...a proposito di Expò e di cerimonie inaugurali... Questa è la cerimonia inaugurale di Shanghai 2010. Fuochi d'artificio inimmaginabili, e "costruzioni" complicatissime inviate in cielo solo con fasci di raggi laser...
NAPOLI - Il "nuovo", a volte, fa strani giri. E tende agguati alla rivoluzione renziana. Un impasto di contraddizioni e vecchia politica rischia di gravare sulle liste del candidato governatore Pd, Vincenzo De Luca. Duri battibecchi e aspre polemiche, soprattutto sui social network, infiammano la fase più calda della campagna elettorale per le regionali, dopo alcune storie ricostruite da Repubblica, alla chiusura delle dieci liste a sostegno dell'ex sindaco di Salerno, che tra l'altro rischia la sospensione dopo la condanna di primo grado, se eletto a Palazzo Santa Lucia.
Le sue promesse di estrema discontinuità con il governo di Stefano Caldoro - "Rivoluziono tutto, daremo il via al processo di modernizzazione e sburocratizzazione della Campania" - convivono per ora con scelte che a molti appaiono discutibili: dal patto del primo Maggio, siglato in extremis, di notte, con il leader ormai 87enne di Nusco, Ciriaco De Mita, ai profili di candidati che poco somigliano all'innovazione chiesta dal "giglio" magico" del Nazareno.
Nomi di destra, di indagati o di loro congiunti, o di avversari di esponenti simbolo delle battaglie democrat: tutti in pista per l'ex viceministro del governo Letta. Così, dopo i sindaci democrat candidati "col trucco" - che si erano fatti multare dai propri vigili urbani pur di decadere, per gabbare una norma regionale, poi costretti a dimettersi per entrare in lista - ecco i consiglieri-migranti. Da un lato all'altro, pur di stare con chi vince, o si pensa possa farcela.
Alla voce Pdl o Fi, ecco l'ex senatore Pdl ed ex candidato sindaco di Napoli di Berlusconi, il prefetto Franco Malvano. Poi una sfilza di dirigenti di Fi o amministratori in carica fino a pochi giorni fa, sotto l'insegna azzurra: è l'offerta "Campania in rete" il vero scrigno. Nella lista di Caserta, figurano: l'ex vice coordinatrice Pdl di Caserta ed ex assessore di quel comune, Teresa Ucciero; è in buona compagnia con il sindaco Alfonso Piscitelli, del comune di Santa Maria a Vico, anch'egli eletto sotto il simbolo degli azzurri; e con Angelina Cuccaro, assessore per Fi nell'altro comune di Santa Maria Capua Vetere. È lo stesso elenco in cui brilla per attivismo anche Rosalba Santoro, moglie di quel Nicola Turco, tuttora inquisito per concorso esterno in associazione mafiosa, e referente di Cosentino, che al nostro giornale ha rivendicato la sua convinta adesione al progetto di De Luca: "Ma perché c'è qualcosa di sinistra nella coalizione di De Luca? Non direi - argomenta la dottoressa, laureata in Lettere - Però questo candidato del Pd è uno che combatte, una persona chiara. E Cosentino era un leader carismatico".
Alla voce Destra, ala estrema, ecco un sostenitore di De Luca che continua a replicare alle polemiche. È Carlo Aveta, il mussoliniano doc, fedelissimo degli omaggi al Duce sulla tomba di Predappio, che non rinnega la sua stima per la storia fascista ma contesta e precisa, invece, il contesto in cui sarebbe stata pronunciata una frase "non contro gli omosessuali, ma a favore della decenza". "Non ho mai detto che mi fanno schifo i gay, c'è stata confusione e strumentalizzazione su un mio post Facebook del luglio 2014 in cui, legittimamente, dedico un giudizio personale a un'immagine che tuttora mi crea sconcerto: tre uomini che sfilano, in una pubblica piazza, davanti a bambini e bambine, in baby-doll. È una scena decente, quella? Secondo me: no".
Alla voce indagati, ecco sempre nella lista "Campania in rete", ma a Napoli, la candidatura di Attilio Malafronte, consigliere comunale d'opposizione a Pompei che, solo qualche mese fa, è finito agli arresti domiciliari in un blitz sulla presunta compravendita di sepolture al cimitero comunale. Nell'armadio della sua casa, la polizia trovò e sequestrò un fucile calibro 12, una canna per fucile marca e oltre 30 cartucce per uso di caccia, dopo alcune settimane il consigliere è stato scarcerato, ma Malafronte aveva già "fatto un percorso nuovo", quindi di corsa verso De Luca.
Analogo capitombolo capita alla candidata Rosa Criscuolo, che corre come consigliere regionale per "Centro democratico": è la bionda avvocatessa che non disdegna pose ammiccanti e neanche il confine tra la cronaca rosa e quella giudiziaria; e non solo per il suo lavoro. La Criscuolo, oltre ad essersi mobilitata oltre un anno e mezzo fa, per una colorata manifestazione pro-Cosentino a Caserta con tanto di slogan contro la carcerazione preventiva (fu bloccata in tempo da Fi, che la indusse a recedere) è stata poi l'ultima signora con cui ha cenato l'ex ministro Claudio Scajola, poche ore prima che venisse arrestato su ordine della distrettuale antimafia di Reggio Calabria. L'avvocatessa ha sempre detto d'aver cominciato la sua militanza politica nel centrosinistra, nel vesuviano, e di aver poi sempre scelto liberamente. Oggi confessa, candidamente, che va verso il Pd "per esclusione. Non mi voglio candidare con Caldoro e nella coalizione in cui ci sono i Cesaro".
E alle Voce Donne, o Mogli di, non poteva mancare Annalisa Vessella Pisacane: è candidata nello stesso "Centro", non solo è consigliere regionale uscente di Caldoro, ma moglie di quel Michele Pisacane che in Parlamento corse a sostenere Berlusconi con "i Responsabili" nel 2011.
"Nelle liste non accetto spezzoni del vecchio ceto politico", aveva detto Vincenzo De Luca in un'intervista. Era meno di cinquanta giorni fa.
Scrivo molto poco (quasi mai) a giornali e giornalisti. Stamattina ho mandato una email a Tiziana Panella, conduttrice di "Coffee Break" su La7. Sia detto senza alcuna piaggeria, una delle pochissime conduttrici che stimo: preparata, diretta, simpatica, le cose non le manda a dire. Alla Panella ho inviato queste poche righe:
Cara Tiziana,
sono allibito. In NESSUNO dei dibattiti ascoltati fra ieri e oggi su come reperire i fondi per coprire il buco Consulta/Pensioni, ho sentito citare la fonte facile facile per reperire i fondi. Eppure la fonte è li, bella, in vista, a disposizione.
Ha presente la marchetta 80 euro, arbitrariamente regalata - guarda caso sotto elezioni - ad una certa fetta sociale soltanto? Bene, è un bonus, non c'è scritto da nessuna parta che sia un diritto acquisito vita natural durante, vale 10 miliardi ALL'ANNO (e non una-tantum). La fonte è li, facile, giusta.
Di cosa stiamo (o meglio, non stiamo) parlando ?
Con grande stima, Antonio Crea
Stamattina, con mia grande sorpresa, Tiziana Panella ha letto, rivolgendosi all'On. Andrea Romano, questa email:
Sorprendente (ma non troppo, almeno per me) la risposta di Andrea Romano, che ha bollato la mia proposta (che non voleva essere SOLO una provocazione), come "creativa", per poi svicolare immediatamente su altro. Dove vai? Porto ceci.
Ringrazio l'On. Andrea Romano per l'aggetivo (che credo volesse essere insultante) di "creativa" alla mia proposta. No, caro Romano, la mia proposta non era "creativa". Era seria e ponderata, "Creativi" sono i metodi da trecartari che i governanti stanno cercando disperatamente per eludere l'obbligo che risulta dalla pronuncia della Corte Costituzionale, già pubblicata in Gazzetta Ufficiale, e quindi operativa.
Creativa e da trecartari è l'ipotesi di stabilire un nuovo livello arbitrario sopra il quale non rispettare la sentenza.
Creativa e da trecartari è l'ipotesi di "rateizzare" il rimborso a gente che forse non vivrà abbastanza neanche per prendere la seconda rata.
Creativa e da trecartari è l'ipotesi di costringere gli aventi diritto a defatiganti e costose pratiche burocratiche e persino legali, per scoraggiare la richiesta di ciò che l'Alta Corte ha statuito debba essere dato tutto, subito, e senza che nessuno debba richiedere alcunché.
Creativa e da trecartari è la proposta di pagare in titoli di stato, che oggi valgono 100, ma domani potrebbero valere solo 80, 0 60...
Se lo lasci dire: siamo in presenza di un ampio campionario di ipotesi da magliari della politica.
Creativo è lei, Sig. Romano, che in un fiat è riuscito a passare dallo studio dello stalinismo con soggiorno a Mosca, al think-tank(...ahahahhhh...) "Italia Futura" di Luca Cordero di Montezemolo (che non ha lasciato tracce di se), alla "Scelta Cinica" di Mario Monti (che adesso vale 0,1/0,3%), al passaggio quasi obbligato per il Gruppo Misto, prima di correre, com'era ampiamente prevedibile, "in soccorso del vincitore", Matteo Renzi.
La mia non è una proposta creativa. La mia è una proposta seria, di sinistra, equa, onesta, e che quindi non ha alcuna probabilità di essere adottata.
Non chiamatelo più squalo delle Cayman, speculatore, finanziere spericolato. Da dicembre dell’anno scorso (ma qui in Italia lo si è scoperto solo l'altro ieri), Davide Serra è un Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica. La motivazione? Questa: “Per essersi impegnato nella promozione dell’Italia come meta di investimenti finanziari”. A Londra qualcuno lo sapeva già perché è stato lo stesso fondatore di Algebris, nonché finanziatore leopoldino della prima ora, e consigliere del premier Matteo Renzi, a comunicarlo via mail ad amici e parenti. Un annuncio pieno di orgoglio e assolutamente ristretto “a pochi intimi” che però è finito nella posta del sito Dagospia, che ieri ha pubblicato la lettera integralmente.
“Volevo dirvi – si legge – che il presidente della Repubblica, su richiesta della Farnesina ha firmato il decreto che mi nomina Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Il finanziere inserisce anche il link a Wikipedia in cui si spiega nel dettaglio cosa sia l’Ordine al merito. Poi spiega perché è particolarmente onorato di averlo ricevuto dal Quirinale, “non aspettandolo, non avendolo chiesto, né sapendo cosa fosse quando me lo hanno comunicato”. Si tratta “dell’ordine più alto della Repubblica Italiana (più del Cavaliere del Lavoro), che normalmente può essere dato solo a residenti in Italia e la prima volta con grado di Cavaliere”.
Dettaglio, però, che non esiste nel regolamento previsto per questo tipo di onorificenza. Ma l’entusiasmo è tanto. “Il presidente – sottolinea Serra – ha firmato un decreto che me lo conferisce nonostante sia da 20 anni residente all’estero e subito con il grado di Commendatore, ben 2 livelli sopra ciò che la legge permette per la prima nomina. Insomma due eccezioni”. Anche questo, però, non è vero. Poi il messaggio finale: “Volevo condividerlo con voi, i miei amici di Londra più stretti che sanno del mio impegno per l’Italia da Londra, i miei colleghi e i miei parenti che spesso non capiscono perché mi presto a insulti dai media (corrotti) italiani per il mio impegno civile”.
Il Commendatore leopoldino Davide Serra
Quello che il patron del fondo Algebris non scrive nella sua mail è quando abbia effettivamente ricevuto l’onorificenza. Un dettaglio fondamentale, considerando l’avvenuto cambio di inquilino al Quirinale: Giorgio Napolitano infatti ha lasciato il 14 gennaio. L’ultima sua infornata di onorificenze, compresa quella a Serra, risale al 27 dicembre scorso, ricorrenza della promulgazione della Costituzione, l’unica data – insieme al due giugno – per assegnare questo tipo di onorificenza.
A proporla è stato il Ministero degli Esteri – su input dell’ambasciata italiana a Londra – e al Colle si sono limitati a verificare l’esistenza di eventuali rilievi penali a carico del nuovo “commendatore” e firmare il decreto di nomina. Al suo successore, Sergio Mattarella, toccherà presenziare alla cerimonia che avverrà il prossimo due giugno. La lettera riservata è stata inviata agli amici della City (“cinque destinatari a Milano e sei amici stretti a Londra. Evidentemente non troppo stretti”, scherza lo stesso Serra al Fatto Quotidiano).
Resta da capire cosa alla Farnesina intendano per promozione. Perché dalle Popolari, al business delle sofferenze bancarie passando per la cosiddetta bad bank, laddove c’è un provvedimento approvato o messo in cantiere da Matteo Renzi su questioni che riguardano da vicino il mondo della finanza, ecco che spunta il fondatore di Algebris a fare business cavalcando la furia rottamatrice del premier. Coincidenze, sicuramente. Che però hanno fatto discutere. Soprattutto per i movimenti anomali dei titoli delle banche Popolari registrati a metà gennaio su cui hanno acceso i riflettori sia la Consob sia la Procura di Roma.
Dal canto suo, Serra (che è stato ascoltato a marzo dalla Commissione garante della Borsa) ha già precisato che Algebris non ha mai effettuato investimenti nella Popolare dell’Etruria e che l’unica operazione in quel periodo, peraltro in perdita, è stata la dismissione di 5,2 milioni di azioni del Banco Popolare. Poi però sui quotidiani finanziari è saltato fuori che tra i fondi che si sono affacciati per acquisire asset, e nel caso specifico non performing loans, della Popolare dell’Etruria commissariata l’11 febbraio, c’è anche Algebris Npl Fund 1. Ovvero il fondo di Serra riservato a investitori istituzionali lanciato a ottobre 2014. Al business delle sofferenze bancarie è inoltre connesso il progetto di bad bank al vaglio del governo.
Il finanziere ha spesso avuto un ottimo fiuto e da quando è arrivato l’amico Renzi ha aumentato le sue quotazioni in termini di immagine nonché la reputazione del suo fondo Algebris presso gli investitori internazionali. Alla promozione di se stesso ha poi aggiunto oltremanica anche quella del suo Paese. Che lo ha così ricompensato con la medaglia di Commendatore. Con buona pace del diritto di sciopero – previsto dalla Costituzione – che Serra vorrebbe abolire.
(di Camilla Conti e Carlo Di Foggia - Il Fatto Quotidiano del 6 maggio 2015)
Qualcuno aiuti un ex ragazzo di campagna (il sottoscritto) a capire... Leggete l'articolo di Repubblica/Economia cliccando sul titolo in alto, e poi proviamo a capire...
-a) Era così difficile, per il Bischero di Frignano, prima di straparlare di "tesoretti" che puntualmente vengono fuori prima delle elezioni, immaginare che il costo degli interessi sul debito pubblico, così come è sceso grazie a fattori esterni (calo dell'euro sul dollaro, calo del petrolio, calo dello spread grazie a QE di Draghi), altrettanto rapidamente poteva invertire la marcia? In effetti gli interessi sui btp decennali sono ritornati di botto ai livelli pre "Quantitative Easing". Mesi per scendere di qualche decimale, un giorno per risalire al livello pre QE...
-b) Va bene... La Grecia... di nuovo la Grecia... Ma c'è una ragione che Renzi riesca a spiegarci, per il fatto che oggi tutte le borse sono andate a picco, ma alcune (Grecia e subito dopo Italia) sono andate a picco più di altre?
-c) A questo si aggiunga la voragine che si è aperta - GIUSTAMENTE - per la ineccepibile sentenza della Corte Costituzionale sulla ingiustificabile manovra di blocco della rivalutazione monetaria delle pensioni per dal 2011... Si è parlato di 5 miliardi per 2012 e 2013, ma vogliamo parlare del 2014, 2015 e di tutti gli anni avvenire?
MILANO - La volatilità sui mercati del Vecchio continente resta alta, con un'impennata degli spread legata ai nuovi timori sulla Grecia: secondo i protagonisti delle trattative nel Brussel Group sarà difficile arrivare a un accordo nell'Ecofin dell'11 maggio e l'indomani Atene deve rimborsare 760 milioni al Fmi.
E così, mentre Wall Street resta non lontana dagli ultimi record, i listini europei ripiegano dopo il lieve rimbalzo della vigilia. A Milano, Piazza Affari amplia il ribasso per chiudere a -2,76%, trascinata in rosso dai mancati passi avanti nella trattativa ellenica. Peggiorano anche le altre Piazze europee: Francoforte lima l'1,9%, Parigi l'1,6%, e solo Londra riesce a tenere a -0,2%. Atene, invece, chiude in rosso del 3,85%. Debole Wall Street: mentre chiudono i mercati europei, il Dow Jones cede lo 0,4% come l'S&P 500, il Nasdaq l'1%. Sensibile l'ampliamento dello spread: il differenziale di rendimento tra Btp e Bund veleggia a 130 punti base, con i decennali italiani che volano all'1,82% di rendimento: si tratta dei livelli di metà gennaio, quando ancora non era iniziato il Quantitative easing della Bce. Sale anche il rendimento dei Bonos spagnoli, con lo spread relativo a quota 127 punti, e si conferma quindi il momento di inversione di rotta già visto ad aprile.
Prima delle notizie negative provenienti dai tavoli di trattativa Grecia-Ue, l'attenzione dei mercati era rivolta verso Bruxelles, da dove la Commissione europea ha comunicato le previsioni economiche primaverili: l'Italia ha passato l'esame, ma l'Eurozona cresce a un ritmo più sostenuto. Eurostat intanto ha poi pubblicato i dati sui prezzi alla produzione, che nell'area della moneta unica sono cresciuti dello 0,2% su base mensile e sono scesi del 2,3% su base annua. Sempre più attive, in questa fase, le Banche centrali. Questa mattina la Banca centrale australiana ha tagliato i tassi di interesse dello 0,25% portandoli al 2%, nuovo minimo storico per il Paese. Una mossa - spiega il governatore Glenn Stevens - dettata dalle prospettive dell'inflazione che "forniscono l'opportunuità di allentare la politica monetaria così da rafforzare i recenti segnali incoraggianti nel settore immobiliare". Di certo a nessun Paese, in questo momento, fa gioco una valuta troppo forte.
In Spagna, intanto, si è registrato un calo record dei disoccupati ad aprile: il paese iberico conferma l'attuale forza della congiuntura con la discesa di 118.923 unità di disoccupati. Si tratta del miglior mese di aprile di sempre, ossia dall'inizio delle serie storiche nel 1996. Negli ultimi 12 mesi, la disoccupazione registrata è diminuita da 351.285 persone, il più grande declino annuale del tasso di disoccupazione di serie storiche, con tasso di riduzione annua che si attesta al 7,5%. Con questo declino, il numero totale di disoccupati in Spagna risulta pari a 4.333.016 persone, 89.343 disoccupati registrati in meno rispetto al dicembre 2011. Ad aprile sono stati firmati 1.440.381 nuovi contratti di lavoro, in aumento dell'11,1% rispetto a aprile 2014. Secondo l'Ine, l'Istituto nazionale di statistica, il tasso di disoccupazione è però lievemente risalito nel primo trimestre dell'anno al 23,78%.
Cresce ora l'attesa per il rapporto sull'occupazione Usa di aprile che verrà diffuso venerdì: potrebbe condizionare la decisione della Federal Reserve proprio sul rialzo dei tassi. Su questo tema ieri è tornato Charles Evans, presidente della Fed di Chicago, secondo cui una stretta prematura è da evitare. John Williams, presidente della Fed di San Francisco, invece si è detto ottimista sull'andamento dell'economia Usa e ha spiegato che "stiamo finalmente arrivando alla luce alla fine del proverbiale tunnel". Il deficit commerciale americano, nel frattempo, è risultato sopra le attese a 51,3 miliardi di dollari a marzo: è ai massimi dal 2008.
Tra singoli titoli di Piazza Affari, si guarda a Telecom Italia: ha siglato un accordo con Fastweb per lo sviluppo della banda larga. Bene intonata Fca all'indomani dei dati sulle immatricolazioni in Italia e Francia. Acquisti anche su Prysmian, che in vista dei conti programmati per il 7 maggio incassa la promozione degli analisti di Citgroup da 'neutral' a 'buy'. L'euro chiude recuperando terreno in area 1,12 dollari: il deficit commerciale Usa al top dal 2008 lascia prevedere una revisione al ribasso del Pil americano. Nei confronti dello yen l'euro è in area 134, ma oggi la Borsa di Tokyo è rimasta chiusa per festività.
Sul fronte delle materie prime, il petrolio accelera oltre la soglia dei 60 dollari al barile, infranta per la prima volta dallo scorso 15 dicembre. La consegna giugno del Wti è indicata in rialzo di circa 3 punti percentuali, alla chiusura dei mercati europei. A sostenere i corsi sono le attese 'ribassiste' sull'andamento degli stock strategici statunitensi. Anche le quotazioni dell'oro recuperano terreno: il metallo prezioso tratta poco sotto 1.200 dollari l'oncia, in rialzo dello 0,8% alla chiusura dei mercati Ue.
Non sono passati secoli, da quando Scalfari consigliava di turarsi un po' il naso e di votare Renzi, e quasi tutte le penne Montblanc di De Benedetti erano sulla stessa linea... Da u n po' di tempo Scalfari ha iniziato una dolce "strambata", che con l'articolessa di oggi mi sembra stia per completare i 180 gradi... Eccolo:
Molte cose sono accadute nella settimana che oggi si chiude. In Italia, in Europa e nel mondo intero. Non starò ad elencarle, giornali e televisioni ne sono pieni. Mi occuperò soltanto dei fatti italiani, che possono essere guardati da quattro diversi punti di vista: le manifestazioni - belle ma anche molto brutte - connesse con l'apertura dell'Expò e con il Primo maggio, festa del lavoro; l'economia italiana; il tema del Mare Nostrum e gli immigrati; la legge elettorale approvata con quattro voti di fiducia ai quali seguirà il voto definitivo sull'intera legge domani e quanto sta accadendo all'interno del Pd. Come esempio che tocca un punto assai delicato per la democrazia italiana e per il principale partito che la guida, guardate la vignetta di Altan che apre l'Espresso di questa settimana.
Comincio dal tema del lavoro. Le cifre diramate dall'Istat tre giorni fa danno un aumento della disoccupazione e in particolare di quella giovanile; una diminuzione dei consumi, una modifica in peggio delle aspettative che erano invece segnalate in aumento il mese scorso. Le cifre sono anche negative per quanto riguarda il fabbisogno del bilancio, a causa della recente sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni al di sopra dei 1400 euro mensili, che dovranno essere rimborsate con il calcolo degli interessi.
Si tratta di cinque miliardi di euro per l'esercizio in corso, che saliranno a undici nell'anno prossimo. In queste condizioni, l'erogazione di 1,7 miliardi destinati ai ceti più poveri non è più fattibile ed è rinviata "sine die". La donna di Altan ha perfettamente ragione. Ma chi ha commesso l'errore?
Non la Fornero, che con quel taglio definito oggi incostituzionale salvò nel 2011 l'Italia dal default, ma il governo attuale, che ha dissipato 10 miliardi l'anno e per i prossimi due anni con la regalia elettoralistica degli 80 euro mensili ai redditi superiori agli ottomila euro annui. Avrebbe dovuto destinare quella cifra al taglio del cuneo fiscale (Irap) e oggi - pur dopo la sentenza della Consulta - avrebbe ancora le risorse finanziarie per aiutare i non capienti e continuare ancora ad intervenire sull'Irap.
Queste vicende mettono anche in evidenza che il Jobs Act, come ho già scritto più volte, è un prezioso oggetto esposto in vetrina ma con nessuna incidenza sull'occupazione. Non crea nuovi posti di lavoro. Li creerà quando finalmente una vera legge sul lavoro sarà presentata dal governo e votata dal Parlamento come chiede Draghi da mesi. Ma il governo è in tutt'altre faccende affaccendato: legge elettorale, riforma del Senato, Mare Nostrum, regolamento di conti con i gufi della minoranza del Pd. "Figaro qua, Figaro là, sono barbiere di qualità". Altan dovrebbe fare su quel barbiere la sua prossima vignetta.
Speravamo tutti che il nostro Renzi ottenesse dall'Europa un aiuto sostanziale sulla questione della Libia e degli immigranti, fermo restando che quelle centinaia di migliaia di poveretti che affrontano la morte in mare dovrebbero esser portati in Europa tramite l'Italia. Lo speravamo molto perché Renzi si era pubblicamente impegnato a "metterci la faccia" e a battere decisamente il pugno sul tavolo di Bruxelles.
Non ha battuto nessun pugno ed ha ottenuto soltanto l'aumento dell'aiuto finanziario europeo da tre a nove milioni al mese come rimborso spese del "Triton". Cioè niente, e abbiamo anche dovuto ringraziarli.
Le conseguenze sono di chi dovrà salvarli se prendono il mare, ma se cercheremo di non farli partire e resteranno in Libia da chi saranno soccorsi e da chi saranno protetti? Da noi naturalmente perché in quel Paese non esiste un governo ma tribù che si combattono a vicenda e terroristi del Califfato.
La conclusione è che manterremo i nostri soldati in Afghanistan per ingraziarci gli Usa e dovremo anche mandarne altri, con le relative intendenze e medici, sulla costa libica. Se sbaglio, qualcuno mi corregga e ne sarei felice, però temo di no perché non si tratta di congetture ma di fatti preannunciati. A meno che si respingano gli immigrati in Libia e lì si lascino nelle mani degli scafisti-schiavisti. Spero che non si arrivi a tanto, perché se ci si arriva la Lega di Salvini avrà vinto la sua battaglia e il popolo di Altan non andrà a trovare la sua sinistra neppure una volta al mese.
Ed ora parliamo delle leggi in corso di approvazione in Parlamento: quella elettorale e quella del Senato. Qui lascerei la parola ad alcuni autorevoli interventi di personalità della cultura politica e giuridica, quattro per l'occasione: Michele Salvati sul Corriere della Sera del 29 aprile, Valerio Onida sul Sole24Ore del 1° maggio, Michele Ainis sul "Corsera" del 30 aprile e infine, "last but not least", Alcide De Gasperi nel suo discorso alla Camera del 17 gennaio 1953.
Comincerò appunto da quest'ultimo, unico esempio di un voto di fiducia su una legge elettorale che nonostante quella protezione fu battuta in Parlamento e chiamata "legge truffa", mentre non lo era affatto. A quell'epoca facevo parte del gruppo dei collaboratori del Mondo di Mario Pannunzio. Noi, laici e nient'affatto conservatori, fummo favorevoli a quella legge che avrebbe consentito ai partitini laici alleati con la Dc di prendere più voti di quanto avveniva con il sistema elettorale vigente. E infatti così sarebbe avvenuto.
Ma passiamo al discorso di De Gasperi, che ho già ricordato in un altro mio articolo.
Il presidente del Consiglio sottolineò che non avrebbe proposto mai una riforma elettorale che trasformasse una minoranza in maggioranza. "Il premio viene concesso soltanto nel caso che un partito o un gruppo di partiti conquisti la maggioranza assoluta dei voti, 50 per cento più uno. Nel caso invece che questa ipotesi non si verifichi ci si servirà della legge elettorale vigente, basata sul sistema proporzionale puro. Considererei un tradimento della democrazia trasformare in maggioranza una minoranza, fosse pure del 49 per cento. La legge attuale rafforza solo una maggioranza esistente nel Paese ed espressa con libero voto. Per questa ragione il governo chiede la fiducia al Parlamento".
Dico subito che se l'attuale governo avesse adottato la legge del '53, immagino che il Parlamento l'avrebbe votata all'unanimità. Invece non è stato così. Il premio scatta col 40 per cento dei voti. Se sono di meno i primi due partiti (non coalizioni, che sono vietate) vanno al ballottaggio dove molto probabilmente i voti saranno in cifra assoluta molto minori del primo turno. Sarà quindi una piccola minoranza del popolo sovrano a consegnare il potere al partito vincente tenendo conto che probabilmente gli astenuti saranno il 40 per cento e anche di più.
Michele Salvati però non la pensa così. Salvati non è persona culturalmente da poco. Avrà dunque le sue ben motivate ragioni alle quali mi sembra doveroso dare voce.
"Il dissenso della minoranza del Pd arriva a riassumere il vecchio slogan di minaccia alla democrazia già usato al tempo di Berlusconi. Ma quali tabù ha toccato Renzi per suscitare questa reazione? Si tratta del passaggio da un partito di notabili in servizio permanente effettivo ad un partito del leader il quale giudica quando il tempo delle mediazioni è finito. Il governo del leader non è una minaccia della democrazia ma il tentativo di conciliare la democrazia con la decisione nella consapevolezza che la vera minaccia per la democrazia è la sua incapacità di decidere ".
Caro Salvati, è un po' forte affermare che la democrazia è incapace di decisioni. La conseguenza logica è dunque di abolirla. È questo che tu vuoi? Allora è vero che la minaccia c'è e del resto lo si vedrà.
La risposta viene da Ainis: "La riforma del Senato toglie un contrappeso e rafforza il sovrappeso dell'Esecutivo, mentre fa dimagrire l'opposizione con la soglia del 3 per cento. Così in Parlamento si fronteggeranno un polo e una poltiglia. Non basta trasformare i deputati in soldatini; la governabilità ottenuta con i numeri è una formula rozza e fallace".
Ancora più netto è Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, che la vede in questo modo: "La mia valutazione su quella legge è decisamente negativa. C'è un allontanamento da un genuino sistema parlamentare in favore del potere personale di colui che conquista la carica di primo ministro. Pretende che un solo partito occupi la maggioranza assoluta dei seggi anche se non rappresenta la maggioranza degli elettori e dei votanti. Un vero premio di maggioranza dovrebbe spettare ad una vera maggioranza che abbia ottenuto più del 50 per cento dei voti (De Gasperi). Questa invece è una legge che trasforma in maggioranza dei seggi la minoranza più forte. Il ballottaggio a sua volta dà la vittoria ad uno dei due competitori qualunque sia il livello del suo consenso e che sia minore degli elettori al secondo turno. Il problema è dunque la creazione di una maggioranza che può non essere tale e che per di più dà luogo ad un governo monocolore".
A me pare che non ci sia altro da aggiungere. Ricorderò soltanto, per fare sfoggio d'una modesta cultura in questi argomenti, che ai primi dell'Ottocento uno dei maggiori filosofi e pensatori di quella epoca, Wilhelm von Humboldt, sostenne la diminuzione dei poteri del Cancelliere in Prussia e riaffermò che la libertà era il solo vero valore da perseguire. Lo Stato doveva aver un compito puramente negativo: impedire tutto ciò che può indebolire la libertà del singolo. Questa è la base d'ogni liberalismo che sia veramente tale. Un'ultima osservazione credo si debba fare sulla funzione politica dei sindacati dei lavoratori. Molti sostengono che la politica del sindacato si esercita solo attraverso i contratti, ma non è così. I grandi sindacalisti di questo Paese stipulavano i contratti con la controparte ma avevano anche un'attività politica di estrema importanza. Faccio i nomi di Di Vittorio, Lama, Trentin, ma altri ancora potrei farne. Il sindacato visita la sinistra tutti i giorni del calendario. Bisognerebbe ricordarselo.
Recensione del film "The Fighters - Addestramento di vita" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Les combattants
Regia: Thomas Cailley
Principali interpreti: Adèle Haenel, Kévin Azaïs, Antoine Laurent, Brigitte Rouan, William Lebghil,Thibaut Berducat, Nicolas Wanczycki, Steve Tientcheu – 98 min. – Francia 2014
Un bellissimo film francese che si intitola Les combattants (Love at First Fight nelle sale inglesi). Vedete, ora, come questo stesso titolo è stato pensato (?) per il pubblico italiano dai distributori di casa nostra! Ma perché? Qualcuno, di grazia, ci potrebbe illuminare?
“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questo è il periodo migliore della vita”. Questa celebre frase dello scrittore francese Paul Nizan (1905-1940) è diventata, pochi anni fa, addirittura la traccia del tema di maturità. Nonostante il luogo comune, infatti, i vent’anni sono, nel nostro mondo, un’età difficile da portare, di cui più volte si è occupata la cultura che, soprattutto in Francia, ha manifestato un’ acuta sensibilità verso i tormenti di quell’età, nei giovani sempre più riluttanti ad assumere impegni e responsabilità in prima persona. Oggi si direbbe che il disorientamento sia ancora più profondo: questo il film ci racconta attraverso la storia di Arnaud (Kévin Azaïs) e Madeleine (Adèle Haenel), entrambi incapaci di progettare il loro futuro secondo criteri di razionalità e buon senso. Arnaud, in verità, avrebbe buone prospettive di inserirsi nell’avviata azienda paterna, soprattutto ora che, alla morte del padre, ci sarebbe bisogno di lui per aiutare il fratello più grande, rimasto solo a occuparsene. Eppure, egli continua ad aggirarsi intorno allo stand dell’Esercito francese incerto se farsi reclutare come volontario. A farlo decidere sarà il primo incontro – scontro, con Madeleine, bella ragazzona di famiglia benestante, che ha già deciso di mettere in un cassetto il prestigioso titolo di studio conseguito, che le aprirebbe forse molte possibilità di carriera, per dedicarsi, invece, ad apprendere tutto ciò che può servire alla propria sopravvivenza, nel caso, più che probabile secondo lei, che una catastrofe ecologica porti in breve tempo all’estinzione degli esseri viventi. Sopravvivere all’assedio di un mondo sempre più ostile, sacrificando ogni forma di tenerezza e di dolcezza femminile, e temprandosi per resistere al peggio, dunque, è il progetto di Madeleine: lo stesso esercito, con i suoi corsi di preparazione, potrebbe perciò rivelarsi un’utile palestra. Che fra i due possa nascere, al di là delle botte iniziali, un rapporto d’amore, è facilmente intuibile, ma il percorso di educazione sentimentale attraverso il quale avviene il cambiamento di lei costituisce una parte importante dello sviluppo del film, nel quale persino l’esercito con le sue regole rigide, ha un ruolo importante, pienamente comprensibile quando, a proprie spese, anche lei capirà la necessità di uscire dalle preoccupazioni per sé e l’importanza di aprirsi agli altri, fragili, inquieti e incerti, come se non più di lei, del proprio futuro.
Thomas Cailley, il regista esordiente nel lungometraggio, conduce il film con ironia indulgente e con sorridente simpatia nei confronti dei due giovani smarriti e quasi schiacciati dall’angoscia di mettersi in gioco in una società da cui si sentono rifiutati, come Madeleine, o poco compresi, come Arnaud. Ciò, però, non è sufficiente a spiegare il fascino di questo film, che nasce dall’analisi psicologica molto attenta nel cogliere la tenerezza quasi femminea di lui e l’ostinato volontarismo di lei (ai limiti del masochismo), che è però anche il modo per nascondere una femminilità indifesa, che non ha il coraggio di rivelarsi, ma che Arnaud ha intuito molto bene quasi subito. Altrettanto interessante è l’utilizzo sapiente dei registri narrativi, che oscillano fra la rappresentazione elegiaca della dolce e tranquilla vita nella campagna aquitana ai margini del bosco e la dimensione favolosa e simbolica della selva dalla quale solo fino a un certo punto si può ottenere protezione, perché la sua apparente ospitalità cela insidie e agguati reali: meglio uscirne, aiutandosi e sostenendosi a vicenda, per vincere, per quanto possibile, la paura (e in due è più facile, forse!).
Thomas Cailley ha presentato con successo questa sua opera prima a Cannes, nella sezione non competitiva della Quinzaine des réalisateur; ha ottenuto, però, il premio César, uno dei premi più prestigiosi d’Europa, per il miglior film d’esordio. Altri due César sono andati rispettivamente a Adèle Haenel come migliore attrice, nonché a Kévin Azaïs, come miglior attore esordiente, ciò che indica che le notevoli qualità di questa pellicola hanno avuto un riconoscimento alto e meritatissimo. Da vedere, sicuramente.
Come Craxi al Midas, Renzi ha portato il suo partito alla resa dei conti. Scissione o no, rimane solo il leader. Che presto dovrà misurarsi col voto
È la resa dei conti finale. Che l’abbia subito fatto intendere Roberto Speranza, incaricato dal Pd di seguire la legge elettorale alla Camera, non sorprende più di tanto: «Porre la questione di fiducia è stato un errore politico madornale». Che veda nero Stefano Fassina, da sempre all’opposizione del segretario-premier, è nella logica degli schieramenti: «Dopo il voto sull’Italicum non si può far finta di nulla». Ma che sia stata perfino la leader della Cgil Susanna Camusso a rivelare al “Foglio” di Claudio Cerasa di non votare più Pd e di sentire nell’aria l’arrivo di un nuovo partito di sinistra, conferma che intorno a Matteo Renzi si sta concretizzando qualcosa di molto più profondo di un dissenso pur grave e su una legge importante. La resa dei conti, appunto.
A non reggere più è il progetto stesso che nel 2007 portò alla fusione a freddo tra post comunisti e post democristiani di sinistra. Quel patto sembra ormai compromesso, e non solo perché nel frattempo sono cambiati (e invecchiati) i soci firmatari. C’è insofferenza nell’ala del partito guidata da Pier Luigi Bersani e ora, clamorosamente, pure nel sindacato: non s’era mai visto - lo ha ricordato Paolo Franchi sul “Corriere della Sera” - un segretario della Cgil pronosticare una scissione a sinistra: ve li immaginate Luciano Lama o Bruno Trentin mettersi a fantasticare sui destini del Pci? O farsi promotori, come Maurizio Landini, di una formazione alternativa a sinistra? Nel frattempo, anche Enrico Letta e Romano Prodi, i leader dell’ala cattolica del Pd, sembrano ormai incamminati su un’altra strada: il primo chiama “metadone” il racconto che dell’Italia fa il capo del governo, insomma cura palliativa e niente più; il Professore addirittura lo disconosce come figlio dell’Ulivo.
Diseredato. Probabilmente Renzi l’aveva messo nel conto: impensabile che defenestrare Letta potesse restare senza conseguenze; e inimmaginabile che far finta di flirtare con Landini, non parlare con Camusso e poi augurarsi (intervista a Marco Damilano su “l’Espresso” n. 10) che scissione ci sia e che il pd abbia un nemico a sinistra, non portasse con sé malumori e mal di pancia. Certo, anche Massimo D’Alema, allora segretario del Pds, aveva tuonato contro la Cgil di Sergio Cofferati«sorda all’esigenza di una riflessione critica, di un profondo rinnovamento». Ma alla fine, a differenza di Tony Blair, era stato costretto a fare marcia indietro. Correva l’anno 1997, stavolta il gioco è a parti invertite. Poi sì, e vero, anche i rapporti tra post-PCI e post-DC hanno conosciuto molti momenti di tensione, ma pur sempre dentro logiche di partito; oggi invece le minoranze guardano a Renzi come a un intruso, un estraneo, un altro da sé. E la lotta è all’insegna del “mors tua vita mea”.
Allora, come va a finire? Se perdono, i dissidenti se ne vanno o no? La storia della sinistra è costellata di diaspore: il Pci è nato da una scissione, Psdi e Psiup pure, Rifondazione Comunista fu il prezzo pagato da Achille Occhetto per la svolta impressa nel Pci. Ma oggi si sente più sapore di Midas che di Bolognina. Allora Bettino Craxi, 1986, rottamò i Padri Fondatori e mise in minoranza la sinistra del Psi costringendola a scendere a patti. Ecco, la situazione non è dissimile, e l’opposizione deve decidere se accettare o no il nuovo corso, cioè se lasciare il Pd rischiando un futuro da scheggia della sinistra, o testimoniare il proprio dissenso restando nelle stanze del Nazareno.
In quanto a Renzi, come sempre si sta giocando il tutto per tutto guardando al risultato, scommettendo su un’opposizione incerta, incapace di offrire una vera alternativa, e mettendo nel conto anche l’incognita di dover affrontare i momenti forse più difficili del suo governo - le riforme promesse e ancora in parcheggio - con un partito diviso e più debole, un parlamento ostile e un’opposizione frastagliata. Ma ormai il leader-premier sembra già altrove, lontano da Camera e Senato e dai loro rituali: il suo schema sembra prevedere non più la mediazione dei partiti, stanchi moloch di un passato lontano, ma il confronto diretto con i cittadini e con il loro consenso, per ora solo indirettamente espresso. Non gli resterà che andare a verificare come stanno le cose
Solo una settimana fa, il Ministro Poletti in Caterina Caselli assicurava: il Jobs Act è appena entrato in vigore, e abbiamo già 92.299 posti di lavoro in più! Che precisione. 92.299, mica "circa 92.000!
Non ho potuto non pensare a "Supermedia", dove un certo PC costa 799,99 euri... Comunque sempre più prudente Caterina Caselli rispetto a Fonzie, che già straparlava di "un milione di posti di lavoro" da raggiungere in un amen... Vi ricorda qualcuno? Vi ricorda qualcosa?
Poi arrivano i dati ISTAT (Istituto che separa i fatti dalle pugnette) e si scopre che...
(Cliccare sul caschetto di Poletti per aprire l'articolo)
Il Jobs Act non spinge il mercato del lavoro. Anzi. Nel mese di marzo, quello dell’entrata in vigore della riforma di Giuliano Poletti, la disoccupazione è tornata a crescere per attestarsi al 13 per cento, 0,2 punti in più sul mese precedente. Dopo i cali registrati a dicembre e a gennaio, quindi, si riconferma l’inversione del trend iniziata in febbraio. In particolare secondo i dati Istat i disoccupati sono aumentati dell’1,6% su base mensile, con un incremento di 52mila unità. Si tratta del livello più alto dal novembre scorso (al 13,2%). Negli ultimi dodici mesi il numero dei senza lavoro è cresciuto del 4,4% (130mila unità) e il tasso di disoccupazione è cresciuto di 0,5 punti [...]
Anche il tasso di disoccupazione giovanile (fascia dai 15 ai 24 anni) vola al 43,1%, in crescita di 0,3 punti rispetto a febbraio. I senza lavoro under 25 sono invece 655 mila. Su base annua il tasso di disoccupazione giovanile si è invece ridotto di 0,4 punti. Il numero di giovani senza lavoro, mostra una lieve crescita su base mensile (+8mila, l’1,2% in più). In termini annui, rispetto a marzo 2014, si osserva la diminuzione del numero di giovani occupati (-5,5%, pari a -50mila), il calo anche del numero di disoccupati (-6,9%, pari a -49mila) a fronte di una crescita del numero di inattivi (+1,5%, pari a +66mila). Anche con riferimento alla media degli ultimi tre mesi, sottolinea l’istituto statistico, per i giovani 15-24enni si osserva il calo dell’occupazione e della disoccupazione e la crescita dell’inattività.
“I dati dell’Istat sulla disoccupazione confermano ancora una volta che cancellare i diritti non crea lavoro”, ha commentato a caldo il segretario nazionale della Cgil, Serena Sorrentino. “Il Jobs Act ha un effetto "spostamento" tra tipologie contrattuali, ma aumentare la ricattabilità dei lavoratori e la precarietà non fa crescere l’occupazione” [...]
Quindi la replica di Poletti: “I dati diffusi oggi dall’Istat, che attestano una diminuzione dell’occupazione a marzo, vanno letti in un quadro complessivo dove segnali positivi si incrociano con elementi di criticità tipici di una situazione economica ancora non stabilizzata”. Quindi la tesi del ministro è che “proseguire con decisione il percorso di riforme promosso dal governo è indispensabile per stabilizzare e rafforzare le condizioni per la ripresa”. E ancora: “I dati mensili dell’indagine campionaria effettuata dall’Istat – prosegue il ministro – ci dicono che l’uscita da un lungo periodo di crisi è sempre all’insegna di alti e bassi e che gli elementi di contesto sul piano internazionale e nazionale, che tutti gli osservatori indicano come favorevoli – da ultima la Bce, che nel suo bollettino mensile, con i dati fino al 14 aprile, afferma che in Italia e Spagna il miglioramento del clima di fiducia dei consumatori ha coinciso con un calo del tasso di disoccupazione – non sembrano avere ancora prodotto effetti statisticamente stabili“.
Fatto sta che secondo Eurostat a marzo il tasso di disoccupazione dell’area euro si è attestato all’11,3%, livello stabile rispetto al mese precedente. Invariato al 9,8% anche il tasso dell’Unione europea. Un anno fa la disoccupazione era all’11,7% nella zona euro e al 10,4% nella Ue. Fra gli Stati membri il tasso più basso si è registrato in Germania (4,7%), mentre i più alti in Grecia (25,7%) e Spagna (23%). Rispetto a un anno fa i maggiori incrementi della disoccupazione si sono registrati in Croazia (da 17,3% a 18,2%), Finlandia (da 8,4% a 9,1%), Italia (da 12,4% a 13%) e Francia (da 10,1% a 10,6%) (Fonti: ANSA, Il Fatto)
Lo giuro! dopo che da due giorni sento straparlare tutti, in tutti i talk-show e in tutti i collegamenti, della "Carta di Milano" come panacea dei mali del mondo, ho tentato di capire di cosa si trattasse.
L'impatto visivo è stato terribile... Oltre 4000 parole di aria fritta, fioretti e buoni propositi, del tipo "si deve voler bene alla mamma", "tutti gli uomini del pianeta hanno diritto ad una sana e sufficiente alimentazione", "tutti coloro che sottoscrivono la Carta di Milano si impegnano a promuovere l'attuazione e il rispetto di questi principi", e via fiorettando...
Alzi la mano - fra coloro che hanno discettato in TV della "Carta di Milano", quelli che l'hanno letta, o almeno scorsa superficialmente, prima di concionarne, o addirittura di firmarla.
Alzi la mano chi ha capito chi deve fare cosa, con quali risorse, in quali luoghi, entro quali tempi.
La Carta di Milano è una di quelle bellissime cose che tutti firmano, salvo poi non riuscire a fare assolutamente nulla nella direzione indicata. Persino il Protocollo di Kyoto, che pure indicava date, obiettivi, tempi, risorse, è ormai solo un bel documento buono per Wikipedia, che ha mancato TUTTI gli obiettivi.
Se qualcuno, più resistente di me alla lettura di 4000 parole di aria fritta, ha capito qualcosa in più, farebbe cosa meritoria spiegando a me e ad altri scettici chi, come, quando risolverà il problema della famenel mondo attraverso gli "strumenti" indicati nella "Carta di Milano". Grazie
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