psicologica sulle conseguenze delle carenze affettive nella formazione del carattere. Questi elementi, pur presenti nel film, costituiscono soltanto lo sfondo del racconto. L’interesse di Miller si concentra sul mistero inspiegabile della follia, così devastante da provocare negli uomini una regressione allo stato animale, che viene rappresentata, nei due personaggi di John e Mark, sia con la deformazione dei loro lineamenti ottenuta applicando un trucco così grottesco da renderli irriconoscibili, sia con le riprese insistenti del loro goffo camminare, conseguente alla violenza dura dello sport praticato. Il film segue il percorso della follia che da John si propaga lentamente a Mark, come una malattia contagiosa, e che a poco a poco lo rende disposto a rinunciare a se stesso, a lasciare che lunghi intervalli di silenzio sostituiscano la volontà di dire, di confrontarsi, magari di discutere, in una parola, di comunicare. Questo atteggiamento passivo lascia spazio sempre più vasto alla sopraffazione e all’arbitrio di John, il cui potere di ricatto economico è indiscutibilmente così grande da suscitare una sorta di inquietante fascinazione. Il racconto della follia è dunque il racconto del rapporto malsano fra un guru e l’adepto di una setta, ma è anche e soprattutto la metafora assai trasparente di ciò che era rimasto, alla fine degli anni ’80, del sogno americano, quando il reaganismo aveva permesso a gruppi ristretti di finti patrioti, ma di reali potentissimi paranoici, di decidere della vita e delle fortune di altri uomini, lusingandoli e blandendoli con la promessa di un edonismo alla portata di tutti, che attraeva soprattutto coloro che avrebbero dovuto essere i meno interessati a seguirli.
Film stupefacente e inquietante, cupo ma bellissimo, splendidamente interpretato dagli attori e premiato con la Palma assegnata alla migliore regia all’ultimo Festival di Cannes. Da non perdere!
* chi è interessato a leggere come andarono le cose nella realtà troverà QUI una risposta alla sua curiosità. Attenzione, però, se il film non si è ancora visto, poiché contiene ovviamente anche la rivelazione del finale.
Anhela Laugier
0602/0630/1600 edit
Scritto il 05 aprile 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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...e mentre il parolaio straparla di "Italia locomotiva d'Europa", l'altra Italia, quella vera, è con le pezze al culo. Fra non molto noi macchinisti della locomotiva d'Europa saliremo sui gommoni diretti a Valona...
0602/0630/0930 edit
Scritto il 04 aprile 2015 alle 13:51 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 04 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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..."Nonsolodalema" - Potrebbe essere il titolo di un vaudeville che per tutto il primo atto massacra solo "l'assente", salvo scoprire, alla fine del primo atto, che nascosti nell'armadio ci sono anche "insospettabili beneficiati"... Come la Fustigatrice Giorgia Meloni, e il "Rottamatore del Vecchio che Arretra" Matteo Renzi...
Che pena! Oggi emergono a decine i nomi di gente che ha preso soldi dalla Cpl, ma fino a ieri, quando speravano che le loro mancette non dovessero mai emergere, nessuno di "lorsignori" - a cominciare dal Rottamatore - ha avuto la decenza di alzare un ditino in difesa dell'onorabilità di D'Alema, e di dire "che c'è di male? c'ero persino io!..."
Leggi l'articolo di Carlo Tecce sul Fatto
Cosa c’entrano la mostra “Avanti Popolo” e l’Istituto Salesiano, la benedizione pasquale e la beatificazione di Giovanni Paolo II? E poi, cosa c’entrano Fratelli d’Italia, il sindaco Ignazio Marino e il governatore Nicola Zingaretti? Niente, in apparenza. Ma la Cpl Concordia, la cooperativa modenese coinvolta nell’inchiesta di Napoli per un appalto a Ischia, distribuiva decine di migliaia di euro l’anno. Un po’ di qua e un po’ di là, perché il contribuito (dichiarato, non sottobanco) fluidifica i rapporti, fa empatia e, a volte, simpatia.
Il tabulato dei magistrati di Napoli, che rendiconta le erogazioni liberali, è un tripudio di sacro e profano, di Peppone e don Camillo, di beneficenza e di opportunismo. Cpl Concordia non sosteneva soltanto la fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema (20.000 euro, 2014), ma accorreva al gran raduno renziano.
Il 5 novembre 2014, la cooperativa registra 5.000 euro in uscita per i democratici. Matteo Renzi ha organizzato due cene di raccolta fondi, il 6 a Milano e la replica il 7 a Roma: una di queste è stata finanziata anche dalla Cpl. La cooperativa rossa ha dato inoltre 17.000 € al Pd di Roma. Non è esaustivo dire che la Cpl aiutava D’Alema e Renzi, i due cari nemici, e neanche che negli ultimi tempi era sensibile alle esigenze dei partiti.
La Cpl ha pagato le campagne elettorali quando il Pd si chiamava ancora Ds. E non ha smesso, anzi ha aumentato gli importi. Già nel 2011, la cooperativa staccava un assegno di 20.000 euro per Virginio Merola, candidato sindaco a Bologna. Lo stesso periodo spediva 10.000 ciascuno ai dem di Pesaro, di Ferrara, il doppio a Urbino, un obolo (2.000) a Foggia e Frosinone. Nel 2012, ancora 15.000 euro a Ferrara e 3.000 al comitato Bersani. Il 2013 anno di politiche e il 2014 anno di europee, la generosità di Cpl Concordia esonda e invade l’intero emiciclo con preferenza sul versante centrosinistra: 10.000 per il senatore Ugo Sposetti (Pd); 5.000 per il deputato Alfredo D’Attorre; 10.000 per la lista civica Zingaretti e ulteriori 10.000 per il comitato Zingaretti; 6.000 per una cena elettorale di coppia Zingaretti-Marino; 2.000 per il comitato “io sto con Giorgia Meloni” e 3.000 per Antonio Paravia di Fratelli d’Italia; 2.500 per Ignazio Marino sindaco di Roma e 5.000 per Antonio Decaro sindaco di Bari; 2.000 per il mandato a Strasburgo di Cecile Kyenge e 4.000 per l’ex ministro Flavio Zanonato; 1.000 per Antonella Forattini in Lombardia e 10.000 per Eugenio Patané, consigliere regionale poi indagato a Roma nell’ambito di Mafia Capitale; 17.000 per il Partito democratico della provincia di Roma.
La cooperativa con una mano foraggiava la politica con la speranza di ottenere un ricompensa ben più sostanziosa e con l’altra aiutava il “territorio”, la feconda Emilia. Anche per cause nobili. Qualche migliaia di euro per la “nostra Mirandola”, la cittadina devastata dal terremoto, 50.000 “solidarietà la Carpi” (testuale). E centinaia di euro, profuse di tanto in tanto, per le associazioni locali, per un progetto a Chernobyl, per i genitori con figli disabili, per un omaggio alla fondazione di Umberto Veronesi. La beatificazione di Giovanni Paolo II vale uno sforzo in più, 25.000 euro. La coop rossa, però, prediligeva le parrocchie. I preti. Forse sapeva che un giorno un’indulgenza sarebbe tornata utile.
Questo è quanto. Per giorni la macchina spargi-letame ha operato in una sola direzione (D'Alema) perchè il nome era abbastanza pesante da poter bilanciare - nell'ottica dei manovratori, l'affaire Lupi/Incalza. Poi adesso - che sorpresa! - vengono fuori le liste complete, e si scopre che dentro c'erano tutti-ma-proprio-tutti... Scommettiamo che adesso diventeranno tutti più gentili? Già perchè fra i "finanziamenti" a D'Alema e quelli, poniamo, a Renzi, corrono due fondamentali differenze:
-a) D'Alema, in cambio di soldi, sembra che abbia consegnato merce (si dice alquanto pregiata) ed abbia così pareggiato la partita dare-avere;
-b) Renzi, in cambio di soldi, non ha consegnato niente. Quindi resta "debitore" della Cpl, almeno sul piano della umana riconoscenza. O no?
E mentre D'Alema ormai è proprietario solo delle chiavi di casa sua e della sua azienda vinicola, e ha già pareggiato i conti, Renzi possiede le chiavi delle Grandi Opere, in condominio col nuovo, feroce cane da guardia di Renzi, tale Graziano Delrio, che non cederà mai ad eventuali richieste improprie di Renzi, il quale ovviamente mai e poi mai ne farebbe, ne siamo certi! Anzi, come diceva Totò: "Quasi certissimi".
Tafanus
0502/0630/1500 edit
Scritto il 03 aprile 2015 alle 22:08 | Permalink | Commenti (9)
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Lo pensavo di "Repubblica" che seguivo dal suo "numero zero", e ho purtroppo dovuto smettere di pensarlo da quando è sempre più spudoratamente "embedded" al peggior renzismo.
Mi restava l'Espresso, che leggo da quando era largo come un lenzuolo a due piazze, era in bianco e nero, e macchiava le mani d'inchiostro. Poi è arrivata la mutazione genetica di Giampaolo Pansa, l'arrivo del "progressista" Marco Travaglio, lo "slittamento a slavina" delle direzioni, sempre più destrorse, fino al numero di oggi, aperto da un editoriale dell'attuale direttore, Luigi Vicinanza, che trovo assolutamente vergognoso (non Vicinanza... il suo editoriale).
Omen Nomen... Vicinanza. Vicinanza a chi? Vicinanza perchè?
A dire la verità, la copertina odierna apriva il cuore alla speranza: parlava dello sfascio del PD, e citava persino Renzi. Come colpevole dello sfascio del PD? No, come Renzi "as anima bella" che cerca disperatamente di salvare il PD (Partito Democratico, erede dei DS - Democratici di Sinistra, del PDS - Partito Democratico di Sinistra, del PCI - Partito Comunista Italiano) dallo sfascio...
Mai fermarsi ai titoli ed alle copertine (come insegna il titolo di "Giornalettismo" che abbiamo pubblicato recentissimamente) nel quale si parla - senza pudore - degli 87.000 euro "per il vino di D'Alema").
Così, travolti da insolita speranza, e "mislead" dalla copertina de l'Espresso di oggi, ci siamo tuffati nella lettura dell'editoriale di Luigi Vicinanza, e siamo rimasti basiti.
Quoque tu, Espresso, fili mi??? Leggiamolo, questo editoriale, prima di fare delle considerazioni... Iniziando dal titolo e dal sottotitolo...
Basterebbero questo titolo e questo sottotitolo, per toglierci il fastidio di andare avanti... Qual è il PD che si "rottama da solo"??? Ma quello pre-Renzi, of course... La Ditta (come da neologismo di Bersani).
Ischia, Roma, le cooperative. Nuovi scandali che coinvolgono soprattutto ex PCI. E subito cancelli dalla mente Lupi, Incalza, gli appalti del NUOVO PD - quello di Renzi - cogli appalti delle grandi opere affidati sempre alle stesse, nuovissime ditte... E il magnifico, esilarante sottotitolo di "Vicinanza" (sinonimo di "prossimità"?) si affretta a scagionare Renzi. Il quale, in fondo, è solo il Segretario del PD e il Presidente di un Consiglio che si regge su una incestuosa alleanza con personaggi come Berlusconi, Verdini, Angelino Alfano...
...Ma con un partito così Renzi non può rinnovare il Paese...
La colpa dello sfascio sociale del PD, dei tesseramenti crollati sotto il 50%, degli elettori PD che hanno disertato le urne in massa, anche nelle roccaforti rosse, sono quindi di chi aveva "non vinto" (ma neanche perso) le politiche, facendo affidamento SOLO su voti di sinistra. Ora "con Renzi si vince". Nell'ultima Leopolda Renzi aveva persino messo il logo "41", a caratteri cubitali, nella scenografia della minchiata. "41" è l'arrotondamento (in eccesso) del risultato delle europee. Ma se Renzi di intesta il "41", dobrebbe, ora che viaggia verso il 37, intestarsi anche il logo "-4"... O no?
Ma andiamo nel corpo dell'articolo di Luigi Prossimità:
C'È DELL'UMORISMO involontario nel titolo dell'ultimo libro di Massimo D'Alema, "Non solo euro", cinquecento copie del quale sono state acquistate dalla cooperativa rossa Cpl Concordia, quella che trafficava con il sindaco d'Ischia. E già, non solo euro. Ma anche vino. Duemila bottiglie di rosso. Dalemiano, rigorosamente. Acquistate sempre dalla stessa coop. Saperi & sapori: la via rivoluzionaria per la conservazione del potere.
NULLA DI ILLEGALE, è stato ripetuto. Ed è bene ribadirlo. Come nel caso del Rolex regalato al figlio dell'ex ministro Maurizio Lupi. Così si usa a Roma e dintorni. D'altra parte è tutto ancora da verificare il fondamento dell'inchiesta condotta da un pm napoletano famoso non certo per i risultati processuali.
Intanto però le carte giudiziarie, prima di un reato, ci parlano di una diffusa spregiudicatezza nei comportamenti. Non è roba da codice penale, ma da codici di stile. Ecco dunque sempre dalla Cpl Concordia un versamento di 60mila euro alla fondazione che fa capo a D'Alema, Italianieuropei. Con tre distinti bonifici negli anni. Dunque verosimilmente fatturati. Ma rimasti finora riservati. Difficile credere a una donazione disinteressata (...e no, caro Vicinanza! Io appartengo purtroppo all'era della "questione morale" - quando lei scriveva per Rizzoli - era nella quale i "reati" venivano, almeno per Berlinguer, prima delle questioni di stile... NdR)
L'associazione dalemiana, interpellata da "l'Espresso" tre mesi fa in occasione di una preveggente copertina, "Le casseforti dei politici", disse di preferire la segretezza dei conti alla trasparenza sui nomi dei donatori. Perché quel tipo di finanziamento non ha regole. Ognuno fa come gli pare. Leader nazionali e capetti di periferia si sono intestati la loro fondazione. Di destra come di sinistra. Promuovono convegni, riviste e vino quando serve. Senza vergogna.
UNA ONOREVOLE tradizione politica, tramandata dal Pci di Berlinguer, si spappola definitivamente in affarucci di bottega o in tangenti d'oro. Con le cooperative rosse sempre più spesso al centro di inconfessabili patti scellerati. Peggio del peggior capitalismo. Corruttori delle regole di mercato in nome di una solidarietà sociale perduta e umiliata (...solo le "Cooperative Rosse"... Nella sua pluridecennale attività giornalistica MAI è capitato a Prossimità di accorgersi di malefatte di cooperative bianche e verdi, di "inciampi" di vario genere sulla strada di Comunione & Ristorazione... Solo Cooperative Rosse. Secondo uno strabismo politico degno dei peggiori Sallusti, Belpietro e Feltri... NdR)
Appare dunque come una beffa della storia l'accusa rivolta a Matteo Renzi dalle agitate minoranze interne del Pd: non sei di sinistra (...fantastico...) Riducendo l'essere di sinistra a un'etichetta, a una rendita di posizione, senza valori e contenuti. La "ditta" di bersaniana memoria si è disintegrata per colpa dei suoi troppi difetti, prima ancora che per la rottamazione renziana. Da Ischia a Venezia, lungo tutto lo stivale, è un festival di pasticci. Tale da mettere a rischio la stessa sopravvivenza del Partito democratico, con tutta l'arroganza della "vecchia guardia". È il tema della nostra inchiesta di copertina di questa settimana (...caro Prossimità... e se facesse una bella articolessa su due colonne... a sinistra "i pasticci", e a destra gli "autori" e le "appartenenze correntizie" degli autori dei pasticci? Comincia lei o comincio io? NdR)
Al premier-segretario questo partito sta stretto più di quanto dica Massimo D'Alema che ancora pochi giorni fa evocava manovre di scissione. Fuori da Palazzo Chigi e dalla stanze del Nazareno è evidente l'assenza di controllo. Il rinnovamento non si intravede oltre il perimetro degli studi tv. Non è necessario spingersi nel profondo Sud, basta restare a Roma. Il rapporto stilato da Fabrizio Barca, dirigente rigoroso, studioso di valore, racconta di un'organizzazione inquinata, dannosa (vedi "l'Espresso" n. 13): un iscritto su cinque è fasullo; la compromissione con i clan di Mafia Capitale inquietante. Il contenitore è corrotto. C'è ancora del contenuto da salvare? Con buona pace di quegli onesti e generosi militanti resistenti a ogni choc.
PER LO STESSO MATTEO RENZI è difficile liberarsi di notabili e capifazione quando questi controllano ingenti pacchetti di voti. (...clamoroso al Cibali... Gli è scappata, questa, al Vicinanza... Il "Rottamatore Savonarola" che non riesce a liberarsi di capibastone portatori di voti a pacchi... Bravo, Vicinanza. A volto il sub-conscio gioca brutti scherzi... NdR) Giosi Ferrandino, il sindaco di Ischia arrestato, alle europee del maggio scorso ha rastrellato in tutto il Sud oltre 80mila preferenze. Sì, quelle stesse preferenze che, secondo convenienza, vengono sbandierate come strumento di democrazia e partecipazione per la selezione dei gruppi dirigenti. E i risultati si vedono. Negativi. La narrazione renziana è lontana dalla realtà. Non basta rottamare. Quel che resta del Pd va rifondato. È in gioco la stessa credibilità del segretario e del suo progetto politico. Se non rinnova in casa, come può rinnovare l'Italia? (...Vicinanza, mi perdoni... Non era questo il paragrafo giusto per dirci su quale carro viaggi attualmente il galantuomo Ferrandino? E come mai gli è stato permesso di salirci, visto che aveva i "documenti di viaggio" non proprio immacolati? Che anche per il Rottamatore Savonarola i voti si contino, ma non si odorino? NdR)
Luigi Vicinanza
Faccia uno sforzo, caro Vicinanza: ce lo spieghi lei, che crede a Babbo Natale, a Biancaneve, e a Renzi che rinnova qualcosa... Noi le nostre risposte ce le siamo già date. Da soli.
Facciamo una prima considerazione, strettamente quantitativa. Ho "passato" questa articolessa su word (che dispone della funzione "contaparole) e ho scoperto che l'articolessa è composta di 558 parole, di cui solo 106 (meno di un quinto) dedicate a Renzi che - mi dice l'esperto - guida il partito manu militari da un paio d'anni. Lo stesso Renzi che ha accettato l'accoppiata Lupi/Incalza. Lo stesso Renzi che - Enrico Letta Regnante - ha preteso la testa della Cancellieri, ma al quale stanno bene quattro membri del Governo inquisiti (la Cancellieri non lo era), e lo stesso Renzi che grazie alla "primarie aperte" da lui fortemente volute per andare alla conquista del Palazzo d'Inverno, ora ci infligge l'affaire Agrigento (dove un italoforzuto vince le primarie del PD).
Caro Prossimità... è "nuovo che avanza" Giosi Ferrandino? Basterebbe leggere un giornale qualsiasi (i Direttori devono informare, ma prima ancora tenersi informati), per sapere chi sia l'arrestato Giosi Ferrandini, al quale dedica, pudicamente, quattro parole in croce... Ma proviamo a leggere questo articolo dello Huffington Post, che sulla biografia molto variabile di Ferrandino è più generoso... Ci informa persino (cosa che il Dottor Vicinanza, distratto, trascura di dire, che Fiorentino è uno dei tanti imbarcati sul carro del Renzismo (molto capiente, e pochissimo selettivo... Leggiamo l'articolo, cliccando sull'immagine in calce:
...Giosi Ferrandino: Ultima Fermata Frignano sull'Arno...
...ma forse lei, stordito dall'odore del vino di D'Alema, non si è accorto del puzzo delle mazzette metanifere che arrivava da Ischia, e dal renzista Ferrandino. Così come si è giustamente indignato per il fatto che D'Alema abbia incassato 960 euri di diritti d'autore per i 500 libri venduti alla Cpl, e non abbia mai scritto (mi sono perso qualcosa?) una articolessa sulle "vacanze a Courmayer" di Matteo e dei suoi cari con aereo di stato... Mi informano gli addetti ai lavori che sia costato più delle 2000 bottiglie di vino di D'Alema. Anche il viaggetto in Falcon della Pinotti è costato di più, ma sembra che la cosa non abbia sconvolto Vicinanza.
Un'altra perla: come sono le cooperative? "Rosse". Per definizione. Il bravo Vicinanza non ha MAI sentito parlare di cooperative bianche? e di cooperative verdi? Noi si.
Incuriositi da tante, troppe coincidenze, ci è venuta la curiosità di leggere quale sia il curriculum giornalistico di Vicinanza (che fino a qualche mese fa non avevo mai sentito nominare (e quindi non avevo avuto la possibilità di inserire nel firmamento delle "Grandi Firme". Ecco cosa abbiamo trovato (basta andare su Wikipedia):
Poi, forse perchè stanco dei turni di notte, forse perchè stanco della sinistra, Vicinanza inizia un altro percorso...
Vogliamo dirlo? non ci sembra una fulminante carriera, quella di Vicinanza, se nel 2010, dopo 35 anni di onorata carriera, lo troviamo Direttore del"Centro", giornale abruzzese con sede a Pescara... Se sfogliamo l'elenco dei Direttori che hanno fatto grande l'Espresso, c'è da rimanere basiti per l'involuzione che il giornale ha subito negli ultimi anni...
DIRETTORI DE L'ESPRESSO
Arrigo Benedetti (2 ottobre 1955 - 2 giugno 1963)
Eugenio Scalfari (9 giugno 1963 - 24 marzo 1968)
Gianni Corbi (31 marzo 1968 - 5 aprile 1970)
Livio Zanetti (12 aprile 1970 - 1º luglio 1984)[4]
Giovanni Valentini (15 luglio 1984 - 7 luglio 1991)
Claudio Rinaldi (14 luglio 1991 - 29 luglio 1999)
Giulio Anselmi (5 agosto 1999 - 7 marzo 2002)
Daniela Hamaui (14 marzo 2002 - 5 agosto 2010)
Bruno Manfellotto (12 agosto 2010 - 9 ottobre 2014)
Luigi Vicinanza (17 ottobre 2014 - in carica)
...e noi qui ci chiediamo, senza trovare una risposta, cosa diamine c'entrino con la storia ormai sessantennale de l'Espresso, personaggi come Bruno Manfellotto (paracadutato su l'Espresso in diretta da Segrate e dal "Panorama" mondadorian-berlusconiano, e come Luigi Vicinanza... Lo confesso... Sarà colpa della mia ignoranza, ma quando, qualche mese fa, ho letto il nome del Vicinanza, mi sono chiesto: "Carneade? Chi era costui?"
Ora, finalmente, comincio a trovare qualche risposta...
Tafanus
0502/0630/0830 edit
Scritto il 03 aprile 2015 alle 15:10 | Permalink | Commenti (1)
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...Mi piacerebbe conoscerli, i genitori di questa tizia, per vedere come sono fatti. Perchè a sei anni una bambina non può programmare da sola di diventare, da grande, una con la stella silhouette di un cesso Ideal Standard. E qualora fosse così, mi piacerebbe fare quattro chiacchiere coi genitori che glielo hanno permesso...
Scritto il 03 aprile 2015 alle 00:01 | Permalink | Commenti (3)
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Prima l'Afghanistan, ora Iraq e Somalia. Dove contrastano già l'avanzata jihadista. Ecco chi sono e come operano i nostri soldati d'élite impegnati nelle missioni più riservate (di Massimo Sestini - l'Espresso)
I nomi delle missioni richiamano l'epica antica, tornata di moda anche tra i soldati più giovani sull'onda del "Gladiatore" con Russell Crowe. Operazione "Sarissa" in Afghanistan, come la lunga lancia della falange di Alessandro il Grande. "Prima Parthica" in Kurdistan, come la legione di Settimio Severo che sconfisse l'impero persiano. O più banalmente "Centurion" dalle parti di Baghdad, con meno fantasia dovuta all'influsso dell'alleato americano. Oppure si usano acronimi dal suono esoterico come "Bnms Gibuti" o "Eutnm Somalia". È dietro queste sigle che si mimetizzano i reparti italiani impegnati a contrastare l'avanzata dei jihadisti, che si chiamino talebani, Is, Al Qaeda o al-Shabaab. Mentre la strage di Tunisi fa sentire la minaccia alle porte di casa e spinge a schierare un'altra flotta a largo della Libia, ci sono militari che stanno già fronteggiando il fondamentalismo armato. Rapidi e invisibili, come nelle canzonette della propaganda littoria, ma estremamente efficaci. E richiestissimi dai comandi occidentali, che li vorrebbero far intervenire ovunque.
L'Afghanistan è stato il laboratorio del nuovo modo di agire degli italiani: combattere senza esplicitarlo, muovendosi sul confine delle autorizzazioni parlamentari. Non servono tanti soldati, basta che siano capaci e soprattutto discreti: poche decine di commandos che agiscono nell'ombra servono più dei battaglioni e dei bombardieri. Sono le "Special Forces", protagoniste della guerra moderna. Per gli americani hanno la stessa importanza delle armi atomiche: possono decidere le sorti di un conflitto, ma spesso basta solo la loro presenza per intimidire i nemici e spingerli a tenersi lontani.
Il modello tricolore è la Task Force 45, così famosa da diventare presto una fiction Mediaset, così misteriosa da non sapere cosa abbia fatto in otto anni di battaglie. Eppure sono meno di duecento uomini, in gran parte operatori del Col Moschin (in codice "Condor 34") a cui si aggregano distaccamenti di incursori della Marina ( "Caimano 69"), di arditi dell'Aeronautica ("Icaro 30") e di carabinieri del Gis. Insomma, l'élite guerriera italiana. Di sicuro, è la prima forza operativa sottratta al diretto comando nazionale: per otto anni ha obbedito al quartier generale della Nato di Kabul e quindi soprattutto agli americani. Ed è anche la prima a non restare in difesa: va sempre all'attacco, in cerca di "prede di valore", i leader talebani e i tecnici che confezionano trappole esplosive.
CACCIA GROSSA - I risultati sono top secret. Ufficialmente il nostro Paese non ha mai catturato prigionieri, né ha mai ucciso nemici. Una versione smentita dai file di WikiLeaks, rivelati da "l'Espresso" tre anni fa, che elencavano decine di vittime. E ora le foto di una monografia pubblicata da un editore specializzato, la Lupo di Luca Poggiali, mostrano gli incursori senza volto mentre ammanettano afghani, medicano talebani feriti negli scontri o gli "fotografano" gli occhi per prendere il profilo dell'iride. Un'altra attività che non riguarda la nostra sicurezza nazionale: gli scanner sono statunitensi e le informazioni finiscono in un database in Florida. Tanto che solo pochi mesi fa il governo si è posto il problema della legittimità di queste schedature, senza trovare una soluzione.
Un'altra immagine dello stesso libro è l'unica che lascia intuire le spedizioni di caccia grossa, quelle che la Nato definisce con un elegante eufemismo "assalti cinetici". Si vede un'auto semicarbonizzata sulla Ring Road, la grande strada afghana, circondata dalle jeep dei commandos e da un elicottero da combattimento Mangusta. Verosimilmente, sulla vettura viaggiavano dei capi talebani. Un drone li ha seguiti dall'alto, poi è scattato l'agguato. Con un paio di colpi da lunga distanza un cecchino ha bloccato il motore, quindi sono arrivati i parà sotto la protezione del Mangusta: le portiere aperte indicano che le persone a bordo sono state catturate ancora vive. Un raid da manuale. Altre volte invece è finita male. Nel settembre 2010, durante il blitz per neutralizzare i guerriglieri che avevano piazzato bombe letali contro gli alpini, è morto il tenente Alessandro Romani: i nemici erano appostati in zona, forse grazie al doppiogioco di un informatore.
ADDESTRAMENTO "ATTIVO" - Con la ritirata dall'Afghanistan da gennaio anche la Task Force 45 è stata dimezzata e ha ridotto le azioni: la base di Farah, nella regione più calda, è stata smantellata. Rimane soltanto uno squadrone a Herat, dove si è arroccato il contingente italiano, che salirà sull'ultimo elicottero entro fine anno. Ma per le teste di cuoio non è prevista tregua: c'è già un altro fronte che li richiama, la prima linea contro il sedicente Stato Islamico.
Il nostro impegno in Iraq non prevede il combattimento. Al Parlamento è stata annunciata solo una missione di addestramento. Giusto, ma la disciplina atlantica offre un'interpretazione ambigua, perché divide questa attività in due compiti ben diversi: training e mentoring. Il training è quello che si fa nelle caserme, lontano dalla linea del fuoco: si insegnano tecniche e tattiche, si spara alle sagome nei poligoni. Il mentoring invece si spinge molto oltre: si vive assieme ai soldati da istruire, seguendoli in battaglia. Anche in questo caso, l'Afghanistan è stata la palestra decisiva. Contro i talebani, i fanti afghani sono andati all'attacco "shona ba shona", spalla a spalla, con i mentor italiani. Non è un caso se i mezzi più potenti spediti laggiù, i cingolati Dardo, siano serviti proprio per questo impiego: scortavano le avanzate degli allievi locali. E in Afghanistan i Dardo, con i loro cannoni da 25 millimetri, hanno consumato il maggior numero di proiettili in assoluto.
Nei discorsi sulla lotta allo Stato Islamico, il ministro Roberta Pinotti non ha mai pronunciato il termine "mentoring"; lo ha fatto però il suo collega degli Esteri Paolo Gentiloni durante la visita a Baghdad. Significa che una parte delle special forces italiane non resterà nei campi trincerati della zona verde della capitale: potrà entrare in azione assieme ai colleghi iracheni. E lo stesso avverrà sulle linee dei peshmerga - letteralmente "coloro che intendono battersi fino alla morte" - del Kurdistan. C'è poi un appello pressante degli americani per mettere a disposizione un team specializzato nell'indicare i bersagli dei bombardamenti, un compito estremamente pericoloso. Al momento è ancora presto, solo un centinaio dei 320 uomini destinati all'Iraq sono già sul campo. Adesso è più urgente insegnare ai curdi l'uso delle armi donate dal nostro Paese, formando sniper per il tiro di precisione e artificieri per stanare le trappole esplosive. E bisogna completare le infrastrutture per accogliere i nostri elicotteri. Come al solito, gli operatori delle forze speciali saranno pochi: il numero non conta, è la qualità a fare la differenza.
RITORNO A MOGADISCIO - "Mentoring" è anche la parola chiave per decifrare il ruolo italiano in un altro quadrante caldo del jihad: la Somalia. Pochi giorni fa è stata annunciata la fine della spedizione contro la pirateria, ma rimarrà attiva la base di Gibuti, l'unico fortino stabile fuori dai confini: una sentinella sul Corno d'Africa. Formalmente quella somala è una missione europea, di fatto la gestiamo noi. Il comando e oltre la metà degli uomini – più di cento – sono nostri. Stiamo tirando su dal nulla l'esercito nazionale: abbiamo addestrato finora oltre quattromila reclute, a cui doneremo anche una cinquantina di vecchie camionette blindate – gli "Scarrafoni", apprezzati per la loro robustezza – e ci occupiamo della sicurezza delle installazioni internazionali. Siamo diventati pure i consiglieri dello Stato maggiore di Mogadiscio, lo stesso incarico a cui si dedicava un cittadino italo-somalo partito da Firenze, l'architetto Abdisalam Hagi, assassinato lo scorso agosto durante un attacco fondamentalista.
La capitale resta ad alto rischio: un mese fa un'autobomba ha devastato un hotel accanto alla residenza del premier. E la guerriglia islamica di al-Shabaab viene considerata una minaccia primaria da Washington, perché dispone di legami con la diaspora somala in tutto l'Occidente. Per contenerla gli americani si sono affidati alle esecuzioni dei droni-killer – quattro capi jihadisti uccisi solo negli ultimi mesi – ben felici di delegare ad altri le iniziative sul terreno.
UN ESERCITO DI VETERANI - A riportare il tricolore a Mogadiscio è stato il generale Massimo Mingiardi, ex numero uno della Folgore che proprio lì venne ferito nel 1993 durante la battaglia al Check Point Pasta: «C'è ancora tanto da fare. La missione deve essere potenziata, servono soldi e militari. Ho chiesto altri soldati, sto ancora aspettando. Sono un ufficiale operativo, abituato a stare insieme ai miei uomini e conosco le loro necessità. Posso dire di avere sempre gli stivali sporchi di sabbia, perché mi piace stare sul campo», ha detto Mingiardi poco prima di venire rimpiazzato – pare con un discreto anticipo rispetto ai tempi stabiliti – dall'alpino Antonio Maggi. È un altro generale con esperienza combat maturata nella valle afghana di Mushai, che – come scrisse il "Washington Post"nel 2007 – nessuno prima di lui era riuscito a pacificare. Il fatto che siano tutti veterani non deve sorprendere. Dal 2003 abbiamo mandato decine di migliaia di uomini al fronte, dove si sono abituati ad agire secondo le tattiche più avanzate. E stiamo investendo per rendere l'armata di forze speciali sempre più numerosa: nel 2012 il comandante dell'Esercito Claudio Graziano ha dichiarato a "l'Espresso" che si puntava ad avere 2500-3000 commandos italiani. Da allora si lavora per raggiungere questo obiettivo, potenziando i ranghi: altri incursori del Col Moschin, altri ranger del Monte Cervino e del Rao. Pedine preziose per le missioni discrete del futuro prossimo.
L'Aeronautica dal canto suo ha capito da tempo quale sarà l'arma decisiva: i droni. Siamo stati il primo Paese europeo a schierare i Predator, accumulando esperienza in Afghanistan e in Libia. Per mesi, ne abbiamo fatti decollare due da Gibuti, non solo per tenere d'occhio i pirati ma anche per studiare dall'alto le mosse degli al-Shabaab. Adesso altri Predator sono in Kuwait assieme ai Tornado da ricognizione e tutti i giorni sorvolano le postazioni dell'Is a nord di Baghdad. Dopo un lungo veto, gli americani ora sono disposti a fornirci pure gli apparati per dotare di missili gli aerei-robot: un acquisto inserito nella lista della spesa dell'ultimo bilancio della Difesa. Tra un anno arriveranno altri droni ancora più potenti, completamente Made in Italy: i Piaggio che somigliano agli "squali martello", un nomignolo che anticipa la vocazione di bombardieri teleguidati a lungo raggio. E sempre facendo tesoro della lezione statunitense, ci si prepara a modificare alcuni bimotori da trasporto in cannoniere volanti, con armi a tiro rapido progettate per spazzare via i caposaldi avversari.
IL DILEMMA LIBICO - Uomini e tecnologie pronti a ogni evenienza, anche a un intervento in Libia. Una spedizione evocata sempre più spesso per soffocare i germogli dello Stato Islamico che sembra trovare consensi crescenti nell'opinione pubblica, perché le stragi di Parigi e di Tunisi hanno alzato la percezione del pericolo, mai come oggi sentito vicino. Ma nessuno deve farsi illusioni: sbarcare in Tripolitania o in Cirenaica sarebbe facile, imporre una pace quasi impossibile. Non potrebbero esserci vie di mezzo, né operazioni nell'ombra perché chiunque metterà piede a Derna o Misurata rischierà di ritrovarsi in una guerra vera. I generali sanno cosa vuol dire: tra scontri e incidenti, in Afghanistan hanno dovuto contare 53 caduti e 650 feriti. E si trattava di un conflitto "a bassa intensità", contro miliziani male armati e senza sostegno internazionale, mentre in Libia circola ogni genere di ordigno e si intrecciano gli interessi di tutte le potenze, arabe e non. Insomma, intervenire sull'altra sponda del Mediterrano significa infilarsi in un nido di vespe. Siamo pronti a pagarne il prezzo?
Massimo Sestini
Bene. Siamo pochi, ben addestrati, ben armati, e all'estero facciamo faville. Ma il problema non è questo. Il problema é: questo paese, con la Professoressa Pinotti che scalpita per mettersi l'elmento di Prada e il giubotto antiproiettile scollato di Dolce & Gabbana e partire per le CXrociate alla guida di una coalizione ONU (addirittura!) è pronto ad affrontare IN ITALIA le probabili ritorsioni da guerra sporca? Quella che non si combatte coi droni di ultima generazione, ma che prevede isolati fanatici che si facciano saltare in aria nel metrò all'ora di punta? O che facciano saltare un pezzo di binario in una galleria 10 secondi prima che passi un TAV? A quanti di questi "inconvenienti" in casa il paese Italia è pronto a resistere? E cosa guida la Pinotti ad offrirsi come "guida" della coalizione? Ci tiene tanto, la Pinotti, a mettere l'Italia al centro del bersaglio?
Cara Professoressa, non crede che sia cosa più saggia da un lato appoggiare, rafforzare, foraggiare i resistenti dell'Islam moderato (...esiste, esiste... checchè ne pensi Magdi ""ex Crisitano" Allam), e spingere perchè la NATO formi e guidi una coalizione di Tutti i paesi occidentali, affinchè colpiscano pesantemete le fonti finanziarie (pozzi petroliferi, organizzazioni di emigrazione clandestina, campi di addestramento), anzichè fare sparata velleitarie sull'Italia paese-guida dell'Armata Brancaleone?
La comprendiamo. Lei è ministressa di un governo il cui premier straparla di "Italia locomotiva d'Europa" (siamo l'unico paese europeo insieme alla Grecia, ancora non uscito dalla recessione), e del fantastico "Italicum" che fra dieci anni ci avrà copiato mezza Europa, anche se momentaneamente è un gioiello incompreso, tanto che per ora su una porcheria simile è impegnato solo un pezzo - purtroppo maggioritario - del suo partito... A furia di sentire queste baggianate, avrà finito mica col crederci, e non mi sarà mica caduta vittima del complesso del pene e del celodurismo? Si dia una calmata, Professoressa... Non ci tiri addosso anche l'Is. Per ora ci accontentiamo del suo governo dei suoi piloti e dei suoi co-piloti
Tafanus
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Scritto il 02 aprile 2015 alle 22:26 | Permalink | Commenti (0)
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D’Alema e il caso Ischia: «Così la magistratura si delegittima da sola. Il Csm e l’Anm devono intervenire» - L’ex premier: «Non ritengo legittimo l’uso di intercettazioni come quello nei miei confronti. Abolito il finanziamento pubblico ai partiti, ora si criminalizza quello privato» (Fonte: corriere.it)
Il giorno dopo, Massimo D’Alema è ancora «indignato e offeso». Davvero non ha trovato una ragione a giustificazione dei magistrati che hanno inserito il suo nome nell’ordine d’arresto per le presunte tangenti a Ischia?
«E quale potrei trovare? Si parla di un’ipotesi di reato, tutta da dimostrare, in cui io non c’entro. Non c’era alcuna necessità di utilizzare intercettazioni fra terze persone, senza valore probatorio, dove si parla di me de relato. Allora mi viene il sospetto che ci sia un motivo, per così dire, extra-processuale».
Sarebbe a dire?
«Dubito che la notizia dell’arresto del sindaco di Ischia e qualche suo presunto complice sarebbe finita sulle prime pagine dei giornali, se nell’ordinanza non fossero stati citati D’Alema, Tremonti, Lotti o qualche altro personaggio di richiamo. Ma se questa fosse la logica che ha ispirato i magistrati, ci sarebbe da preoccuparsi. Non per me, ma per il funzionamento della giustizia. Anche perché negli ultimi tempi si sono susseguite diverse assoluzioni che hanno sconfessato le indagini, soprattutto nei confronti di amministratori locali addirittura arrestati. Se le inchieste avessero l’obiettivo di una più efficace ricerca delle prove, anziché di qualche forma di pubblicità, credo sarebbe più utile alla giustizia e alla moralità pubblica».
Che fa, delegittima anche lei la magistratura solo perché stavolta è stato toccato dal «pubblico ludibrio» delle intercettazioni?
«Io non delegittimo nessuno. Sono stato a lungo indagato e sempre prosciolto, anche quando avevo responsabilità di governo. Un pm ha dovuto risarcirmi per i tempi troppo lunghi di accertamento della verità, a spese dei contribuenti, come credo che per altre ragioni sia capitato pure al pm di Napoli titolare di questa indagine. Credo però che l’organo di autogoverno della magistratura, il Csm, ma anche l’Associazione magistrati, dovrebbero esercitare una maggiore vigilanza affinché certe misure non siano superate e la magistratura non si delegittimi da sola. Non ritengo legittimo un uso delle intercettazioni come quello che è stato fatto nei miei confronti».
Ha riforme da suggerire?
«No, dico che serve maggiore autocontrollo tenendo presente che i magistrati devono accertare fatti e reati, senza attribuirsi funzioni politiche o pubblicistiche di altro genere. Proprio per mantenere integro il rispetto che si deve alla funzione giudiziaria e che io conservo: sono un garantista, ma anche un legalitario».
Nelle intercettazioni gli indagati dicono che lei era disponibile a «mettere le mani nella merda» per loro, e che già gli «aveva dato delle cose»; parole che per pm e giudice non sono affatto irrilevanti. Non è questo suo presunto ruolo che dovrebbe indignarla e offenderla?
«Io ho solo aderito agli inviti a partecipare a iniziative pubbliche. Non ho fatto niente per queste persone, che sono state interrogate: immagino che se i magistrati avessero ritenuto di dovermi contestare dei reati lo avrebbero fatto. D’altra parte, se hai motivo di ritenere che ci sia stato un illecito, me lo contesti e io mi difendo. Insomma, compito del magistrato è provare a verificare il contenuto di quelle parole, che possono essere millanterie, frasi in libertà o qualunque altra cosa, prima di darle in pasto al pubblico».
Lei che rapporti aveva con le persone arrestate?
«Il sindaco di Ischia Ferrandino l’ho conosciuto nel 2014, quindi quando il presunto reato era, eventualmente, già stato consumato. Con i responsabili della Cpl, Roberto Casari e Francesco Simone, avevo rapporti più risalenti nel tempo, ma non ho mai fatto alcunché di illecito, né me l’hanno chiesto. Del resto se in due anni di intercettazioni non c’è la mia voce qualcosa vorrà dire...»
Dunque non sa perché dicessero quelle frasi?
«Io no. Mi auguro che i magistrati lo chiedano a loro».
E l’acquisto dei suoi libri e dei suoi vini?
«L’acquisto dei libri, legato a una presentazione in concomitanza con un’iniziativa elettorale a favore di Ferrandino candidato alle elezioni europee del 2014, rientra nei finanziamenti che noi raccogliamo per la fondazione Italianieuropei , un’associazione culturale che pubblica una rivista prestigiosa e svolge molte iniziative importanti. Tutto alla luce de sole, così come le donazioni, regolarmente messe a bilancio. Quando abbiamo cominciato, sedici anni fa, abbiamo ricevuto sostegno da Pirelli, dalla Fiat, da De Benedetti e molte altre imprese. Quanto al vino, mi scusi ma mi viene da sorridere: se i pm vogliono acquisire agli atti una buona guida enologica scopriranno che i nostri spumanti sono segnalati tra i migliori, ed è notorio che in occasione delle festività le aziende ne acquistano in quantità per regalarli. Li abbiamo venduti e fatturati, concedendo la possibilità di pagare quattro mesi dopo: siamo noi che abbiamo fatto il favore alla cooperativa, non viceversa».
L’acquirente dice che fu lei a chiedere di comprare...
«Nel particolare non mi ricordo. Ma in generale consiglio a tutti di comprare il nostro vino. Spero non sia un reato grave... Ho sentito anche dire che siccome io sono una persona nota c’è chi compra per simpatia e dunque questa sarebbe concorrenza sleale, ma vale anche il contrario: c’è chi non compra per antipatia, come è ovvio e lecito che sia. Dov’è il reato?».
Reati a parte, ci sono questioni di opportunità politica che emergono dalle indagini e hanno un loro peso. Come è capitato all’ex ministro Lupi.
«Premessa la mia totale solidarietà nei suoi confronti, credo che ci sia un po’ di differenza tra l’avere la responsabilità di un ministero e contemporaneamente rapporti con chi ottiene appalti e commesse, lavorando proprio con quel ministero, e chi, senza incarichi istituzionali, continua a fare politica da privato cittadino».
E raccoglie fondi per la sua fondazione, come faceva quando era parlamentare...
«Prima è stato abolito il finanziamento pubblico dei partiti, ora si criminalizza il finanziamento privato della politica. E dopo che resterà? Lo chiedo in generale, perché Italianieuropei non ha mai beneficiato di finanziamenti pubblici, ma ha sempre vissuto con il sostegno di semplici cittadini e imprenditori. Sono favorevole a regole di maggiore trasparenza nel finanziamento delle fondazioni, magari accompagnate con qualche serio incentivo fiscale. Ma episodi come quello di cui stiamo parlando spaventano le persone e le allontanano anche da legittime attività di sostegno. Per questo io sono preoccupato: non per l’azienda di famiglia, ché anzi, gli ordini dei vini stanno aumentando in segno di solidarietà, bensì per il futuro di Italianieuropei».
E per il futuro del Pd? I fatti emersi negli ultimi tempi non sono sintomo di una «questione morale» nel partito e nella sua classe dirigente?
«Il Pd è un partito di governo a tutti i livelli. E questo, naturalmente, lo espone a rischi di compromissione e inquinamento, che non debbono essere sottovalutati. È evidente che ci vuole maggiore vigilanza».
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La Fondazione ItalianiEuropei - Se ne parla spesso (e purtroppo spesso a sproposito) come della "fondazione di D'Alema". Non è la "fondazione di D'Alema". D'Alema ne è solo il Presidente (non retribuito), così come prima di lui lo è stato Giuliano Amato (e allora si diceva "la fonfazione di Amato"). La fondazione non appartiene ad una persona, ma ad una libera associazione di politici, imprenditori, giornalisti, economisti, intellettuali di vario colore e provenienza.
Chi volesse capire cosa sia e cosa faccia la benemerita (lo dico senza alcuna ironia) Fondazione ItalianiEuropei, potrebbe utilmente visitare il sito, e farsi un'idea di prima mano. Oltretutto, il sito è ricco di informazioni sulla sua struttura, e di articoli di estremo interesse su economia, politica interna ed estera. E non è la voce del solo "comunismo trinariciuto" ma, per capirci, nell'ultimo numero da voce persino a Simona "Topogigio" Bonafé...
Ecco per esempio cosa si può apprendere alla sezione "Chi siamo":
Presidente Massimo D’Alema
Comitato di Indirizzo: Lucia Annunziata, Gianni Cuperlo, Massimo D’Alema, Anna Finocchiaro, Miguel Gotor, Roberto Gualtieri, Paolo Guerrieri, Franco Marini, Ignazio R. Marino, Michela Marzano, Lapo Pistelli, Francesco Profumo, Alfredo Reichlin, Andrea Riccardi, Enrico Rossi, Gianfranco Viesti, Luciano Violante, Nicola Zingaretti.
Advisory Board - Franco Bassanini, Fabrizio Battistelli, Remo Bodei, Aldo Bonomi, Federica Caciagli, Luciano Canfora, Pierluigi Ciocca, Enrique Baron Crespo, Marta Dassù, Paolo De Castro, Marcello De Cecco, Mario Del Pero, Giacomo Filibeck, Gilles Finchelstein, Marco Aurelio Garcia, Charles Grant, John Ikenberry, José Miguel Insulza, Craig Kennedy, Ivan Krastev, Charles Kupchan, Marc Lazar, Claudia Mancina, Andrea Manzella, Gennaro Mariconda, David Miliband, Giulio Napolitano, Carlo Ossola, Pier Carlo Padoan, Gianni Pitella, John Podesta, Federico Romero, Giorgio Ruffolo, Mariuccia Salvati, Otto Schily, Ernst Stetter, Jorge Taiana, Gianni Toniolo, Vincenzo Visco, Margot Wallstrom.
Sinceramente, a giudicare dalla tipologia, qualità, pluralismo delle persone, mi sembra più un think-tank, che un comitato d'affari. Spero che molti di coloro che hanno sempre sparato a zero sulla fondazione, lo abbiano fatto dopo averlo frequentato. A mio modesto parere, è uno dei migliori siti che possa frequentare chi voglia approfondire i problemi politici ed economici italiani e internazionali.
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Come recitava un celebre slogan della Telecom: "Una talefonata allunga la vita". Se poi a pagare la bolletta hai un amico generoso come Marco Carrai, la tefefonata non ti costa neanche niente...
Così, la Gazzetta del Mezzogiorno pubblica una nota AdnKronos ieri:
Governo: M5S, telefono Renzi intestato a 'Open'. Il premier chiarisca
(AdnKronos) - Il MoVimento 5 Stelle ha depositato alla Camera un'interrogazione, a prima firma Gianluca Vacca, interpellando il presidente del Consiglio sul presunto utilizzo per fini istituzionali di un'utenza telefonica intestata alla Fondazione Open, "ente privato che ha organizzato e finanziato la campagna politica dello stesso Matteo Renzi".
Nonostante la massima trasparenza più volte invocata da Matteo Renzi sulle attività istituzionali dei politici, egli stesso - si legge nell'interrogazione - non assume comportamenti che facilitino il monitoraggio delle sue attività come presidente del Consiglio.
Nel consiglio direttivo della Fondazione Open, rimarcano i grillini, "il presidente è Alberto Bianchi, nominato nel cda Enel dallo stesso governo Renzi (...quando si dice la combinazione/1), segretario generale il ministro Maria Elena Boschi (quando si dice la combinazione/2), e consiglieri risultano essere il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti (quando si dice la combinazione/3), e limprenditore Marco Carrai (quando si dice la combinazione/4), già noto per aver pagato per tre anni un appartamento a Firenze al premier quando era ancora sindaco del capoluogo toscano". I 5 Stelle chiedono dunque "se il presidente del Consiglio utilizzi il cellulare intestato alla fondazione Open, e se ritenga corretto e opportuno che lo stesso ricorra a un telefono, che sfugge alla anche più minima trasparenza per le comunicazioni istituzionali e non, per lo più pagato da un ente privato i cui amministratori ricoprono incarichi di nomina governativa.
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Marco Carrai: chi trova un amico disinteressato, trova un tesoro, non solo un telefono.
Matteo Renzi è un uomo fortunato. Ha un amico disinteressato, che non solo gli paga il telefono, non solo è un grande finanziatore delle varie Leopolde, ma gli paga di tasca sua, per tre anni l'affitto di un bell'attico a due passi da Piazza della Signoria. Quell'affitto, per un 5 locali in quella posizione, è da monolocale con servizi comuni. Ma tant'è... Marco & Matteo sono nati con la camicia. Matteo non paga nulla, Marco paga inizialmente 900 euro al mese, e alla fine del triennio circa 1200. Canone medio: 1050 euro al mese per tre anni, pari a circa 38.000 euro in totale. Matteo non paga niente. Così, di fortuna in fortuna, di caso in caso, a Marco Carrai e ad altri amici di Matteo capitano cose fortunate... Leggiamo dal "Geniale":
Matteo Renzi ha vissuto per quasi tre anni un un appartamento vicino a Palazzo Vecchio, in via degli Alfani 8. Ma a pagare l’affitto è stato l’amico Marco Carrai. 900 euro al mese, che a un certo punto sono diventati 1.200, ha documentato ieri Libero, pubblicando il contratto di affitto, ottenuto dallo stesso Carrai dopo giorni di pressioni. Ora la procura di Firenze, come riportano alcuni quotidiani, ha aperto un fascicolo esplorativo, a seguito di un esposto, per fare luce sui rapporti tra l’ex sindaco e l’imprenditore e verificare se tra i due ci sia stato uno scambio di favori. Al momento non ci sono né ipotesi di reato né indagati e il procuratore aggiunto Giuliano Giambartolomei affiderà le indagini a un pm per verificare che l’interesse pubblico non sia stato danneggiato. Intanto l’opposizione compatta di tutti i partiti ha fatto cadere in conferenza dei capigruppo in Senato la richiesta di chiarimenti del Movimento Cinque Stelle, che da Renzi vorrebbe un chiarimento in aula sul caso affitto e sui rapporti con Carrai.
L'attico pagato da Carrai per Renzi
Il presidente del Consiglio ha vissuto nella casa per 34 mesi, dal 14 marzo 2011 al 22 gennaio di quest’anno e lì aveva trasferito la sua residenza da Pontassieve (dove vive la moglie coi tre figli) per potere votare nella città che governava. Aveva scelto l’appartamento in via degli Alfani 8 dopo avere lasciato una mansarda dietro Palazzo Vecchio perché l’affitto – da mille euro al mese – era troppo costoso.
Il proprietario della casa, scrive il Corriere della Sera, è Alessandro Dini, consigliere di amministrazione della Rototype, azienda il cui sito web è curato da da un’agenzia di comunicazione, Dotmedia. Per Dotmedia lavora come agente il cognato del premier, Andrea Conticini (quando si dice la combinazione/5), e suo fratello Alessandro Conticini è tra i soci, con il 20% (quando si dice la combinazione/6). Quest’ultimo in passato è stato socio di Eventi6, società della famiglia Renzi (quando si dice la combinazione/7).
Marco Carrai, consigliere del premier vicino a Comunione e Liberazione, che in passato ha guidato Firenze Parcheggi (società comunale... quando si dice la combinazione/8), oggi è presidente di Aeroporti Firenze (quando si dice la combinazione/9) e di Fondazione Open, ex fondazione Big Bang, che ha gestito le campagne elettorali di Renzi (quando si dice la combinazione/10) . La società C&T Crossmedia di cui è socio, inoltre, si è aggiudicata un servizio per visitare Palazzo Vecchio con la guida di un tablet (quando si dice la combinazione/11).
Ma Carrai in questi giorni è finito nel mirino anche per la vicenda che vede coinvolta Francesca Campana Comparini, sua fidanzata che sposerà a settembre. La ragazza, 26enne laureata in filosofia, è tra i curatori della mostra su Jackson Pollock e Michelangelo, la più importante e prestigiosa a Firenze nel 2014 (quando si dice la combinazione/12). Si svolgerà a Palazzo Vecchio ed è costata al Comune 375mila euro.
I due consiglieri fiorentini di opposizione De Zordo (Per un’altra città) e Grassi (Sel) hanno chiesto al vicesindaco reggente Nardella: “Se una ragazza di 26 anni, laureata in Filosofia e senza alcuna esperienza curatoriale, riceve l’incarico di curare la principale mostra di un grande comune italiano, è perché conosce qualcuno o perché conosce qualcosa?”. Secondo quanto pubblicato dal Fatto, Comparini ha soltanto un titolo contro i 62 di un altro curatore della mostra, Sergio Risaliti. E l’unico saggio che ha pubblicato è per il catalogo della mostra di Zhang Huan, commissionato dal Comune di Firenze (quando si dice la combinazione/13).
Per ora ci fermiamo qui. Vorremmo solo che restasse un messaggio: qui qualcuno sta cercando di mettere sullo stesso piano D'Alema che vende (e consegna) vino a prezzo più favorevole del prezzo di mercato, senza aver nulla da dare in cambio se non il vino acquistato - pagamento a 120 giorni), con Lupi che aveva a disposizione il Comitato d'Affari che passa sotto il nome di Ministero delle Infrastrutture, e con Carrai amico fiorentino dell'allora sindaco di Firenze e ora - purtroppo - Pres del Cons, che è stato molto generoso, e che per pura coincidenza ha avuto incarichi, soldi e appalti per se, per i suoi cari, e persino per la sua fidanzatina 26enne. Non regge, e non tornerò sull'argomento, anche se in questi giorni abbiamo parlato più delle bottiglie di vino di D'Alema, che dei quattro membri del Governo Renzi rinviati a giudizio ma "resistenti" sulle poltrone, col consenso e l'avvocatura del Rottamatore Savonarola.
Tafanus
0302/0630/1930 edit
Scritto il 02 aprile 2015 alle 17:32 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 02 aprile 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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La macchina del fango si è messa in moto. E, forse per "pareggiare" il conto del caso Maurizio Lupi (Ministro dimissionato di Renzi), queata volta si mette in moto contro D'Alema, rappresentante dell'opposizione interna più decisa al Renzismo e al Lupismo. Cui prodest? Mi interessa poco, anche se ho le mie idee. Nel merito, come leggerete più avanti, trovo che si stia montando un caso sulla sabbia. Nel metodo, trovo che quello adottato oggi da "Giormnalettismo" sia fra i più scadenti (per usare un eufemismo) che si possano immaginare.
Bellissimo titolo, vero? Ha un solo torto: quello di raccontare scientemente una balla. Una balla nota alla redazione di Giornalettismo, visto che il "sottostante" al titolone spiega, nello stesso articolo, ma in corpetto piccoletto, che alla cantina "La Madeleine" dei coniugi D'Alema sono andati 22.500 euro (regolarmente fatturati e registrati), e non gli 87.000 di cui si urla nel titolone. Pessimo esempio di pessimo giornalismo. Anzi, Giornalettismo.
Proviamo allora a mettere in fila i fatti, e a "ripulire" la notizia di "Giornalettismo":
Il problema è nel titolo di Giornalettismo, e di altri che hanno ripreso quel titolo senza preoccuparsi di verificare la coerenza fra enunciazioni da bar dello sport e numeri. Si da infatti il caso che per arrivare a 87.300 euri (e non a 87.000), non basta il vino; si devono sommare il vino, lo spumante, il libro, e le donazioni alla fondazione.
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Ora prendiamo la macchinetta calcolatrice da due euri, e facciamo due conti... Che tutto sia registrato fino all'ultimo centesimo, non ci piove. Lo sanno anche in procura. Ma forse allora D'Alema ha ricevuto un "regalino" vendendo il libro, o vendendo a prezzi incongrui vino e spumante?
Cominciamo dal libro: la macchinetta mi dice che 500 volumi a 4.800 euro significa che ogni volume è stato venduto per la follia di 9,60 euro a copia. In genere il guadagno lordo per l'autore varia fra il 15 e il 20% del prezzo di copertina. Quindi complessivamente a D'Alema - sempre che non abbia lasciato il guadagno nelle casse della fondazione, sarebbero entrati in tasca la bellezza di 720/960 euri lordi. C'è in giro per l'Italia un solo normodotato disposto a credere che D'Alema sia disposto a vendersi culo e reputazione per 960 euri lordi??? Si faccia avanti, e faccia outing.
E veniamo al vino e allo spumante... Forse D'Alema si è arricchito vendondo questi prodotti in nero, o a prezzo spropositato... In nero NO. Lo sa la stessa Procura. Tutto fatturato, tutto consegnato. A prezzi esorbitanti, che nascondono una mazzetta? Vediamo: sui vini della "maison" D'Alema indaga il "Secolo XIX", che così scrive:
[...] Ma quanto costa il vino di D’Alema? La risposta è molto, ma non moltissimo, quantomeno alla Cpl, che ha comprato per due anni 1000 bottiglie in occasione delle feste natalizie. Nel 2013 - scrivono i carabinieri del Noe che indagano la Cpl - «1.000 bottiglie di spumante per 14.600 euro e nel 2014 altre 1.000 bottiglie di vino rosso per 7.900 euro».
Prezzi tutto sommato modici, se si considera che La Cantina La Madeleine, produce vini a quanto pare di alto livello, quando non altissimo (uno di questi, il Narnot, è valutato 98/100 nella scala di Veronelli) [...]
...che l'affare lo abbia fatto la Cpl, anzichè "La Madeleine"?
Tralasciamo il fatto che non si capisce quale "utilità" si aspettassero alla Cpl da "favori" resi ad un ex potente, attualmente privo di cariche pubbliche, ma ricco di "nemici di maggioranza"; tralasciamo il fatto che nelle intercettazioni pubblicate, messe agli atti, e dunque a disposizione del giornalismo-spazzatura, non ci sia UN SOLO PASSAGGIO che abbia attinenza con possibili reati; tralasciamo il fatto che certi discorsi puzzano lontano un miglio di "millantato credito"; tralasciamo il fatto che nessuno parla in prima persona, ma c'è una lunga serie di "de relata"; NON tralasciamo la domanda delle domande: se i "reati" di D'Alema sono non dico certi, ma solo "probabili", perchè su D'Alema non è stato aperto un fascicolo?
Quale reato, just in case, gli sarebbe imputato? Davvero si pensa di poter assimilare l'operato di D'Alema, privo di cariche pubbliche (e al quale, fino a prova contraria, nessuno ha regalato niente), a quello di Maurizio Lupi? Davvero? La Cpl ha assunto il figlio di D'Alema? gli ha fatto un regalino di laurea? D'Alema è in grado di distribuire appalti? Andiamo! Cerchiamo di recuperare un minimo di buon senso e di etica del giornalismo... (continua)
Tafanus
P.S.: Per ora ci fermiamo qui, perchè non vogliamo appesantire ulteriormente questo post, già abbastanza pesante da leggere. Ma preannunciamo fin d'ora che domani completeremo questo post con una seconda puntata che riporta un'intervista a D'Alema sull'argomento, dettagli molto interessanti su cosa sia e da chi sia fatta la Fondazione ItalianiEuropei, e una interessante sezione sugli ultimi rapporti fra Savonarola Renzi e Carrai... Alcune cose note, altre "brand-new"...
0302/0630/1300 edit
Scritto il 01 aprile 2015 alle 21:58 | Permalink | Commenti (7)
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L'ISTAT sgonfia le palle di Renzi & Poletti
Povero Renzino... si era già "intestato" 79.000 nuovi assunti in gennaio e febbraio grazie al "Giobatta" (approvato in marzo!!!). Ora arrivano quei guastafeste dell'ISTAT, che fanno un lavoro diverso da quello del piazzista, e rovinano tutto... Cliccare sul sommarietto in alto per aprire l'articolo
Scritto il 01 aprile 2015 alle 00:31 | Permalink | Commenti (3)
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