ATTENZIONE! Questo è un blog dedicato alla politica pornografica, o alla pornografia politica! Aprire con cautela!
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Scritto il 31 maggio 2015 alle 23:59 | Permalink | Commenti (10)
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Da mezzogiorno, ogni 5 minuti, RaiNews24 ci informa che - contrariamente ai timori di tutti - l'affluenza alle urne alle 12:00 è in aumento di 5 punti percentuali rispetto alle precedenti regionali. Poi, molto sottovoce, ricordano che l'altra volta si era votato in due giorni...
Abbiamo fatto un piccolo esercizio: abbiamo preso i dati regionali di affluenza alle 12:00, li abbiamo moltiplicati per 3,2 onde proiettarli alle 23:00 di stasera (chiusura definitiva delle urne), e abbiamo fatto un artigianale lavoro di confronto col dato finale delle precedenti regionali. In TUTTE le regioni l'affluenza dovrebbe essere in calo significativo (altro che aumento di 5 punti!). Ecco, in proiezione, i cali percentuali dei votanti (in grassetto, quelli che avevamo a mezzogiorno come proiezioni):
RaiNews ci informa anche che il Premier ha votato nel suo paesello, e che indossava un completo blu e camicia bianca senza cravatta. Il Premier era accompagnato dalla fesrt sciura, che invece indovvada un completo giallo, con grandi occhiali da sole.
WOW!!!!!!!!!!
Cara Maggioni, e ingaggiare dei giornalisti, anzichè dei propagandisti?
Tafanus
1203/0645/1515
Scritto il 31 maggio 2015 alle 16:39 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 31 maggio 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Se chiedi IN FORZA ITALIA chi sia l'erede di Silvio Berlusconi la risposta di rito è: «Nessuno». Negli ultimi giorni la risposta è cambiata: «C'è solo uno che aspira a diventarlo. Anzi, una». (di Marco Damilano - l'Espresso)
La deputata che alla vigilia del voto sta percorrendo la sua regione, la Campania, incontri, comizi, conferenze stampa a ritmo indiavolato, chilometri macinati, come se fosse lei in gara per la presidenza e non il suo amico Stefano Caldoro. Stringe mani, bacia militanti, promuove candidati al consiglio regionale: qualche sera fa un ingresso da star, la scalinata, gli applausi, i jingles della bella stagione berlusconiana, quando toccava a lei aprire le convention nazionali con il Presidente. E invece era solo l'inaugurazione del comitato elettorale a Sala Consilina del candidato locale. Pazienza, lei si è prestata all'evento per così dire minore con il consueto professionismo.
Mara Carfagna compirà quarant'anni alla fine del 2015, è quasi coetanea del premier Matteo Renzi, più giovane di due anni di Matteo Salvini. Con i due Matteo di governo e di opposizione ha in comune un esordio in televisione, un presente da politica pura e un futuro da leader, forse. In queste settimane il suo nome è tornato in testa alla lista dei sorvegliati speciali all'interno di Forza Italia. È bastato che l'ex Cavaliere dichiarasse di vedere bene una donna come prossimo leader dei moderati per scatenare nel partito azzurro le fazioni contrapposte: i conservatori, che vogliono blindare l'attuale equilibrio fondato sull'eternità di Berlusconi e chi invece è terrorizzato dell'ascesa di Salvini e vorrebbe trovare una figura da contrapporre al capo della Lega.
Qualcosa di più della solita discussione sul dopo-Berlusconi, tema di attualità da almeno dieci anni, che in genere parte con le migliori intenzioni e si conclude con un nulla di fatto. Perché questa volta il partito che ha dominato il centro-destra per più di un ventennio è davvero a un passo dall'implosione post-elettorale, soprattutto se le cose dovessero andare male in Campania (con una sconfitta di Caldoro) e in Liguria (dove contro il Pd si è candidato il coordinatore nazionale forzista Giovanni Toti). C'è il panico che trascina una parte dei parlamentari in direzione Renzi e un'altra a gravitare intorno al nuovo padrone della destra, Salvini. Una barca senza rotta che aspetta un segnale di vita dal suo anziano condottiero. Eppure, nei ragionamenti di Berlusconi degli ultimi giorni di segnali ce ne sono stati. Primo, l'Italicum ormai è legge, la riforma elettorale è una realtà, bisogna fare i conti. Divisi i partiti del centrodestra perdono, va trovato il modo di riunirli, come fece il presidente della Fininvest nel 1994 quando con la nuova legge elettorale (il Mattarellum) costruì un cartello che andava dalla Lega di Umberto Bossi ad An di Gianfranco Fini. Secondo, il federatore non c'è, non esiste un personaggio come Berlusconi in grado di tenere insieme le anime del centro-destra e di convincere Salvini ad annegare il simbolo vincente della Lega dentro un listone dei moderati. Serve qualcosa di più: un Renzi, o almeno qualcuno che conquisti la leadership come ha fatto il premier nel centrosinistra. «Renzi è spuntato sotto un cavolo», spiega l'ex premier, ma sa che il cavolo da cui è uscito il leader sono le primarie.
L'ultima volta che nel Pdl hanno provato a organizzarle era la fine del 2012 ed è stato un disastro. Doveva correre Angelino Alfano, ancora numero due del partito, all'ultimo momento Berlusconi annunciò che si sarebbe ricandidato, fine della ricreazione, tutti i concorrenti si ritirarono in silenzio. Questa volta, però, la macchina delle primarie potrebbe partire da Arcore, per imbrigliare Salvini e intrappolarlo nel campo del listone moderato. «Servono primarie regolate per legge», teorizza Berlusconi. Ma la strada è segnata, perché l'alternativa è che ogni formazione vada per la sua strada e si candidi per i fatti suoi. Un suicidio.
La Carfagna si è sintonizzata su questa lunghezza d'onda. Si propone come un anti-Salvini nel centrodestra: meridionale e donna. Mai una parola invece sulle beghe interne di Forza Italia, perché non si corre per conquistare la guida di un partito in via di smantellamento. L'ex ministro deve far dimenticare agli occhi dei berlusconiani duri e puri la recente stagione in cui aveva affiancato Raffaele Fitto nella corrente dei lealisti, quelli che si erano rifiutati di seguire Alfano nell'Ncd ma che reclamavano un repulisti al vertice in Forza Italia. Oggi Fitto è fuori, sta organizzando i suoi gruppi parlamentari, in Puglia si è messo in proprio e combatte voto su voto per superare lo schieramento fedele a Berlusconi. Mara invece si è smarcata dal compagno di strada, «mi dispiace per la guerra fratricida scatenata da Raffaele», dice, ha giurato fedeltà a Berlusconi, è rimasta in Forza Italia, la sua campagna elettorale è da donna di partito all'antica: territorio, candidati e simbolo ben esposto nelle manifestazioni. In nome dell'unità del centrodestra ha perfino fatto pace con Alessandra Mussolini con cui in altri tempi erano volate parole molto colorite. In Parlamento non partecipa alla conta di molti colleghi, quelli che meditano di seguire Fitto e quelli che si stringono attorno a Denis Verdini. È intervenuta in Parlamento sull'Italicum. Sulle unioni civili ha presentato un progetto di legge e già si parla di un tandem con la renziana Maria Elena Boschi. Il riconoscimento delle coppie gay è una sua vecchia battaglia, in Forza Italia era in totale solitudine, ma ora anche Berlusconi sostiene una svolta all'irlandese per l'Italia. «Mara è bravissima, l'unica che si batte per i diritti civili», l'ha battezzata la donna più influente del cerchio magico berlusconiano, campana come la Carfagna, la compagna di Silvio Francesca Pascale. Quasi un'investitura.
Quando entrò per la prima volta in Parlamento, nel 2006, l'ex soubrette sembrava vivere una favola, nel 2008 a 33 anni diventò ministro glamour, gratificata dalle copertine dei settimanali di mezzo mondo e da numerose maldicenze. Da allora in poi la fiaba è finita, la Carfagna ha dovuto attrezzarsi alla durezza della battaglia politica, quella di cui parlava il socialista Rino Formica, sangue e altre nobili sostanze. Trappole, cattiverie, fuori e soprattutto dentro il suo partito. Anche negli ultimi giorni il cerchio magico berlusconiano si è rinchiuso attorno al suo leader e ha cominciato a delegittimare l'ascesa dell'ex ministro. Ma Salvini sembra prenderla sul serio: «Sono pronto a sfidare la Carfagna alle primarie». E un forzista di alto rango ritiene che per sfidare il leader della Lega il suo sia il solo nome spendibile. E i nemici? «Se la sceglierà Berlusconi saranno tutti amici».
...Mara Carfagna? e perchè no?... Finalmente Forza Italia avrebbe una leaderessa "guardabile"...
1203/0645/0830edit
Scritto il 30 maggio 2015 alle 09:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 30 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Recensione del film "YOUTH – LA GIOVINEZZA" (di Angela Laugier)
Regia: Paolo Sorrentino
Principali interpreti: Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda, Neve Gachev, Ed Stoppard, Alex MacQueen, Tom Lipinski, Madalina Diana Ghenea, Emilia Jones, Chloe Pirrie – 118 min. – Italia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna 2015.
Nella ridente località svizzera di Davos, ai piedi delle Alpi, sorge un grande e lussuoso albergo, il Berghotel Schatalp, legato alla memoria di Thomas Mann, che qui aveva scritto quel grande capolavoro che è La montagna incantata. Qui Sorrentino ambienta il suo film: per l’occasione l’hotel diventa un resort di lusso che accoglie, assai più modestamente, alcuni signori di varia età senza alcun problema economico. D’altra parte è presto chiaro che per il regista quelli economici non sono i soli problemi dell’umanità, che è afflitta da molti altri guai: l’amore, che eterno non è, anche se ci illudiamo che lo sia; la gelosia, che è vana, ma è sempre strettamente legata all’amore; la salute che se ne va quanto più si invecchia, soprattutto se si è maschi e arrivano i problemi dell’ ipertrofia prostatica, che è, infatti, l’argomento principale di conversazione, in questo albergo, fra due anziani intellettuali, un regista cinematografico (Harvey Keitel) che vorrebbe girare l’ultimo film prima di morire, e un vecchio direttore d’orchestra (Michael Caine), ex grande sciupafemmine, ma fedele (lo dice lui) al suo unico vero amore, la moglie che ora non c’è più, ciò che lo ha trasformato nell’uomo più casto del mondo (che c’entri per caso la prostata?). C’è poi la difficoltà di chi vorrebbe vivere di pura meditazione, come il monaco buddista che infatti cerca vanamente di raggiungere la purezza assoluta per levitare; c’è l’angoscia del giovane attore (Paul Dano) che vorrebbe sganciarsi da un ruolo che sembra lo stia imprigionando, tanto gli è stato appiccicato addosso; c’è addirittura Maradona, con tatuaggio enorme di Karl Marx sulla schiena, in gravi ambasce, non riuscendo a respirare per gli straschichi degli stravizi del passato e anche per l’eccesso del suo peso, capace, però, di illudersi di essere ancora un grandissimo tiratore, nonostante non possa separarsi dalla sua bombola d’ossigeno. Ci sono le lacrime della figlia del direttore d’orchestra (Rachel Weisz), lasciata dal marito per una pop star senza cervello (ma, che, a quanto pare, ha grandi qualità sotto le lenzuola). Si consolerà presto, grazie al muscoloso maestro di alpinismo (anche lui mi è sembrato senza molto cervello) che le insegna il climbing sulle palestre di roccia, c’è Jane Fonda, grande amore dell’adolescenza del musicista e anche del regista, che ha lasciato, con grande dolore, il cinema per la TV… C’è soprattutto il lento distacco dalla vita, oggetto di meditazioni piuttosto ovvie e di riflessioni pseudo filosofiche di grande effetto, pur nella loro sconfortante banalità.
Come per La grande bellezza, potrei continuare ancora con questo elenco di poco originali e poco interessanti storie che nel corso del film sono purtroppo anche punteggiate da un eccesso di “parlato” sentenzioso e predicatorio, falsamente moraleggiante, ciò che mi ha reso insopportabile il film nel suo complesso.
Eppure mi ero accinta a vedere questa pellicola con i migliori propositi, poiché, anche se questo regista non è nelle mie corde, sono disposta a cogliere elementi nuovi e sorprendenti, convinta come sono che i capolavori (rarissimi nel cinema, come in qualsiasi altra forma d’arte) possano arrivare improvvisamente, ribaltando le nostre convinzioni. Poiché, però, non amo la magniloquenza vuota, né il bell’effetto che genera stupore, né il nulla in confezione regalo, che indica l’abilità nel nascondere l’inconsistenza dell’oggetto regalato, in altre parole, non amo la retorica, fatta di luoghi comuni, di banalità che cadono dall’alto di una pseudo saggezza da carta dei cioccolatini, né amo la lacrima preparata con cura dagli effetti speciali (in cui Sorrentino si dimostra davvero un maestro), non posso dire altro se non che non ho amato questo film. E, per piacere, ancora una volta, lasciamo stare Fellini!
Angela Laugier
1103/0645/1945 edit
Scritto il 29 maggio 2015 alle 09:00 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 29 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 28 maggio 2015 alle 00:29 | Permalink | Commenti (0)
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Domandina: sono più impresentabili gli "Impresentabili", o i loro avvocati d'ufficio con seggio ministeriale, a Palazzo Chigi, nella direzione dell'ormai sedicente "Partito Democratico"?
(cliccare su un "losco" a scelta per aprire l'articolo completo)
E’ attesa per le 13 la lista degli impresentabili stilata dalla commissione bicamerale Antimafia. “Non rientra nei poteri di uno dei presidenti delle Camere di interferire nei lavori di una commissione bicamerale”, ha risposto il presidente del Senato, Pietro Grasso, a Luigi Compagna che chiedeva di bloccare la conferenza stampa annunciata dalla presidente della commissione Rosy Bindi.
E se da un lato impazza il totonomi, dall’altro nella giornata di ieri i quattro candidati alle Regionali della Puglia finiti nel mirino dell’Antimafia hanno fatto sapere che non si ritireranno dalla corsa elettorale che culminerà col voto di domenica 31 maggio quando in Liguria, Veneto, Marche, Umbria, Toscana, Campania e Puglia si eleggeranno i consigli regionali e i presidenti di Regione. D’altronde a fare loro da scudo c’è un esempio illustre, quello di Vincenzo De Luca, candidato della Regione Campania per il centrosinistra, secondo cui la legge Severino è “superabile” e sarà il popolo a decidere, non la giustizia. Proprio ieri la Cassazione ha espresso la sentenza con cui stabilisce che a decidere della sospensione della legge Severino non sia il Tar ma il tribunale ordinario.
Risultato? De Luca, condannato per abuso d’ufficio a cui il Tar aveva concesso di esercitare la carica di sindaco di Salerno sospendendo gli effetti della Severino, potrebbe trovarsi a non poter governare la Campania, qualora fosse eletto. Ora infatti sulla sospensione della sua ‘incompatibilità‘ dovrà ri-decidere il tribunale ordinario – e lo stesso varrà per il sindaco di Napoli Luigi De Magistris – e il risultato non è scontato. Se fosse giudicato “incompatibile”, a quel punto dovrebbero essere il ministro dell’Interno e il presidente del Consiglio a farlo decadere e la carica di governatore passerebbe a un vice, indicato da De Luca. Che ieri sera è stato difeso dal ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, e per l’ennesima volta anche da Matteo Renzi: “La legge Severino è stata applicata due volte e in entrambi i casi i politici sono stati rimessi in ruolo – ha detto il premier intervistato a Virus – è normale che De Luca dica ‘se vinco avrò lo stesso trattamento’. De Luca è candidabile ed eleggibile, dopo di che sono i campani a dover decidere”.
Il dibattito politico, a 2 giorni dal voto, è stato assorbito principalmente da queste due questioni: l’opportunità di rendere noti i nomi degli impresentabili in zona Cesarini a poche ore dal silenzio stampa e la legittimità della legge Severino. Su entrambe si è pronunciato anche il presidente dell’Autorità nazionale Antimafia Raffaele Cantone, a margine di un incontro alla Corte dei Conti. Su De Luca, Cantone è stato netto: “A me pare che la legge Severino sia chiara. Quando e se De Luca sarà eletto, il presidente del Consiglio farà le sue valutazioni”, definendo poi la norma in questione “una legge utilissima e il nostro obiettivo è difenderla”. Ma sul verdetto della commissione parlamentare Antimafia, il magistrato è stato più critico. “Credo – ha spiegato – che la commissione Antimafia abbia fatto una scelta politica che ha anche un obiettivo meritorio anche se io sono preoccupato che poi la politica faccia le valutazioni su chi siano presentabili e chi no. Si tratta qui di un bollino blu che viene messo da un organismo autorevolissimo e presieduto da una persona al di sopra di ogni sospetto, che però resta un organismo politico quindi esprime sempre un giudizio politico”.
Sempre sulla legge Severino, Cantone ha escluso qualsiasi pregiudizio di costituzionalità e ha ribadito che “l’Anac ha chiesto espressamente al presidente del Consiglio di costituirsi di fronte alla Corte Costituzionale e di respingere l’eccezione di legittimità costituzionale”. Tuttavia il presidente dell’Anac, ha stigmatizzato anche i limiti della legge. “Noi chiediamo – ha sottolineato – che la legge Severino venga rinforzata, ma anche migliorata in una logica di sistema. Ci sono molte norme di questa legge che non sono particolarmente chiare. Quelle che riguardano le inconferibilità e le incompatibilità sono davvero poco chiare e rischiano di rendere poco efficace la norma”. Sarà presentata tra qualche giorno in Parlamento proprio dall’Autorità nazionale anticorruzione una relazione in cui si evidenziano alcune “discrasie” della tanto dibattuta legge Severino.
Oggi gli ultimi comizi, poi il silenzio elettorale. Traguardo in vista per la campagna elettorale delle regionali, che si chiude oggi in attesa del voto in programma domenica prossima. E’, quindi, la giornata degli ultimi appelli elettorali, comizi, incontri pubblici. Domani sarà silenzio pre-elettorale. Renzi ha in programma un appuntamento alle 17.30 ad Ancona, ma la chiusura della campagna elettorale del Pd è in programma a Firenze, alle 21, con un evento al teatro Puccini [...] (Per la serie "un premier che è anche segretario di un partito "imbarca-tutti" che anzichè fare il premier fa i comizi elettorali. Mai visto prima in un paese civile. NdR)
Ma sulla chiusura della campagna elettorale si allunga l’ombra degli impresentabili. Oggi, infatti, dalle 12,45 in poi è prevista la riunione della commissione Antimafia, prima l’Ufficio di presidenza poi la plenaria, in cui verrà resa nota la ‘black list’ dei candidati compilata secondo le informazioni raccolte dagli Uffici giudiziari e i palettì posti dal codice di autoregolamentazione votato dai partiti [...] (Fonte: "Il Fatto")
1003/0645/1800 edit
Scritto il 27 maggio 2015 alle 09:00 | Permalink | Commenti (1)
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Mi scuso cogli amici, ma oggi sarò molto "assente", perchè ho ospiti, e perchè non voglio sottrarre tutto il tempo - come faccio colpevolmente quasi ogni giorno, a mia moglie. Intanto ringrazio tutti per gli auguri.
Lunga vita ai gufi.
Tafanus
Scritto il 27 maggio 2015 alle 00:16 | Permalink | Commenti (21)
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Con una battuta si potrebbe dire che a Matteo Renzi converrebbe che il Pd in Campania perdesse. Il rischio è che con l’elezione a presidente di Vincenzo De Luca – “presentabile”, candidabile e però ineleggibile per la legge Severino – qualsiasi mossa faccia il presidente del Consiglio finisca per metterlo in un vicolo cieco. Sarebbe infatti il governo a far partire la procedura di sospensione del governatore, sostenuto in campagna elettorale dal segretario del Pd, cioè Renzi stesso. E se lo fa senza lasciare tempo a De Luca di nominare almeno un vice, la Campania rischia di finire paralizzata e le sue elezioni praticamente inutili. Se prende tempo, lasciando fare le nomine a De Luca (che quindi affiderebbe il governo regionale a un vice reggente in attesa di fare ricorso al tribunale) il capo del governo sarebbe accusato di conflitto d’interessi. Tutto questo mentre il caso De Luca arriva sul Financial Times, Renzi rivendica la legge anticorruzione (che ha delle falle, come sostengono i magistrati) e che “il Pd è legalità” e mentre la storia della lista degli impresentabili si è risolto con un pasticcio in commissione Antimafia.
“Credo che non ci sia un caso al mondo di democrazia che vede una persona che si candida per un ruolo che non può ricoprire”, afferma il presidente uscente di centrodestra, e candidato a un nuovo mandato, Stefano Caldoro. Caldoro cita “il virgolettato di Renzi per l’Italicum” e cioè che secondo il premier “la motivazione più forte per fare la legge elettorale era la sicurezza di avere un candidato premier poi eletto, così il giorno dopo si sa chi è il presidente del Consiglio”. Quindi il presidente ribalta l’affermazione sul caso Campania: “Io faccio lo stesso appello: noi il giorno dopo dobbiamo avere un presidente di Regione”. E se la road map renziana è quella di cui si parla, il ragionamento di Caldoro può essere allargato: gli elettori campani dovrebbero sapere prima chi è il vicepresidente che prenderebbe in mano le redini della Regione in caso di sospensione di De Luca.
L’affare è diventato più complicato dopo la decisione della Corte di Cassazione che ha tolto ai Tar la competenza sui ricorsi alle sospensioni delle cariche elettive che scattano con la legge Severino affidandola ai tribunali ordinari, meno celeri nelle loro decisioni. Quindi è tutta una questione di tempi. Se De Luca domenica prossima verrà eletto presidente, dovrebbe essere sospeso appena proclamato: “La sospensione non può scattare – spiega all’HuffingtonPost David Ermini, responsabile Giustizia del Pd – prima che De Luca entri in possesso delle sue funzioni”. In Campania la seduta del consiglio regionale deve essere convocata nei primi 20 giorni dopo l’elezione. A quel punto potrebbe iniziare il conto alla rovescia perché si arrivi alla sospensione. Il presidente ha 10 giorni per nominare la giunta, vicepresidente compreso. Ma De Luca dovrà fare il prima possibile perché dopo la proclamazione inizierà l’iter della Severino, una specie di gioco dell’oca: la Procura segnalerà il caso di De Luca al prefetto che a sua volta avviserà il governo (i ministeri coinvolti sono quelli degli Interni e degli Affari regionali, tra l’altro vacante) che comunica la sospensione al prefetto che la notifica al consiglio regionale.
Financial Times: “Campania mostra limiti poteri di Renzi”
Ma il caos Campania varca i confini nazionali. Sulla storia di De Luca infatti scrive anche il Financial Times: “Vincenzo De Luca – si legge – ha grandi piani se verrà eletto presidente della Campania il 31 maggio”. Il titolo dell’articolo è “Il voto in Campania mostra i limiti della portata di Renzi”, spiegato poi nell’articolo: “Relazioni opache tra figure politiche al Sud frenano l’influenza di Roma”. Il messaggio di trasformazione di De Luca, spiega il Ft, “ricalca la piattaforma portata avanti a livello nazionale dal primo ministro riformista Matteo Renzi”. Il Financial Times avverte tuttavia che “l’imminente voto in Campania ha messo in evidenza i limiti dell’influenza di Renzi al di fuori di Roma, dove i politici locali possono ancora appoggiarsi a personaggi sgradevoli e ad una rete di clienti estremamente difficili da smantellare”. Il sindaco di Salerno, scrive ancora il Ft, “rappresenta la tenacia di quel vecchio sistema”.
Renzi: “Il Pd è legalità”
In precedenza il presidente del Consiglio Renzi volando “più alto”, senza soffermarsi sulla questione De Luca. “Sento parlare di impresentabili, ma sulla legalità non prendiamo lezioni da nessuno – ha scandito da Perugia – Questo è il Pd, è legalità. C’è chi la combatte a parole, chi con i fatti”. E ha ricordato la legge anticorruzione approvata dal Parlamento: “Sento parlare di impresentabili, presentabili… Ma il Pd è il partito che ha fatto la legge anticorruzione con pene più dure di quelle che c’erano prima, ha fatto una legge per cui chi vuole patteggiare perché ha rubato, patteggia ma paga fino all’ultimo centesimo e fino all’ultimo giorno della sua pena. Ha rimesso il falso in bilancio, ha messo l’autoriciclaggio e ha fatto accordi con Svizzera e Vaticano per riportare i soldi in Italia facendo pagare le tasse, ha fatto legge sugli ecoreati. Questo è Pd, perché erano anni che queste leggi venivano vagheggiate, ispirate, sussurrate, noi le abbiamo fatte”.
De Luca: “Renzi ha detto che è un problema superabile”
Ma Renzi, in questa situazione, in effetti appare sempre più solo. Lo stesso De Luca, infatti, reagisce alla pronuncia della Suprema Corte come se il problema non fosse suo: il capo del governo, ha detto il sindaco di Salerno, “ha chiaramente definito la Severino un problema superabile, confermando che chi viene scelto dai cittadini, con un voto democratico, potrà tranquillamente governare”. Il presidente del Consiglio, esattamente due settimane fa, aveva detto: “Quando a De Luca si è consentito di partecipare alle primarie – ha aggiunto Renzi – si è preso atto che la norma è stata disapplicata a Salerno ma soprattutto a Napoli. Di fatto è un problema superabile”. Il problema, come ricorda il Corriere della Sera in un’analisi di Marco Demarco, è che non ha mai specificato come.
“E’ strategia della confusione: hanno paura”
Non solo: la norma nel caso di Napoli e Salerno fu disapplicata dal Tar, in pochi giorni, mentre la Cassazione ora dà tutti i poteri ai giudici ordinari che – a prescindere dal merito – sono meno rapidi a decidere. De Luca ironizza: “Dibattito commovente, fantastico”. E derubrica la pronuncia della Cassazione a “nuovo episodio della strategia della confusione“: “Hanno paura di perdere. Sono alla disperazione. Se la Cassazione stabilisce che la competenza è del tribunale ordinario, piuttosto che del Tar, per noi non cambia assolutamente nulla”. Secondo il sindaco di Salerno è “tutto come prima. In casi precedenti, i giudici ordinari e quelli amministrativi sono arrivati alle stesse conclusioni, garantendo pienamente l’esercizio delle cariche pubbliche”.
Il precedente pugliese del “giudice ordinario”
De Luca dice che è tutto come prima perché nel merito lui e il Pd puntano molto, oltre alla tempistica su sospensione e ricorsi vari, sul precedente di un caso pugliese, quello di Fabiano Amati, ex assessore regionale in Puglia, reintegrato in consiglio regionale dopo la sospensione avvenuta per la condanna per tentato abuso d’ufficio. Il reintegro era avvenuto attraverso la pronuncia della corte d’appello di Bari, quindi un giudice ordinario.
Guerini: “La politica rifletterà su modifiche a legge”
Tutto questo, che come minimo è motivo d’imbarazzo dentro al Pd sembra il preludio a possibili modifiche alla legge Severino. “Si è aperto un dibattito in questi mesi – ha annunciato il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini, parlando proprio da Napoli, epicentro della questione “impresentabili” – Credo quindi che chi sarà chiamato a intervenire su eventuali ricorsi dovrà lavorare, ma poi più avanti la politica dovrà riflettere sul tema”. Per Guerini, dunque, non ci sarà “nessun caos istituzionale, ma una legge decisa dal Parlamento in una fase particolare del nostro Paese che ha dei percorsi precisi”. Una “fase particolare” che però non sembra del tutto conclusa: proprio oggi 5 persone sono state arrestate per compravendita di voti (Fonte: Il Fatto)
Un paese di "impresentabili. Ecco a cosa hanno ridotto questo disgraziato paese. Un paese di impresentabili, guidato da un impresentabile, che sostiene degli impresentabili nelle regioni dove si vota. Sono fortunato, perchè per questo giro in Lombardia non si vota, e non ho quindi l'imbarazzo di una scelta difficilissima... Votare il PD di Renzi??? NO, GRAZIE! Neanche sotto la minaccia di morte. Non andare a votare? Mai successo in vita mia, ed ho sempre criticato molto ferocemente chi si rifugia dietro il non voto.
Questa volta, non mi resterebbe che l'alternativa UNICA del voto a dispetto. Cercare di capire quale sarebbe il voto che potrebbe danneggiare maggiormente l'immagine (se non i numeri) di questo arrogante di provincia, e regolarmi di conseguenza. Beata la Liguria che almeno può votare per Pastorino (che non è il massimo, ma almeno è uno di sinistra contro Renzi). Ma i veneti, poveri disgraziati, potranno scegliere solo fra qualche leghista e "Lady Like" Moretti, ex pasdaran bersaniana, saltata in corsa sul carro del serial twitter. Franza o Spagna, purchè se magna...
E in Puglia voteranno per Emiliano, che a poche ore dalle elezioni scopre che "avremmo dovuto stare più attenti alle candidature", mentre di candidati pugliesi associati al renzismo sono piene da mesi le pagine dei giornali??? Forse Emiliano è stato distratto dalle troppe comparsate su La7 e altrove. Non ha avuto tempo di applicarsi, di studiare...
AVVISO IMPORTANTE: chi è condannato a votare per queste regionali, non dimentichi di portarsi da casa il sacchetto di plastica per il vomito. Oppure vomiti sulla scheda.
Tafanus
1003/0645/1130 edit
Scritto il 26 maggio 2015 alle 09:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 26 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Un vecchio blocco di potere entrato in crisi. Un candidato a sinistra
che rischia di togliere voti decisivi. La destra unita. La forza di 5Stelle. Ecco dove il Pd di Renzi si gioca buona parte del suo futuro (l'Espresso del 22 Maggio)
"Piacere, sono un masochista...", si avvicina Vito, un anziano iscritto all'associazione nazionale partigiani. «Mi iscrissi da giovane al Pci perché non volevo morire democristiano. E mi ritrovo nel Pd che è molto peggio della Dc». Moneglia, 2800 abitanti, ultimo comune della provincia di Genova a Levante, accessibile solo attraverso una catena di strette gallerie grazie a un semaforo che dà il segnale di via libera ogni mezz'ora. Luca Pastorino, deputato e sindaco di Bogliasco, candidato presidente di regione fuoriuscito dal Pd, il volto locale della sinistra masochista che ama perdere, come la definisce Matteo Renzi, si aggira qui alle sei del pomeriggio con un pacco di volantini in mano, si accende una sigaretta dopo l'altra, incontra un gruppo di turisti tedeschi e un paio di cani, entra nel Caffè Hemingway, all'ingresso la scritta «conta solo vincere, tutto il resto è noia», ai tavoli nessuno, «un po' smorto, in effetti», commenta il candidato, si accende un'altra sigaretta. Ad attenderlo per cena c'è il cittadino d'adozione più illustre del borgo, l'europarlamentare ex segretario della Cgil Sergio Cofferati, qui ha una casetta sul mare. Il leader storico, dopo aver perduto le primarie del centrosinistra, ha lasciato il Pd e ha scatenato il terremoto che dalla Liguria dopo il voto del 31 maggio potrebbe estendersi a Roma.
«Renzi dice che siamo la sinistra che si fa del male da sola?», finge di stupirsi il Cinese. «Il masochista è lui».
In Liguria, a Genova con i suoi svincoli micidiali come cantava Francesco De Gregori, si gioca la partita nazionale più importante delle elezioni regionali. L'Ohio per Renzi, dove si vince o si perde, in una regione in cui il Pd corre da solo, senza alleati, modello Italicum. La Scozia per Pippo Civati, Cofferati, Pastorino, la terra da cui far ripartire la sinistra fuori dal Pd. L'occasione del risultato in trasferta per la destra guidata dal coordinatore di Forza Italia Giovanni Toti, unita (unico caso in Italia) dai berlusconiani all'Ncd di Angelino Alfano passando per la Lega di Matteo Salvini. Il sogno di vincere in casa per il genovese Beppe Grillo con il Movimento 5 Stelle e la candidata Alice Salvatore.
«Genova comunista, bocciofila, tempista» di Giorgio Caproni è divisa, lacerata, di cattivo umore. Per il Pd poteva essere una passeggiata, nell'ultima settimana si è trasformata in uno psicodramma, un combattimento voto per voto, sullo sfondo di un elettorato distratto. La tensione è stampata sul viso di Raffaella Paita detta Lella, 40 anni, spezzina, la candidata del Pd. Perfezionista, maniaca di numeri e cifre, un fil di ferro. Dicono che abbia perso quindici chili da quando si è candidata. «Sono stanca», ammette lei. Ha battuto Cofferati alle primarie, ma oggi si trova a fronteggiare nemici più potenti dell'oggetto misterioso Pastorino contro cui invoca il voto utile («chi sceglie lui fa un regalo alla destra») e del simpaticone Toti, «uno che in Liguria viene solo per prendere il sole a Bocca di Magra».
Il primo nemico si chiama continuità. E ha un nome e cognome: Claudio Burlando, il presidente uscente, da oltre vent'anni padre padrone del Pds-Ds-Pd ligure, rinchiuso nel bunker della regione dopo essere stato ministro a 42 anni, nel 1996, con Romano Prodi. Il capo del Bloccone: la coalizione trasversale di partito, sindacato, Finmeccanica, Fincantieri, autorità portuale, camera di commercio, Curia, Banca Carige che da due decenni comandava in città e regione e impediva ogni cambiamento. Il Bloccone controllava, nominava, gestiva il credito e le carriere. Ed è arrivato al capolinea, con la rovinosa caduta del presidente della Carige Giovanni Berneschi e i guai dei due Claudii: giudiziari quelli di Claudio Scajola sul lato Forza Italia, politici quelli di Claudio Burlando a sinistra, lo sciogliete le righe del vecchio partito tra inimicizie e odi intramontabili.
Sulla Paita si abbatte la doppia accusa degli avversari, di essere una renziana convertita che vuole svendere la storia della sinistra e al tempo stesso di aver svolto tutta la sua carriera all'ombra di Burlando. Il nuovo e il vecchio, insieme. Lella si difende come può. Invoca la novità, ma è stata assessore comunale, capogruppo in regione, assessore delle ultime giunte Burlando. Rovescia su Pastorino il sospetto di essere estraneo alla sinistra. «Io ero iscritta alla Fgci e andavo alle feste dell'Unità, lui non l'ho mai visto». Il marito è l'ex assessore della Margherita Luigi Merlo, «unico esperimento di Pd riuscito in Liguria», dicono, presidente dell'autorità portuale di Genova, dimissionario per evitare conflitti di interessi familiari. La coppia nel Bloccone è cresciuta e ha prosperato, ma ora la Paita è chiamata a smobilitarlo.
Il secondo nemico invisibile che perseguita la Paita si chiama Bisagno. Il torrente appare come un pigro serpente d'acqua adagiato nel ventre dei quartieri popolari, Marassi, San Fruttuoso, nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 2014 è tornato a devastare e a uccidere, tra polemiche infinite sul mancato allarme e sui soldi per i lavori di messa in sicurezza mai spesi. Assessore alla protezione civile, in carica da tre mesi, era la Paita, da poco indagata per concorso in omicidio colposo e disastro colposo. «Per me è una vicenda gonfia di dolore», si accalora la candidata in un'assemblea davanti ai cittadini della valle. E giura che se il Bisagno non sarà risanato con i 379 milioni stanziati dal governo Renzi entro il 2020 lei non si ricandiderà. Sempre che vinca il 31 maggio, si intende.
L'ultimo nemico, il più pericoloso, si chiama rancore, qualcosa di più profondo della rabbia. Pronto a manifestarsi negli scontri tra i candidati. Nella disillusione dell'elettorato più tradizionale: le piazze dei comizi sono semi-deserte, perfino quello della Paita al centro della sua città La Spezia non è stato affollatissimo, le assemblee del Pd si concludono in un rosario di rivendicazioni e a volte di lacrime. Nel disimpegno della società civile: venti anni di burlandismo e di scajolismo hanno raso al suolo quel poco di buona borghesia disposta a impegnarsi per il pubblico.
Gli avversari rincorrono, senza affaticarsi troppo. «È la volta buona», grida al megafono Giovanni Toti in piazza Sant'Agostino nel cuore di La Spezia, e pazienza se è lo slogan di Renzi. Saltella all'ora dell'aperitivo da un gazebo all'altro, felice come l'orso Baloo, in ritirata soltanto quando una signora lo insegue con due cuscini da consegnare ad Arcore con le scritte Dudù e Dudina. «Li devi portare a Berlusconi. Li ho cuciti io con le mie mani!». Toti ha la possibilità di dimostrare che il centro-destra unito è competitivo con il Pd renziano. Salvini accettò di far ritirare il suo candidato Edoardo Rixi perché considerava la partita persa ed era meglio per lui che lo sconfitto fosse un dirigente nazionale di Forza Italia. Calcolo che potrebbe rivelarsi sbagliato, grazie alle divisioni a sinistra: se Toti dovesse vincere la Liguria diventerebbe un laboratorio nazionale del centrodestra alternativo a quello del Veneto guidato dalla Lega.
C'è chi prevede una vittoria dimezzata della Paita, al primo posto ma senza numeri per governare, costretta alle larghe intese con un pezzo di destra o con i ribelli della sinistra. Per questo la competizione è destinata a riscaldarsi negli ultimi giorni. Tra Palazzo Chigi e la candidata del Pd la comunicazione via WhatsApp è ininterrotta. L'ordine da Roma è: politicizzare. Renzi sa che se perde la Paita con un'emorragia di voti a sinistra sarebbe la prima sconfitta anche per lui e si prepara a tornare in Liguria per l'ultimo tour elettorale. E c'è chi guarda con timore verso piazza Martinez, nel quartiere San Fruttuoso, dove al bar Cucciolo mosse i primi passi Beppe Grillo. Lì, da quelle parti, Grillo fu contestato dopo l'alluvione dai genovesi, il Bisagno è un incubo anche per lui. Ma i voti per 5 Stelle sono in crescita, la candidata Salvatore è agguerrita. E la vecchia Liguria potrebbe anticipare il futuro della politica nazionale.
0903/0645/1645 edit
Scritto il 25 maggio 2015 alle 22:29 | Permalink | Commenti (9)
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Le trasmissioni politiche hanno deciso di tagliare i costi. Uno dei nuovi format prevede la presenza in studio del solo conduttore, che insulta se stesso
Come risolvere la crisi dei talk-show politici? È possibile che il loro numero (settantuno, molti dei quali in onda contemporaneamente) sia eccessivo? Se lo chiede tutto il mondo della televisione, sotto choc dopo la decisione di Mediaset di risparmiare sui costi mandando in onda non solo alla stessa ora, ma nello stesso studio due talk-show in diretta, con gravi disagi tra gli ospiti seduti due a due nelle stesse poltrone, e continui equivoci perché molti rispondevano alle domande del conduttore dell'altra trasmissione. «Non si capiva una parola, le voci si sovrapponevano, tutti gridavano contemporaneamente - ha commentato il direttore di rete - e dunque siamo molto soddisfatti: le prerogative classiche del talk-show politico sono state pienamente rispettate. Ripeteremo presto l'esperimento».
GLI OSPITI - Per ogni autore di talk-show politico, quello degli ospiti è diventato un vero incubo. I conti sono presto fatti: considerando una media di cinque ospiti per ogni talk, il fabbisogno settimanale è di 355 ospiti. Di questi, 71 sono Matteo Salvini, presente ogni settimana in tutti i talk-show nazionali; ne rimangono comunque 284. «Anche invitando i deputati più oscuri, alcuni dei quali non sanno neppure di essere stati eletti, è difficilissimo completare il cast», confida un autore di Gianluigi Paragone, che per parlare con noi ha chiesto la garanzia dell'anonimato, e la chiede anche quando parla con Gianluigi Paragone. «Allora cominci a invitare i consiglieri regionali; poi quelli provinciali; e giù giù fino ai segretari comunali, ai vicedirettori di aziende municipalizzate, per finire, quando sei proprio alla disperazione, con Michela Brambilla che chiede il carcere per chi mangia le lumache».
L'OSPITE PRESO DALLA STRADA - La tradizionale divisione - i politici che urlano in studio, la gente che urla nei collegamenti esterni - non ha più ragione di esistere. Tra gli autori televisivi si sta affermando una vera e propria corrente neorealista: l'ospite va preso dalla strada. Anche per dare corso al tanto auspicato declassamento della casta. La selezione è molto semplice. Si rivedono in moviola i filmati dei collegamenti esterni degli ultimi anni, individuando nella folla quelli che esprimono i giudizi più circostanziati, le opinioni più brillanti, e li si esclude. Tutti gli altri vengono convocati per un casting nel corso del quale vengono interrogati su un argomento del quale non sanno nulla: al "via" devono rispondere tutti insieme, vince quello che riesce ad afferrare per primo il microfono.
I TRUCCHI - Sono numerosi. Si va dall'ospite impagliato, con un doppiatore che ne ripete le frasi più efficaci (memorabile, quest'anno da Santoro, uno scontro tra Togliatti e Fanfani); all'ospite mascherato, un figurante che garantisce di essere una personalità importantissima, ma di non poter mostrare il suo volto per ragioni di sicurezza; all'esponente politico presentato come "influente membro del governo", tacendo fino a pochi minuti prima della sigla finale il fatto che il governo è quello maltese; al ventriloquo in disgrazia che si presta a far parlare il suo pupazzo della crisi del liberismo.
ONE MAN TALK SHOW - Una possibile via d'uscita alla penuria di ospiti è questo nuovo format, che prevede un regolare talk-show, con il tipico repertorio di liti furiose, irrisioni reciproche, continue interruzioni, però senza dover ricorrere agli ospiti, che sono sempre un'incognita: non tutti sono in grado di garantire l'incompetenza e l'iracondia necessarie per ben figurare. Sarà dunque il conduttore, per circa due ore, a farsi carico dell'intero copione, rispondendo alle proprie domande, interrompendosi e insultandosi, minacciando di abbandonare lo studio, sostenendo che gli immigrati vanno impiccati e che gli immigrati vanno alloggiati nella propria camera matrimoniale andando a dormire in albergo, che Renzi è un genio e che Renzi è un cialtrone, che Renzi è uguale a Hitler, che è uguale a Gandhi, che è uguale a Brigitte Bardot. In tempi di crisi, la formula consente un forte risparmio sul cast, ma potrebbe essere un risparmio solo teorico perché il conduttore, dopo un paio di puntate, viene ricoverato in rianimazione.
Michele Serra
0903/0645/1000 edit
Scritto il 25 maggio 2015 alle 12:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 25 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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CANNES - Delusione Italia. Né Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, né Mia madre di Nanni Moretti e neppure Youth di Paolo Sorrentino hanno ottenuto alcun riconoscimento. La Palma d'oro è andata Dheepan del regista francese (...ma va???...) Jacques Audiard. Il film del regista di Il profeta racconta il difficile percorso di un ex guerrigliero Tamil (interpretato da Jesuthasan Antonythasan, un vero ex bambino soldato che fuggito dallo Sri Lanka in Francia è diventato scrittore sul palco insieme al regista e all'attrice Kalieaswari Srinivasan) che per ottenere l'asilo politico accetta di formare una famiglia di invenzione con una giovane donna e una bambina di nove anni facendo propri i documenti di tre persone morte in guerra. Un film duro ma non senza speranza che deve aver convinto la giuria per la sua contemporaneità. "Cannes è un grande Festival anche quando gli italiani non vincono. Un dovere essere qui: Francia e Italia sono insieme il cinema europeo": questo il tweet postato dal ministro Dario Franceschini alla fine della cerimonia.
Non accadeva da più di vent'anni che gli italiani arrivassero così numerosi in concorso a Cannes, ma nel 1994 (che i titoli erano quattro) il morettiano Caro diario aveva portato a casa il Premio della giuria. Quest'anno i nostri sono rimasti a mani vuote. Un verdetto inaspettato per un tris di titoli che, in modo diverso, erano stati tutti accolti molto positivamente qui al festival. Ma il Palmares della giuria guidata dai fratelli Coen non rispecchia l'opinione dei critici e cronisti e neppure del pubblico (che in Italia sta premiando i nostri autori con ottimi incassi, Sorrentino ha incassato in quattro giorni 1.700.000 euro). La difficile situazione mondiale (tra crisi economica e terrorismo) può aver influenzato la giuria che ha scelto titoli con tematiche sociali: la disoccupazione, l'emigrazione, la guerra, la Shoah [...]
(Per leggere l'articolo integrale cliccare sulla foto di testa)
0803/0645/1515 edit
Scritto il 24 maggio 2015 alle 21:46 nella Cinema | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 24 maggio 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "IL RACCONTO DEI RACCONTI (TALE OF TALES)" (di Angela Laugier)
Regia: Matteo Garrone
Principali interpreti: Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Laura Pizzirani, Franco Pistoni, Giselda Volodi, Giuseppina Cervizzi, Jessie Cave, Toby Jones, Bebe Cave, Guillaume Delaunay, Eric MacLennan, Nicola Sloane, Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek, Davide Campagna, Vincent Cassel, Shirley Henderson, Hayley Carmichael, Stacy Martin, Kathryn Hunter, Ryan McParland, Kenneth Collard, Renato Scarpa – 125 min. – Italia, Francia, Gran Bretagna 2015
C’era una volta una regina (Salma Hayek) così disperata perché senza figli da essere disposta a qualsiasi sacrificio pur di averne (pazienza poi se a subire il sacrificio non sarà lei). C’era una volta un re (Vincent Cassel) così stolto da innamorarsi di una voce (ignorando che appartenesse a una vecchia megera). C’era una volta un re (Toby Jones) ancora più stolto: aveva allevato una pulce e l’aveva fatta crescere tanto da renderla del tutto simile a un mostruoso mammifero (pretenderà di servirsene quando dovrà maritare la figlia). Intrecciando gli sviluppi (che non intendo rivelare) di queste tre fiabe tratte dal Cunto de li cunti di Giambattista Basile*, Matteo Garrone ci trasporta nel suo anomalo ma bellissimo film, appena presentato a Cannes, facendoci vivere per due ore nello spazio del “meraviglioso”, ovvero là dove aspetti della realtà quotidiana trapassano con facilità e naturalezza nel mondo delle incantagioni e dei sortilegi, quello dei maghi, delle fate e degli orchi, dei negromanti e dei draghi che da sempre hanno popolato le fantasie dell’umanità (non solo dell’infanzia), quando con facilità e senza troppi problemi qualsiasi prodigiosa narrazione era sembrata naturalmente plausibile. Se per apprezzare appieno il film, dunque, è bene che ci apprestiamo a vederlo abbandonandoci al fluire del racconto, senza pretendere di razionalizzarlo troppo, è necessario però anche ricordare che le fiabe raccontate dal film sono per gli adulti, pienamente coscienti che le radici dei racconti di fate e di orchi affondano negli archetipi collettivi dell’inconscio in cui le pulsioni elementari, dettate dagli istinti corporali per la sopravvivenza, sono all’origine dei comportamenti umani più primitivi e meno accettati, quelli che attraverso l’educazione e l’organizzazione sociale abbiamo cercato di reprimere.
Matteo Garrone, per narrare questo mondo oscuro e labirintico, evita lodevolmente di ricorrere agli effetti spesso facili e grossolani della computer-grafica hollywoodiana o giapponese e, in modo culturalmente assai più suggestivo ed elegante, ambienta questo suo film in alcuni luoghi ancora abbastanza intatti del paesaggio naturale e artistico italiano, fuori per lo più dai consueti circuiti del turismo di massa**, collocandoli nel tempo delle corti feudali, presso le quali girovaghi e saltimbanchi rappresentavano le fiabe popolari per il diletto dei nobili. In tal modo, come l’autore a cui si ispira, egli dà voce ai “villani” che per quelle corti lavoravano duramente la terra e allevavano gli animali, senza aspettarsi molto altro che di sfamarsi e dissetarsi, e alle donne, che fuori o dentro le corti poco contavano, se non come fonte del piacere maschile, nonché come addette alla riproduzione della specie e alla salvaguardia attenta della gerarchia delle classi. Il risultato è un film molto bello e originale, ben diretto e interpretato benissimo, arricchito da una fotografia di eccezionale suggestione, che poco concede alle storie “gotiche” e molto, invece, mi sembra dare alla cultura e al gusto degli spettatori. Da vedere sicuramente!
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*Lo Cunto de li cunti è una raccolta di cinquanta fiabe in dialetto napoletano, attinte in parte dalla tradizione popolare italiana e in parte dalla tradizione novellistica boccacciana, che Giambattista Basile (1575 – 1632) raccolse nel corso della sua vita ma che fu pubblicata postuma nel 1636. A partire dal 1674 al titolo venne aggiunta la denominazione Pentamerone, per sottolineare la stretta parentela col Decameron, di cui condivide certamente la struttura o cornice (10 racconti per ogni giornata per cinque giornate soltanto). Nel corso dell’800, in ambiente napoletano, il Pentamerone venne riscoperto e studiato in Italia, ma nel resto dell’Europa Charles Perrault e I fratelli Grimm si erano ben accorti delle sue bellissime fiabe e ne avevano fatto parte costitutiva delle loro raccolte. Nel 1925, finalmente, la traduzione italiana di Benedetto Croce, che definì questo libro la più bella fra le opere letterarie dell’età barocca in Italia, impose all’attenzione anche degli altri italiani le belle storie del Basile. Italo Calvino lo studiò e incluse qualche fiaba fra le sue Fiabe italiane.
**Le bellissime location, quanto mai suggestive, sono in Sicilia (le gole dell’Alcantara e Il Castello di Donnafugata col suo labirinto); nel Lazio (il bosco di Sasseto) e in Puglia (Castel del Monte e Gioia del Colle). Eventuali e documentate aggiunte sarebbero molto gradite!
Angela Laugier
0803/0645/0830 edit
Scritto il 24 maggio 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 23 maggio 2015 alle 00:40 | Permalink | Commenti (0)
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Di fronte ai primi dati reali sul numero dei visitatori, qualcuno finalmente inizia a capire le ragioni della reticenza omertosa della dirigenza di Expò nel fornire le cifre dell'affluenza reale. E spero che qualcuno comninci a capire anche la nostra petulanza nel chiedere all'Ufficio Stampa di Expò cifre che non arrivano. Né a noi, né a media ben più autorevoli ed importanti del nostro blogghino.
Tutti i lettori di vecchia data del Tafanus sanno che fin dal trionfale annuncio dell'assegnazione a Milano dell'Expò, abbiamo messo in ridicolo le previsioni iniziali dei "Tre Ubbriaconi" fuori di testa, che festeggiavano in maniera sobria (vedi foto) prevedendo 36 milioni di visitatori in 180 giorni. Media: 200.000 visitatori al giorno. Se ogni visitatore si dovesse fermare a Milano (siamo cauti) due giorni, per sei mesi una città che scoppia con un milione di abitanti ne avrebbe avuti il 40% in più. Una follia.
"Bevuti"??? Avremo 36 milioni di visitatori in sei mesi!
Col tempo, dopo i consueti ritardi, ladrocini, retate, cambi in corsa, opere non completate, arriva "Il Ridimensionamento": per arrivare a break-even, c'è bisogno di 23 milioni di visitatori. Dimenticate i 36 milioni dei tre fuori-di-testa. Ventitremilioni, allegramente sposati (che altro potevano fare?) dal commissario Sala e dal Premier ghe-pensi-mi Matteo degli Annunci.
Però dati niente. Li abbiamo chiesti insistentemente noi, li chiedono i giornali, ma niente arriva. Come è successo a noi (possiamo vantarci di essere stati dei pionieri?) il dubbio si è insinuato nello Huffington Post, e adesso nel Giorno. L'intendenza seguirà... Per ora, in assenza - in pure stile malavitoso - di dati ufficiali, ognuno di arrangia come può, mettendo insieme altri dati. Il tutto come somma delle parti... Vediamo come si "arrangia" i Il Giorno di Milano:
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Avete capito bene. Dalle stime calcolate dal "Giorno, i visitatori delle prime tre settimane (che includono il boom dei primissimi giorni) sono meno della metà di quanto previsto dallo stesso Sala per il raggiungimento del break-even-point, Ecco i criteri di stima. Giusti? Sbagliati? Nessun problema. Il Commissario Sala è sempre in tempo a dirci quale sia stata la somma dei numeretti, scrupolosamente registrati dai tornelli d'ingresso, a più di tre settimane dall'inizio. Così si mette tranquillo lui, e mette tranquilli, felici e contenti anche noi.
Tafanus
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Milano, 21 maggio 2015 - Nelle tre settimane all’Esposizione universale di Milano ogni giorno sono entrate in media sessantamila persone. È questa la stima delle visite quotidiane tra i padiglioni che fonti autorevoli hanno permesso di ricostruire, mentre la società Expo continua a tenere sotto chiave i dati degli accessi. In sostanza, l’evento si è tenuto al di sotto delle stime degli organizzatori, che calcolavano in 80-90mila le presenze in settimana, con picchi fino a 250mila persone nel weekend.
Finora gli unici dati pubblici sono quelli dei padiglioni: 115mila turisti nei primi venti giorni alla Svizzera, 10mila ogni dì sulla rete del Brasile, diecimila a Palazzo Italia. Tuttavia manca la somma ed Expo tiene la bocca cucita. «Oggi abbiamo in visita 20mila bambini delle scuole», spiegava martedì il commissario unico, Giuseppe Sala. E gli altri? Ci si affida solo al numero di biglietti venduti: l’ultima stima, una settimana fa, era di 11,3 milioni, di cui 100mila ticket serali. Anche altri dati sensibili, come il traffico sui mezzi pubblici o la quantità di pattumiera raccolta, sono secretati: la linea ufficiale di Atm, Trenord e Amsa è di non rilasciare numeri su Expo.
Tuttavia, qualche dato trapela. Ad esempio, la stazione Rho Fiera della metropolitana rossa, uno dei porti di Expo, nei giorni scorsi ha registrato un passaggio medio di seimila persone di notte. Compresi i lavoratori dei padiglioni. I dati sull’uso dei mezzi pubblici sono significativi, perché li adopera la maggior parte dei visitatori, ben oltre la stima del 60% elaborata prima dell’inaugurazione. L’altra fetta grossa sono i pullman delle scolaresche. Seicentomila gli alunni che hanno prenotato una visita. Di auto se ne vedono poche, di taxi ancora meno. Nella prima metà del mese, le auto bianche di Milano hanno ricevuto meno chiamate rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, nonostante fosse stato promesso un incremento di cinquemila corse in più al giorno.
Calma piatta anche sui tabelloni degli arrivi di Linate, Malpensa e Orio al Serio. «Non ci sono voli aggiuntivi per Expo – puntualizza Antonio Albrizio, segretario Uil Milano e Lombardia con delega ai trasporti –. Si punta ad aumentare i coefficienti di riempimento degli aerei, che al momento sono del 65%». Ci sono trattative per aggiungere tratte con il Messico e sono aumentate alcune frequenze verso la Cina. Da quest’ultima gli organizzatori di Expo si aspettano un milione di visitatori, tuttavia l’ultimo rapporto della Fondazione Italia-Cina stima in 700-750mila i turisti del Paese di Mezzo che sbarcheranno in tutto lo Stivale. Dalla Lombardia stanno partendo anche più voli verso gli Stati Uniti, ma Albrizio frena: «Succede tutte le estati».
L’umore è sottotono anche negli ambienti del commercio. «Ci erano state promessi sei mesi di giornate tipo Salone del mobile, ma non è così e alcuni locali hanno giornate in negativo», osserva Lino Stoppani, presidente di Epam, l’associazione provinciale milanese dei pubblici esercizi. Il primo nodo è l’assenza dei turisti stranieri. «Non sono ancora arrivati, i dati degli alberghi ci dicono che si saranno punte a giugno e settembre», osserva Stoppani. La seconda è l’effetto cannibalismo dei ristoranti di Expo sui locali della città: «Spero sia temporaneo. Comunque Expo – osserva Stoppani – non finisce il 31 ottobre e a Milano sono stati fatti investimenti duraturi». Nel frattempo, Federconsumatori Lombardia lancia con Comune di Milano e Regione Lombardia un portale, «We4You» per segnalare i raggiri di cui i turisti sono rimasti vittime. «Già qualche mese fa abbiamo segnalato un aumento nei prezzi di alcuni alberghi – spiega il presidente, Gianmario Mocera –. Fino al 30% in più. Ne ha già fatto le spese chi viene a curarsi in Lombardia».
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0803/0645/1345 edit
Scritto il 22 maggio 2015 alle 09:09 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 22 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Verso le urne: non c'è Regione che tenga. Le elezioni del 31 maggio sono diventate un catalogo dell'indecenza. Con troppe liste piene di candidati impresentabili. E piccoli ras di periferia arroganti in grado però di condizionare il potere nazionale (di Bruno Manfellotto - l'Espresso)
Verrebbe da chiedersi che cosa sia successo. E come sia possibile che nonostante gli affondo della magistratura, il disgusto crescente per le caste, la corsa all'astensione, gli impeti rottamatori, una nuova generazione al potere e i vaffa urlati in piazza, nonostante tutto questo in politica trovi ancora spazio e consenso una peggio gioventù.
Stavolta li hanno chiamati gli impresentabili, ma tanto si sono già presentati e le loro liste sono pure state accolte a braccia aperte, o cercate dagli stessi candidati governatori delle prossime regionali, al nord e al sud, di qua e di là, a destra e a sinistra. Già, com'è possibile?
Chiedono voti, e rischiano pure di essere decisivi, ras delle tessere (ancora!), politicanti buoni oggi per quel partito e domani per il suo opposto, professionisti del voto di scambio e prìncipi della clientela, protervi neofascisti e razzisti dichiarati, e imputati, indagati, condannati. Che tristezza. Così, le elezioni del 31 maggio rischiano di passare alle cronache del Bel Paese non solo perché stavolta Matteo Renzi sottopone a referendum la sua leadership, Silvio Berlusconi saggia la sua sopravvivenza e Raffaele Fitto lancia la sua sfida; o perché potrebbe gonfiarsi ancora il partito del non voto; e nemmeno perché, per uno di quei paradossi di cui si nutre la politica, la voglia di rivalsa a sinistra rischia di regalare la Liguria alla destra, ma soprattutto perché mai si era visto un simile catalogo dell'indecenza. Perdippiù parcellizzato in mille listarelle: in Campania corrono in ventiquattro, e sia Vincenzo De Luca - a sua volta condannato dal Tribunale di Salerno e inseguito dalla legge Severino - sia Stefano Caldoro hanno messo insieme ciascuno una truppa d'appoggio di dieci; otto ne conta Giovanni Toti in Liguria e altrettante Michele Emiliano in Puglia. Piene zeppe di indecorosi.
Secondo gli scienziati della politica, e Roberto D'Alimonte è tra questi, la madre di tutte le parcellizzazioni è rappresentata proprio dalle diverse leggi elettorali regionali per le quali - a differenza del neonato Italicum - valgono ancora le preferenze e scatta il premio alla coalizione, cioè non al solo candidato vincente ma al grappolo di alleati che lo sostengono. Giusto, vero, ma ciò non spiega perché sia stata comunque lasciata la possibilità di candidarsi anche a loschi figuri e dunque non funzioni più, e a nessun livello, alcun filtro né di merito né di rappresentanza. Allora, perché? Proviamo a cercare una risposta.
Forse assistiamo all'esito finale di un lungo processo che le forze politiche hanno subìto e non hanno saputo comprendere e arginare in tempo. Giunte al loro acme, l'appartenenza ideologica e la tradizionale divisione tra destra e sinistra, già incrinate sotto i colpi di piccone al Muro di Berlino, sono andate lentamente scemando fino a scomparire. Complice la crisi economica, poi, l'esigenza di governo è diventata più forte della voglia di partecipare e di essere rappresentati. Figli di questa nuova esigenza sono stati via via il partito dei sindaci, il consiglio dei ministri come consiglio d'amministrazione (Berlusconi), la personalizzazione e la prevalenza della leadership variamente interpretata da Grillo, Salvini, Renzi.
La tendenza è stata accelerata dall'eterna Tangentopoli che ha scandito l'ultimo ventennio contribuendo ad accentuare la diffidenza dei cittadini nei confronti della politica. C'è poco da meravigliarsi, dunque, se la partecipazione si sia rapidamente affievolita fino a spegnersi e a diventare un idolo del passato, un ricordo lontano. Il fenomeno non ha risparmiato nemmeno le grandi associazioni di imprenditori, commercianti, artigiani un tempo padroni della scena, oggi sempre meno influenti; ridimensionati anche i sindacati costretti a una contrattazione sempre più rituale e ormai guidata soprattutto dalle trattative azienda per azienda.Conscio della crisi, Maurizio Landini sta cercando di porvi rimedio trasformando la Fiom in un movimento politico il cui concime è, per ora, solo la costante presenza in tv del suo leader.
Naturalmente l'andazzo generale ha pesato di più sui partiti di sinistra, e fortemente li ha cambiati: smantellate sezioni e cellule diffuse nel Paese, e dunque perse le antenne che consentivano loro di captare prima degli altri i mutamenti profondi della società, leader e leaderini si sono chiusi in se stessi scambiando l'attività politica con la lotta interna, l'elaborazione di soluzioni con la conquista di fette di potere, la discussione con la personale sopravvivenza, il dissenso con la minaccia dell'ennesima inutile diaspora. In quanto alla destra, paga il declino del leader e la vana ricerca di un successore.
Peccati imperdonabili, puniti dagli elettori o con l'astensione o cedendo alla protesta e al populismo: dividendosi tra l'una e gli altri, ormai più dei due terzi dell'elettorato non si riconoscono più nella politica tradizionale. Potrebbe essere così anche in questa tornata di votazioni. E il paradosso è che la dissoluzione di una fitta rete di partecipazione e rappresentanza, cioè l'assenza di un setaccio democratico, ha finito per favorire l'estendersi della corruzione e della criminalità organizzata anche in aree che ne sembravano fino a ieri immuni, come Emilia, Veneto, Lombardia.
Nemmeno il più grigio dei gufi poteva arrivare a immaginare che il sacrosanto rifiuto di una politica fatta di egoismi e di piccoli e grandi affari riducesse i partiti tradizionali a vani testimoni del tempo incapaci di arginare l'arroganza montante di piccoli ras di periferia, cacicchi che controllano il territorio e il consenso condizionando sia quanto resta delle macchine-partito conosciute finora, sia certi capetti che ai capataz di provincia devono spesso la loro permanenza nella nomenklatura.
Insomma, si voleva evitare il disastro, lo si è alimentato. Oggi nuovo teatro della commistione insana tra politica e affari sono diventate proprio le amministrazioni regionali, disegnate pensando al federalismo all'italiana, istituite negli anni Settanta per bilanciare il consolidato potere democristiano con quello comunista tenuto fino ad allora in frigorifero e divenute invece ricchi centri di spesa, sanità innanzitutto, sui quali si intrecciano interessi di ogni genere. Di quell'antico disegno politico è rimasto poco o nulla. E davvero sorprende, fa perfino venire i brividi, che nessuno seriamente se ne preoccupi e che l'argomento non sia tema di discussione né tantomeno oggetto di riforme istituzionali. Per i politici, almeno. Perché i cittadini se ne sono resi conto benissimo e, ahimè, si allontanano sempre più.
P. S. Qualche sera fa i tg hanno dato notizia della decisione del presidente della Repubblica di rinunciare al vitalizio di docente universitario e di estendere tale scelta all'intero staff dirigente del Quirinale: niente cumulo per tutti. E vabbè. Però mi ha colpito un dettaglio. Le immagini del servizio mostravano Sergio Mattarella alla scrivania, seduto su una poltrona imbottita dal colore e dalla foggia molto poco presidenziali, mentre firmava documenti brandendo una penna a sfera Bic, sì, una di quelle trasparenti con il cappuccio azzurro. Ora, i cultori della stilografica d'oro e dell'inchiostro royal blue ci resteranno male; gli italiani invece, anche alla luce delle indegnità di cui sopra, dovrebbero riflettere un po' su questo gesto di quotidiana semplicità. Spontaneo, non dettato da astuti maghi della comunicazione. E pensare quali siano i valori, gli atti anche minimi, non solo simbolici, nei quali potremmo e dovremmo riconoscerci. Tutti. Per provare a ricominciare.
(di Bruno Manfellotto - l'Espresso)
0703/0645/1900 edit
Scritto il 21 maggio 2015 alle 09:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 20 maggio 2015 alle 23:51 | Permalink | Commenti (34)
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Esattamente il 27 Novemnre 2010, il Tafanus dedicava un post a Mario Adinolfi, predicendo la sicura morte del settimanale cartaceo "The Week", da lui lanciato in pompa magna, predicendone la sicura morte in età infantile. Non avevamo sbagliato. "The Week" in edicola non sonpo mia riuscito a trovarlo.
E' molto istruttivo rileggere oggi quel post, e i relativi commenti... Riporto in calce lo screen-shot della parte iniziale di quel post. Chi è abbastanza masochista, può cliccare sullo screen-shot, aprire il post del 2019, e... farsi del male.
Scritto il 20 maggio 2015 alle 09:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 20 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Eravamo stati facili profeti. Quando chiude un giornale, è sempre una cosa dolorosa, perchè è una voce che si spegne. Un giornale. Cosa avesse a che vedere "La Croce" col giornalismo lo sanno solo Iddio e Mario Adinolfi, che sono due grandi amiconi... La Croce di Adinolfi doveva durare decenni. E' morto meritatamente in fasce, fra gli sberleffi della rete...
La Croce quotidiano sospende l'edizione cartacea. Lo annuncia su facebook il direttore Mario Adinolfi. Motivo? La carta è "troppo dispendiosa", ma il direttore assicura che la "nostra voce sarà più forte" di prima. "Da domani La Croce uscirà solo nella versione digitale - scrive Adinolfi - Abbiamo deciso di investire sul web, premiando l'amicizia dei nostri abbonati. La copia sarà sempre disponibile con i contenuti loro riservati, in più ci saranno molti contenuti in chiaro. La versione cartacea è enormemente dispendiosa e abbiamo notato che i contenuti vengono infinitamente più "scambiati" nella versione web che in quella cartacea. Chi festeggia perché immagina la nostra voce tacere non capisce che risuonerà molto più forte.
Solo a marzo Adinolfi comunicava i risultati estremamente positivi del suo giornale: "Vendite declinanti un cazzo - rispondeva a un utente su twitter - il quotidiano cresce giorno dopo giorno, e capita solo a noi". Del resto, le reazioni sui social non sono state molto positive: "Chiude la versione cartacea de La Croce, quotidiano di Adinolfi. Quando chiude un giornale è sempre un dispiacere. Ma non è questo il caso", è uno dei tanti commenti. Oppure: "Solidarietà con gli alberi tagliati per fare la carta necessaria per stampare "La Croce" di Adinolfi, giornale chiuso dopo poche settimane". Ancora: "Adinolfi a febbraio: 'Gli haters ci davano 3 settimane, ma noi con #LaCroce saremo in edicola per anni'. È durata 3 mesi".
0603/0645/1730 edit
Scritto il 19 maggio 2015 alle 14:23 | Permalink | Commenti (4)
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Scritto il 19 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (4)
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Com'è noto, è dal giorno della "Annunciazione" dell'Expò assegnata a Milano (sono trascorsi ben 7 anni), che scrivo spesso sulla'argomento, per svariati motivi:
Di fronte al trionfalismo dei 200.000 visitatori del primo giorno (proiezione: 36.000.000 in 180 giorni), ho lasciato trascorrere un paio di settimane, cercando (senza trovarlo) un link ufficiale al sito dell'Expò, dove leggere, giorno per giorno, il progressivo dei visitatori. Non l'ho trovato. Allora ho scritto all'ufficio stampa dell'Expò, qualificandomi col mio nome e cognome, e documentando la mia attività di gestore di un blog di informazione. Ho chiesto DOVE sarebbe stato possibile seguire giorno per giorno l'andamento dei visitatori. Ho chiesto che almeno ci dessero il dato non approssimativo (hanno i tornelli coi contatori, no?) ma non ho avuto nessuna risposta. La cosa comincia quindi ad emanare un certo fetore non tranquillizzante.
Oggi scopro che la "sindrome dello scetticismo" arriva anche sul sito "l'inchiesta", ben più importante ed attrezzato del mio. Questo sito pubblica una inchiesta che potete leggere integralmente (articolo principale, articoli collegati) cliccando sull'immagine che apre questo post. Un quadro allucinante non solo perchè prelude alla catastrofe economica ed ambientale lungamente paventata, ma perchè certifica, ancora una volta, che l'Italia è un paese inaffidabile persino per la costruzione di un chiosco di giornali o di un parcheggino all'aperto. Un popolo di cialtroni, guidato da un blocco di cialtroni privilegiati. Ognuno ha i governanti che si merita.
Ora faccio un appello a tutti: rompiamo i coglioni a mezzo mondo: giornali, talk-shows, politici di riferimento, affinchè l'Expò si senta finalmente costretta ad adottare un minimo pediatrico di trasfarenza. Non chiediamo molto: vogliamo sapere ogni santo giorno il progressivo degli ingressi e degli incassi (visto che ci sono mille categorie di biglietti a tariffa speciale); una proiezione dei ricavi a fine manifestazione, e delle spese; un saldo. Non credo che sia "chiedere troppo"...
Biglietti, visitatori e cibo sprecato: i misteri di Expo 2015. Prima conferenza stampa dopo l'inaugurazione. Sala spiega nel dettaglio quanti tagliandi sono stati venduti, ma i numeri sono sempre diversi (Fonte: Alessandro Da Rold - Linchiesta)
C’è un grande mistero che continua a circolare tra i padiglioni di Expo 2015: quanti visitatori e quanti biglietti sono stati venduti fino ad ora? E soprattutto: quali saranno le ricadute economiche, dal momento che per arrivare al pareggio di bilancio dovranno essere staccati almeno 24 milioni di tagliandi, come ha spiegato l’amministratore delegato Giuseppe Sala? Sono domande alle quali gli organizzatori continuano a non voler dare risposta e su cui si avrà (forse) chiarezza alla fine di ottobre, quando calerà il sipario sull’evento. A due settimane dall'inaugurazione, Sala ha voluto ribadirlo durante una conferenza stampa, la prima, per fare il primo punto sulla manifestazione universale. Il leit motiv è sempre lo stesso: «Non vogliamo creare polemiche sul nulla». Accanto a lui, a sostenerlo, c’è pure il governo, con il ministro Maurizio Martina e, insieme, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia («Abbiamo vinto la prima tappa. Gli scettici sono molto diminuiti, gli entusiasti sono aumentati») e la regione Lombardia con il presidente Roberto Maroni.
Non solo. Altro mistero è legato alla questione del cibo sprecato dai padiglioni. Il tema è centrale perché riguarda da vicino proprio il principio sotto cui è la manifestazione universale, «nutrire il pianeta». E, come si può vedere al Padiglione Zero, «evitare sprechi». Sala anche qui si è riservato di dare dati precisi più avanti, limitandosi a rispondere che del cibo scartato si occupano Caritas e Banco Alimentare. Il caso è stato sollevato da Fanpage.
Dopo gli annunci degli scorsi mesi («Venduti già dieci milioni di biglietti»), Sala ha parlato nel dettaglio di quanti ne siano stati staccati effettivamente finora: «Abbiamo già incassato 5 milioni di biglietti, ma ce ne sono altri 6 coperti da fideiussioni, già prenotati e certi. In totale 11,3 milioni di biglietti venduti, su cui garantisco». Per andare più nello specifico i distributori minori hanno venduto 1 milione e 800 mila biglietti, 700 mila con la distribuzione diretta, 350 mila con le scuole. «Poi ci sono i Paesi partecipanti», ha detto Sala. Quindi ci sono i tre tour operator italiani: Best Tour con 2 milioni di biglietti, Duomo Viaggi con 1 milione e 800 mila biglietti, e Uvet con 800 mila. «Il restante dei biglietti è stato venduto dai nostri partner - ha spiegato Sala -. Coop ha venduto quasi 650 mila biglietti, Banca Intesa 475 mila, Telecom 250 mila e i partner di Padiglione Italia 500 mila». «Stiamo crescendo a ritmo costante, la situazione continua a essere positiva e non posso che confermare la previsione di 20 milioni di visitatori e 24 milioni di biglietti venduti» ha concluso.
Il balletto, però, continua ormai da mesi. Le dichiarazioni di Sala sono cambiate a seconda dei periodi: si è passati da 5 fino a 3 poi a 7 fino agli 11 milioni del 2 maggio. Linkiesta ne ha già scritto in passato, spiegando la differenza tra quelli effettivamente venduti e quelli coperti da fideiussione. Il punto vero, a quanto pare, è come calcolare anche i tipi di biglietti. Molti sono scontati, altri ancora sono stati offerti alle scolaresche a prezzi più bassi: gli studenti delle scuole pubbliche pagano 10 euro ad alunno. Decifrare quindi quale sarà l’incasso totale al momento non deve essere facile. Forse il numero di visitatori attuale potrebbe aiutare. Anche perché, come hanno sottolineato diversi quotidiani, tra cui il Fatto Quotidiano, i tornelli all’entrata sono di alta tecnologia, costruiti apposta per fornire e monitorare in tempo reale quanta gente entra e esce. Ma, anche qui, Expo 2015 non si scompone.
A creare ancora più confusione è l’afflusso serale, al prezzo scontato di 5 euro. Fino ad ora, ha spiegato Sala, rispondendo a una domanda in conferenza stampa, «si sono contati 100.000 visitatori dopo le 19». Ora l’obiettivo è prolungare l’apertura. Ma qui ne è nata una piccola polemica tra le istituzioni per il sovraccarico del lavoro del trasporto pubblico. In realtà, sotto si cela un’altra diatriba, legata al fatto che l’indotto su Milano è - a quanto pare - sotto le attese. A conferma, secondo gli stessi organizzatori, che Expo 2015 non è come il Salone del Mobile. Bisognerà aspettare novembre per capire se Expo è stato un successo? Probabilmente sì, nella speranza che tra sei mesi i dati e i bilanci siano finalmente certi.
0603/0645/1045 edit
Scritto il 18 maggio 2015 alle 20:21 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 18 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 17 maggio 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "FORZA MAGGIORE" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Turist – Force Majeure
Regia: Ruben Östlund
Principali interpreti: Johannes Kuhnke, Lisa Loven Kongsli, Clara Wettergren, Vincent Wettergren, Kristofer Hivju, Fanni Metelius, Karin Myrenberg, Brady Corbet – 118 min. – Francia, Danimarca, Germania 2014.
La vicenda narrata da questo straordinario film si svolge sullo sfondo meraviglioso delle Alpi francesi (Valle del Rodano). Qui arrivano, dall’Europa del Nord gruppi di turisti per trascorrere una distensiva vacanza sulla neve, accolti da un’organizzazione perfettamente predisposta in ogni particolare al fine di rendere tranquilla e indimenticabile la loro settimana bianca. Il “resort” è lussuoso e confortevole (anche se un po’ sinistro e claustrofobico); il villaggio sorge su un altipiano sospeso, come una piattaforma spaziale, fra le le altezze vertiginose circostanti; gli impianti sportivi per la risalita e per il rientro sono studiati per attraversare abissali vuoti nella massima sicurezza dei passeggeri; un’imponente attrezzatura tecnologica mantiene la neve perfetta sui campi da sci, mentre di notte e di giorno colpi di cannone ben mirati provocano il distacco controllato dei cumuli di neve, disgregandoli perché non diventino valanghe.
Una vacanza nella “natura”, dunque? Non proprio, anche se parrebbe, essendo la natura, in quel luogo, imbrigliata e regolata dai marchingegni creati dalle umane conoscenze scientifiche e tecnologiche necessarie per contenerne la spaventosa forza distruttiva. In questo modo, il villaggio sull’abisso diventa anche la metafora della nostra “natura” profonda di esseri umani, frenata e imbrigliata dal millenario processo di incivilimento. E’ ben vero, però, che non tutto ciò che può accadere è prevedibile ed è anche vero che talvolta la nostra stessa percezione di ciò che accade è distorta da paure profonde e irrazionali, che mettono in luce ciò che di noi avevamo tenuto ben nascosto. In questo scenario non semplice, come si vede, vengono fatti muovere i protagonisti del dramma, serio solo in parte, che è rappresentato nel film: una cannonata in pieno giorno provoca la valanga “sotto controllo” che sembra scendere senza ostacoli dalla montagna prospiciente la bella terrazza del resort sulla quale i turisti stanno pranzando e godendosi la straordinaria bellezza che li circonda, fotografando e filmando il grandioso evento. Nulla di grave dovrebbe accadere, e infatti nulla accadrà, ma il progressivo avvicinarsi di quel “mostro”, l’ingrossarsi della sua massa nevosa che discende velocemente e il suo disintegrarsi in mille goccioline che impediscono di vedere (un meraviglioso piano sequenza!), provocano reazioni di paura e di angoscia insospettabili nei componenti di una famiglia svedese, apparentemente tranquilla, ospite di quel luogo. Dapprima sono i bambini a urlare, poi la madre, che cerca di fare loro scudo col proprio corpo, mentre il papà ,Tomas (Johannes Kuhnke), invocato a gran voce, si allontana e sembra quasi fuggire dal pericolo (immaginario) e dalle proprie responsabilità. La donna, Ebba (Lisa Loven Kongsli), dunque, si è lasciata trascinare irrazionalmente dal panico e ora reagirà nel peggiore dei modi, e, ciò che è più grave, innescherà una catena di rovinosi contraccolpi, che si trascineranno per tutti i giorni della vacanza, diventata sempre più simile a un incubo claustrofobico.
La “montagna incantata” rivelerà, davvero, alla fine del film il suo volto terribile e nascosto, in un episodio non secondario, allorché, durante l’ultima traversata sugli sci, la stessa famigliuola si troverà sul serio in grande pericolo, nonostante le precauzioni adottate. Sarà la ritrovata solidarietà familiare e coniugale a risolvere un problema che avrebbe potuto diventare drammatico. Tutto è bene quel che finisce bene? No, piuttosto Molto rumor per nulla, per rimanere dalle parti di Shakespeare.
A minare, ancora una volta, infatti, sul pullman del ritorno, la pace e la tranquillità dei turisti è …la paura, questa volta una paura indotta (ancora Ebba), contagiosa e grottesca che rimanda a molti film di Buñuel (L’angelo sterminatore sopra ogni altro). L’ultima scena del gruppo di turisti che scendono precipitosamente dal pullman e si dirigono lentamente lungo la strada tortuosa verso l’aeroporto, al freddo, mentre presto scenderà la notte, mi è sembrata anche l’ironica riproposizione delle scene ricorrenti più famose del Fascino discreto della borghesia (gli strampalati protagonisti del film che si mettono in marcia). I borghesi buñueliani, che hanno paura di tutto e si costruiscono continuamente inesistenti nemici, rassomigliano sinistramente, infatti, alla ricca borghesia di questo film, che continuamente e ovunque vede pericoli, per affrontare i quali si chiude volontariamente nella corazza protettiva della tecnologia avanzata, bunker-prigione sorvegliatissimo, ignorando, però, di vivere sull’orlo dell’abisso.
Magnifico film (premiato dalla giuria al Festival di Cannes 2014, nella sezione Un certain regard), originale e ricchissimo di significativi episodi, da vedere e da meditare.
Angela Laugier
0503/0645/1600 edit
Scritto il 17 maggio 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Condannati, indagati, riciclati. La spedizione dei (quasi) mille aspiranti consiglieri regionali in Puglia è ben lontana dall’essere l’avanzata dei moralizzatori promessa in partenza. Non tanto per il numero degli impresentabili (14: due condannati, tre rinviati a giudizio, sei indagati e tre per i quali è intervenuta la prescrizione) quanto per il peso specifico dei singoli casi. Quello più eclatante riguarda proprio uno dei sette candidati alla presidenza della Regione: Adriana Poli Bortone (Fi). Due le date da segnare sull’agenda per l’ex ministro dell’Agricoltura di berlusconiana investitura: 31 maggio (elezioni regionali) e 10 luglio, ovvero l’ inizio del processo nel quale è accusata di abuso di ufficio e peculato perché “consapevole” degli illeciti alla base dell’acquisto dei palazzi di Via Brenta da parte del Comune di Lecce che, all’epoca dei fatti, guidava.
L’accusa ritiene anomala l’operazione contrattuale e finanziaria da 60 milioni di euro con la quale sarebbero stati acquistati in leasing i palazzi della giustizia civile, cifra che sarebbe stata gonfiata e motivata con una inesistente indagine di mercato. Il Comune, guidato da Paolo Perrone – ex enfant prodige della giunta Poli – si è costituito parte civile, chiedendo alla candidata e agli altri 10 indagati un risarcimento da 20 milioni di euro. Ma la Poli Bortone non è la sola, naturalmente.
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Tra i consiglieri che la sostengono emergono nelle liste di Forza Italia due nomi noti ai magistrati: quelli del petroliere Fabrizio Camilli e del consigliere regionale uscente Giovanni Copertino. Il primo coinvolto anni fa nell’inchiesta sul furto di gasolio in aziende pubbliche: arrestato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata ad evadere le tasse sulle accise, ha patteggiato la pena. Il secondo, già presidente dell’assise pugliese e assessore della giunta Fitto, è stato accusato di corruzione, truffa e falso nell’ambito del maxi processo La Fiorita. Trenta in tutto gli imputati del procedimento che nasce dall’inchiesta sulle gare di appalto affidate in ambito sanitario alla cooperativa barese che ha dato il nome all’indagine e dalla quale sono nati altri filoni.
Una vicenda giudiziaria in cui è inciampato anche l’allora governatore Raffaele Fitto. L’ex ministro berlusconiano è stato ritenuto colpevole in primo grado di corruzione, illecito finanziamento ai partiti, abuso d’ufficio ed è stato assolto dai reati di peculato e da un altro abuso d’ufficio. Al centro del processo sia l’appalto da 198 milioni di euro - vinto dalla società di Giampolo Angelucci – per la gestione di 11 Residenze sanitarie assistite, sia la presunta tangente da 500mila euro elargita da Angelucci al partito di Fitto, La Puglia Prima di Tutto. Pochi giorni fa, per Fitto è stata dichiarata la prescrizione dei reati, ma gli avvocati hanno già annunciato l’intenzione di rinunciarvi.
Non ha rinunciato, invece, Giovanni Copertino accusato di corruzione per aver chiesto e ottenuto la proroga del contratto per due persone dipendenti della cooperativa La Fiorita in cambio della proroga di un appalto. Ma quello di Copertino non è l’unico nome che si legge sia nell’elenco degli indagati nella maxi inchiesta che nelle liste elettorali degli aspiranti consiglieri. Paolo Pellegrino, candidato nelle liste di Michele Emiliano, era capo della Asl di Bari quando è scoppiato il caso La Fiorita: era uno dei trenta imputati, finito ai domiciliari con l’accusa di corruzione, turbativa d’asta e falso. Anche per lui è intervenuta la prescrizione. La singolarità è che il pm che indagava su entrambi era Lorenzo Nicastro attuale assessore della giunta Vendola, in buona sostanza la compagine politica che Pellegrino sta sostenendo.
Nelle altre liste la situazione non è molto differente. Michele Emiliano – che aveva lanciato l’operazione “liste pulite” – si è adattato al codice etico del Pd, con maglie più larghe di quanto non volesse. Il Partito Democratico, infatti, schiera Paolo Campo (indagato per una delibera sul Pirp approvata dal Comune di Manfredonia), Michele Mazzarano (rinviato a giudizio per finanziamento illecito ai partiti) e Donato Pentassuglia (assessore regionale alla Sanità uscente, per il quale la Procura di Taranto ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito del processo Ilva perché accusato di favoreggiamento nei confronti di Girolamo Archinà, il potente scacchiere del siderurgico).
Fabiano Amati, invece, è stato condannato in Appello a sei mesi per tentato abuso d’ufficio: sospeso dal Consiglio regionale per effetto della legge Severino, è stato reintegrato dopo qualche mese per aver vinto il ricorso. Eppure, nonostante i buoni propositi di Emiliano, anche nelle civiche qualche candidatura da sottolineare c’è. Come quella di Alfredo Spalluto, indagato dalla Procura di Taranto per i lavori di ristrutturazione di alcuni edifici pubblici nella Città Vecchia. Francesco Schittulli, candidato di Raffaele Fitto, si è sempre detto garantista, perciò non stupisce che a suo sostegno corra Antonio Buccarello, sindaco di Gagliano del Capo, indagato con l’accusa di deturpamento delle bellezze naturali per aver aperto “senza controlli adeguati” un cantiere su un tratto particolarmente bello e fragile della costiera; o Silvano Macculi, già presidente dell’Ato ed assessore al Bilancio della Provincia di Lecce, indagato con l’accusa di abuso d’ufficio per aver affidato servizi a società senza passare dalla gara d’appalto.
Enrico Tatò, ingegnere, risulta coinvolto nelle indagini perché responsabile del cantiere allestito nella discarica di Conversano, sequestrata perché pericolosa per la salute pubblica e con i lavori eseguiti non a norma. Reato prescritto, invece, per Angelo Tondo, accusato di voto di scambio. Chiude il cerchio Fabrizio Cangelli, candidato con i Verdi a sostegno di Gregorio Mariggiò, rinviato a giudizio per il fallimento dell’Agenzia municipalizzata “Amica” (faceva parte del CdA). Ernesto Abaterusso, invece, è un candidato last minute, inserito nelle liste per sopperire al depennamento del figlio Gabriele, condannato a due anni in Appello per bancarotta ma dato per super favorito sin dalle prime istanze di questa campagna elettorale. Contro di lui una levata di scudi dai democratici locali. Più che per questioni morali per questioni elettorali (di Maria Tota)
0503/0645/0915 edit
Scritto il 16 maggio 2015 alle 11:33 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 16 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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L'economista autrice della proposta risponde alle polemiche: "Non pensavo che esistessero persone che per vivere devono guadagnarsi lo stipendio" (di Michele Serra - l'Espresso)
Come mai, anche se l'economia è in ripresa, l'occupazione non riparte? Se lo sono chiesti ministri ed economisti di tutto il mondo nel prestigioso simposio internazionale di Sirmione, durato due mesi invece dei due giorni tradizionali perché l'unico stagista assunto doveva provvedere alle pulizie, al rinfresco, al trattamento delle rose in giardino, alla traduzione simultanea e all'impianto audio-video. Molti ministri erano stati invitati a portarsi i panini da casa. Alcuni di loro volevano comperarli in autogrill, ma hanno dovuto desistere perché l'unica barista presente doveva macinare il caffè, spremere gli agrumi, controllare i gratta-e-vinci, stare alla cassa, ricaricare il maialino a molla che saltella e grugnisce nel reparto peluche, e non aveva tempo per i clienti e le loro fastidiose richieste di consumare cibi e bevande.
LO STUDIO - Secondo uno studio presentato al simposio di Sirmione dallo stesso stagista (per contratto doveva fare almeno un intervento) la società organizzatrice del convegno, che ha sede a Vaduz ma risulta in quota a una finanziaria di Urano, presenta ogni anno la stessa parcella di cinque milioni di euro. Ma dieci anni fa il personale addetto al convegno era di cinquanta persone; l'anno scorso dieci; quest'anno solo una. Gli esperti presenti hanno giudicato molto interessante lo studio dello stagista, e si sono messi a lavorare con entusiasmo all'ipotesi di fare il convegno, il prossimo anno, non più con un solo addetto, ma con zero. Beninteso mantenendo invariato il compenso per la società organizzatrice, altrimenti l'economia non riparte. Basterebbe automatizzare il rinfresco grazie a comodi distributori di merendine incellofanate (migliorano molto se ingerite senza levare il cellofan); levarsi le scarpe all'ingresso del Palazzo dei Congressi per evitare di sporcare per terra, rendendo inutile la pulizia; passare dal giardino all'italiana, pieno di fisime e di costosissimi lavori di manutenzione, al giardino romantico inglese, una selva impenetrabile, ideale per la riproduzione di afidi e pidocchi; quanto all'impianto audio, se l'oratore non è in grado di accenderlo da solo gli sarà sufficiente parlare ad altissima voce e ripetere l'intervento, più tardi, per il pubblico delle ultime file.
AUTOMAZIONE - A parità di fatturato, Google impiega oggi un centesimo dei dipendenti che venivano impiegati da un colosso industriale. Un dato accolto con entusiasmo dalla studiosa Miriam Rothschild Coburgo, che nel suo saggio "La volgarità del lavoro" definisce «una vera fortuna la rivoluzione tecnologica, che ha cancellato dalla faccia della terra decine e decine di professioni trafelate e sudaticce». Turbata dalle polemiche scatenate dalle sue teorie, la Rothschild Coburgo si è giustificata: «Non sapevo che esistessero persone che non possono vivere di rendita. Immagino che siano solo poche decine, ma voglio scusarmi con loro se ho urtato la loro sensibilità. Comunque da disoccupati si può vivere benissimo, basta abitare in case virtuali e mangiare cibo virtuale e l'urto del bisogno, lentamente, sfumerà nel nulla». Alle sue teorie fa eco il raffinato gastronomo Patrick Dulille, inventore del virtual-cooking, ricette sostanzialmente a base di aria, polvere, profumi da catturare nel vento. Un estroso performer che sta insegnando al mondo intero come restare leggeri anche dopo ore e ore passate a cucinare.
LA REAZIONE - Ogni rivoluzione tecnologica comporta una reazione di tipo luddista. Si va dalla proposta (della Cgil Trasporti) di considerare valida l'amicizia su Facebook solo se concessa di persona, bussando porta a porta e con una stretta di mano. Al progetto di legge per concedere la licenza di taxi anche a portantine condotte da due portatori, uno davanti uno dietro, più un portatore di scorta che segue a poca distanza pronto a intervenire. Alla costruzione di motori di ricerca a scoppio, enormi e molto complessi, ognuno dei quali, tra manutentori, elettrauto, carrozzieri, meccanici, può impiegare fino a cinquemila addetti. Al ritorno, in ferrovia, non solo al doppio macchinista, ma anche al doppio passeggero, aggiungendo a ogni singolo passeggero pagante un co-passeggero, assunto dallo Stato, pronto a rimpiazzare il viaggiatore colto da malore. Fino ad arrivare al "material web", una geniale rete non elettronica, costituita da cavi elettrici che collegano tra loro, passando dalla finestra, le case di tutto il mondo, consentendo di assumere, per la sola collocazione dei cavi, una media di centomila persone in ogni paese del mondo.
Michele Serra - l'Espresso
0403/0645/1430 edit
Scritto il 15 maggio 2015 alle 21:56 | Permalink | Commenti (0)
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Epifanio Renzi e Matteo Albanese
Matteo Renzi si era messo davanti alla lavagna carico di buona volontà e gessetti di tutti i colori. L'intento era spiegare la riforma della scuola, il risultato è stata una gaffe che non gli verrà mai perdonata.
Cravatta e camicia bianca con le maniche tirate su si era posizionato da solo (se ci fosse stato qualcuno forse lo avrebbe avvisato) davanti alla telecamera, lavagna alle spalle. Con gessetti di colori diversi aveva iniziato ad elencare i punti principali della sua #BuonaScuola, partendo dall'alternanza scuola -lavoro per passare poi alla cultura umanista.
Ed ecco l'errore, confonde l'aggettivo per un sostantivo e non scrive umanistica bensì umanista, la svista naturalmente non è passata inosservata agli spettatori della lezione sulla scuola che subito si sono scagliati contro il premier in Rete.
L'IRONIA SU TWITTER - Su Twitter innumerevoli cinguettii hanno preso di mira il premier e la sua cultura umanista, c'è anche chi ha rispolverato il buon ragioner Fantozzi. «Scrive sulla lavagna cultura umanista. Colpa di Civati che non gli ha spiegato che l'aggettivo da utilizzare è «umanistico»; «Voglio essere umanista con te; non ti prenderò in giro per lo strafalcione....», «Vedi Matteo Renzi , che succede con i tagli alla cultura? Che Umanistica diventa Umanista.... »; «Cosa me ne faccio della cultura umanista se uno come #Renzi è riuscito a essere primo ministro pur ignorando che si dica UMANISTICA?»; «Visto che ogni tanto risponde: può chi non sa l'italiano (si dice cultura umanistica, non umanista) parlare di scuola?». Riuscirà il premier a tornare in cattedra?
Ma ecco che in soccorso del "Premier" (non premieristico) arriva L'Accademia della Crusca, che a domanda risponde che "umanista" e "umanistico" sono sinonimi, in certi casi... Lo sapevamo. In certi casi. Troppa fretta nell'assolvere lo strafalcione renzino ("Cultura umanista") alla lavagna? Questo non è "uno di quei casi"...
Vediamo cosa diceva la Treccani (da non confondere con la "Trescalzacani") in tempi non sospetti: 2012
Entrambe le forme sono corrette, con una distinzione di significato.
• Umanista, che deriva al latino rinascimentale humanistam ‘insegnante di humanae litterae, cioè lettere classiche’, è un sostantivo e indica oggi un rappresentante dell’Umanesimo o, più in generale, un cultore della letteratura e dell’arte
• Umanistico, che è l’aggettivo derivato da umanista tramite il suffisso -ico, indica tutto ciò che è relativo all’Umanesimo o agli umanisti, e per estensione alla letteratura e all’arte in genere
P.S.: Per Natale, regaliamo a Renzi una grammatica italiana, un bignamino di economia, e un cappottino non "shankrato", così potrà restituire ad Epifanio quello che ha preso in prestito...
0303/0645/1945
Scritto il 15 maggio 2015 alle 16:56 | Permalink | Commenti (0)
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Continuano implacabili, in rete, le prese per il culo per il nostro premier "maestrino alla lavagna", che certifica per iscritto la sua ignoranza crassa, scrivendo di "cultura #umanista " (sic!) Giacchè c'è, Renzi potrebbe cambiare, adeguandoli al suo "tagliano", alcuni dei suoi "hastag" preferiti. Potremmo passare a #labuonasquola e alla #qultura #umanista...
Ecco un esempio delle vignette apparse, implacabili, in rete:
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Scritto il 15 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (4)
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(In)Felice Belloli: degno successore di Carlo Tavecchio (quello che "i calciatori negri e le banane")
“Basta, non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche“. Sono le parole che Felice Belloli, presidente della Lega Nazionale Dilettanti, ha pronunciato durante il Consiglio del Dipartimento Calcio Femminile del 5 marzo, che fa capo comunque alla Lnd. Una frase che è riportata all’interno del verbale della riunione, documento pubblicato integralmente sul sito internet soccerlife.it
Il verbale è stato firmato dal vice presidente vicario Antonio Cosentino, che ha la delega al Calcio Femminile: quando si è accorto delle frasi incriminate, ha deciso di portare il documento alla Procura Federale. Parole offensive che hanno portato all’apertura di un’inchiesta da parte della Figc. Belloli ha preso il posto di Carlo Tavecchio, che aveva fatto del calcio femminile uno dei suoi cavalli di battaglia, inserendolo nel suo programma elettorale, arenato nella sfumata possibilità di portare la Serie A femminile sulla Rai. Intervistato da Il Fatto, nel dicembre 2014 Belloli aveva affermato: “Il calcio femminile è una note dolente, un mondo che non riesce a crescere. Il piano di Tavecchio di affiancare una squadra femminile alle grandi società della Serie A è ambizioso ma difficile da realizzare. Penso che anche qui entrare nelle scuole e ripartire dalla base sia l’unica soluzione“.
Belloli ha però negato di avere definito le atlete “quattro lesbiche”, nonostante sia tutto nero su bianco: “Bisogna dimostrare che ho detto certe parole. Ora lo dimostrino – ha detto il numero uno della Lnd – Avrei detto queste cose? Avrei, appunto. Ora dimostrino che ho detto così. Dicano pure quello che vogliono”. E sulle polemiche che già impazzano, ha commentato: “Chiedono le mie dimissioni. Non so chi può chiedere le mie dimissioni. Io, in ogni caso, non ho mire politiche. So cosa devo fare”.
(Fonte: "Il Fatto" del 14 Maggio 2015)
(In)Felice Bellodi aveva sfidato il mondo intero con le seguenti parole:
Avrei detto queste cose? Avrei, appunto. Ora dimostrino che ho detto così
Lo accontentiamo subito. Poichè la rete non perdona e non dimentica, una scansione del verbale della riunione era stata pubblicata dal sito "soccerlife.it"
Ora il Signor InFelice Bellodi accetti questa scansione come prova e di simetta. In alternativa. quereli e licenzi il segretario della riunione estensore e firmatario del verbale come FALSO. E quereli per diffamazione Il Fatto, soccerlife.it e noi.
Restiamo in fiduciosa attesa
Tafanus
0303/0645/1300 edit
Scritto il 14 maggio 2015 alle 21:11 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 14 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Su Mediaset finti rom e musulmani pagati per fargli dire che rubano (di Mauro Munafò)
Come si può alimentare una gigantesca campagna di odio etnico per qualche punto di share in più? Chiedetelo ai maestri di Mediaset.
Dalle parti del Biscione pare che abbiano infatti preso l’abitudine di creare ad arte dei servizi per i loro talk show con questa formula: prendi attori o gente a caso e li paghi per fare la parte di rom, musulmani, minoranze etniche a scelta e fargli dire cose orrende. Tutto, come ovvio, dietro compenso: a voi qualche decina o centinaio di euro, a Mediaset un po’ di indignazione un tanto al chilo.
Il primo caso lo aveva denunciato Servizio Pubblico: due ragazzine rom che avevano dichiarato alla trasmissione Mattino 5 di rubare anche mille euro al giorno hanno poi smentito dicendo di essere state pagate 20 euro dalla giornalista per dire quelle cose in favore di telecamera. Mediaset ha poi confermato la veridicità dell’intervista, ma il sospetto rimane.
Ieri è stata invece Striscia la Notizia a denunciare in prima serata i “cugini” di Rete 4. In ben due servizi dei programmi di Paolo Del Debbio, Quinta Colonna e Dall’altra parte, sarebbe andata in onda la stessa persona mascherata: una volta è stata pagata per fare finta di essere un rom che vende macchine rubate, un’altra volta per dire di essere un musulmano a cui “non frega un cazzo” se i cristiani vengono sterminati.
In una di queste trasmissioni, al ritorno in studio c’era Matteo Salvini (in questo caso del tutto estraneo alla faccenda sia chiaro), che ha però in questo modo ricevuto un facile assist per elencare le sue possibili soluzioni a queste problematiche (+ ruspe). Lo stesso Salvini era inoltre in studio a Mattino 5 in occasione della (forse) finta intervista alle ragazzine rom. L’idea che queste ospitate siano quindi “apparecchiate” ad hoc non sembra del tutto campata in aria.
Dopo il servizio di Striscia ho anche letto in giro vari commenti, molti dei quali puntavano sul “eh vabbeh quello è un attore, ma i rom queste cose le fanno davvero quindi ok così”. E qui capisci che la macchina dell’odio ha funzionato perfettamente ed è già troppo tardi per fermarla. Mi limito quindi a segnalarne l’esistenza, per dovere di cronaca.
UPDATE - Mediaset comunica di aver interrotto i rapporti con il giornalista responsabile dei due servizi: “Da oggi abbiamo interrotto ogni rapporto professionale e valuteremo le opportune iniziative legali nei confronti del giornalista Fulvio Benelli, responsabile dei due servizi”, si legge in un comunicato mandato alle agenzie.
ANNOTAZIONE: As usual, "volano gli stracci". Si sospende Fulvio Benelli (l'ultima ruota del carro) e ci si tiene ben stretti Paolo Del Debbio, una lunga e onorata carriera come maggiordomo di Berlusconi. Se Del Debbio sapeva, è il maggior responsabile della trasmissione, ed è lui che dev'essere cacciato a calci in culo. Se "non sapeva" (come la sospensione di Benelli tende a far credere), deve andar via lo stesso, perchè in tutta evidenza non ha il controllo della macchina che conduce. Insomma, o un malandrino, o una che guida senza patente, e magari col tasso alcolemico che meriterebbe la prova del palloncino. Tafanus
Vita e opere del "giornalista" Paolo Del Debbio - Ha studiato filosofia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, dove si è laureato. Dal 1988 al 1993 ha lavorato presso Fininvest Comunicazioni, una società di "relazioni esterne ed istituzionali" del Gruppo Fininvest, dapprima come "coordinatore del Centro Studi", poi anche come assistente dell'Amministratore delegato Fedele Confalonieri. È "professore a contratto" di "Etica ed economia" all'Università IULM di Milano. Del Debbio si è ufficialmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Milano nell'elenco Pubblicisti il 27 giugno 2001, cioè circa un mese dopo averterminato il suo impegno presso la prima giunta di Gabriele Albertini.
Attività politica - È stato tra i promotori della fondazione del partito Forza Italia nel 1994, di cui è stato direttore dell’Ufficio Studi nazionale. In occasione delle elezioni regionali in Toscana del 1995, è stato candidato dalla coalizione del Polo per le Libertà (FI, AN, CCD) per la presidenza della regione, risultando sconfitto: in seguito è stato Assessore per le Periferie e la Sicurezza nella prima giunta comunale guidata dal Sindaco Gabriele Albertini (FI, 1997-2001) del Comune di Milano. Tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002 lascia la politica a titolo definitivo perché intraprende una carriera lavorativa a Mediaset come giornalista e conduttore televisivo nei programmi prodotti dalla testata giornalistica Videonews (Fonte: Wikipedia)
0203/0645/1815 edit
Scritto il 13 maggio 2015 alle 18:16 | Permalink | Commenti (3)
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Per sfruttare quel minimo di autonomia che ho per oggi: sulle elezioni comunali in Trentino/Alto Adige e Val D'Aosta, tutti i media embedded al renzismo hanno strologato di "vittoria del candidato PD e/o del PD.
Piccola annotazione: Renzi non è il leader di una coalizione (che peraltro è - a livello locale - a geometria variabile. E l'Italicum è stato dal renzimno stesso imposto come strumento per il premio di maggioranza al PARTITO, e non alla COALIZIONE.
Ora si da il caso che a livello di "partito", il PD rispetto alle precedenti comunali perde sia a Trento, che a Bolzano, che ad Aosta. E perde a prescindere dal calo dell'affluenza, perchè perde non solo in numero assoluto di elettori, ma anche in percentuale sui votanti.
A Trento il PD si ferma al 29,6%. Non ho i dati delle precedenti elezioni sottomano.
A Bolzano scende dal 17,3% al 16,9%, e da 7.826 voti a 6.541, con un calo del 16%.
Ad Aosta scende dal 12,2% all'11,5%, e da 2.113 voti a 1.870 voti, con un calo del 12%.
La percentuale del 40% per il diritto al premio di maggioranza di pertinenza del PARTITO appare un sogno lontano, e il mitico 40,8% oggi sembra un sogno di mezza estate...
Tafanus
0203/0645/1130 edit
Scritto il 13 maggio 2015 alle 17:47 | Permalink | Commenti (12)
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Scritto il 13 maggio 2015 alle 00:17 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 12 maggio 2015 alle 11:11 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 11 maggio 2015 alle 00:00 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 10 maggio 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "SARA’ IL MIO TIPO?" e altri discorsi sull’amore (di Angela Laugier)
Titolo originale: "Pas son genre"
Regia: Lucas Belvaux
Principali interpreti: Émilie Dequenne, Loïc Corbery, Sandra Nkake, Charlotte Talpaert, Anne Coesens, Danièla Bisconti, Didier Sandre, Martine Chevallier, Florian Thiriet, Annelise Hesme, Amira Casar, Tom Burgeat, Kamel Zidouri, Christophe Moyer, Philippe Le Guay, Orjan Wikström, Michel Masiero, Tiffany Coulombel, Floriane Potiez, Luc Samaille, Philippe Vilain – 111 min. – Francia 2014.
Questo film viene presentato come una commedia, ma non lo è, nonostante qualche volta ne abbia l’apparenza. Neppure, però, si può definire un film drammatico, o, tantomeno, tragico. Se non fosse per la mania di classificare, che impone, non si sa perché, di trovare a ogni costo un “genere” cinematografico in cui incasellare ogni pellicola, si direbbe semplicemente una “tranche de vie”, cioè il racconto impersonale e realistico di un episodio di vita reale, secondo gli schemi del romanzo naturalista: le frequenti citazioni da Zola, nel corso del film, sembrerebbero autorizzare questa lettura. A orientare, però, con maggiore precisione l’interpretazione del film è un altro riferimento letterario più volte utilizzato dal cinema francese, in particolare da Kechiche, nelle due opere La schivata e La vita di Adele, ovvero Marivaux, non citato espressamente, ma presente e neppure troppo sotto traccia, visto che il libro di riflessioni sull’amore scritto dal filosofo protagonista del film si intitola: De l’amour et du hazard, quasi come la celebre commedia* del drammaturgo barocco francese. Ci troviamo, allora, di fronte a un racconto filosofico, cioè alla meditata riflessione su un fatto che pur mantenendo tutte le caratteristiche di una storia vera o vissuta realmente, assume l’aspetto dell’apologo morale secondo la più consolidata tradizione del “conte philosophique”.
Si chiama Clément Le Guern (Loïc Corbery) il professore di filosofia che, insieme alla parrucchiera Jennifer (Émilie Dequenne), è protagonista di questa pellicola. Clément è un giovane studioso di filosofia, costretto dalle circostanze a lasciare per un anno l’insegnamento in un liceo parigino, per essere trasferito in un istituto superiore di Arras, la città di Robespierre, ricca e ben tenuta, ma piattamente provinciale e chiusa alla cultura come i suoi abitanti. Jennifer, che è nata lì, è una giovane e vivace coiffeuse, madre di un ragazzino di cui si occupa da sola: cerca, come può, di conciliare il suo lavoro, con la passione irrinunciabile per il karaoke, e con la sua presenza in casa, accanto al figlio. L’aspirazione immediata di lui è quella di tornare a Parigi, che ora raggiunge solo nel weekend, per non perdere i contatti con gli amici intellettuali. Tenterà, al suo rientro definitivo, la carriera universitaria: articoli, saggi e pubblicazioni sono lì a testimoniarne i meriti di studioso. Lei sogna romanticamente di incontrare il grande amore, l’uomo che, facendole dimenticare il passato che l’ha delusa, desideri progettare con lei il resto della vita. Jennifer e Clément si incontrano nel salone da parrucchiere dove lei lavora. I due giovani si piacciono, si rivedono, cominciano a frequentarsi e si amano appassionatamente. Sarà la volta buona per Jennifer? Di sicuro, non lo è per Clément, troppo parigino, razionalista e abituato all’analisi delle emozioni più che ai sogni, per comprendere gli entusiasmi ingenui di lei, nonostante la sincerità del proprio sentimento che è fatto di tenerezza oltre che di desiderio. L’asimmetria della storia amorosa non nasce dunque dalla minore o maggiore intensità dell’amore nei due, ma dall’illusione, frequente e diffusa, che il vero amore possa superare anche le differenze culturali più profonde, il che è possibile, in questo caso, solo mascherandosi, travestendosi, diventando altro da sé. Le maschere su cui insistono molti primi piani della regia, verso la fine del film assumono dunque il significato del camuffamento necessario, ma sempre più insopportabile, per portare avanti una storia senza futuro. Riprendere la propria vita, tagliando ancora una volta col passato, diventerà per Jennifer l’mperativo categorico per ritrovare se stessa.
Il regista sviluppa questi temi, calandoli nei personaggi credibili e reali di Clément e Jennifer, che lungi dal diventare esemplificazioni dei concetti che esprimono, vivono e si muovono nella concretezza della vita quotidiana, cosicché si fanno seguire con partecipazione dolorosa. Questo dimostra che il film, che è triste e non semplice, è stato costruito molto bene e che possiede una solida sceneggiatura. Eccellenti gli attori.
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* Le jeu de l’amour et du hazard
Angela Laugier
0103/0645/1615 edit
P.S.: Mi scuso con Angela Laugier e coi lettori, ma scopro solo ora che la recensione settimanale, programmata come al solito per le 08:00 di domenica, era rimasta nei "depositi" di typepad, e ho dovuto "liberarla" a mano...
Scritto il 10 maggio 2015 alle 08:00 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Per una volta, oltre agli articoli della serie "Satira Preventiva", leggiamo con piacere, e vi sottoponiamo, una serie di valutazioni molto serie e a mio avviso intelligenti di Michele Serra, sulla genesi del renzismo, e sulle NOSTRE colpe nel sottovalutare il pericolo del dittatorello di Frignano sull'Arno, e di aver iniziato a reagire tardi e male, quando ormai avevamo consegnato a costui tutti i necessari strumenti di autoconservazione. Verrebbe da dire: "chi è causa del suo mal pianga se stesso", ma non siamo tutti causa del nostro male nella stessa misura. Personalmente combatto il renzismo sin dalla prima ora, sin dalla prima Leopolda, e poco mi consola sentirmi dire oggi, anni dopo e a metastasi diffusa, che forse avevo qualche ragione.
Purtroppo mi è toccato in sorte di vivere in un paese che ha sempre avuto bisogno del populista di turno, e spesso se n'è innamorato. Mussolini, Craxi, Bossi, Berlusconi, Monti, Renzi, Grillo, Salvini... e spesso "un cazzaro tira l'altro", perchè i politicanti hanno ben capito che in questo paese di analfabeti spesso vince chi la spara più grossa o a voce più alta. Sono stufo...
Tafanus
Coi suoi metodi autoritari, il premier è la nemesi perfetta per l'Italia. E per una sinistra che si è crogiolata nella sua lentezza. Così chi lo critica, a ragione o a torto, non sfugge al sospetto di essere un conservatore (di Michele Serra - l'Espresso)
Matteo Renzi è la nostra nemesi. Ovvero, qualcosa che discende direttamente dal nostro passato; che non è spiegabile senza il nostro passato. Ne è, in molti sensi, il compimento. La definizione di nemesi in Treccani on line è questa: "Espressione riferita ad avvenimenti storici che sembrano quasi riparare o vendicare sui discendenti antiche ingiustizie o colpe di uomini e nazioni".
Nemesi, dunque, non è un concetto rassicurante. Implica qualcosa di travolgente. Di incombente. Di (forse) inevitabile. Ma non si sa se fausto o nefasto. Se di rinascita o di rovina. Treccani riferisce che una nemesi può "riparare o vendicare". E sono cose ben diverse. Riparare vuol dire porre rimedio, risanare, rimettere in funzione. Vendicare può voler dire, semplicemente, punire, castigare, seppellire tra le macerie un popolo immeritevole. Un terremoto che sbriciola case costruite male, magari costruite rubando, è una nemesi. Ma nemesi è anche la caduta del fascismo, piazzale Loreto, il ritorno della libertà. Entrambi gli eventi, radicali, hanno le loro radici nelle precedenti "colpe di uomini e nazioni".
La nostra "colpa", ciò che ha preparato il campo all'irruzione stordente e per ora inarrestabile di Renzi e del renzismo, è la lentezza. Non la lentezza virtuosa del saggio. La lentezza patologica dell'infermo. Quel tanto di irriformabile, di immobile, di neghittoso che ha fatto dell'Italia, nel volgere di un paio di generazioni, il Paese anagraficamente più vecchio del mondo. Economicamente, un Paese che in larga parte vive di rendita e di glorie passate, spendendo ciò che è stato accumulato dai padri, in termini di benessere così come in termini di diritti. Politicamente, un Paese che parla di "riforme" con enfasi direttamente proporzionale alla propria incapacità di produrne anche mezza.
È come se lo slancio poderoso del dopoguerra e poi del boom, i primi formidabili trent'anni anni della nostra storia repubblicana, ci avessero sfiniti, sfiatati, spremuti. Troppa fatica per recuperare, a qualunque costo e con qualunque mezzo, lo status di Paese arretrato con il quale eravamo usciti dalla guerra. Subito dopo avere raggiunto la fisionomia, metà vera metà apparente, di Paese moderno, perfino avanzato, con tanto di Statuto dei lavoratori, con tanto di divorzio e aborto legalizzati, ci siamo fermati, o quasi.
Sarà schematico dirlo, sarà una semplificazione, ma gli ultimi venticinque anni della nostra storia sono stati il trascinamento degli anni Ottanta fino allo stremo. Fino alla parodia. Le Olgettine e le cene eleganti sono pura parodia, la parodia dell'edonismo reaganiano. Berlusconi, almeno negli ultimi dieci anni, è la parodia del berlusconismo, dei suoi modelli, della sua estetica e della sua etica. E la sinistra, con le sue idiosincrasie morali spesso sacrosante eppure ripetute come tic, come nevrosi, con la sua litigiosità saccente e vanitosa, con il suo inconfessabile terrore del cambiamento (se qualcuno sta per offendersi sappia che sto pensando a me stesso) è la parodia di se stessa.
Molti fanno osservare, giustamente, che bisognerebbe entrare nel merito di quello che Renzi sta facendo. Nel bene e nel male. "Cambiamento", in sé, non significa nulla. "Velocità", in sé, non significa nulla. A trecento all'ora si può andare a vincere un Gran Premio o a schiantarsi contro un muro. E un Paese può essere bruscamente ribaltato da una vivificante ondata di rinnovamento così come da una dittatura. E dunque bisognerebbe entrare di più, molto di più, nel merito delle cose: lo dicono i costituzionalisti a proposito dell'Italicum; lo dicevano i giuslavoristi e i sindacalisti a proposito del Jobs Act.
Non è colpa loro, non è colpa delle loro buone intenzioni se anche questo giustificato, coscienzioso invito a riflettere finisce per assomigliare a un'estrema propaggine della passata, nefasta lentezza italiana. Di analisi causidiche, di dibattiti interminabili siamo quasi morti. Se una moltitudine di italiani è disposta (psicologiamente prima che politicamente) a mettere tra parentesi i distinguo, quando si tratta di mettere in discussione gli atti politici di Renzi, è perché la parola "cambiamento" ha assunto negli anni, gioco forza, una sua aura salvifica, benefica a prescindere, mano a mano che la sensazione di paralisi, di ripetizione viziosa, di impotenza della politica diventavano pesanti come macigni.
Ovviamente, l'essere il renzismo una nemesi non è rassicurante in sé. Non lo è affatto. Il progressivo strangolamento della concertazione, il tentativo di ridurre i corpi intermedi della politica e i luoghi della trattativa (il sindacato, per fare un solo esempio) a simulacri del passato, la quasi derubricazione del Parlamento da solenne aula delle decisioni a ufficio vidimatore degli atti del governo, sono altrettante restrizioni del campo dove si prendono le decisioni. Ma ad ogni obiezione antirenziana fa specularmente eco una obiezione filorenziana, perché una nemesi ha in sé qualcosa di automatico, diciamo una giustificazione "meccanica" del proprio farsi.
Negli ultimi anni il Parlamento, nelle sue varie propaggini anche extraparlamentari (i corridoi, i ristoranti, la Roma consociativa e inerte che dopo la morte dei grandi partiti di massa ha finito per mangiarsi tutta intera, immeritatamente, la rappresentanza politica), non è certo stato un elemento di efficienza, tanto meno di controllo etico e politico di svariate vergogne, vedi la depenalizzazione del falso in bilancio o le tante leggine ad personam o il solenne prounciamento sull'essere effettivamente, quella ragazza, la nipote di Mubarak. Per non parlare della più che accertata compravendita di rappresentanti del popolo; o del loro prestigio spesso ridotto a macchietta indecorosa, vedi i Razzi e gli Scilipoti; così che mettere l'accento con troppa enfasi sul concetto di "democrazia parlamentare" non è poi così ovvio né così semplice. Quanto alla concertazione sindacale, non ha potuto evitare lo svuotamento pauroso del potere salariale, la falcidie dei posti di lavoro, e neppure la forbice impressionante e crescente tra le garanzie conquistate in passato e l'ingarantita precarietà del presente.
La vera forza della nemesi non è nel suo manifestarsi. È negli eventi che l'hanno preceduta. Non esisterebbe Renzi, non esisterebbero il verbo "rottamare", la sbrigativa e improvvisata formazione di un gruppo dirigente di sconosciuto talento e di improbabile lustro, la brusca e incontrastata riduzione di quasi ogni obiezione a fastidioso impiccio sulla strada delle riforme, se non fosse esistita, prima, una lunga stagione di impotenza, di posizioni di rendita, di abitudini ingessate. Che sia "democratura" o solo una ruvida forzatura delle regole pregresse, che lui sia un bullo destinato al tracollo o il "maleducato di talento" evocato dall'ex direttore del "Corriere", Matteo Renzi è il figlio più rappresentativo della crisi della democrazia italiana e più ancora della paralisi della società italiana. Chi lo critica ha quasi sempre ragione, ma alle spalle di quasi ogni critica a Renzi c'è il sospetto inevitabile della conservazione. È un bel rebus e anche un bel ricatto. Ma è, almeno mi sembra, la realtà delle cose. E se Renzi è quello che è, la colpa non è tutta sua.
Michele Serra
0103/0645/0930 edit
Scritto il 09 maggio 2015 alle 13:10 | Permalink | Commenti (25)
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Scritto il 09 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Motivo: per essere riusciti a compattare col lavoro di un paio d'ore gli italiani in favore di Expo, commercianti, notai. E persino dele banche (di Michele Serra - l'Espresso)
Il premio internazionale Minchione d'Oro, che ogni anno viene assegnato a persone o associazioni che si sono distinte per la loro minchioneria, è stato assegnato all'unanimità ai black bloc di tutta Europa, con la seguente motivazione:
"Per essere riusciti in un paio d'ore a ottenere ciò che in anni di capillare propaganda non era riuscito ad alcuna istituzione politica, amministrativa, economica: compattare l'intera popolazione milanese e italiana in favore dell'Expo, delle banche, dei bancomat, degli studi notarili, delle agenzie immobiliari, delle profumerie, dei tabaccai, degli ottici, dei concessionari d'auto, delle pescherie, delle macellerie, delle cartolerie, dei gioiellieri, degli antiquari, dei ferramenta, delle portinerie e dei citofoni, provocando un moto di entusiasmo patriottico e di orgoglio cittadino che non si viveva dai tempi della cacciata degli austriaci".
A ritirare il premio tre rappresentanti dei black bloc (il greco Yannis Hysterikon, il russo Boris Nevrastenikov e l'italiano Gianni Sterico) i quali, non avendo capito la motivazione del premio nonostante il presidente della giuria gliel'abbia sillabata più volte, hanno rotto gli occhiali dei giurati calpestandoli furiosamente e si sono allontanati urlando slogan, rovesciando il portaombrelli, picchiando una vecchia e dando fuoco al taxi che li stava trasportando alla stazione. Sono salvi per miracolo.
I FERITI - Fortunatamente modesto il bilancio dei feriti durante gli scontri di Milano. Una tuta nera bavarese ha dovuto ricorrere alla lavanda gastrica per avere frainteso il gesto di un compagno che gli aveva passato una bottiglia molotov. L'ha scolata per intero. Un suo commilitone, che si era attardato davanti a un bancomat distrutto affascinato dalla scritta "tra pochi secondi sarà possibile effettuare una nuova operazione", è rimasto intrappolato tra le porte scorrevoli e la mattina dopo è stato schiaffeggiato, a turno, dalle donne delle pulizie di tutte le filiali cittadine, che si erano passate la voce e formavano una lunga fila sul marciapiede.
IL MOVENTE - Ma qual è il vero movente politico dei black bloc? È molto difficile stabilirlo, perché i pochissimi dimostranti che accettano di parlare con i giornalisti non riescono a farsi capire a causa del passamontagna sulla bocca. La situazione peggiora ulterioremente nel caso che l'intervistato accetti di sollevare il passamontagna per rendere udibile quello che sta dicendo.
LA RICADUTA SUL PIL - Molto positiva la ricaduta economica dei primi giorni di Expo. Solo con l'acquisto di scope, ramazze, secchi, stracci, moci, detersivo, paglietta di ferro, grembiuli, pennelli e vernice, i milanesi hanno incrementato il Pil di quasi mezzo punto. Un altro mezzo punto di aumento è dovuto all'acquisto di dizionari dei sinonimi, andati a ruba per sapere in quanti modi si può gridare dal balcone "sei una assoluta testa di cazzo" al tipo che ti sta bruciando l'automobile.
I VOLONTARI - Pur di annullare l'azione dei black bloc e rendere Milano migliore di prima, alcuni volontari hanno dato prova di autentico virtuosismo. C'è chi ha lucidato il semaforo sotto casa con il kit per pulire l'argenteria, impiegando un giorno e una notte per farlo brillare e mettendoci alla base un grosso centrino di pizzo. C'è chi, non contento di ripulire l'asfalto, ci ha incollato sopra il parquet e ha dato la cera, con qualche problema per la viabilità. Un gruppo di professori di liceo, non contenti di cancellare le scritte dei manifestanti, ha provveduto a rimetterle in italiano, correggendo gli errori con spray rossi e blu e scrivendo a fianco un breve giudizio, tipo "puoi fare meglio, applicati e ripassa i verbi ausiliari". C'è chi ha riparato la vetrina della banca che gli aveva appena negato un prestito. C'è chi ha adottato le aragoste della pescheria "Orata al carato" che approfittando della confusione avevano tentato la fuga e si erano perse nei dintorni. C'è chi ha raccolto guanti, caschi, mazze, martelli, chiavi inglesi e catene abbandonati dal corteo per farne dono agli operai che lavorano a Expo. C'è chi ha inseguito fino a Monaco di Baviera il black bloc che gli aveva rotto la vetrina e, per rappresaglia, gli ha lavato i vetri, rifatto il letto, vuotato il portacenere e riparato lo sciacquone.
L'intelligenza subumana di un aspirante black-bloc
2802/0645/1445 edit
Scritto il 08 maggio 2015 alle 21:51 | Permalink | Commenti (0)
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Ex An e berlusconiani: ras di destra, inquisiti, voltagabbana di professione... Tutti insieme appassionatamente sul carro di Michele Emiliano, che non dice no a nessuno. Il "magistrato in aspettativa" da ormai 11 anni, che ormai passa più tempo negli studi TV che nel suo ufficio, è una persona generosa. E non sente gli odori...
(da un articolo di Lello Parise su Repubblica dell'8 Maggio 2015)
Michele Emiliano, alias "tuttidentro". Tra i quattrocento candidati del centrosinistra alle regionali, l'aspirante alla successione di Nichi Vendola accoglie chiunque: ex aennini come Euprepio Curto, in corsa con i Popolari (Udc, Centro democratico e Realtà Italia); ex berlusconiani come Tina Fiorentino, già assessore delle giunte di centrodestra in Puglia; ex schittulliani, dal nome dell'oncologo Francesco Schittulli, sostenuto dai frondisti di Fitto, da Fratelli d'Italia e Ned, come Anita Maurodinoia, "miss preferenze" per i conservatori alle comunali di Bari lontane appena un anno e poi traghettata armi e bagagli nelle file del già pm antimafia, che la arruola nella squadra del Pd.
«Avevano nei confronti della sinistra, un pregiudizio. Adesso ci danno una mano» spiega Emiliano, che non si scompone più di tanto: «Peraltro, sono delle mosche bianche. Non ho fatto il calcolo, ma si tratta solo di dieci competitori...» (...sono solo dieci... Dio, che livello di motivazioni...Emiliano, e vergognarsi almeno un po', no??? NdR)
Un'altra mosca bianca figura in una delle due civiche organizzate dal segretario dei riformisti è Desirée Digeronimo, pm a Roma, che alle ultime amministrative all'ombra di san Nicola voleva scalzare proprio i riformisti dalla guida di Palazzo di città. Non ci riesce e finisce per farsi ingaggiare dall'intrepido Emiliano.
Ostinato pure a non rinunciare a tre imputati. Schierati "a sua insaputa" evidentemente, con i dem: l'ex deputato leccese del Pds Ernesto Abaterusso (truffa aggravata ai danni dello Stato); e i tarantini Michele Mazzarano (finanziamento illecito ai partiti), consigliere uscente, nonché Donato Pentassuglia, assessore alla Sanità nell'esecutivo del leader di Sei, a cui contestano il favoreggiamento nel maxi dibattimento per i disastri provocati dall'Ilva. Emiliano se la cava così: Il guaio è che «il codice etico del Pd fa acqua da tutte le parti», ed è la ragione per cui il gruppetto di uomini politici chiacchierati non poteva essere messo da parte. «Io, come segretario, ne ho preso atto. Nelle mie civiche comunque, non ci sono né destinatari di avvisi di garanzia né condannati». (Magnifico! Il "Codice Etico PD, non gli piace, fa schifo, fa acqua da tutte le parti, e il Prode Emiliano che fa? Lotta per cambiare lo schifoso Codice Etico? Si rifiuta di candidarsi con un partito che adotta un codice etico schifoso? Sceglie di adottare un SUO codice etico meno schifoso? Macchè! Il Prode Emiliano, Magistrato in aspettativa da 11 anni, "prende atto". Reazione eroica, dalla quale non si può con capire tutta la grandezza del personaggio... NdR)
Emiliano come De Luca, governatore in pectore in un'altra terra del Sud, la Campania, che Roberto Saviano in un'intervista ail'Huffington Post accusa senza se e senza ma: «Nelle sue liste c'è Gomorra»? Da Napoli, il diretto interessato replica: «Servono denunce, non mezze parole». Mentre il progressista pugliese avverte: «Non credo di poter essere paragonato a Vincenzo. Noi stiamo semplicemente facendo quello che facciamo da undici anni a questa parte. Abbiamo cioè preso una regione, questa, chiamata "l'Emilia nera", per trasformarla in un feudo del centrosinistra». A quale prezzo? «Nessuno, per quello che miriguarda. Io non faccio patti con chissà chi, non prometto assessorati, niente. Resto un magistrato (purtroppo...) e so perfettamente come mi devo muovere».
(Caro Emiliano, parla sul serio, è soggetto ad amnesie, o cerca di appuntarsi sul petto medagliette non sue??? Con la trasformazione "da undici anni" della Puglia da "Emilia Nera" in un feudo del centrosinistra lei non c'entra un cazzo. Nel 2005 ha stravinto primarie ed elezioni regionali tale Nichi Vendola, e la storia si è ripetuta nel 2010. Faccia una cortesia... Restringa l'ambito dei suoi meriti alla "Città di Bari" - 322.000 abitanti - e si spogli della medagliona pugliese - 4100.000 abitanti... NdR)
Il pubblico ministero in aspettativa ribattezzato "gladiatore", da quando nel 2004 diventò sindaco del capoluogo del tacco d'Italia, è un fiume in piena: «Con i tempi che corrono,n on so dire bene che cosa sia la sinistra. Però io sono un uomo di sinistra, sono sempre stato da quella parte, ho sempre rispettato le leggi e il mio prossimo, sono un patriota, ho rapporti buonissimi con le forze dell'ordine, le forze armate, tutte cose che qualcuno un tempo avrebbe definito di destra. Canto l'inno nazionale, a differenza di molti della sinistra radicale che quasi se ne vergognano». (Mamma mia... il "Gladiatore" dei talk shows "non sa bene cosa sia la sinistra", ma avete sentito quante benemerenze si attribuisce? Canta persino l'Inno di Mameli! Canterà anche il passaggio "poropò poropò poropò popò poò? NdR)
Non si ferma più: «Ho creato un'arca di Noè? Questa è una barzelletta. Nella campagna elettorale del 2010, nelle liste di Sei, del Pd e dell'Idv c'erano moltissimi imprenditori, le cui attività economiche rischiavano di entrare in conflitto con rimparzialità della pubblica amministrazione. Questa volta, non ci sono. Se ne è accorto qualcuno che facciamo a meno di 50.000 voti, pressappoco, portati cinque anni fa da questi stessi imprenditori a Vendola?».
Lello Parise, Repubblica dell'8 Maggio 2015
Questo PD è da abbattere coi caterpillar... All'interno di questo PD, i Michele Emiliano e i De Luca non potrei votarli neanche sotto mianaccia di morte. Pugliesi, campani! Regalatevi qualcosa di importante! Mandate a casa questi renzini privi di tatto e di olfatto. Non sentono le flatulenze che emanano da alcuni loro porta-borracce. Mandateli a casa.
Tafanus
2902/0645/0830 edit
Scritto il 08 maggio 2015 alle 17:33 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 08 maggio 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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