Dilettanti allo sbaraglio - Dopo il caos di agosto il governo rinvia i dati sui nuovi contratti
Giuliano Poletti, il Ministro Cotonato
Alla fine il ministero del Lavoro rinuncia. Ieri, come accade da marzo ogni 25 del mese, dovevano uscire i nuovi dati sui contratti attivati e cessati ad agosto. Ma dopo il caos di quattro settimane fa, con le cifre prima diffuse e poi corrette perché del tutto sballate, il dicastero di Poletti si prende una pausa. Zero numeri, zero confusione.
"Puntiamo su un'uscita concordata e condivisa con Istat e Inps", fanno sapere da via Veneto. La necessità è quella di "integrare le fonti informative ", per renderle chiare e possibilmente non contraddittorie. Un processo tutt'altro che rapido. "Ci stiamo lavorando", chiosano. E ora dunque cosa succede ai dati sull'occupazione? Anche l'Inps si accoderà ad un'informazione corale con l'Istat? Si tornerà all'aggiornamento trimestrale? Non è dato sapersi.
La confusione è alta sotto il cielo dei "numerini", come li definisce Renzi (...dietro i "numerini", come li chiama Renzi con la solita, fine ironia, si nascondono storie familiari, drammi, mangiare o non mangiare, poter pagare o meno un affitto... Ma "de minimis non curat praetor". Cosa volete che sappia del disagio un vetero-democristiano non eletto da nessuno, che si ordina un Airbus Blu tutto suo? Quisquilie, pinzellacchere... "Numerini", insomma. NdR)
E alcuni tra questi più che confusi sembrano invisibili. È il caso dei contratti di collaborazione. Alla domanda quanti sono ora in Italia i cocopro e i cococo, la risposta non esiste. L'Istat prende in considerazione il tempo determinato. Il ministero del Lavoro solo i privati e tra l'altro è un dato di flusso non di stock, ben poco indicativo (se ho cambiato quattro cocopro in un anno sono registrato come un +4). L'Inps ogni mese pubblica l'ormai famoso "osservatorio sul precariato" che però di tutto parla fuorché dei precari (voucher esclusi). L'ultimo dato aggiornato è comunque il suo e risale alla fine del 2013: 1,3 milioni di collaboratori, di cui 503 mila cocopro e 43 mila cococo statali, ma si sale a 1,7 milioni con le partite Iva.
Nessuno sa quanti sono, ma tutti ne annunciano la morte prematura. Il governo dice che il contratto a progetto è stato abrogato. Vero formalmente, falso nella sostanza. In effetti, il decreto 81 del 2015 ha bandito i cocopro a partire dal 25 giugno. Ma in realtà il più precario dei contratti vive e vivrà nel suo surrogato ancor meno tutelato, il cococo. E anche come cocopro in tutto e per tutto, grazie alle sostanziose deroghe. Due su tutte: i contratti nazionali e gli albi professionali. Se gli accordi collettivi lo prevederanno, i settori del recupero crediti e dei call center, per nominare quelli a più alto tasso di precari, possono dormire sonni tranquilli, si fa per dire. Così avvocati, commercialisti, giornalisti, ingegneri. Senza parlare poi delle associazioni e società sportive dilettantistiche. Ma c'è una terza, subdola e utilissima (per le aziende), deroga: la certificazione.
L'istituto esiste dal 2003, ma il decreto del Jobs Act lo ha arricchito. Il datore può richiederla all'apposita commissione prevista dalla legge (istituita da università o parti sociali, consulenti del lavoro, direzioni territoriali del lavoro). E questa commissione ora potrà anche attestare l'assenza del requisito della cosiddetta "etero-organizzazione", in vigore dal primo gennaio 2016, la novità principale del Jobs Act in tema di contratti precari. Ovvero certificare, dopo apposita istruttoria, che tempo e luogo di lavoro non sono decisi dal datore. In questo modo, la collaborazione sarà blindata. Nessuna sanzione, se arriva l'ispezione. Nessuna conversione automatica in contratto a tutele crescenti, esito obbligato dal primo gennaio prossimo per tutte le collaborazioni etero-organizzate. A meno che il lavoratore riesca a dimostrare davanti a un giudice che la certificazione era concordata e forzata. La precarietà dunque vive. I numerini meno.
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