ATTENZIONE! Questo è un blog dedicato alla politica pornografica, o alla pornografia politica! Aprire con cautela!
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« settembre 2015 | Principale | novembre 2015 »
Scritto il 30 ottobre 2015 alle 20:05 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 30 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (12)
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Identicamente a Jonathn Swift nel 1729 ci permettiamo di dare un piccolo suggerimento al nostro governo, che apparentemente pare non essersi reso conto di interessanti potenzialità di risparmio per la prossima legge di stabilità.
Legge che prevede (in spregio ad ogni logica) di rendere obbligatorio il pagamento del canone RAI collegandolo alla bolletta elettrica: assurda non tanto perché chiaramente incostituzionale (voglio vedere quale magistrato potrà sostenere l’automatismo fra possesso di un contratto elettrico e utilizzo di un impianto atto alla ricezione televisiva e quindi soggetta a raffiche di ricorsi persi in partenza), ma per l’utilizzo di questi fondi allo scopo unico di foraggiare un vero e proprio buco nero incontrollabile ed incontrollato.
Finora dal canone RAI (lo chiamo in questa maniera perché anche se ha cambiato nome divenendo un “canone di possesso di apparecchiature atte alla ricezione televisiva” di fatto gli introiti sono destinati al carrozzone RAI) sono stati incassati dai vari governi circa 1,65 miliardi di euro (valore del 2012).
Nello stesso 2012 Mediaset ha raccolto quasi due miliardi di pubblicità mentre la Rai meno di settecento milioni, e tenendo conto del fatto che la tv di Stato e il Biscione si dividono in parti quasi uguali i tre quarti dell'audience televisiva (la RAI con il 40% dello share medio e Mediaset con il 35%) ci si dovrebbe chiedere il motivo di questa (apparente) stranezza.
In realtà la legge Gasparri impone alla concessionaria pubblica un tetto dell'affollamento pubblicitario molto inferiore a quello dei concorrenti privati, compensando i mancati introiti con il canone (1,65 miliardi nel 2012), fatto che comporta incredibilmente un minor valore unitario della pubblicità.
Oggi, in luogo di variare una legge assolutamente dannosa quale la Gasparri si preferisce decidere di foraggiare ancora un meccanismo canone+tetto che non è solo una garanzia per la Rai ma anche un sussidio indiretto per Mediaset, che in normali condizioni di mercato non avrebbe ovviamente gli attuali ricavi pubblicitari.
Questo poiché risulta difficile immaginare che le reti Rai, con ascolti superiori a quelle Mediaset, continuerebbero in assenza del tetto a raccogliere circa un terzo dei ricavi pubblicitari delle concorrenti private: si ipotizza che, mantenendo identico il valore complessivo della pubblicità, il complessivo dei ricavi sarebbe più o meno in pareggio, con valori pari a circa 1,3 miliardi di euro ognuno.
Si noti che il “tetto” definito dalla legge Gasparri è economico e non temporale: in altri termini la RAI può raccogliere un determinato valore economico in pubblicità ma in termini di tempo complessivo i valori non si discostano in maniera sostanziale… follia o calcolo ?
Ai posteri l’ardua sentenza, benché chiunque sia dotato di un barlume di intelligenza si potrà fare un’idea abbastanza chiara di chi si sia voluto favorire con questa “legge” Gasparri.
Per vostra informazione nel 2012 la Rai dichiara un fatturato di 2,65 miliardi di euro a fronte di costi pari a 2,9 miliardi di euro che portano ad una perdita economica pari a 242 M€ (vedi http://www.rai.it/dl/bilancio2012/ita/dwl/pdf/Bilancio_Rai_2012.pdf), mentre Mediaset, che di fatto ha una struttura abbastanza simile, dichiara fatturato pari a 3,72 miliardi di euro ed un margine operativo (al netto di investimenti tecnologici) pari a 307 milioni di euro.
Va fatto notare che senza il sostanziale apporto della tassa di possesso i fatturati RAI, già fallimentari, comporterebbero l’immediata cessazione delle attività contestuale alla consegna dei libri contabili al tribunale di Roma...
Non contenti della dimostrazione di incapacità endemica dimostrata dalla dirigenza Rai (peraltro iperpagata rispetto a Mediaset) la Guardia di Finanza ha accertato una serie di interessanti operazioni finanziarie che usando un eufemismo sono “leggermente” sospette e riguarderebbero 37 dossier relativi alle indagini interne condotte negli ultimi due anni, e questo perché quelle relazioni riportano gli esiti degli audit su appalti e acquisti, contratti con società esterne costate all’azienda pubblica radiotelevisiva centinaia di milioni di euro, la cui esistenza era stata finora negata dagli stessi responsabili degli uffici.
Riporto quanto scritto sul “Corriere”( http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_26/sanremo-appalti-sospetti-presi-dossier-rai-b049f8fc-7bad-11e5-9069-1cf5f2fd4ce8.shtml ): L’esame dei fascicoli avrebbe già fatto emergere numerose irregolarità, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle ditte alle quali affidare lavori e commesse. Il resto lo sta facendo un testimone che ormai da tempo collabora con gli inquirenti e ha svelato i retroscena degli accordi siglati negli ultimi due anni. Si è concentrato sulle trasmissioni di punta della Rai, primo fra tutti il Festival di Sanremo.
E ha fornito agli investigatori anche il codice per leggere i file criptati sui soldi delle «mazzette» versate per aggiudicarsi gli appalti truccando le gare. Nell’elenco ci sono alcune trasmissioni di approfondimento giornalistico, altre di intrattenimento, svariate fiction.
Le verifiche cominciano qualche mese fa e arrivano a una svolta nel giugno scorso quando scattano una cinquantina di perquisizioni per corruzione e turbativa d’asta. In cima alla lista degli indagati ci sono i fratelli David e Danilo Biancifiori titolari delle società «Diand lighting and Truck» e «DibiTechnology» che nel corso degli ultimi anni hanno ottenuto il monopolio delle forniture tecniche. E ciò, dice l’accusa, sarebbe stato possibile anche grazie ad appoggi e contatti governativi quando a palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi; il suo responsabile dell’immagine Roberto Gasparotti li avrebbe agevolati per avere un contratto da 9 milioni di euro, tanto che poi è finito pure lui nell’elenco degli indagati. I due imprenditori hanno rapporti con Mediaset, La7, con Infront. Pagano e rimangono in cima alla lista delle società con le quali fare affari nel campo degli appalti radiotelevisivi.
Nel corso del blitz vengono trovati i contratti di assunzione che i fratelli Biancifiori hanno siglato con amici e parenti dei funzionari Rai - e dei dirigenti degli altri gruppi del settore televisivo - che li avrebbero aiutati ad ottenere le commesse. Ma anche documenti che sembrano provare il passaggio dei soldi. Viene chiesto ai responsabili dei vari uffici competenti dell’azienda di Stato se siano mai emerse anomalie, ma tutti negano l’esistenza di indagini interne.
Basta poco per scoprire che mentono. Anche perché tra le carte sequestrate ci sono quelle su un audit del settembre 2013 che riguarda proprio le società dei due fratelli Biancifiori. Si decide allora di sentire come persona informata dei fatti il responsabile dell’internal Auditing, Gianfranco Cariola e gli viene notificato il decreto di esibizione di tutti i dossier realizzati dalla Rai negli ultimi tre anni. Il 7 ottobre le 37 relazioni sono nella mani dei finanzieri. È l’inizio di un’indagine che può portare ai piani alti della Rai proprio perché negli atti analizzati dai finanzieri ci sono dati che, incrociati con quelli contenuti nei file criptati, consentono di ricostruire il percorso dei soldi, compreso il trasferimento di fondi all’estero proprio per soddisfare le richieste di alcuni dirigenti.
Le società dei Biancifiori hanno un ruolo dominante nell’aggiudicazione dei lavori per il montaggio delle apparecchiature tecniche, ma i controlli ordinati dalla magistratura riguardano ormai tutte le ditte che nei diversi settori risultano privilegiate rispetto alle altre, quelle che - almeno a leggere i documenti contabili - potrebbero aver creato «fondi neri» proprio per destinarli al pagamento delle tangenti. E dunque si intrecciano con il ruolo ricoperto dai vari funzionari e dirigenti che se ne sono occupati.
Ora, passi che si voglia in qualche maniera garantire una sorta di “riserva di caccia” alla politica, ma che questo sia ancora una volta realizzato a scapito dei cittadini che si trovano obbligati a pagare una tassa su un carrozzone inefficiente e strapieno di incompetenti (dato che è acclarato dai dati finanziari sopra riportati) ma che questo sia realizzato tramite un’operazione anticostituzionale passa ogni limite.
Del resto il fatto che vi sia una perdita secca si giustifica anche con i cachet stellari (ed inglistificati, aggiungo) che alcuni programmi garantiscono ai cosiddetti “ospiti”: il compenso da 24 mila euro netti pagato dalla trasmissione Che tempo che fa a Yanis Varoufakis per la sua partecipazione alla puntata dello scorso 27 settembre, confermato anche dal diretto interessato sul suo blog in cui ha risposto alle accuse di alcuni media inglesi e britannici - tra cui Times of London e Telegraph - sui suoi compensi per incontri e convegni, pubblicando la nota spese di tutti gli eventi pubblici cui ha partecipato dopo le dimissioni di luglio.
Per la cronaca, la Rai è l’unica tv ad aver pagato una cifra così ingente all’ex ministro greco: quando questi ha partecipato al seguito programma “Question Time” sulla Bbc inglese (TV pubblica) non ha percepito un euro e il viaggio offertogli è stato in classe Economy.
A nulla vale la comunicazione della Rai che afferma che il cachet corrisposto è stato erogato da Endemol (la società di orbita Mediaset che produce “Che tempo che fa”, e anche qui ci si dovrebbe chiedere come sia possibile produrre programmi all’esterno di una società che dispone di risorse interne già enormemente sovradimensionate per gestire tutti le produzioni dall’interno…) all’interno di un budget pianificato.
Domandina domandina: ma la BBC è gestita da marziani o in RAI si possono permettere budget milionari per pagare gli ospiti ? La nota vicenda di “Affari tuoi” (sempre una produzione Endemol) vi potrebbe fornire ampia documentazione a riguardo…
Del resto che la legislazione TV sia estremamente favorevole ai “privati” è cosa non solo risaputa, ma anche scandalosamente politicizzata: come probabilmente saprete, dati alla mano, le concessioni radiotelevisive costano a Mediaset e a La7 solo l’uno per cento del fatturato che ne ricavano grazie alla famigerata legge "dell'1%" (legge 488 art.27 comma 9 23/12/1999) introdotta dal governo D’Alema e mai più rivisitata dai successivi governi.
Ergo, dalla concessione TV lo stato ha incassa da Mediaset (nel 2012) 37 milioni di euro… assurdo, vero ?
Le frequenze su cui trasmettono le TV sono infatti proprietà pubblica che teoricamente andrebbe data in concessione a chiunque ne faccia richiesta con il massimo del vantaggio della collettività: tenuto conto del fatto che la pressione fiscale media Italiana è del 47% circa, la logica vorrebbe che la maggior parte dei guadagni finisse nelle casse dello Stato, mentre a conti fatti, Mediaset attraverso RTI trattiene il 99% dei ricavi che ne ottiene: se consideriamo il rapporto con altre concessioni, quella televisiva (con un volume d'affari da capogiro: nel 2007 il solo gruppo Mediaset ha fatturato 4 miliardi di Euro...) è la più conveniente in assoluto oltre che quella con maggiori criticità dal punto di vista dell’impatto sulla politica.
Verrebbe da chiedersi come mai i governi di sinistra a partire da D’Alema e Prodi non abbiano chiara questa condizione di stortura tutta italiana e di conseguenza non abbiano provveduto a regolare, a favore della collettività, una situazione che oltre a prevedere guadagni economici immensi garantisce una posizione di monopolio del mercato televisivo italiano.
Ora, diciamo che in luogo dell’1% del giro di affari (che ovviamente si basa sulla fiducia rispetto alla correttezza delle dichiarazioni di una società privata che peraltro ha tutto l’interesse a dichiarare un fatturato il più basso possibile) si fissi un costo annuale di concessione pari a 80 milioni di sterline a frequenza, cioè quello che viene pagato dalla TV ITV in Inghilterra per usufruire della frequenza di trasmissione.
Ricordiamo che nel 2002 gli operatori di telefonia mobile Umts hanno pagato 11 miliardi di euro allo stato e non per acquistare le frequenze, ma solo per avere il diritto di utilizzarle.
Invece le frequenze tv, in Italia non sono state pagate nulla: sono state occupate nella più totale assenza di regole al punto che poi, quando le regole sono arrivate, si sono limitate a stabilire la legalità dell' esistente e chi le aveva se le è tenute senza sborsare una lira.
Oltretutto queste frequenze si sono anche potute vendere: quelli che hanno occupato l’etere hanno pagato allo Stato solo l'Iva della transazione (al 20%) ed hanno incamerato il resto.
Stabilire questa premessa serve per capire l' ennesimo paradosso della giungla italiana delle tv per cui se si va in giro per l' Europa a chiedere quanto pagano le tv allo Stato per l' uso delle frequenze, si ottiene la strabiliante risposta che in Italia i network pagano un canone annuo dell' 1% sui ricavi mentre all' estero no.
Una risposta falsa: Itv, il network in cui Rupert Murdoch ha il 10%, essendone il maggiore azionista, paga un' ottantina di milioni di sterline mentre Channel Five, che fa capo al gruppo tedesco Rtl, molto più piccolo in termini di ascolti, ne paga una decina.
In Inghilterra si paga il canone ? Sì, ma la BBC è in attivo grazie alla pubblicità (che viene fatta, escluso BBC1) e lo stato riceve dalle frequenze TV circa 600 milioni di sterline l’anno per un utile complessivo di circa 645 milioni di sterline annue.
In Italia, invece, le concessioni TV fruttano allo stato complessivamente 55 milioni di euro mentre la RAI ne perde mediamente 250 l’anno… quindi un valore complessivo pari a 195 milioni di perdita.
Ora, facciamo un gioco.
Ipotizziamo che da domani si vendano le prime due reti RAI (diciamo per un controvalore economico di 2-3 miliardi di euro, direi regalate tenuto conto che ITV oggi viene valutata circa 3 miliardi di sterline) utilizzando RAI tre per l’informazione locale e per la comunicazione politica senza pubblicità o con un tetto temporale estremamente limitato (diciamo al massimo il 5% del tempo complessivo) in modo da garantire una sostanziale copertura .
Disporremmo di sei reti private che, equiparando il valore di pagamento a quello inglese, si troverebbero a pagare 110 milioni di euro per la concessione e su cui si potrebbe accettare uno sconto con un ricavo di 600 milioni di euro, da aggiungere alle frequenze di Pay TV (Sky) per l’identico costo (100 milioni) con un complessivo di 700 milioni di euro.
Fatti i conti ? ipotizzando un canone di possesso di impianti radiotelevisivi TV di 48 euro l’anno (ovviamente su base volontaria) si ottiene un totale stimabile in circa 1 miliardo, che sommato ai precedenti 700 fa un utile finanziario pari a 1 miliardo e 700 milioni oltre agli incassi una tantum di 2-3 miliardi per Rai 1 e Rai 2.
Qui sta la modesta proposta.
Gentilmente dal governo qualcuno ci spiega come sia possibile decidere un’azione incostituzionale come l’obbligo di pagare il canone in bolletta elettrica e non pensare ad una simile soluzione che è elegante e (peraltro) rappresenterebbe una scelta politica di giustizia attesi i margini miliardari delle tv ?
Ovviamente ripetendo che a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina…
Axel
Scritto il 29 ottobre 2015 alle 14:40 | Permalink | Commenti (7)
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[...] “Con Alfano abbiamo discusso più volte, questa volta ha vinto lui”. Così il ministro della Cultura Dario Franceschini, in un’intervista a Radio 24, butta la palla nell’altro campo della maggioranza, quello di Ncd, sulla responsabilità della decisione di alzare il tetto all’uso dei contanti a 3.000 euro, dai mille attuali.
“Una misura – dice – che non mi piace, l’ho detto anche in Consiglio dei ministri, dopodiché, com’è giusto che sia, mi sono adeguato alla volontà della maggioranza“.
Quindi non solo Alfano, ma anche larga parte del Pd e dei renziani, come del resto ha confermato il ministro Padoan il 23 ottobre scorso, dicendo pubblicamente “di aver cambiato idea, come noto sul fatto che l’ammontare del contante sia un fattore rilevante o molto rilevante ai fini della lotta all’evasione fiscale”. E la conferma diretta arriva proprio dal ministro dell’Interno: “Su innalzamento tetto contante – spiega Alfano – Franceschini dice che ho vinto. Ha ragione e vigileremo perché la vecchia sinistra non ottenga passi indietro” [...]
Fonte: "Il Fatto"
Scritto il 27 ottobre 2015 alle 20:18 | Permalink | Commenti (0)
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Il nuovo aereo presidenziale di Matteo Renzi fa infuriare anche l'Aeronautica. I tanti malumori nell'ambiente trovano sfogo nelle parole dell'ex comandante dell'Arma Leonardo Tricarico, che critica l'acquisto dell'Airbus voluto dal premier. E spiega come si sarebbero potuti risparmiare milioni. Sollevando domande su tutta l'operazione (Fonte: Gianluca De Feo - l'Espresso)
Ecco il gemello dell'Air Fonzie One
La storia del nuovo Airbus presidenziale voluto da Matteo Renzi continua a provocare malumori anche negli ambienti dell'Aeronautica, malumori che trovano voce nelle critiche del generale Leonardo Tricarico, ex comandante dell'Arma e oggi presidente della Fondazione Icsa, il think tank strategico più autorevole.
Tricarico, che è stato consigliere militare dei premier Silvio Berlusconi e Massimo D'Alema, contesta tutti gli aspetti dell'operazione che arricchirà lo stormo di Palazzo Chigi con un lussuoso A-340 per le trasferte intercontinentali senza scalo. Dal segnale politico che viene dato agli italiani con «un esborso evidentemente non necessario in uno scenario di rigido contenimento della spesa pubblica». Una spending review che pesa anche sui bilanci della Difesa, sottoposti a tagli soprattutto per quanto riguarda l'addestramento del personale con una riduzione delle ore di volo dei piloti militari. Mentre invece per i voli blu di ministri e premier «da sempre la presidenza del Consiglio non reintegra per intero i costi di esercizio sostenuti dall'Aeronautica».
Il generale Tricarico concentra le sue perplessità sulla «dinamica procedurale nella scelta del nuovo velivolo». Perché un Airbus? E perché la decisione di prenderlo in leasing da Ethiad, la società degli Emirati che ha da poco rilevato Alitalia? E infine perché è stato tenuto tutto sotto segreto «quando negli Stati Uniti il processo di acquisizione di nuovi jet ed elicotteri presidenziali è sempre reso pubblico, tenendo riservate solo le specifiche tecniche e gli aspetti di sicurezza?».
In passato – ricorda l'alto ufficiale – si era affidata la selezione del mezzo più idoneo ai vertici dell'aviazione militare, contando sulla loro competenza. E nonostante questo, l'assenza di gare d'appalto per acquisire un velivolo civile – con un mercato estremamente competitivo proprio nel settore delle versioni vip – è stata spesso criticata.
C'è un altro aspetto sottolineato dal generale, che è stato anche il responsabile dell'intera campagna aerea occidentale sul Kosovo. L'Aeronautica non ha in linea altri jet Airbus, mentre invece schiera due Boeing KC-767: un velivolo disponibile anche in versione “vip” e con un'autonomia di poco inferiore al mezzo prescelto da Renzi.
Acquisirne un terzo avrebbe semplificato tutti gli aspetti gestionali. Dall'addestramento degli equipaggi – al momento l'Airbus di Renzi è affidato a piloti di Ethiad perché nessun italiano è qualificato ai comandi – ai pezzi di ricambio e ai costi di manutenzione. Ma secondo Tricarico per soddisfare le esigenze transcontinentali di Palazzo Chigi si sarebbero potuti evitare nuovi contratti: bastava allestire uno dei due Boeing già presenti a Pratica di Mare per i voli a lungo raggio della presidenza del Consiglio «cosa possibile fin d'ora con capacità 200 posti, aggiungendo un semplice kit di trasformazione, facilmente smontabile, con costi presunti dell'ordine di decine di migliaia di euro anziché dei milioni legati al leasing».
E l'ex comandante conclude con una domanda, la stessa posta da molti cittadini: «Ma quanti milioni si spenderanno per questo leasing?»
Scritto il 27 ottobre 2015 alle 20:01 | Permalink | Commenti (0)
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Solo per informarvi che da stamattina, e per un periodo variabile da tre a cinque giorni, sono "in officina" per una serie di controlli al motore. Forse mi sarà difficile scrivere, ma leggerò volentieri le vostre considerazioni.
Tafanus
Scritto il 26 ottobre 2015 alle 19:51 | Permalink | Commenti (9)
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Scritto il 25 ottobre 2015 alle 21:38 | Permalink | Commenti (0)
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Secondo i pm il patron di Esselunga avrebbe acquistato un cd-rom di telefonate illecitamente registrate sulla linea del direttore della coop di Vigevano (Fonte: La Stampa)
Bernardo Caprotti, patron di Esselunga
Bufera giudiziaria sul patron di Esselunga, Bernardo Caprotti. La Procura di Milano gli ha notificato un avviso di fine indagini. Caprotti è accusato di essere il «finanziatore d’una campagna diffamatoria» contro Coop Lombardia tramite l’acquisto di un cd-rom di telefonate illecitamente registrate sulla linea del direttore della coop di Vigevano (Pavia).
La notizia, riportata dal Corriere della Sera in edicola, spiega che Caprotti avrebbe agito al fine di consentire al direttore e cronista di Libero, Maurizio Belpietro e Gianluigi Nuzzi di sfruttare le telefonate per realizzare servizi contro Coop Lombardia, concorrente commerciale di Esselunga.
Secondo quanto riferito, l’avviso è stato notificato «nel giorno in cui il Tribunale ha condannato a tre anni per calunnia ai danni di un manager di Coop Lombardia due investigatori privati, ex fornitori di Coop tramite la loro società di sicurezza». I due, secondo il Corriere, avrebbero approfittato del loro ruolo per intercettare illecitamente conversazioni poi finite ai giornalisti.
P.S.: Noi ci siamo già occupati del Signor Caprotti, con tre post del 2007, e uno del 2008, dal titolo "Esselunga", "Etica Corta", nel quale ultimo si tratta del cronometraggio delle pisciate delle cassiere dell'azienda modello. Chi volesse rinfrescarsi la memoria, può cliccare sul link, e "ripassare" tutta la storia oscena. Chissà perchè Belpietro e Nuzzi non fanno una bella inchiesta giornalistica sulle relazioni umane in Esselunga e Coop...
Tafanus
Incipit del post "Esselunga", "Etica Corta"
[...] Quello che invece qui mi interessa fare, è associarmi alla denuncia che su questo padrone delle ferriere molti giornali hanno già fatto. La storia è nota ai nostri lettori, anche perchè ne avevamo già parlato: dunque, una signora peruviana di 44 anni, cassiera alla Esselunga, una settimana fa si piscia addosso, di fronte ai clienti. La vescica (anche quella delle peruviane), ha le sue esigenze, ed a volte i suoi incontrollabili tempi. Non alla Esselunga, non nella "famigghia" del signor Caprotti. La filosofia delle relazioni "umane" del signor Caprotti (quello che ha estromesso il figlio dalla società perchè tentava di introdurre in azienda un sistema di relazioni "umane" meno disumane) è nota da decenni. "Chi piscia troppo spesso o troppo a lungo danneggia anche me: digli di smettere" [...]
Scritto il 25 ottobre 2015 alle 14:48 | Permalink | Commenti (3)
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Senti chi Casta! (di Massimo Gramellini)
Una rapida scorsa ai profili Facebook dei dipendenti del Comune di Sanremo arrestati per assenteismo reiterato e molesto introduce il lettore in un universo meraviglioso.
«Mi vergogno di essere rappresentato da politici corrotti che saccheggiano ogni santo giorno uno dei Paesi più belli del mondo», scrive un saccheggiatore quotidiano delle casse pubbliche di uno dei Paesi più belli del mondo.
Sorvolando sulle citazioni di Falcone e Margherita Hack in materia di morale e legalità, dispensate a pioggia da quei pulpiti illuminati, ecco un altro frequentatore seriale di cartellini taroccati che posta la foto di un uomo spiaggiato in un bar all’aperto accanto al cartello «Oggi passo la giornata come un politico, cioè non faccio un czz.». Col senno di poi sembrerebbe un’autodenuncia, ma con quello di prima si rivela soltanto l’ennesima testimonianza di una dissociazione mentale: i politici che rubano incarnano il male assoluto, mentre chi li critica comportandosi in piccolo come loro presidia l’avamposto del bene.
Perché sta qui l’aspetto peculiare e forse inemendabile dell’illegalità spicciola all’italiana. L’impiegato assenteista che striscia il badge per sé e i suoi cari non si sente un delinquente che imbroglia, ma una vittima che si arrangia. Un meschino tartassato o un talento incompreso, in ogni caso una persona in debito con la vita, che nella piccola truffa allo Stato vede una sorta di parziale e sempre provvisoria compensazione. Disprezza i politici perché in fondo ne invidia il potere. Il potere di rubare molto di più.
Massimo Gramellini
Scritto il 25 ottobre 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (2)
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Recensione del film "The Lobster" (di Angela Laugier)
Regia: Yorgos Lanthimos
Principali interpreti: Colin Farrell, Rachel Weisz, Jessica Barden, Olivia Colman, Ashley Jensen, Ariane Labed, Aggeliki Papoulia, John C. Reilly, Léa Seydoux, Michael Smiley, Ben Whishaw, Roger Ashton-Griffiths, Rosanna Hoult – 118 min. – Grecia, Gran Bretagna, Irlanda, Paesi Bassi, Francia
The Lobster, ovvero l’aragosta: questo è l’animale che David vorrebbe diventare, al termine dei quarantacinque giorni di residenza coatta nell’albergo creato appositamente per i single come lui in una realtà sociale distopica, forse futura, in cui, per qualche misteriosa ragione, a nessuno, uomo o donna, è permesso di vivere da solo. Il potere dominante in quella società, è, infatti, molto ben organizzato per provvedere immediatamente alla cattura dei vedovi, delle vedove, o degli amanti che si sono lasciati, per ricoverarli in quell’hotel. Chiunque, alla fine del soggiorno, non abbia trovato la propria metà viene trasformato in un animale, secondo la scelta che ciascuno ha dichiarato prima di essere accolto, si fa per dire, nella struttura.
Le regole a cui i “villeggianti” si devono attenere sono poche e semplici, né mancano di una qualche “correttezza” politica: sono accettati gli omosessuali, per esempio, per i quali, naturalmente, valgono le stesse leggi; non i bisessuali, però, che come i single non possono essere tollerati. Si comprende subito, allora, che quelle poche e semplici norme sono state create per favorire il controllo dei comportamenti, che è più difficile se le persone vivono da sole, oppure se il percorso della loro vita non segue i binari rassicuranti della “normalità”, secondo l’accezione comunemente accettata in una realtà dominata dalla paura della diversità in cui sono amate le definizioni nette e manichee, tanto quanto detestate le sfumature e le analisi sottili. Ecco, dunque, che il nostro David (un Colin Farrell perfetto per quel ruolo) entra in quella struttura accompagnato da un bel cane (così era stato trasformato suo fratello), senza molte speranze di trovare la partner giusta per lui. Riuscirà, però, fortunosamente, a fuggire e a ritrovarsi in mezzo a un bosco, accolto all’interno di una comunità di single irriducibili, guidata da una virago spietata (bravissima Léa Seydoux), ben decisa a far rispettare a qualsiasi costo la libertà (?) dei single che sono scampati alla metamorfosi animalesca.
La situazione di David, com’è facilmente intuibile, non migliora di molto, essendo ora, per sua disgrazia, vittima di un altro fanatismo ideologico, rovesciato specularmente rispetto al primo, ma non perciò meno stupidamente tirannico. Nulla come le imposizioni e i divieti invogliano a trasgredire, soprattutto se si riferiscono a quella sfera di opzioni privatissime che riguardano l’amore, in cui ciò che è lecito o illecito non può essere deciso da chi è esterno a quell’esperienza: in men che non si dica, infatti, David si innamora d’una donna che a sua volta lo ama. La coppia si è questa volta formata liberamente: per sottrarsi alla nuova tirannia, però, non le resta che fuggire alla ricerca di una libertà assoluta, cioè sciolta da vincoli e controlli sociali. E’ possibile questa condizione?
La domanda che costituisce, probabilmente, il tema centrale del film, non è nuova: aveva trovato una drammatica risposta in un film molto diversamente raccontato da Bernardo Bertolucci nel 1972, L’ultimo tango a Parigi. In The Lobster, dove l’intera situazione si invera in un’allegoria grottesca e spesso crudelmente umoristica, le conclusioni non sono meno drammatiche (non intendo ovviamente anticiparle) e mettono in risalto, simbolicamente, a quale insostenibile prezzo sia possibile.
Questo film, del regista greco Yorgos Lanthimos, quasi sconosciuto da noi, (nonostante sia alla sua terza pellicola), evidenzia, con un linguaggio nuovo, razionalistico e nero fino alla perfidia e davvero poco sentimentale, la precarietà dell’equilibrio di coppia, ma anche la fragilità del nostro equilibrio individuale, sottoposto di continuo alle sollecitazioni che vengono dalle attese che la società esprime nei nostri confronti, alle quali è difficilissimo se non impossibile sottrarsi del tutto. E’ uno di quei film che può molto divertire (come è successo a me), perché fa appello alla nostra ironia e alla nostra curiosità indagatrice, ma può anche molto irritare chi si aspetta di trovare altra cosa da un racconto filosofico condotto con la precisione di un teorema.
Bellissime e accuratamente selezionate le immagini del paesaggio irlandese del Kerry, sfondo dell’intera vicenda; bellissime e perfette le musiche; splendida la recitazione degli attori, guidati molto bene da questo bravo regista, premiato con premio della Giuria, per quest’opera, all’ultimo festival di Cannes. E’ troppo chiedere che si possano conoscere anche i suoi due film precedenti in questo nostro paese?
P.S.Vorrei aggiungere che il regista di questo film deriva qualche scena dal cinema di Bunuel, talvolta apertamente citato (l’ultima scena rimanda ad esempio a Un Chien andalou, alcune al Il fascino discreto della borghesia, altre a L’angelo sterminatore), ma che in fatto di citazioni è assai evidente quella del suicidio, che sembra tratta di peso da Miss Violence, del suo collega greco, Avranas.
Questo dimostra l’attenta conoscenza della tradizione cinematografica da parte di Lanthimos, che cita non a caso due registi di cui coglie appieno sia lo spirito dissacrante e anticonvenzionale, sia la rappresentazione assai spiazzante di un’umanità costretta a vivere senza libertà.
Angela Laugier
Scritto il 25 ottobre 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 24 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Verdini lascia il tribunale di Roma
L'ex esponente di FI, interrogato per sei ore dai pm di Roma, nega ogni accusa e definisce la presunta associazione segreta "un coacervo di millanterie". Leva (sinistra Pd): "Parole che pongono un problema a Renzi" (Fonte: Repubblica.it)
Marcello Dell'Utri? "Un'icona". La P3? "Un coacervo di millanterie". Denis Verdini risponde con un vero e proprio show alle accuse dei pm di Roma. E crea qualche imbarazzo alla maggioranza del Pd. Il processo, uno dei cinque in cui è coinvolto l'ex esponente di Forza Italia, è quello sulla P3, che lo vede imputato per corruzione insieme ad altri, tra i quali Dell'Utri e Flavio Carboni.
Da qualche settimana l'ex fedelissimo di Silvio Berlusconi ha spostato il proprio peso politico a sostegno delle riforme renziane. Un peso numerico non da poco, per la maggioranza al Senato, quello guidato, con Ala, da un Verdini che, nell'interrogatorio, non esita a paragonarsi a quel Mr. Wolf che, nel celebre Pulp Fiction, aveva proprio il compito di "risolvere i problemi". Ma qualche problema l'ex coordinatore del Pdl sembra averlo creato al premier Matteo Renzi. A partire dai rapporti con la minoranza Pd (e non solo), a dir poco allergica alla sola eventualità di un'alleanza strutturale con i verdiniani. E non è un caso che, a pochi minuti dall'interrogatorio di oggi, sia l'esponente della sinistra Pd, Danilo Leva, a riportare il "problema" sul tavolo del premier-segretario: "Non si può fare una battaglia per la legalità, dichiarare ogni giorno guerra aperta alla corruzione e poi, nello stesso momento, allearsi con chi si schiera così platealmente a favore di persone condannate per reati tanto gravi".
Stoccata che fa riferimento proprio alle dichiarazioni in tribunale di Verdini che, in vista del processo, ieri ha tra l'altro disertato la Festa del Nuovo Centrodestra, quasi a fotografare la complessità di un'operazione unitaria tra i due gruppi. "Dell'Utri? Era il fondatore di Forza Italia, un'icona e un punto di riferimento per me, una figura carismatica, provavo per lui amicizia e stima", dice il leader di Ala. Poi passa a un altro degli imputati dell'inchiesta P3, l'imprenditore Carboni: "Un personaggio vulcanico, pieno di fantasia e di voglia di fare, un po' troppo insistente a volte...".
E rispondendo alle domande del pm Mario Palazzi, Verdini nega qualsiasi accusa, a partire da quella relativa all'incontro del 23 settembre 2009 nell'abitazione del senatore toscano e nel quale, secondo l'accusa, furono poste le basi di un'associazione segreta. "Un pranzo da niente, da non ricordare", al quale giunsero "a mia insaputa, in otto", racconta l'ex uomo-macchina di Forza Italia definendo quell'incontro e la presunta loggia un "coacervo di millanterie".
Secondo l'accusa, la P3 fece pressioni sulla Consulta riguardo al Lodo Alfano. Nell'interrogatorio, durato sei ore, il senatore smentisce categoricamente anche questo: "Nessuno mi ha chiesto di intervenire sulla Consulta in merito al Lodo Alfano". E ripete che il suo unico compito era "occuparsi dell'organizzazione del partito". Anche perché "sono un facilitatore, risolvo i problemi come Wolf: sono rapido", sottolinea Verdini, quasi a cavalcare il suo stesso personaggio.
...MA CON CHI CAZZO CI VUOL FARE ALLEARE, RENZI...
Tutti gli affari sospetti di Verdini e dei fratelli Dell'Utri - La P3 non era soltanto una loggia che "condizionava le istituzioni" ma anche "una centrale d'affari". Il ruolo di Bankitalia sulle segnalazioni delle operazioni anomale. Tra i finanziamenti poco chiari anche bonifici a un casinò di Las Vegas (Fonte: Fabio Tonacci, Francesco Viviano, Corrado Zunino - Settembre 2011)
Seguire i soldi. Come suggeriva Giovanni Falcone. Ripercorrere a ritroso il fiume di denaro che transita nelle mani dei manovratori, per poi dipanarsi in mille torrenti, in Italia e all'estero. Solo così si riesce a ricomporre la ragnatela di affari della P3. Interessi che partono da società editoriali a Firenze, sbarcano in Sardegna per l'eolico, si allungano a sorpresa fino a un casinò di Las Vegas.
I conti bancari dei ventiquattro indagati - con particolare attenzione per quelli del deputato Denis Verdini e del senatore Marcello Dell'Utri, per la Procura i veri punti di riferimento dell'associazione segreta - sono stati scoperchiati e scandagliati. Sul tavolo dei pm romani Capaldo e Sabelli sono arrivate, negli ultimi mesi, decine di segnalazioni di "operazioni sospette" da parte dell'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia. Carte che hanno allargato gli orizzonti d'azione dei magistrati.
La P3 non era soltanto una loggia che "condizionava le istituzioni", ma anche "una centrale d'affari" che gestiva passaggi oscuri di denaro. Bonifici milionari non giustificati, come i nove milioni e mezzo girati da Silvio Berlusconi a Dell'Utri. Operazioni immobiliari sospette. Assegni a cifra tonda senza l'intestatario. Tutto è nelle 66 mila pagine depositate l'8 agosto per la chiusura delle indagini.
I FRATELLI DELL'UTRI - Marcello Dell'Utri deve ancora spiegare perché il premier, beneficiario ultimo di molte operazioni della P3, gli abbia fatto a titolo di "prestito infruttifero" tre bonifici (il primo il 22 maggio del 2008, gli altri due tra febbraio e marzo di quest'anno) per un totale di nove milioni e mezzo di euro. Ma non è l'unico nodo che il senatore del Pdl dovrà sciogliere.
Ci sono i due assegni da 50 mila euro pagati il 5 e l'8 gennaio 2010 da Antonella Pau, la compagna del faccendiere sardo Flavio Carboni, anche lei indagata. Per la Procura sarebbero una mazzetta per oliare l'ingresso di due imprenditori di Forlì nell'affare dell'eolico in Sardegna.
E vengono segnalate nove cambiali per un totale di 55.454 euro che il 29 marzo del 2010 Dell'Utri ha ricevuto senza giustificazione apparente dalla cagliaritana Publiepolis Spa, una società che si occupa della raccolta di pubblicità per il network Epolis.
Nelle carte depositate dai pm spunta anche un finanziamento tutto da chiarire per un casinò di Las Vegas da parte di Dell'Utri. Non Marcello, ma Alberto. Il fratello del senatore, che non è indagato nell'inchiesta P3. I tecnici della Banca d'Italia hanno deciso di segnalare ai magistrati un passaggio di 500 mila euro da Alberto a Marcello datato 7 aprile 2006.
Poi hanno indicato "tre operazioni sospette, partite dalla Banca Popolare di Milano che non trovano riscontro nelle causali dei trasferimenti". Sempre a nome Alberto Dell'Utri. Sono due bonifici a vantaggio del Wynn Las Vegas Resort, un hotel extra lusso con casinò, a Las Vegas.
Il primo è datato 17 settembre 2007 per un valore di 246 mila euro. Il secondo, da 232 mila euro, è del 18 novembre. Entrambi sono giustificati con un inverosimile "saldo soggiorno". Il fratello del senatore ha anche aperto un conto sulla Bank of America di Las Vegas, sul quale il primo febbraio del 2008 ha depositato 150 mila euro.
VERDINI E PARISI - Denis Verdini finisce nelle informative della Banca d'Italia per i bonifici da 8,3 milioni di euro arrivati dal re delle cliniche e senatore Antonio Angelucci a estinguere il mutuo per l'acquisto di Villa Gucci a Firenze. Ancora, per la presunta mazzetta da 800 mila euro ricevuta per l'eolico dagli imprenditori forlivesi. Nelle 66 mila carte depositate compaiono, poi, tre segnalazioni dell'Uif riferite ad altrettanti prestiti erogati dal Credito Cooperativo Fiorentino, cioè la banca di cui Verdini è stato presidente: servivano per finanziare preliminari d'acquisto di appartamenti.
"Sono operazioni - scrivono i tecnici della Banca d'Italia - messe in piedi solo per creare le condizioni per erogare da parte della banca finanziamenti a favore di soggetti che poi trasferiscono tutto a società del Gruppo Fusi-Bartolomei".
Ruota attorno a uno di questi contratti preliminari di vendita fasulli la posizione di Massimo Parisi, coordinatore del Pdl in Toscana, indagato nell'inchiesta P3 per finanziamento illecito ai partiti. I sospetti dell'Uif partono da un bonifico da 595 mila euro fatto da Parisi sul conto di Denis Verdini e di sua moglie Maria Simonetta Fossombroni con causale "restituzione anticipazioni".
Dietro a questa somma si ricostruisce una complessa operazione di cessione di un contratto preliminare di vendita, sottoscritto l'8 settembre 2004. Con questo contratto la Società Toscana di Edizioni, editrice del Giornale della Toscana, si impegnava ad acquistare da Denis Verdini e Massimo Parisi il 70 per cento delle quote della Nuova Toscana Editrice, per un importo pari a 2,6 milioni di euro.
"Il contratto però non verrà mai perfezionato. Soltanto nel 2009 risulterebbe ceduto dalla Società Toscana Edizioni al signor Giuseppe Tomassetti, conosciuto come un imprenditore collaboratore di Flavio Carboni, per un importo di appena 300 mila euro, registrando così una perdita di 2,3 milioni di euro". Dove sono finiti quei soldi?
L'AZIENDA P3 - Era una holding industriale criminale, quindi, l'organizzazione messa su da Flavio Carboni. Aveva separato le due branche: affari e industria da una parte, rapporti con le istituzioni e la magistratura dall'altra, affidata questa ai "due pensionati" Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino (illustrati in altre zone del poderoso dossier investigativo).
Sul fronte "ramo industria" il maggiore del nucleo speciale di polizia valutaria, Andrea Salpietro, ha individuato le aree di business del gruppo di potere e segnalato come la banda avesse radicato la sua forza nel business emergente: l'energia eolica. Parchi eolici da creare nella provincia di Carbonia-Iglesias, decine di pale progettate sulle coste. In parallelo il cartello segreto portava avanti una politica di acquisizione di discariche da bonificare, alcune addirittura tra i siti di interesse nazionale (in condizione di grave crisi, quindi). Ecco la Calancoi di Sassari, le Saline di Cagliari e quelle dei Conti-Vecchi.
Il senatore Marcello Dell'Utri e il deputato Denis Verdini, asseriscono gli investigatori, "sono direttamente cointeressati negli affari dell'organizzazione di cui rappresentano il punto di riferimento. Sono altresì attori di interferenze a livello politico per le quali hanno ottenuto dall'organizzazione somme di denaro e contributi illeciti per il partito cui appartengono".
Il "gruppo Carboni" usa la sua forza con protervia intimidatoria: affianca società che già lavorano nel campo delle energie alternative offrendo loro di realizzare l'intero investimento per garantire al suo sodalizio illegale la metà degli utili. Senza il minimo rischio. Inoltre, il "gruppo Carboni" si scopre attivo in operazioni immobiliari a Porto Rotondo e nell'hinterland di Cagliari, nella compravendita (e il riciclaggio) di opere d'arte. In un appunto sequestrato al grande collettore Carboni si legge, "per piazzare lo stock del maestro Alberto Burri bisogna attendere alcuni mesi".
N.B.: Questo articolo di Repubblica sugli "affari" di Verdini & Dell'Utri sono noti da più di quattro anni. L'articolo riprodotto sopra è di Repubblica del 2 settembre 2011. E noi stiamo ancora qui a parlare dei 120 euro di Ignazio Marino???
Tafanus
Scritto il 23 ottobre 2015 alle 22:53 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 23 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 22 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Correva il 1° marzo 2014. Era solo l'anno scorso, non un secolo fa... Francesca Barracciu, pupilla dell'occhio destro di Renzi (che ha solo l'occhio destro... il sinistro è finto, è di vetro), candidata del PD alla presidenza della Regione Sardegna, viene cacciata a furor di popolo, perchè indagata...
Però Renzi (che, come si sa, è generoso coi fedelissimi, anche se indagati, le offre subito il salvagente. Cacciata dalla Sardegna? Eccola traghettata a Roma da Renzi, come sottosegretaria. In fondo, fare la sottosegretaria è pur sempre meglio che lavorare...
Questo l'articolo di Marco Bresolin su "La Stampa" dell'epoca:
Francesca Barraciu: esclusa in Sardegna perché indagata. Renzi la porta a Roma. Il sottosegretario alla Cultura fu costretta a fare un passo indietro alle Regionali: per un'accusa di peculato nell’inchiesta sui rimborsi spese ai consiglieri
In Sardegna l’avevano costretta a ritirare la candidatura a governatore per quell’accusa di peculato che pende sulla sua testa. Poi il neo-presidente Francesco Pigliaru l’aveva tenuta fuori dalla sua giunta: «Nella mia squadra non ci sarà posto per gli indagati». Ma da ieri Francesca Barracciu, europarlamentare sarda del Pd, ha di che consolarsi: Matteo Renzi le ha offerto un passaggio sul traghetto che porta nel Continente, dove le ha preparato una poltrona da sottosegretario.
Si occuperà di Cultura e Turismo, lei che fino a pochi giorni fa ha agitato le braccia perché voleva fare l’assessore alla Sanità: «La mia esperienza politica, legislativa e amministrativa è cominciata, si è strutturata e prosegue nella sanità e nel sociale» ha detto a “La nuova Sardegna”, rivendicando la sua «competenza» in materia. Ma da ieri il suo pensiero è già rivolto altrove: «Quello della cultura è un settore importante per il nostro Paese, ma anche per la Sardegna. Non solo per la difesa e la valorizzazione del patrimonio, ma pure in termini di ricadute occupazionali».
La vicenda di Francesca Barracciu ha agitato non poco il Pd sardo negli ultimi giorni del 2013. Lei, che a settembre aveva vinto le primarie, si era trovata a fare i conti con la questione morale. L’imbarazzo è cresciuto quando la procura di Cagliari ha scoperchiato il calderone della Rimborsopoli sarda. Tra gli indagati per peculato c’era anche il suo nome. Tra le contestazioni, 33 mila euro di rimborsi non rendicontati: ha raccontato di averli spesi per la benzina. Si è difesa dicendo di aver fatto così tanti chilometri da aver fuso la sua Peugeot 407 (...niente scontrini, I suppose... NdR)
«Possiamo permetterci di candidare alla Regione un’indagata?», si sono subito chiesti nel Pd locale. Giornate di riunioni, tensione, appelli: niente da fare, lei ha sempre tirato dritto, invocando l’intervento di Matteo Renzi. Fino a quando, il 30 dicembre scorso, il segretario ha spedito in Sardegna un suo fedelissimo, Stefano Bonaccini. Cosa le abbia detto per convincerla non si sa, fatto sta che la Barracciu ha fatto un passo indietro.
«Sono felicissima, ringrazio il premier Matteo Renzi per questa scelta: onorerò l’incarico con tutta me stessa ogni secondo» dice oggi il sottosegretario Barracciu, unico esponente sardo nel rinnovato esecutivo, che lavorerà a stretto contatto con Ilaria Borletti Buitoni (riconfermata) al ministero guidato da Dario Franceschini.
Michela Murgia, candidata governatore sconfitta alle ultime regionali sarde, non si è lasciata scappare l’occasione per gettare un po’ di veleno. Parla di «Baratto» e ironizza sul cambiamento di verso: «Troppo indagata per fare il governatore, ma come sottosegretario è ok: questione umorale».
E' passato solo un anno e mezzo, ed ecco l'epilogo, in puro stile vaudeville (...cielo... mio marito...)... Questo l'articolo di Nicola Pinna su "La Stampa" di oggi:
Francesca Barracciu si dimette dopo il rinvio a giudizio. La sottosegretaria, accusata di peculato (per 81 mila euro) nell’inchiesta sull’uso illecito dei fondi regionali in Sardegna, lascia. Renzi: «Non gliel’ho chiesto io, ma apprezzo»
Francesca Barracciu, sottosegretario ai Beni culturali indagata nell’ambito dell’inchiesta sul presunto uso illecito dei fondi dei gruppi del Consiglio regionale della Sardegna, si è dimessa. «Ritengo doveroso dimettermi ed avere tutta la libertà e l’autonomia necessarie in questa battaglia dalla quale sono certa uscirò a testa alta».
Renzi plaude: «Non ho chiesto le dimissioni a Barracciu, ma è un gesto personale molto apprezzabile, di rispetto».
Alle contestazioni del pubblico ministero Barracciu aveva risposto soltanto una volta: «I 33 mila euro che mi contestate li ho spesi per pagare la benzina per l’attività politica». Polemiche (e ironia) a parte, sulla testa del sottosegretario ai Beni culturali è caduta anche la tegola di una seconda contestazione e la cifra oggetto dell’accusa di peculato è arrivata a 81 mila euro. Nel frattempo, lei non ha più parlato con i magistrati e questa mattina si è trovata di fronte al giudice per le udienze preliminari.
L’udienza è durata meno di un’ora e il giudice ha deciso che il sottosegretario dovrà essere processato. Proprio con l’accusa di peculato: prima udienza il 2 febbraio. L’inchiesta che coinvolge Francesca Barracciu è la stessa che negli ultimi tre anni ha coinvolto quasi tutto il mondo politico della Sardegna. Sotto accusa sono finiti in novanta: tutti accusati di aver usato per finalità personali i fondi dei rimborsi destinati ai gruppi politici. Qualcuno è già stato condannato, la maggior parte sta affrontando il dibattimento e l’inchiesta pare non sia ancora conclusa.
L’avviso di garanzia a Francesca Barracciu era arrivato quando in Sardegna si stava decidendo il nome del candidato governatore. Lei aveva già vinto le primarie, ma il suo partito (il Pd) aveva preferito sostituirla con Francesco Pigliaru. Lei si era opposta con tutte le forze e alla fine aveva ottenuto un risarcimento: l’incarico di sottosegretario nel governo Renzi. Oggi la sua avventura di governo è finita.
Una domanda al signor Renzi: ma è proprio così difficile trovare candidati-a-qualcosa che non siano né indagati, né rinviati a giudizio? Un giorno, signor Renzi, mi toccherà regalarle un bignamino che le racconti la storia della "moglie di Cesare"...
Tafanus
Scritto il 21 ottobre 2015 alle 22:13 | Permalink | Commenti (1)
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Oppure il renzino che arrivava al Quirinale con la sua auto utilitaria, cosa che faceva tanto anrti-casta, e sfasciacarrozze?
Bene, dimenticate tutto questo. Adesso renzino ha l'aereo blu. Più grande di quello del Papa, più potente di quello di Hollande, più moderno e superattrezzato di quello della Merkel... Solo l'Air Force One di Obama non sfigura al confronto... Ha anche la "Situation Room"... Si sa mai che mentre Renzino vola da Firenze ad Aosta per la settimana bianca, la Macedonia o Cipro possano dichiarare guerra all'Italia.
Ma la cosa più bella è che il possente A340 ha anche (finalmente!) il wi-fi! Così il Serial Twitter potrà continuare a mandarci il suoi micro-pensieri anche dall'etere! WOW!!!!
Ma... c'è un ma... Per ragioni misteriose, l'Air Fonzie One per il momento rimane negli hangar del fornitore, che poi è la Etihad, socio salvatore della plurifallita Alitalia... Ecco cosa scrive Fabio Martini su "La Stampa":
[...] Il nuovo super-jet voluto da Matteo Renzi per i suoi viaggi è destinato a restare ancora un po’ negli hangar: forse perché è diventato ingombrante? Alcuni mesi fa il presidente del Consiglio aveva annunciato ai giornalisti: «Ad ottobre andremo in Sudamerica con un aereo più grande, con il wi-fi, l’abbiamo già ordinato...».
In tempi di ipersensibilità per tutto quello che riguarda Casta e spese facili, l’annuncio del premier aveva fisiologicamente alimentato retroscena giornalistici e politici sulla “grandeur” renziana, ma ora che il battesimo del mega-jet si avvicina, a palazzo Chigi sembrano averci ripensato. Dopo aver fatto sapere nei giorni scorsi che il viaggio in Sudamerica del premier (23-28 ottobre, Cile, Colombia, Peru, Cuba, con tanto di delegazione confindustriale e “passaggio” a pagamento per i giornalisti), si sarebbe svolto col nuovo aereo, ieri mattina improvvisamente la retromarcia: il jet non è ancora utilizzabile, Renzi partirà col vecchio aereo.
Una scusa? Un buon motivo per non esporre un aereo imponente? Oppure non si è fatto a tempo per i necessari collaudi? Il totale riserbo di palazzo Chigi sul nuovo aereo non ha impedito di ricostruire i tasselli di una vicenda che interpella soprattutto il rapporto di “simpatia” che lega Matteo Renzi con gli status symbol del potere.
Anzitutto, il jet: l’anticipazione giusta si è rivelata quella de “La Stampa.it”: sarà un A340 e non un A330, come scritto da più parti. Si tratta solo apparentemente di un dettaglio. Porta abitualmente più di 300 passeggeri e ha una larghezza di 60 metri. L’A340 appartiene alla stessa tipologia del poderoso Boeing 747, enorme aereo “super-accessoriato”, usato dal presidente degli Stati Uniti, una sorta di Casa Bianca in volo, con tanto di situation room per gestire l’ordinaria amministrazione e anche le situazioni di crisi.
Per intendersi: neppure il Papa utilizza un mezzo di questo tipo e si “contenta” di un A330, che comunque è adatto per viaggi a “lunga gittata” e infatti proprio quel modello sembrava quello verso il quale si sarebbe indirizzato il governo italiano per superare i limiti del velivolo attualmente utilizzato, l’Airbus 319, lo stesso che l’Alitalia adopera per le rotte europee. Un aereo che, talora, ha costretto i voli di Stato a scali intermedi per fare rifornimento di carburante (...una vera tragedia... NdR). Ma a palazzo Chigi non hanno voluto l’A330 (utilizzato oltreché dal Papa anche dal presidente francese) ma l’A340, del quale l’Alitalia è sprovvista, tanto è vero che il governo ha dovuto chiedere aiuto alla Etihad, con la formula del leasing. Un super-jet che richiede piste e piloti adatti, tanto è vero che per la fase iniziale dovrebbe essere l’Etihad a fornire il personale di volo.
E sembrerebbe che nemmeno la pista dell’ aeronautica militare di Ciampino sarebbe in grado di ospitare il nuovo super-jet. Un aereo forse sovradimensionato che in questo momento Renzi, per timore di essere associato alla Casta, ha preferito non esibire?
Da una foto pubblicata dal aviazionecivile.it si deduce che, intanto, l’allestimento del nuovo aereo appare completato, con tanto di scritta “Repubblica italiana” e strisce tricolori: sarà per la prossima volta [...]
Ma quanto cazzo costa questo "coso" ??????
Anche questo dettaglio, che persino Taksin Shinawatra avrebbe avvertito l'esigenza di rendere noto, è un mistero... In un primo momento si era parlato di un prezzo di acquito di 170 milioni, ma non si era spesa una sola parola sui costi di esercizio.
Adesso di parla di "full leasing", ma le cifre a cazzo volano nell'aere senza controllo... Si va da giornali che parlano di 5 milioni all'anno (inclusa manutenzione e personale Etihad), fatta da alcuni giornali, ai 50 milioni sparati da Claudio Messora, gestore di byoblu, desaparecido "portavoce" di Grillo, e specialista in leggende metropolitane. Siamo, a livello di cazzate, in una piccola forbice da uno a dieci.
La "notizia" di byoblu.com di Messori
Ma non è proprio questa confusoione che dovrebbe indurre il renzino ad avvertire l'esigenza di far chiarezza, nel momento in cui si accinge a dare agli statali, dopo sei anni di "fermo", un lauto aumento mensile di ben 3,14 euri netti al mese?
Renzino, ci faccia sapere!! Grazie
Tafanus
Scritto il 20 ottobre 2015 alle 19:19 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 20 ottobre 2015 alle 11:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 19 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Non c’entra solo la politica. Non c’entra solo la minoranza del Pd. Ora anche Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, si schiera contro l’intenzione del governo di innalzare il tetto per l’uso del contante fino a 3mila euro. Cantone l’ha definita una “scelta sbagliatissima” durante un’intervista alla Repubblica delle idee, in corso a Pescara. “Sono contrario, e l’ho detto in altra occasione, all’innalzamento a 3mila euro della soglia per l’uso del contante. Così come la riduzione a 500 euro non ha eliminato l’evasione fiscale. Sono pannicelli caldi. Così non si fa lotta all’evasione, c’è bisogno di stabilità normativa”.
Il problema, precisa il magistrato, non è tanto l’aumento in sé della cifra che fa da soglia, quanto le scelte di orientamento diverso prese dai governi a breve distanza l’una dall’altra. “Non credo – aggiunge Cantone – che l’aumento sia di per sé sbagliato, è l’essere arrivati a 500 e risalire a 3mila che dà l’impressione che purché si spenda, va bene. La questione è che ogni anno le norme vengono sistematicamente cambiate, ma non si può fare questo solo per risolvere problemi di bilancio”. In definitiva, spiega il giudice, “la lotta all’evasione ha bisogno di una stabilità normativa, di scelte chiare e continue, non di sali e scendi”.
Quanto alla corruzione Cantone spiega che è stato “il sistema post Tangentopoli” a portare “una serie di norme che hanno finito per favorire la corruzione: la modifica del falso in bilancio, dei reati fiscali, della prescrizione. Siamo l’unico Paese che ha cambiato la prescrizione della corruzione e nessuno ha avuto nulla da dire”. Tra gli errori della classe politica negli ultimi 20 anni, tuttavia, Cantone indica però anche la riforma del Titolo V della Costituzione, la cosiddetta devolution. La definisce “la riforma in assoluto la più criminogena” perché, dice, “ha spostato la capacità di spesa e i meccanismi di controllo. La riforma del 2000 ha creato centri di spesa che si sono sovrapposti a quelli centrali”.
Sulla corruzione “il disastro vero è nelle società pubbliche. Lo dimostra un’azienda come l’Atac che ha assunto 600 persone senza alcun concorso“. Ma Cantone spiega che la battaglia non è perduta e che anche gli arresti di questi giorni in Lombardia, per gli appalti del Giubileo e anche il caso Atac, dimostrano che gli anticorpi ci sono: “Certo è una battaglia trasversale che coinvolge magistratura, politica, macchina amministrativa. Ma c’è una parte del Paese vuole reagire. Credo che una situazione come quelle dell’Atac, sulla quale attendiamo chiarificazioni, non sia unica perché penso che molte società pubbliche abbiano lavorato con questi metodi. Metodi che non sono solo di tipo corruttivo, ma caratterizzati da un mancato rispetto delle regole”.
Scritto il 18 ottobre 2015 alle 22:59 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 18 ottobre 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "Much loved" (di Angela Laugier)
Regia: Nabil Ayouch
Principali interpreti: Loubna Abidar, Asmaa Lazrak, Halima Karaouane, Sara Elmhamdi Elalaoui – 104′- Marocco 2015.
Il film in Italia è vietato ai minori di 14 anni.
L’animazione delle notti e dei bordelli di Marrakesh non sarebbe neppure immaginabile se non coesistessero su questo nostro pianeta persone che godono di enormi ricchezze e altre che vivono nella più profonda povertà, ma che tra le briciole di quelle ricchezze cercano il loro impossibile riscatto umano e sociale. E’ quanto accade in questo film alle protagoniste Noha, Randa e Soukaina *, tre belle ragazze, gioiose e vivaci, che si mantengono grazie alle discrete somme di denaro che guadagnano prostituendosi, di notte, in quella città.
Come tutte le giovani donne, anch’esse coltivano sogni e speranze per il futuro: sono convinte che i guadagni di oggi renderanno più facile il loro sistemarsi, domani, in terra di Spagna, dove nessuno le conosce e dove ogni donna è libera e gode del generale rispetto che tocca a ogni essere umano. Per ora, esse vendono il proprio corpo presso una casa di appuntamenti di buon livello, la cui clientela saudita è trattata con ogni riguardo, essendo costituita da sceicchi molto più ricchi e molto più potenti degli uomini d’affari europei o americani, ma anche molto esigenti nelle pretese: essi, infatti, cercano ragazze belle e disinvolte, che sappiano parlare e ascoltarli con dolce sottomissione, che sappiano danzare per loro, e, naturalmente, soddisfare ogni loro richiesta, per quanto impegnativa e stravagante.
Il film lascia emergere tutta la crudeltà dello spietato esercizio di potere assoluto maschile nei confronti di queste giovani donne, trattate come animali da sfruttare fino allo sfinimento o come giocattoli erotici da usare e gettare: il possesso del denaro autorizza qualsiasi offesa, qualsiasi abuso, qualsiasi violenza. Nella società di Marrakesh, città tra le più ricche del Marocco, d’altra parte, la prostituzione (femminile o transessuale, presente nel film), pur contribuendo non poco allo sviluppo dell’economia cittadina, è fortemente stigmatizzata e circondata da universale disprezzo, ciò che permette a tutti di infierire sulle prostitute con arroganza insolente: così la famiglia di Noha, che, pure, da quell’attività trae benessere e sostentamento; così il poliziotto corrotto che approfitta della sua posizione di potere per minacciare e ricattare la donna, umiliandola, stuprandola, e costringendola al silenzio. Il film si trasforma a poco a poco in una denuncia molto dura non solo del potere maschile, ma di quell’ambiente profondamente ipocrita, dominato dal perbenismo di facciata, in cui la legge non è uguale per tutti. La parte più interessante e bella del film è l’affettuosa solidarietà fra le donne, rassegnate a subire non senza rabbia e ad accettare silenziosamente angherie e soprusi, che si aiutano e si soccorrono vicendevolmente, ridendosela, spesso per farsi coraggio, degli stravaganti ricconi sauditi e delle loro assurde richieste. Su di loro veglia affettuosamente Said, il fedele servitore e autista, unico personaggio maschile che, disinteressatamente, ne riconosca la dignità umana, proteggendole con grande docezza e amandole davvero.
Questo film, presentato con successo al festival di Cannes nella Quinzaine, ha subito pesantissimi attacchi da parte del governo marocchino, che ne ha vietato la distribuzione in tutto il paese, mentre la magistratura sta intentando processi per oscenità contro Loubna Abidar, la bravissima attrice che interpreta la parte di Noha. Il film, molto interessante in ogni caso, non fosse che per questa persecuzione censoria del tutto ingiustificata, merita di essere visto. L’oscenità è, come ho detto all’inizio, nella enorme sproporzione fra i ricchi e i poveri del mondo, non nei discorsi delle donne (non sicuramente da educande: lo impedisce la verosimiglianza, credo!) e neppure nelle vicende che vi si rappresentano, mai disgiunte dalle sofferenze di chi le subisce.
_____________
*accoglieranno più tardi, nella loro abitazione, Hilma, giovanissima ragazza incinta, appena giunta in città.
Angela Laugier
Scritto il 18 ottobre 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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La Demos di Ilvo Diamanti pubblica il report di ottobre sulla situazione politica. Condividiamo quasi tutto, tranne il fatto che "Renzi mantiene il consenso, il PD no" (Titolo dell'inchiesta di ottobre di Ilvo Diamanti).
Caro Diamanti, quando la borsa di Pechino perde il 30% del valore in tre giorni, e poi ha un rimbalzino tecnino di 3 punti, lei parlerebbe di rimbalzo tecnico, di ricoperture, o di "tenuta"? Solo per sapere. Ma andiamo con ordine.
Questa prima tabella ci dice che:
E veniamo alla "tenuta" di Renzi:
Vede, Diamanti... credo di trovarla d'accordo se dico che - partendo dal magic moment "marchetta 80 euri", siamo ben lontani dalla "narrazione" #renzitiene. Renzi, mi scusi per il francesismo, non tiene un cazzo.
In giugno tocca i 74% di gradimento; poi perde 14 punti in tre mesi; poi guadagna due punti in un mese; poi perdde 16 ounti in 4 mesi; poi guadagna tre punti in due mesi; poi perde 8 punti in tre mesi, poi rimbalza di tre punti in quattro mesi...
Diamanti, questa roba lei la chiama "tenuta di Renzi??? Allunghiamo lo sguardo oltre il famoso "palmo dal naso", vuole?
Bene, dal mese di massimo splendore (giugno 2014) ad oggi (ottobre 2015), il mio contabile mi dice che il PD ha perso il 30%, Renzi ha perso il 41%. Allora, Diamanti, chi perde? chi "tiene"???
I fatti (che devono essere sempre tenuti separati dalle pugnette) dicono che crollano sia Renzi che il PD, ma che Renzi frana con una velocità estremamente superiore a quella del PD. E sa perchè? Perchè nonostante tutto il PD è ancora frenato, nella caduta, da quella massa di coglioni che chiamiamo ancora "militanti vecchio stampo", che non vogliono, proprio non vogliono, accettare il fatto che quel "coso" che Renzi si ostina a chiamare PD per ragioni di marketing politico, di fatto è una puteolente associazione fra post-democristiani, post- fascisti, post-tutto. Un cocktail maleodorante.
Quando qualcuno, in strada, cominerà a svenire per il fetore, allora presenterà tutto insieme il conto, sia a ciò che resta del PD, che a ciò che resta di Renzi. E allora, dato che siamo un popolo di coglioni, potremo finalmente essere governati dalla Meloni, da Salvini, da Verdini e da Angelino Alfano. Amen
Tafanus
Scritto il 17 ottobre 2015 alle 21:02 | Permalink | Commenti (10)
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In un moto imprudente di ottimismo, avevamo parlato di 300 milioni stanziati per i lauti aumenti a quei crapuloni di impiegati dello stato. Si sarebbe trattato, dopo un blocco degli stipendi che dura dal 2009, di una "limosina" di ben 4,71 euri netti al mese.
Non abbiamo neanche fatto in tempo a finire di ridere, che i 300 milioni sono già passati a 200, e quindi il lauto aumento è già passato da 4,71 euri al mese a 3,14 (...tu chiamali, se vuoi, emozioni... oppure ...)
Quindi basta con quello scialo di un caffè a settimana al banco! Si passa ad un caffè ogni 10 giorni, E attenti a scegliere il bar con oculatezza...
Tafanus
Scritto il 17 ottobre 2015 alle 18:01 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 16 ottobre 2015 alle 23:33 | Permalink | Commenti (0)
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“Bruxelles è una istituzione a cui diamo 20 miliardi di euro ogni anno e ne prendiamo indietro 11. Ogni anno, quindi, diamo 9 miliardi all’Ue. Non ci può dire quali tasse tagliare. Se Bruxelles ti boccia la legge di Stabilità tu gliela restituisci tale e quale e fa uno pari” (per pronostici accurati su come finiscano in genere le guerre di paesi-macchietta, indebitati fino al collo, e la UE di Merkel e Draghi, chiedere dettagli a Tsypras e a Berlusconi)...
Parola di Matteo Renzi che – oltre a garantire che “non ci saranno aumenti di altre imposte dopo l’eliminazione dell’Imu” – ha così commentato a Radio24 le ultime indicazioni della Commissione Ue sulle scelte governative di defiscalizzare la proprietà della casa invece del lavoro. In particolare giovedì, mentre l’esecutivo era riunito per il varo della manovra, il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis aveva ricordato che le questioni fiscali “sono prerogativa degli Stati, ma la Commissione deve vedere come quelle politiche affrontano gli squilibri macroeconomici e le sfide che i Paesi affrontano”.
“Bruxelles non è il maestro che fa l’esame, non ha i titoli per intervenire” sulle scelte economiche del governo, ha aggiunto il presidente del Consiglio sostenendo che “in questi anni c’è stata subalternità psicologica dell’Italia verso gli eurocrati. Certo di deve consigliare ma non ci deve dire la tassa da tagliare”. Il presidente del Consiglio ha quindi ribadito l’invito a “guardare i dati del deficit di altri Paesi” indicando la Spagna, che sfora il 3% e la Gran Bretagna che “quest’anno ha fatto il 5% del deficit” ed ha approvato “una riduzione di tasse da 20 miliardi finanziata in gran parte con il deficit”.
Pronta la replica da Bruxelles con Annika Breidthardt, la portavoce del Commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, che ha rimarcato che la Commissione Ue “ha le basi legali” per poter entrare nel merito delle misure della legge di Stabilità italiana: “Tutti gli Stati hanno firmato il Six pack, il Two pack, il Patto di stabilità e crescita e tutto è parte del Semestre Ue. Affronteremo ora la discussione per capire se le misure sono in contrasto con il patto di Stabilità e crescita”, ha aggiunto, precisando che il giudizio della Commissione sulla legge di bilancio italiana per il 2016 è attesa “alla fine di novembre“.
Tuttavia l’unica cosa su cui Renzi ha dei dubbi al momento è l’approvazione della clausola di flessibilità sui migranti che vale 3 miliardi di euro che Roma ha chiesto a Bruxelles per la legge di Stabilità. “Francamente non so se questo tipo di clausola sarà accolto o meno dalla Commissione”, ha detto giovedì sera al termine del vertice Ue. “Noi abbiamo tenuto una posizione molto rigorosa sulla legge di Stabilità. Abbiamo fatto la legge seguendo le regole europee. Una cosa non scontata, visto che in questo palazzo molti colleghi teorizzano l’importanza di rispettare le regole, salvo poi dimenticarsi di farlo – ha ribadito -. L’Italia invece anche in questo ha cambiato verso. Segue fedelmente le regole e anche quando ne contesta la validità. Oggi facciamo tesoro delle clausole ottenute dall’Italia durante il semestre italiano. Il 13 gennaio 2015 la Commissione ha fatto una buonissima comunicazione sulla flessibilità. Abbiamo tra i 13 e i 14 miliardi di spazio in più, che l’italia ha acquisito grazie a quel lavoro. Poi c’è una ulteriore ipotesi. L’abbiamo messa con tranquillità. Se la clausola sarà confermata, avremo uno spazio maggiore, che ci consentirà di anticipare misure previste per il 2017″.
Prossima puntata: Sparafucile 2.1, il Calamento di Braghe.
Tafanus
Scritto il 16 ottobre 2015 alle 22:04 | Permalink | Commenti (0)
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Gennaro, il Migliore - Un uomo senza vergogna. L'anno scorso di questi tempi si opponeva all'innalzamento dell'uso del contante fino a 500 euro. Oggi è ad 81/2 per lodare la marchetta renziana dell'innalzamento dell'uso del contante fino a 3.000 euro. Insomma, oggi lex "strenuo difensore dei diritti dei ceti meno abbienti", si esprime in maniera quasi più ridicola della Serracchiani e della Boschi... Da "Gennaro il Mgliore" a "Gennaro il Magliaro"?
Gennaro al Migliore Offerente: da R.C. a SEL a Renzi
Gennà... cchè ssa dda fà 'pe magnà...
Impiegati statali: cortei d'auto in tutta Italia per festeggiare l'aumento dello stipendio. Con lo stanziamento di ben 300 milioni di euro, i 3.280.000 impiegati del pubblico impiego avranno ben 91 euro all'anno (lordi) in più, pari a 7,04 euro (lordi) al mese), pari a ben 4,71 euro netti al mese, pari a ben 1,10 euro netti in più a settimana. Insomma, qui ci scappa un caffè al banco in più a settimana... Non è che così finiamo con l'incentivare il ben noto fannullonismo degli statali?
Ma ai poveri è andata meglio - Con la nuova legge di stabilità (la vecchia "finanziaria"), ben 700 milioni di euro sono stati stanziati per migliorare il tenore di vita dei 7,815 milioni di poveri. Dall'anno prossimo, costoro godranno (si fa per dire) di un supporto aggiuntivo di ben 7,50 euro al mese.
Quasi il doppio degli statali! Non li staremo mica viziando, questi cazzi di poveri?
Tafanus
Scritto il 15 ottobre 2015 alle 22:07 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 15 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Lo confessiamo: siamo invisiosi del successo che sta avendo l'Unirenzità, e in particolare la sua rubrica più intelligente: quelle geniali "Scintille" che quotidianamente ci illuminano, e ci illustrano la Grandezza di Renzi e di Maria Elena Boschi, di Grazzzie Grazzziano e di Matteo Orfini...
Abbiamo deciso quindi di avere anche noi (saltuariamente, perchè non riusciamo a partorire un pensiero intelligente ogni tre minuti), una piccola, artigianale produzione di "Scintille d'intelligenza". Però non riuscendo a produrre - come il tizio dell'Unirenzità - con le nostre forze, ci siamo aiutati scorrettamente con uno di quei vecchi accendigas piezoelettrici, che ormai sono introvabili oggetti art-déco la mercatini bric-à-brac. In calce, il simbolo della nostra rubrica per la produzione di scintille d'intelligenza:
Grazie a questo innovativo strumento hi-tech, siamo sicuri che anche noi riusciremo, ogni tanto, a produrre scintille d'intelligenza che arricchiranno la Costellazione del Giglio Magico. E"buon lavoro" ce lo auguriamo da soli...
Tafanus
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SCINTILLA - Narrano le cronche (anche quelle giudiziarie), che la Corte dei Conti stia cercando di capire (dopo l'eco e l'emozione destata dagli scontrini da 120 euro di Marino) come abbia fatto Renzi, da presidente della provincia, a spendere 600.000 euri in sole "grandi abbuffate".
L'esperto Ragioniere della Corte dei Conti ha valutato che, anche qualora Renzi, come Presidente della Provincia, abbia fatto pranzi e cene di PR tutti i santi giorni lavorativi di ognuno dei cinque anni, sarebbe riuscito a spendere 600.000 euro in "mangiatoia" in soli (si fa per dire) 1000 giorni di forchettonismo (200 giorni per 5 anni). Troppi.
Il Ragioniere ha fatto due conticini, ed ha stabilito che per raggiungere questo storico traguardo, Il FiòRenzino ha dovuto impegnarsi. Non è facile spendere tutti i santi giorni 1.200 euri (pari a 2,4 milioni al giorno del "vecchio conio), neanche portando a cena e pranzo tutto il Giglio Magico.
Noi invece, che stimiamo molto Renzi e i suoi cari, troviamo la cosa del tutto normale. Solo che, per quei misteriosi meccanismi che guidano l'inconscio, la faccenda ci ha fatto venire in mente un celeberrimo film di Alberto Sordi (Le Vacanze Intelligenti)...
Per la serie; "Ma che cazzo ve siete magnati", trasmettiamo...
Scritto il 14 ottobre 2015 alle 12:25 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 14 ottobre 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "NON ESSERE CATTIVO" (di Angela Laugier)
Regia: Claudio Caligari
Principali interpreti: Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Silvia D’Amico, Roberta Mattei, Alessandro Bernardini, Valentino Campitelli, Danilo Cappanelli, Manuel Rulli, Emanuela Fanelli, Giulia Greco, Claudia Ianniello, Elisabetta De Vito, Alice Clementi, Emanuele Grazioli, Luciano Miele, Stefano Focone, Massimo De Santis, Andrea Orano, Alex Cellentani – 100 min. – Italia 2015.
Recentemente candidato per rappresentare il cinema italiano agli Oscar, questo piccolo film è da poco stato proiettato fuori concorso al festival di Venezia dove ha ottenuto un generale apprezzamento, riconoscimento tardivo al regista misconosciuto e sfortunato Claudio Caligari, morto dopo anni di malattia, alla conclusione di questa sua ultima fatica, che fu girata grazie soprattutto alla mobilitazione di Valerio Mastrandrea, convinto sostenitore della qualità di questo lavoro e della necessità di ottenere i finanziamenti necessari per realizzarlo. Si tratta di una pellicola a metà fra il racconto e il documentario, ambientato in una delle più “maledette” periferie urbane: quella di Ostia, degradata e quasi abbandonata a se stessa, che ricorda le periferie raccontate per il cinema e nei romanzi dal grande Pier Paolo Pasolini.
I protagonisti, Cesare e Vittorio (i bravissimi Luca Marinelli e Alessandro Borghi) sono amici dall’infanzia e condividono le stesse speranze e la stessa attesa di un futuro tutto da vivere all’insegna della comune e smodata brama di accumulare le esperienze più estreme della violenza e della droga, per evadere dal destino disperato di emarginazione a cui sembra che nessuno, nato in quel luogo, possa sfuggire. Secondo i due giovani, poco più che ventenni, per sottrarsi alla legge che le bande di criminali impongono sul territorio, servono arroganza e violenza, oltre che molti soldi, che essi ottengono occasionalmente con qualche lavoro, ma più facilmente con la produzione e lo spaccio della droga sintetica e non, “opportunamente” tagliata. Dopo uno “sballo” pericoloso, che lo ha messo a rischio di impazzire, Vittorio decide di farla finita con quella vita e di mettersi a lavorare: non sa far molto, per la verità, ma un lavoro da muratore, senza troppo pretendere gli pare dargli il necessario per sopravvivere, ridimensionando i progetti più ambiziosi. Ha trovato una donna che gli piace e che ha un figlio che egli si ripromette di allevare come se fosse anche suo. Cesare, invece, sembra resistere: ha un passato molto doloroso e un presente che sta diventando terribile: una sorella è morta di AIDS, lasciando una bimba a cui ha trasmesso la malattia, ma che egli ama molto teneramente e della quale ora si occupa sua madre: con loro egli vive portando ogni tanto un po’ di denaro, frutto dello spaccio e dei furti, che perpetuano la sua scelta di vita violenta, irreversibilmente legata alla micro-criminalità dei bulli di periferia.
Scritto il 14 ottobre 2015 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Niente da fare. Al confronto di questo produttore di scintille, Aleksej Grigor'evič Stachanov era un vero dilettante! Il Nostro produce scintille, fuoco e fiamme, ogni volta che qualcuno osa dire su Renzi qualcosa che non sia un'ode o un madrigale...
Prendete la storia del Fatto Quotidiano (da noi ripresa) con la narrazione delle cene a sbafo (fattura al Comune), di Renzi, dei suoi cari, e del Giglio Magico... Passano poche ore, e qualcuno, di fronte al boomerang che potrebbero rappresentare 600.000 euri di cenette a fronte del massacro mediatico fatto nei confronti di Marino per 120+150 euri, forse convince l'oste ciarliero a ritrattare tutto.
Strano, vero, che un giornalista esperto si inventi tutto, senza sospettare che sarebbe arrivata la smentita dell'oste ciarliero... Eppure è esattamente ciò che avviene.
Renzi spera così di aver sepolto la faccenda sotto una coltre di cenere. Ma non tutti giudicano le "chiacchiere" del Fatto come bufale. Non le giudica bufale la Corte dei Conti, che apre un'inchiesta. Nè chi dovrebbe trovare online - a detta di Renzi - il dettagliatissimo elenco dei suoi scontrini, ma trova solo poche voci "aggregate", prive di dettagli: chi c'era a cena? perchè? quante volte? come si fa a spendere 1050 euri per una cena? Cosucce così... Legittimo chiedere, no? visto il polverone che 120+150 euro hanno sollevato a Roma.
Dubbi legittimi per tutti, tranne che per il Prode Scintillografo, il quale, a fronte di due "verità contraddittorie" (quella dell'oste e quella del Fatto), non approfondisce, non si chiede chi abbia interesse a cosa, non chiede riscontri al Comune per smentire l'oste che smentisce il Fatto, né per smentire il Fatto che smentisce l'oste. Sta di fatto che, appena "incassata" la smentita dell'oste, da l'Unirenzità parte - come da nostre attese - la "Scintilla d'Intelligenza":
Ahi ahi ahi, ragazzo dell'Unirenzità... Che fretta! Ha già fatto degli accertamenti, per scoprire che chi mente fra Il Fatto e l'oste Lino non può che essere Il Fatto? E se per caso qualcuno avesse invece convinto l'oste (i metodi di persuasione non mancano certo) a "scagionare" l'assiduo cliente?
Ma andiamo avanti: separare i fatti dalle pugnette non dovrebbe essere un problema, per la magistratura contabile, che dispone dei poteri investigativi della magistratura ordinaria. L'unica cosa certa, finora, è che Renzi ha speso circa 600.000 euro in "cenette & affini", a fronte di Marino (20.000 €) pur essendo il sindaco di una città alquanto più grande di Firenze, e cogli onori ed oneri aggiuntivi dell'essere la Capitale, e la città dove ha sede il Vaticano. Scintillografo, mi dica che affera, anche se a grandi linee, la differenza...
Ora, se qualcuno ha speso 600.000 euro, ci sono solo tre vie (o un mix delle stesse), per arricare ai "come" e ai "perchè":
-a) Ha pagato con la carta di Credito del Comune? Bene, ci sono gli estratti della banca emittente, con il dettaglio di data e ora, luogo, spesa, casuale della spesa. Metta a disposizione questi estratti, tanto la magistratura ci può arrivare lo stesso;
-b) Non ha usato la carta di credito, perchè diceva all'oste di "mandare la fattura al Comune? L'oste mostri le copie delle fatture spedite, il comune mostri le copie delle stesse fatture ricevute, e le pezze giustificative dell'avvenuto pagamento, nonchè l'indicazione dei capitoli di spesa nei quali sono state contabilizzate;
-c) I 600.000 euri sono stati sborsati, ma non esistono né estratti-conto, né fattture emesse o pagate? Brrrr....... non voglio neanche pensarci, perchè in tal caso l'unica ipotesi possibile è che il Comune abbia rimborsato al sindaco più amato dagli italiani un miliardo e duecento milioni "del vecchio conio" nella più totale assenza e/o irregolarità delle motivazioni e delle pezze d'appoggio.
Vede com'è semplice, la vita, caro scintillografo? Se riusciamo a mettere insieme le pezze d'appoggio, poi è un gioco da ragazzi - per esempio incrociando date, esercizi, partecipanti dichiarati, tabulati telefonici, stabilire se per caso non vigessero, anche a Firenze, disdicevoli abitudini, come quelle che hanno portato alle dimissioni del sindaco Marino.
E ora non ce lo dica...lo sappiamo da soli. Rubare 270 euro è, in linea di principio, grave quanto rubarne 600.000 (se dovessero risultare poco chiare le motivazioni delle spese, e dubbio l'elenco dei convitati. Ma questa ipotesi non la prendiamo neanche in considerazione... Il Sindaco più Efficiente d'Italia, Europa ed Eurasia avrà senz'altro delle ordinatissime agende sulle quali annotava tutto-ma-proprio-tutto, ed una efficientissima segretaria che faceva la stessa cosa, fissava gli appuntamenti, prenotava i ristoranti, si occupava di scontrini...
Forza, Scintillografo. Azioni la sua macchinetta produttrice di Scintille (insomma, quel coso che rassomiglia ad un accendigas da cucina...), per accertare i FATTI. E non per dare a botta sicura ragione all'oste 2.0 (La Rettifica) piuttosto che al Fatto.
Sa... si chiama "giornalismo". Gior-na-lis-mo.
Tafanus
Scritto il 13 ottobre 2015 alle 20:15 | Permalink | Commenti (14)
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Scritto il 13 ottobre 2015 alle 00:18 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 12 ottobre 2015 alle 15:55 | Permalink | Commenti (0)
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Il ristoratore fiorentino: “Renzi? Era sempre qui, fatturavo al Comune”
Lino Amantini, titolare del ristorante alle spalle di Palazzo Vecchio preferito dal premier quando era sindaco e presidente della provincia: "Non era mai solo e portava la qualunque. Sa quante tavolate, feste, pranzi e cene di lavoro qui dentro? Un’infinità. E poi si mandava la fattura direttamente al municipio. Da quando Matteo è andato a Roma m'è calato parecchio l'incasso"
Ricorda con chi Matteo Renzi venne a pranzo il 5 giugno 2007 quando spese 1.050 euro per un unico pasto?
Scherza?
E invece nell’estate del 2013…
Stop: non mi ricordo nulla, per carità. Ci mancherebbe pure questa: mica schedo i clienti, figurarsi.
Lino Amantini è il titolare del ristorante “Da Lino” il rifugio preferito da Matteo Renzi per pranzi e cene negli anni in cui era presidente della Provincia prima e sindaco di Firenze poi. Sono molte le ricevute di questa toscanissima trattoria alle spalle di Palazzo Vecchio finite all’attenzione della Corte dei Conti tra le spese di rappresentanza dell’attuale premier. Nei quattro anni alla guida della Provincia, in soli pasti Renzi raggiunse circa 600.000 euro, mentre dell’epoca da sindaco ancora il dettaglio non esiste perché gli scontrini sono al vaglio dei magistrati contabili salvo poche delibere reperibili da Palazzo Vecchio. Lino capisce immediatamente il motivo di queste domande e le anticipa. “Marino vero?”
Marino, sì
Marino deve aver toccato qualche armadio che non doveva aprire perché non s’è mai visto che un sindaco va a casa per qualche cena, stiamo parlando di 20 mila euro in due anni, giusto? Cioè niente.
Avrebbe mentito su alcuni commensali e il ristoratore, per quanto il sindaco non fosse cliente assiduo, ha una memoria ferrea.
Marino io non lo conosco, ma da quel che ho potuto leggere credo che non abbia il 100 per cento delle colpe, anzi. Lì c’è un mondo dietro, un mondo strano dal quale per fortuna io son lontano. Ma mi deve dire quale sindaco non va a cena fuori con le persone? Amici, familiari, politici, imprenditori. È normale, stupisce piuttosto tutto questo clamore per due cene, siamo seri.
Siamo seri. Lei non ricorda i giorni specifici ma si ricorda di Renzi come suo cliente?
Ma scherza? Matteo era sempre qui, mai solo e portava la qualunque. Amici, familiari. Ricordo benissimo che tre giorni prima di avere l’ultimo figlio venne con l’Agnese qui, aveva il pancione. Non toccatemi l’Agnese, eh, che è proprio bravissima, una persona meravigliosa guardi ed è rimasta quella di sempre, non è cambiata d’una virgola, first lady o no.
Leggenda vuole che in questo ristorante ci sia la “saletta Renzi”.
Leggenda un corno, è questa dove siamo seduti ora. Sa quante tavolate, feste, pranzi e cene di lavoro qui dentro? Un’infinità. E poi si mandava la fattura direttamente in Comune. Infatti da quando Matteo è andato a Roma m’è calato parecchio l’incasso. Gliel’ho mandato a dire da Luca che ogni tanto passa ancora: ‘digli che gli fo causa uno di questi giorni’.
Luca immagino sia Luca Lotti, anche lui suo cliente?
Lui e tutti gli altri. Eran bimbetti, li ho visti crescere. La Boschi, la Bonafè, Lotti, Bonifazi. Ancora? La Manzione. Tutti quanti, pensi che Carrai io lo chiamo ‘fratello’. Marco è un bravo ragazzo, ora viene con la moglie, bella coppia, gente proprio perbene. Con la moglie e la famiglia veniva anche Nardella.
Lui è rimasto
Sì, ora è sindaco lui ma non c’è paragone con i tempi di Matteo. Prima qui era sempre pieno e c’era la coda fuori di gente che voleva mangiar qui solo nella speranza di poter parlare due secondi con Matteo. Ora macché.. Oh per carità: Dario è intelligentissimo, preparato ma Matteo era un’altra storia.
E le fatture le manda ancora direttamente in Comune?
No, no. Ora chi viene paga di tasca sua, poi non lo so se chiedono i rimborsi o come funziona. Certo vengono molto meno, son cambiati i tempi. Nessuna tavolata e zero fatture al Comune. Poi Renzi spesso riusciva a far pagare l’ospite al posto suo, qualcuno da fuori, ma non mi chieda i nomi di politici o altro perché non me li ricordo: né che saldassero loro o lui. Comunque sembra passata una vita.
Ora sta a Roma
Io glielo dissi: non andarci a Palazzo Chigi senza prenderti i voti, lì ci devi andare legittimato dal voto popolare e portare i tuoi parlamentari altrimenti poi non sai chi ti ritrovi.
Verdini è mai venuto qui?
Esatto… infatti deve fare alleanze e gli tocca farle con Verdini. Lasciamo perdere, dire che noi romantici di sinistra siamo delusi è dire poco. Ma vabbè, ‘sto Paese va sistemato e se serve pure Verdini, come dice lui, amen. Vede però la stranezza?
Quale?
Per raddrizzare il Paese ci tocca digerire persino Verdini e quindi significa che deve essere di parecchio storto ‘sto Paese, però il sindaco di una città importante e difficile come Roma viene messo in croce per due cene.
Quindi?
Quindi nulla, a me non torna però se serve. E comunque ‘forza Matteo’, sempre. Il ragazzo ci sa fare, vedrà, è in gamba.
Sa dove cena a Roma?
No, ma sicuro s’è sistemato pure lì. Lasciatelo lavorare.
Lei condivide le riforme che sta facendo?
Mi lasci andare via, ora devo mettermi in cucina.
Ultima cosa: nel menu c’è ancora il piatto Renzi?
Certo, l’aveva inventato lui: salmone e melone.
Davide Vecchi - Il Fatto Quotidiano
...già... Marino ladrone per 120+150 euro. Va benissimo, per carità! anche chi ruba una caramella è un ladro, tecnicamente parlando... e un poveraccio che ruba una mela per fame dal banco di un "fruttarolo" è passibile di una condanna per "furto aggravato" dal fatto che la mela era esposta al pubblico e quindi sostanzilmente incustodita.
Ma cosa volete farci... Io resto dell'avviso che 120 euro per una cena siano meno di 1.050, e 20.000 euro siano meno di 600.000. Sarò mica malato? E ora mi metto comodo, in attesa del ninomastro di turno che mi spieghi che "tutto va bene" per attaccare Renzi. No, egregio. Come dimostrano ad abundantiam i fatti, "tutto va bene" per attaccere chi non si adegua a Renzi (per esempio Marino)
Ma un'altra domanda sorge spontanea... Renzi che aveva "in comodato gratuito" un bell'attico a due passi da Piazza della Signoria, gentilmente offerto da tale Carrai, che poi (naturalmente, per pura coincidenza) ha avuto un mare di appalti dal Comune di Firenze, non suscita nessuno scandalo nei "ninomastri uniti" di tutta Italia?
P.S.: Qualcuno che è in buoni rapporti coi gestori della "Enoteca Pinchiorri" di Firenze, potrebbe chiedere qual era il vino preferito di Renzi durante e sue cene di "rappresentanza", e quanto costava la bottiglia? Più o meno di 55 euri?
Tafanus
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Non siamo gentili... Conosciamo l'Enoteca Pinchiorri (una delle "mense" preferite dal Sindaco Emerito di Firenze), perchè un paio di volte ci è capitato di essere invitati a cena da alcuni "contatti" di lavoro.
Pubblichiamo in calce uno dei "menù fissi" della Mensa Aziendale Pinchiorri. Un menù, come si può osservare, assolutamente accessibile. A mezzogiorno, da Pinchiorri, c'è la fila fin fuori dal locale, di impiegati e segretarie in pausa pranzo che vanno a mangiare il menù fisso da Pinchiorri.
Naturlmente il menù è "vino escluso", ma possiamo assicurare, per esperienza diretta, che i prezzi dei vini della pregiata Enoteca Pinchiorri sono assolutamente in linea, in termini di convenienza, con quelli del proletrio "menù a prezzo fisso".
Ecco spiegato come Renzi sia riuscito a star dentro, frequentando questi modesti locali da "pausa pranzo", a "contenere le spese" entro i 600.000 euro. Altro che quello sprecome di Marino, giustamente cacciato a pedate nel culo!
Tafanus
Scritto il 12 ottobre 2015 alle 14:31 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 12 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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La volgarità di Barani-D'Anna e la loro punizione lieve hanno dato il colpo di grazia all'istituzione. Che è uscita dal cuore e dalla testa degli italiani (di Luigi Vicinanza - l'Espresso)
Dal "bivacco di manipoli" al manipolo di debosciati. La Storia per fortuna non si ripete e la tragedia finisce in farsa. Il Senato assomiglia più alla suburra romana che all'aula sorda e grigia della minaccia mussoliniana. D'altra parte Lucio Barani e Vincenzo D'Anna non hanno mai marciato su Roma; semmai hanno vagheggiato incursioni erotiche da trivio. Per il disonore dell'istituzione di cui sono membri irresponsabili.
Quel che è accaduto nell'assemblea di Palazzo Madama nella giornata di venerdì 2 ottobre è destinato insomma a lasciare un segno nella memoria collettiva; un ulteriore incoraggiamento verso la secessione silenziosa attuata da milioni di cittadini nei confronti degli istituti della democrazia parlamentare. Un rapporto in progressivo sgretolamento. Un elettore su due ha scelto di non votare nelle elezioni regionali dello scorso maggio (si votava in sette regioni: Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Campania e Puglia). Nell'autunno dell'anno scorso in Emilia Romagna era andato persino peggio: si recò alle urne meno del 38 per cento degli aventi diritto, uno choc per le tradizioni di partecipazione popolare in quella regione. Se si votasse oggi alle politiche, l'astensionismo sarebbe di gran lunga la forza più rappresentata. Contenitore di un malessere diffuso in tutti gli strati sociali, da nord a sud. Senza voce, oscura. Potenzialmente esplosiva.
La gestualità mimica di Barani e D'Anna, dunque, nella sua arrogante volgarità ha trasformato in sceneggiata la debolezza del potere primario di una sana democrazia: il potere legislativo. Agli occhi di troppi italiani appare come inconcludente e dispendioso. Mentre chi è chiamato ad esercitarlo nelle aule parlamentari fa di tutto per screditarlo ancor di più davanti ai propri elettori.
Un dato. Dall'inizio della legislatura, marzo 2013, hanno cambiato casacca 297 parlamentari; quasi uno su tre: 147 alla Camera su 630 e addirittura 150 su 315 al Senato (fonte Openpolis). La Costituzione garantisce la libertà di ogni singolo parlamentare (che rappresenta la Nazione, senza vincolo di mandato, come recita l'articolo 67), tuttavia la transumanza di questi mesi dall'opposizione verso la maggioranza – e viceversa – non si richiama a grandi valori e a solidi ideali. Siamo al soccorso del vincitore, italico sport in cui Denis Verdini e il suo gruppo sono abili e imbarazzanti campioni.
A questo evidente degrado della pratica politica Matteo Renzi assiste con calcolato e spregiudicato pragmatismo. Ha messo da parte la rottamazione. O meglio, ha smesso di rottamare personaggi ingombranti sia nel suo partito che tra gli alleati che di volta in volta gli si offrono in aiuto. Ha avviato invece una lucida rottamazione del sistema istituzionale esistente. A partire dal Senato. I cui stessi componenti con il loro modo di fare si stanno suicidando tra gli applausi del pubblico. Non solo la coppia Barani-D'Anna, ma anche l'ufficio di presidenza che, applicando appena cinque giorni di punizione, ha mostrato tutta la sua debolezza. È così che si esce dal cuore e dalla testa degli italiani. È così che si stuzzica la pancia del Paese. Se le istituzioni sono poco rappresentative e rispettate, meglio emarginarle nel nome della Grande Riforma.
Un parallelo urticante e anticonformista, con Bettino Craxi e gli anni della sua ascesa al potere è contenuto nell'analisi di Piero Ignazi. Mentre Michele Ainis la scorsa settimana ha individuato nella costruzione in corso una forma di presidenzialismo non dichiarato. Accentratore, veloce nel prendere le decisioni, in comunicazione diretta e permanente con il suo popolo. Con i talk show ridotti all'inutilità, come spiega Massimo Cacciari. Con persone amiche, legate al vincolo dell'appartenenza, nei posti che contano. Il populismo riformista di Renzi insomma si alimenta della debolezza stessa dei meccanismi democratici così come li abbiamo finora conosciuti. Bersani e i superstiti compagni della "ditta" denunciano il tradimento dei valori costitutivi del Pd e quindi della sinistra. C'è del vero. Ma i fallimenti politici attribuibili alla loro storia hanno spianato la strada al premier-segretario unico. Di fronte a un Paese sfibrato il renzismo si pone come semplificazione dei riti della seconda inconcludente repubblica. Un uomo solo al comando. Un azzardo. Buona fortuna a chi sarà comandato.
(Luigi Vicinanza - l'Espresso)
Scritto il 11 ottobre 2015 alle 14:42 | Permalink | Commenti (0)
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Se n'è andato con la stessa discrezione con la quale ha vissuto. In punta di piedi... Gli amici più intimi sapevamo da tempo che il problema non era "se", ma "quando". Eppure quando la cosa accade, non può che colpirci dolorosamente.
Nonna Mana sapeva che io e Marisa seguivamo gli eventi col massimo di discrezione... Qualche volta chiedevamo notizie, qualche volta Mana ce le mandava spontaneamente, talvolta le notizie arrivavano da amici comuni...
Valter ci seguiva sempre, ma non scriveva mai. E' sempre stata Mana, per anni, la prima a commentare, col suo spirito caustico tipico delle sue origini contadine orgogliosamente rivendicate. Di Valter sapevo che apprezzava molto le rubriche musicali dedicate al jazz, e ogni volta che facevo un post sull'argomento mi chiedevo: "piacerà a Valter?"
Marisa ed io non dimenticheremo mai il nostro incontro a Venezia, con Rita e Carlo. Alla stazione, all'arrivo, li avremmo riconosciuti fra mille, anche senza averli mai visti. Erano esattamente come ce li immaginavamo. Sono arrivati - pur dovendo restare un solo giorno, con un enorme valigione. Erano tutti "pensierini" per me, per Marisa, per Rita, per Carlo...
Mana non ha avuto molta fortuna... uscita con tenacia da una grave malattia, si è trovata quasi senza soluzione di continuità a fronteggiare quella, ben più grave, di Valter. Ho sempre pensato che Valter, nella sfortuna, abbia avuto la fortuna di essere sostenuto da una donna speciale come nonna Mana.
Ora Valter ha finito di soffrire, e noi vorremmo solo che Mana se ne facesse una ragione in fretta, e trovasse qualche anno di completa serenità e di tempo da dedicare a se stessa e alle persone che le sono care...
Ciao, Valter... ti mandiamo il nostro ultimo regalo... Forse un "dopo" esiste, e magari c'è anche una connessione internet... Sono sicuro che ti piacerebbe. E' la più brava cantante jazz degli ultimi dieci anni. E' figlia di un'operaio e di una sarta, e nel 1998 ha lasciato la sua Torino, è andata con una borsa di studio negli USA, e adesso li è considerata l'erede di Ella Fitzgerald. E la bellissima canzone è "'Round Midnight". Si... intorno a mezzanotte. Quando i pensieri tristi a volte ci impediscono di addormentarci...
Ciao, Mana... c'è tanta gente che ti vuole bene....
Antonio e Marisa
Scritto il 10 ottobre 2015 alle 22:42 | Permalink | Commenti (16)
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Alle nove di sera il Mostro Marino, sindaco dimissionario di Roma, ha la voce esausta di un chirurgo dopo dieci ore di camera operatoria. «È da ieri che non mangio e che non mi siedo: proprio come quando operavo». (di Massimo Gramellini)
Se ne va a casa per cinque scontrini di ristorante non giustificati?
«Ci avevano provato con la Panda rossa, i funerali di Casamonica, la polemica sul viaggio del Papa. Se non fossero arrivati questi scontrini, prima o poi avrebbero detto che avevo i calzini bucati o mi avrebbero messo della cocaina in tasca».
Su qualche sito sono arrivati a imputarle di avere usato i soldi del Comune per offrire una colazione di 8 euro a un sopravvissuto di Auschwitz.
«Se è per questo, mi hanno pure accusato di avere pagato con soldi pubblici l’olio della lampada votiva di san Francesco, il patrono d’Italia, “per farmi bello”. Senza sapere che sono centinaia di anni che il sindaco di Roma, a rotazione con altri, accende quella lampada».
Vox populi: si dava arie da integerrimo e invece sotto sotto era uno spendaccione come gli altri.
«Infatti una volta in cui mi trovavo in albergo a Londra per un convegno con i sindaci europei, ho rinunciato al buffet da 40 sterline perché mi sembrava uno schiaffo alla miseria. Ho attraversato la strada e sono andato da Starbucks».
Ci sono cinque note spese in cui lei sostiene di avere cenato con qualcuno che invece nega di essere stato a tavola con lei.
«Ho già detto che sono disposto a pagare di persona le mie spese di rappresentanza di questi due anni: 19.704,36 euro. Li regalo al Campidoglio, compresa la cena in onore del mecenate che poi ha staccato l’assegno da due milioni con cui stiamo rimettendo a posto la fontana di piazza del Quirinale, sette colonne del foro Traiano e la sala degli Orazi e Curiazi».
Ma quelle note spese sono bugiarde oppure no?
«Io non so cosa ci hanno scritto sopra. Ho consegnato gli scontrini agli uffici, come si fa in questi casi. Non escludo che possa esserci stata qualche imprecisione da parte di chi compila i giustificativi».
Si aspettava che sarebbe venuto giù il mondo?
«Ho rotto le uova nel paniere del consociativismo politico. Ho riaperto gare di acquisti beni e servizi che erano in prorogatio da una vita. Ho tolto il business dei rifiuti a una sola persona e il patrimonio immobiliare a una sola azienda che ha incassato dal comune 100 milioni negli ultimi anni, la Romeo».
Da Renzi si sarebbe aspettato un atteggiamento diverso?
«Diciamo che Renzi non ha avuto la possibilità di apprezzare i cambiamenti epocali che abbiamo fatto in questa città».
Si sente pugnalato alle spalle dal suo partito, il Pd? Non una voce si è alzata a sua difesa.
«Mi hanno espresso vicinanza in due. Il ministro Graziano Del Rio e Giovanni Legnini, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Erano entrambi molto avviliti per quanto accaduto».
E Renzi?
«Non avendo avuto l’opportunità di parlare col presidente del consiglio, non ho potuto conoscere qual è il suo giudizio».
Brr, che freddo. Lei ha presentato le dimissioni dicendo che in base alla legge ha venti giorni di tempo per ritirarle. Cos’è, una minaccia?
«Ma si figuri. Prendo atto che Pd e Sel, due partiti della maggioranza, hanno chiesto le mie dimissioni. E un chirurgo non può restare in sala operatoria senza il suo team»
Pensa che qualcuno starà festeggiando?
«Sicuramente. Eppure oggi ho visto tanti volti rigati dalle lacrime… Alfonso Sabella, assessore e magistrato, mi ha detto che non piangeva così da 35 anni. E dieci consiglieri del Pd su diciannove mi hanno assicurato con le lacrime agli occhi che erano contrari alle mie dimissioni»
Dieci su diciannove è la maggioranza… Se erano sinceri, il partito è spaccato in due. Tornerà indietro?
«La decisione non è più nelle mie mani. E io sono l’ultima persona al mondo che vuole occupare una poltrona. Questo incarico meraviglioso mi ha procurato problemi familiari enormi, proiettili in busta e perdita della libertà personale».
Sta scrivendo un libro sull’esperienza di sindaco e queste dimissioni vi aggiungeranno ancora più pepe. Pensa di avere pagato a caro prezzo la sua natura di marziano a Roma, anzi di marziano della politica, troppo ingenuo nei rapporti e poco avvezzo ai compromessi?
«Se sono accuse, le considero medaglie. Non sono mai andato nei salotti e alle cene della Roma che conta. Non ho mai frequentato il mondo che in passato era abituato a decidere assieme alla politica le strategie economiche della città. Io alla terrazza ho sempre preferito la piazza. E vorrei ricordare che il 5 novembre avverrà un fatto storico: Roma sarà parte civile nel processo di Mafia Capitale. Noi abbiamo tagliato le unghie a chi voleva mettere le mani sugli affari».
Ma le mani hanno finito per tagliarle a lei. E proprio alla vigilia di un evento come il Giubileo. Come mai?
«Non lo so. Certo nei prossimi giorni bisognerà decidere quando e come investire sul Giubileo… La mia giunta ha segnato una discontinuità. Mi auguro che chi verrà dopo di me non riporti Roma indietro».
Sembrano le parole di un uomo nauseato dalla politica.
«Diciamo che il comportamento di una parte della classe dirigente non mi ha entusiasmato. Ho provato a interrompere il consociativismo degli affari che fa sedere maggioranza e opposizione intorno allo stesso tavolo, senza scontrini… E ho pagato per questo».
(Massimo Gramellini)
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Lo premetto, non sarò breve. Sparare a palle incatenate contro un sindaco che ha ereditato ciò che hanno lasciato Alemanno, Storace, Polverini, la trovo operazione insensata, con sfumature di oscenità. Marino è stato poco furbo? Si, lo è stato. Lo confesso. Uno che si arricchische a spese della collettività "rubando" 5 cene, in una città dove avrebbe potuto diventare miliardario prendendo mazzette su appalti miliardari e concessioni edilizie, è poco furbo.
Stupisce il fatto che a suo tempo abbia destato meno scalpore l'ex autista di sciaraballi Storace che, nei due mesi precedenti la fine del suo mandato da "Governatore", ha assunto in Regione ben 475 DIRIGENTI a tempo indeterminato con stipendi da dirigenti, e curricula da ridere. Alcuni scrivevano addirittura di essere "automuniti", e "aurtocertificavano" la conquista della licenza di terza media inferiore.
Il Mostro Marino e le sue 5 cene hanno fatto più scalpore dell'affaire Polverini... (solo uno dei tanti). Riprendiamo da Wilipedia:
La Corte dei Conti ha aperto un'istruttoria sui presunti sperperi di denaro pubblico da parte della Regione Lazio: i magistrati contabili stanno analizzando casi di finanziamenti (per un totale di svariati milioni di euro) effettuati dalla Polverini e dai suoi uomini per le cosiddette "spese di comunicazione" della Regione. In particolare si sta studiando la documentazione di una gara di 184.300 euro per una campagna promozionale sugli sconti sui biglietti di autobus e tram per gli under 30. Tale gara è stata vinta da Francesco Miscioscia, pubblicitario ed ex candidato nella lista Polverini nelle elezioni regionali del 2010
Stupisce il fatto che nessun rilievo abbia avuto in Renzubblica il fascicolo aperto dalla Corte dei Conti sulle irregolarità di bilancio del Comune di Firenze, quando Renzi ne era il "sindaco più amato dagli italiani:
[...] come tutti i Comuni, anche quello di Firenze ha delle “riserve” che devono essere usate per specifiche necessità. La legge prevede una sorta di deroga e quindi permette di utilizzarli per altre spese ma a condizione che poi quelle riserve vengano ricostituite. Renzi se n’è dimenticato. La cifra? 45.888.216 euro. Fondi che “potevano essere ricostituiti integralmente con gli incassi avvenuti nei primi mesi del 2014”. Ed elenca: “Somme correnti depositate nei conti correnti 5,5 milioni”, “trasferimenti ministeriali per il funzionamento degli uffici giudiziari per il 2011 e il 2012 per 28,6 milioni” e, infine, i “contributi erariali per 5,7 milioni”. Invece, bacchettano i giudici, li avete spesi in altro denotando “una sostanziale difficoltà nella gestione dei flussi di cassa” e mettendo a rischio “l’equilibrio e la stabilità finanziaria dell’ente” [...]
Fatti i conticini??? 45.888.216 euro (pari a 90 miliardi del "vecchio conio"; o, se preferite, a 382.401 "cene" da 120 euro.
Stupisce il fatto che abbiano avuto un maggior rebound mediatico le cene di Marino, che non il viaggetto in Falcon di Stato di "Renzi e i suoi cari" per una sciatina". E persino la marchetta "US Open", che è costata alcune centinaia di migliaia di euro...
Ma vedo che nessuno è stupito per queste cifre a 5 o 6 zeri, e tutti sono impressionati da cinque scontrini di ristorante.
...se avete ancora un attimo di pazienza...
Negli anni '70, quando io, per impegni legati al mio lavoro, passavo più tempo in aereo e in albergo che in ufficio o a casa (nel '75, in particolare, ho superato le 200 ore di volo), a volte tornavo in ufficio, lasciavo alla segretaria buste di scontrini (con peghiera di controllo), correvo a casa, cambiavo la roba in valigia, e ripartivo... Succedeva che al rientro da un viaggio in Nord Europa, portassi valigiate di scontrini in fiammingo, norvegese, svedese, finlandese (dove i ristoranti si chiamano "ravintola")... Così come da un viaggio in Israele, Grecia, Cipro, Egitto, tornassi con scontrini in aramaico, greco moderno, arabo...
Si, forse se un giorno qualcuno di mettesse alla caccia dei miei "calzini turchesi", potrebbe smascherarmi... Potrebbe scoprire che qualche scontrino classificato in contabilità come cena, fosse un cognac bevuto DOPO cena al bar dell'albergo...
Stessa storia quando facevo il giro delle aziende a noi collegate in estremo oriente. In tal caso mi ritrovavo con scontrini in giapponese, cantonese, mandarino, tailandese... e Dio solo sa se non sarà entrato in nota spese anche un biglietto al Circo di Pechino...
Trovo assolutamente ridicola la storia di attaccare Marino per i 120 euro di cena, come trovo ridicolo (o in malafede?) assimilare la sua decisione di restituire tutte le spese di rappresentanza (20.000 euro in due anni, per una città coem Roma) come una confessione di reato. Cerchiamo di leggere cosa è stato detto e scritto: Marino restituisce TUTTE le spese di rappresentanza, anche quelle perfettamente lecite. Qualcuno preferisce leggervi una confessione di reità. Si accomodi. Ma a questo punto spieghi anche perchè i solerti investigatori renzi-mandati abbiano smascherato solo 5 cene, per poche centinaia di euro, e non 20.000 euro di cene, calzini turchesi e mutande verdi... Meno di quanto spende la Parma di Pizzarotti, per capirci.
Marino è poco diplomatico? Si, lo è. Ma da qui a dire che un "furto" di 270 euro si possa assimilare ai milioni di euro dei Belsito, dei Galan, di Renzi che dalla vigilia della nomina a Presidente della Provincia di Firenze si è fatto "assumere" come Dirigente dall'aziendina di famiglia (ora in bancarotta, e nella quale dopo la nomina a Predidente della Provincia non ha messo più il naso) incamerando per anni contributi previdenziali sui quali a tempo debito prenderà una ricca pensione... Esatto. Renzi dal 2004 a fine mandati politici si farà accreditare contributi previdenziali (ad euro correnti) di almeno 22.000 euro all'anno su uno stipendio minimo contrattuale di 66.000 euro all'anno. E 22.000 euro per 19 anni (se, come va predicando, vuole governare fino al 2023) sono 418.000 euro. Poi, prenderà la sudata pensione da dirigente d'azienda su questa situazione contributiva, senza aver lavorato neanche un mese in quall'azienda, peraltro in bancarotta.
E noi stiamo qui a disquisire sui calzini turchese di Marino? e sulle "buche nelle strade" che Marino stesso avrebbe fatto col Black&Decker, per rovinare le levigatissime strade lasciate da Alemanno?
Parliamone, se volete.Ma senza dimenticare che ha messo in nota spese un aperitivo da 9 euro offerto ad un mecenate che ha dato a Roma oltre due milioni di euro per il restauro di importanti opere. Un bel rapporto di cambio, vero?
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Marino non è un politico. Vero. Vero e meno male. I politici hanno creato il monopolio sporco e puteolente di Malagrotta, il non-politico lo ha smantellato. I "politici conducono da anni lavori di grandi dimensioni senza gare d'appalto, in regime di prorogatio: Marino ha smantellato il sistema. I politici hanno affidato TUTTO il patrimonio pubblico immobiliare di Roma alla Famiglia Romeo, Marino ha smantellato il sistema.
Marino ha sbagliato? Si. ha sbagliato. come è noto, chi tocca i fili, muore
Ma ora calma e gesso. Renzi sta già pensando di abolire le primarie che fortemente volle quando servivano a lui. E per il futuro Sindaco di Roma, una volta liberatosi di Marino, ha già delle grandi idee. Un uomo dichiaratamente di centro-destra come Alfio Marchini, e due comici: Gigi Proietti (che avrebbe detto già "no grazie"), e Enrico Montesano (che invece ha già iniziato la campagna, come se avesse già ricevuto la candidatura... Ma il mondo non era fatto di primarie?
Tafanus
Verdone ha iniziato l'autopromozione
No, Verdone, NOOOOOOOOOOO... Ti scongiuriamo! se questo è il tuo livello di populismo, lascia perdere! Continua a farci ridere facendo il comico professionista... Di comici prestati alla politica abbiamo già avuto Berlusconi, Razzi, Renzi, la Boschi coccodrillata, la LadyLike, Salvini, Bossi, la soubrette Carlucci, la cantantista Iva Zanicchi... Ofelee, fa' el tò mestè...
Tafanus
Scritto il 09 ottobre 2015 alle 15:44 | Permalink | Commenti (11)
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Scritto il 09 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Nel febbraio 2013 il segretario del Pd era Pier Luigi Bersani e, scavando negli archivi, si scopre che gli impresentabili dem erano “soltanto” sette su quaranta. A dicembre dello stesso anno Renzi ha conquistato il partito e i 7 sono diventati 27 (due sottosegretari e 25 parlamentari), e di mezzo c’è pure l’arrestato (ora ai domiciliari) Francantonio Genovese. Ecco l’elenco.
Scritto il 08 ottobre 2015 alle 21:47 | Permalink | Commenti (0)
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Oggi l'Unirenzità prosegue nella sua campagna di matrice renzina contro Ignazio Marino. Il foglietto di D'Angelis, fondato da Matteo Gramsci (ma le tirerà, 5.000 copie? l'ho chiesto alla segreteria del giornale, ma per ora non ho avuto risposte...), fiancheggiato da Renzubblica, fa lo "sgub". Uno sgub enorme.
Dunque, le due testate gemelle hanno smascherato il delinquente Ignazio Marino: nell'autunno del 2013, costui avrebbe fatto due cene al ristorante, a Roma: una da 120 euri, e l'altra da ben 150 euri. Non è ben accertata e/o documentata la natura istituzionale di queste due cene. Questo lo "strillo" in home-page de l'Unirenzità online:
Questi i fatti nudi e crudi. Che - se accertati - sarebbero di una gravità estrema, avendo comportato un danno erariale di ben 270 euro complessivi. E davanti a danni di simile entità, c'è ancora qualcuno che insiste nel voler conoscere i costi della "settimana bianca" del renzino e della sua famigliola con (ab)uso di un Falcon di Stato, o il costo della marchetta "US Open" con aereo di stato. E c'è persino qualcuno che stigmatizza l'acquisto di un "aereo blu" per Renzi... In fondo, si tratterebbe solo di un Airbus 350 modificato, dal costo di soli 170 milioni di euro...
E mentre Renzi e i suoi "giornalai" scatenano la guerra nucleare sulle due cene di Marino, ecco che salta fuori che la Corte dei Conti (non Civati, Bersani e Cuperlo) ha pesantemente censurato la gestione dei conti del Comune di Firenze gestito da Renzi... Questa la notizia:
Scritto il 07 ottobre 2015 alle 15:56 | Permalink | Commenti (33)
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Scritto il 07 ottobre 2015 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 07 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 06 ottobre 2015 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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A 4 anni dalla morte di Gheddafi, il Paese è dilaniato dalla guerra civile. E, senza un accordo tra le fazioni, la gente minaccia di invadere l'Europa (Fonte: Inchiesta "l'Espresso")
A quasi quattro anni dalla fine della Rivoluzione che portò alla fine del regime dell'ex raìs Muammar Gheddafi (ucciso il 20 ottobre 2011), la Libia dondola sull'orlo del baratro, con una popolazione stremata dal lungo conflitto interno e dalla nuova minaccia rappresentata dalle frange islamiste seguaci dello Stato islamico. Gli scontri armati si sono trasferiti dalle periferie ai centri delle città. Bengasi, secondo centro per importanza del Paese, è ridotta ad un cumulo di macerie: le scuole restano chiuse e gli ospedali sprovvisti di medicinali. Sirte, strategica per la sua posizione cardine lungo le direttrici nord-sud ed est-ovest, è in mano agli uomini del califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Misurata, un tempo roccaforte inespugnabile, da quattro mesi è teatro di frequenti attacchi esplosivi per mano dello Stato Islamico. Obari, città nel deserto a sud, è in preda ai pesanti battaglie tra gruppi etnici rivali. Ad Ovest della capitale, i frequenti scontri tra i molteplici gruppi armati bloccano la litoranea verso la Tunisia, unico via di fuga dal Paese via terra.
Per una risoluzione diplomatica del conflitto la Libia ha ancora pochi giorni di tempo, visto che sta scadendo il mandato del Parlamento insediato nella città orientale di Tobruk. Se non verrà formato un Governo di unità nazionale, le Nazioni Unite si ritroveranno senza alcun interlocutore riconosciuto sul territorio e il confronto sarà solo militare. Un'ipotesi non del tutto remota, al netto dei proclama ottimistici dell'inviato speciale dell'Onu Bernardino Leon. Tuttavia anche se il dialogo tra i due Parlamenti (Tobruk e Tripoli) portasse a un accordo, non sarebbero comunque scongiurati i rischi del proseguimento di un sanguinoso conflitto. I fondamentalisti tenterebbero sicuramente di boicottare l'intesa a suon di attentati.
LA MAPPA DEL CAOS - Sul terreno le alleanze si rompono e si ricompongono a geometrie variabili. E nel grande caos non si vedono leader capaci di far uscire il Paese dalla crisi. Ecco la mappa area per area.
La coalizione "Fajr Libya", Alba della Libia, guidata dalle forze armate della città di Misurata che un anno fa scacciarono dalla capitale i gruppi armati della città rivale Zintan costringendo il nascente Parlamento a rifugiarsi nella città orientale di Tobruk, non esiste più. Di fronte all'avanzata degli uomini dello Stato Islamico, i moderati di Fajr Libya nella regione occidentale hanno rotto i rapporti coi Fratelli Musulmani ai vertici del Congresso di Tripoli. Per Misurata la guerra ai terroristi arroccati a soli 250 chilometri dai propri confini è divenuta una priorità. Gli ottantamila uomini armati di cui dispone e che erano stati "prestati" ad altri territori, sono stati fatti rientrare in città per rafforzare la linea di difesa.
Anche Zintan, unica città alleata nella regione occidentale del generale Khalifa Haftar, l'uomo forte al servizio del governo di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale, ha firmato lo scorso giugno un accordo con le forze ex Fajr Libya, nonostante le battaglie che avevano combattuto gli uni contro gli altri armati sul monte Nafusa e poi sul fronte di Wathiya. Haftar, ex generale dell'esercito gheddafiano, poi disertore rifugiatosi per venti anni negli Stati Uniti fino alla sua ricomparsa sulla scena libica in occasione della rivoluzione del 2011, oggi è leader del movimento "Karama", "Dignità" in arabo. È sostenuto, assieme al governo di Tobruk, dal presidente egiziano Al Sisi, nemico numero uno dei Fratelli Musulmani. Ma sta perdendo consensi anche a Bengasi, il capoluogo dell'est dove dovrebbe essere acclamato come un eroe per essere intervenuto in sua difesa. «Sono finito in una delle prigioni di Haftar, dove ho incontrato decine di attivisti torturati solo per aver espresso su Facebook dei commenti negativi sulla sua campagna contro i fondamentalisti», ha rivelato a "l'Espresso" un attivista dei diritti umani di Bengasi, che per questione di sicurezza preferisce mantenere l'anonimato. Poi ha aggiunto: «Haftar dice di voler combattere i terroristi islamici, ma il suo unico scopo è quello di conquistare il potere».
In questo quadro così frammentato, anche l'informazione diventa propaganda. E del resto è noto che la prima vittima della guerra è la verità. Vale anche per la notizia, smentita in poche ore, circa la morte di Salah Maskhout, presunto trafficante di migranti della città orientale di Zuwara, per mano di un commando di forze speciali italiane. In molti ci hanno visto un gioco politico: attribuire al presidente del Congresso di Tripoli Nouri Abu Sahmein le accuse contro gli italiani mirava probabilmente a minare i rapporti tra l'Italia, in prima fila per un eventuale intervento militare in Libia, e le autorità che controllano l'Ovest del Paese. O semplicemente puntava ad innescare una reazione degli estremisti in attesa della loro legittimazione per fare proselitismo contro gli infedeli possibili invasori.
CRIMINALITÀ E CORRUZIONE - Prezzo del pane triplicato, code alle stazioni di benzina, stipendi in arretrato anche di sette mesi, mentre il dinaro libico è in picchiata. Ecco la fotografia dell'andamento dell'economia. Gli investitori sono scappati, la disoccupazione è aumentata in modo esponenziale. Così come la delinquenza e la corruzione.
Di fatto, solo l'Eni continua a presidiare il territorio con la sua politica di equidistanza tra i due Parlamenti che si proclamano legittimi rappresentanti del popolo. L'esportazione dell'oro nero attraverso i canali Opec si è assestata grosso modo attorno ai 380 mila barili al giorno nel corso dell'ultimo anno: meno di un quarto della produzione pre-rivoluzione. Ma secondo la National Oil Corporation, di base a Tripoli, esiste un florido traffico parallelo di derivati petroliferi che alimentano un volume d'affari di oltre 10 milioni di euro al mese.
Il sogno dei federalisti della regione orientale della Cirenaica di vendere il petrolio al di fuori del canali nazionali si è infranto con l'intervento dei Navy Seals americani che, nel 2014, hanno bloccato e preso il controllo della petroliera "Morning Glory", battente bandiera nordcoreana, carica di greggio. Era un monito: non provateci mai più. Il traffico di diesel al largo della costa occidentale del Paese nordafricano verso l'Europa continua invece a prosperare. Del resto il traffico fuori controllo di petrolio intacca direttamente gli interessi delle società petrolifere internazionali, mentre quello del diesel si risolve banalmente in un mancato incasso per la Banca centrale della Libia. Così nel Paese dilaniato da localismi, potentati regionali e corruzione, una mano lava l'altra. «Anche i militari dell'agenzia europea Frontex», dice a "l'Espresso" il capo della Guarda Costiera libica Reda Eissa, «si girano dall'altra parte quando vedono tanker pieni di diesel passare sotto il loro naso».
La corruzione ha portato anche al crollo verticale della moneta locale. Sebbene sul mercato ufficiale il tasso di cambio del dinaro libico con l'euro sia rimasto stabile a 1,56 euro, al mercato nero oggi un euro costa 3,5 dinari libici, un terzo in più di un mese fa e il doppio di un anno fa. La speculazione sul tasso di cambio sembra uno dei business più floridi: cordate di dipendenti di istituti bancari negano agli sportelli la valuta straniera disponibile per redistribuirla su migliaia di conti correnti dei circuiti delle carte di credito; loro soci prelevano da questi conti corrente dollari o euro presso gli sportelli automatici in Turchia, Malta, Italia, per poi rientrare in Libia e vendere la moneta straniera sul mercato nero con un ricarico del 40 per cento.
Florido anche il mercato dei rapimenti e le bande criminali che si dedicano a questo tipo di reato si moltiplicano. A Tripoli sono decine le persone che ogni giorno spariscono. Vengono prese per strada e portate in prigioni illegali dove restano fino al pagamento del riscatto. Fuori dai centri, delinquenti armati inscenano check-point fasulli, obbligano le macchine a fermarsi e prendono conducente e passeggeri . Dal sud della Libia, a Sabha e Obari, giungono voci di frequenti sequestri di bambini. Il riscatto spesso non supera un migliaio di euro. Esistono organizzazioni che applicano lo stesso schema anche ai migranti. Pure loro sono rapiti, schiavizzati, costretti a pagare riscatti coi soldi accumulati per tentare la via dell'Europa e poi imbarcati sulle carrette del mare che sfidano la sorte nel Mediterraneo. «Morto un Gheddafi, ne sono nati altri cento», è lo slogan che si sente ripetere. Il significato è inequivocabile: prima avevamo a che fare con un bandito, ora con molti di più.
POPOLAZIONE IN FUGA - Le vittime della guerra civile in corso sono oltre 4.000 secondo fonti attendibili. L'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati stima in 500 mila il numero degli sfollati interni solo nell'ultimo anno. A cui va aggiunto un milione di persone che hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti come Tunisia e l'Egitto. I più lungimiranti avevano lasciato la Libia due anni fa. Quelli che sono rimasti, sperando in una ripresa del Paese e nella fine delle ostilità, si sono pentiti. «I miei amici continuano a morire. Se resto, vado a combattere anch'io. Ma questa guerra è un gioco più grande di me; e io non voglio morire per qualcosa che non capisco fino in fondo, dunque finirò col prendere la via della fuga», dice Mohammed, 25 anni, di Tripoli. Mohammed ha già provato lo scorso aprile a partire con alcuni suoi amici con destinazione Svezia, ma l'Europa ha rifiutato la sua richiesta di visto. Oggi ci sta riprovando con un permesso studio per Malta.
Espatriare legalmente per i libici è sempre più complicato. Il passaporto elettronico, obbligatorio da due mesi, costa circa 1500 euro. È la tariffa imposto dai funzionari corrotti, che approfittano della scarsa disponibilità di passaporti con microchip. La produzione di nuovi passaporti è bloccata per via dell'impasse politica-amministrativa che la presenza di due governi comporta. Anche se si riesce ad avere l'agognato documento, il visto Schengen resta nella maggior parte dei casi un miraggio.
Finora non sono molti i libici che tentano l'avventura della traversata del Mediterraneo. Tra i sopravvissuti del naufragio dello scorso agosto al largo della costa della città orientale di Zuwara c'era anche una famiglia libica. Pochi altri hanno tentato la sorte sulle carrette del mare. Ma attenzione. Se Bernardino Leon dovesse fallire, se non si troverà un accordo per far cessare la guerra civile, l'Europa dovrà prepararsi a un nuovo flusso di migranti. Stavolta non provenienti dalla Siria e dall'Africa nera. Stavolta sarebbero i libici a voler abbandonare la loro terra. E loro a Lampedusa sanno come arrivarci.
Scritto il 05 ottobre 2015 alle 22:12 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 05 ottobre 2015 alle 20:00 | Permalink | Commenti (0)
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...hanno la faccia come la faccia...
Il conformismo intorno al leader. Il partito di governo senza alternativa. Le polemiche contro i "disfattisti". La Rai delle buone notizie. Il modello di Renzi è l'Italia di quella stagione. Manca però il miracolo economico (Marco Damilano - l'Espresso)
Un partito unico di governo e un solo leader alla loro guida: del partito e del governo. L'epica e la retorica della crescita e della ricostruzione dopo le macerie. Il patto di ferro con la grande industria automobilistica. Il ruolo educativo dell'elettorato affidato alla televisione di Stato. L'uniformità di giornali e intellettuali. La difesa del buon nome del Paese all'estero. E l'isolamento delle voci critiche, accusate di disfattismo. «L'Italia dei gufi è in minoranza. Il Paese chiede fiducia, tranquillità, solidità. La patria va custodita», ha detto Matteo Renzi all'ultima direzione del Pd. Un ritorno al futuro. Un viaggio all'indietro. Verso gli anni Cinquanta.
Nel film di Robert Zemeckis, uscito nel 1985 (quando Matteo Renzi aveva dieci anni), uno scienziato pazzo aveva inventato una macchina del tempo per ritornare nell'anno 1955, tre decenni prima. Il futuro premier deve aver imparato la formula a memoria. Non lo dichiara esplicitamente, ma gli anni Cinquanta italiani sono il suo orizzonte ideale, l'età dell'oro da replicare. «Un singolare impasto di verità e mistificazione», li aveva definiti il giornalista Enzo Forcella. Un'immagine che fotografa alla perfezione la nuova stagione di egemonia renziana. Già nel 2011 sul palco della stazione Leopolda, al raduno da cui partì la scalata del sindaco di Firenze, c'era un vecchio frigorifero. Due anni dopo, una vespa bianca, a richiamare quella di Gregory Peck e Audrey Hepburn di "Vacanze romane" (1953). I primi pesanti televisori con la manopola, i palloni di cuoio con cui giocavano i Boniperti, i Liedholm, gli Omar Sivori, i microfoni modello Elvis. E chissà, anche il chiodo alla Fonzie con cui Renzi si presentò un sabato sera di fronte al pubblico di "Amici" voleva essere un inconscio richiamo agli "Happy Days".
Ma erano suggestioni, concessioni all'immaginario, utili per comunicare un riferimento simbolico nella fase della conquista. Mentre per il renzismo che ora si avvia al secondo anno di governo e promette di durare almeno un decennio i felici Cinquanta sono sostanza, individuano un modello politico. Forse l'embrione di un progetto culturale.
Il decennio della fiducia, della ricostruzione dopo il conflitto mondiale. Un boom economico inatteso, «una felicità inaspettata», la definì Italo Calvino nel 1961: «Quella intransigente tensione ideale che ieri animava propositi e azioni di uomini di governo e intellettuali, ha ceduto il posto a un modo di parlare e di agire più possibilista e utilitario. Tutti, apertamente o sotto sotto, sono convinti che questa cuccagna durerà chissà quanto, anzi che non finirà mai...».
Un miracolo trainato dall'industria dell'auto. Il primo luglio 1957 il presidente della Fiat Vittorio Valletta e il suo vice Gianni Agnelli presentarono al presidente del Consiglio Adone Zoli la nuova macchina. La Fiat 500, «la vettura sempre per tutti», costo iniziale 480mila lire. A suggello del patto su cui si reggeva la modernizzazione all'italiana: il governo democristiano garantiva le autostrade (l'Autosole) e il carburante di Stato (l'Eni), la Fiat portava in dote l'automobile di massa per le famiglie, il volano dello sviluppo. Oggi il premier va da Sergio Marchionne, com'è accaduto a maggio quando Renzi ha visitato lo stabilimento della nuova Fca a Melfi, mentre a Roma si riuniva l'assemblea annuale della Confindustria.
E l'amministratore delegato ricambia con un tifo da stadio: «Renzi ha realizzato progressi fenomenali. Non ho mai visto qualcuno con la dedizione e l'intensità che lui ha mostrato nell'ultimo anno e mezzo». Anche nel mondo delle ex partecipazioni statali la pressione del governo si fa sentire come non accadeva dai tempi del decennio felice: Eni e Enel con i loro nuovi amministratori delegati di nomina renziana sono considerate propaggini dirette di Palazzo Chigi, un'occupazione di spazi che sta provocando reazioni infastidite tra gli esponenti della vecchia guardia nelle aziende. In Rai il nuovo direttore generale Antonio Campo Dall'Orto non ha ancora spostato una pianta, ma la direzione è chiara: il ritorno di una tv di Stato pedagogica, istruttiva, edificante, in linea con le indicazioni di Renzi. «Voglio un servizio pubblico che educhi i bambini a entusiasmarsi per la Turandot. Una televisione divulgativa modello maestro Manzi», aveva detto il premier a "l'Espresso" il 3 marzo. Ora ci siamo.
L'uomo forte del partito unico di governo, la Democrazia cristiana, era negli anni Cinquanta un toscano, ex scout, desideroso di primeggiare e di comandare. Prese il quaranta per cento dei voti alle elezioni del 1958 e assommava su di sé le cariche di segretario e di premier, più quella di ministro degli Esteri. Amintore Fanfani, che il ministro Maria Elena Boschi ha confessato di preferire a Enrico Berlinguer. E non solo perché, come lei, era di origini aretine. Il Pd di Renzi si sta trasformando da partito del centrosinistra che si muoveva in uno schema di gioco bipolare a un nuovo partito di centro, «popolare e di massa», come lo ha definito Renzi sull'"Unità", spiega il suo potere di attrazione sui notabili del vecchio centro-destra berlusconiano, a cominciare da Denis Verdini. È il sistema politico che si è modificato negli ultimi tre anni: il Pd al governo, i partiti di opposizione incapaci di costruire un'alternativa nonostante un'alta percentuale di voti.
«Fin quando il Movimento 5 Stelle sarà percepito come il più temibile competitor del Pd, Renzi potrà rivendicare la propria indispensabilità. Una variante aggiornata della diga democristiana ai tempi della guerra fredda: vade retro Pci allora, vade retro Cinque Stelle oggi», ha scritto il politologo Angelo Panebianco sul "Corriere della Sera" il 23 settembre. La nascita di un fattore 5S al posto dell'antico fattore K, motivato da ragioni internazionali. Affiancare Beppe Grillo a Palmiro Togliatti sarebbe un esercizio ridicolo: ieri si espellevano dal Pci Cucchi e Magnani per deviazione ideologica («pidocchi», li definiva il Migliore) e Antonio Giolitti lasciava il partito dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria del 1956, oggi nel Movimento 5 Stelle i dissidenti se ne vanno o vengono cacciati sugli scontrini, il mancato rispetto delle regole interne su rimborsi e indennità parlamentari. Ma in comune c'è la purezza dell'appartenenza, il presentarsi come l'unica opposizione al sistema, l'impossibilità di andare al governo. L'indispensabilità è la cornice in cui si muove Renzi, e dire che era entrato in scena come il difensore della competizione tra schieramenti avversari. Ora invece Michele Salvati ("Corriere", 24 settembre) lo affianca in modo elogiativo a Giovanni Giolitti, il blocco di centro inamovibile, e ad Alcide De Gasperi: il centrismo senza alternative degli anni Cinquanta.
E anche la comunicazione si adegua. Quando a Milano il 6 settembre Renzi ha attaccato il leghista Matteo Salvini sui migranti instaurando l'originale contrapposizione («o siamo essere umani o bestie»), qualcuno a Palazzo Chigi ha ricordato che anche alle elezioni del 18 aprile 1948 De Gasperi aveva definito Togliatti un «diavolo con il piede caprino». E già: nella modernità della comunicazione via tweet rispunta la propaganda quarantottesca. Solo che all'epoca i toni virulenti erano giustificati dalla guerra fredda. Mentre ora servono a tenere unite le truppe contro un nemico di comodo: quello che non ha nessuna possibilità di vittoria.
Matteo l'Indispensabile è il protagonista del revival degli anni Cinquanta con il suo Partito unico di governo. L'ingrediente essenziale dell'operazione è l'happy end, il lieto fine, l'uscita dalla crisi. «L'Italia ha svoltato», ripete infatti Renzi, anche se alla fine degli anni Cinquanta il Pil cresceva al ritmo del 7,5 per cento mentre oggi il governo grida all'uscita dal tunnel per lo 0,9. Ma tanto basta per isolare i critici. Il renzismo non si è mai dato una fisionomia culturale, a differenza del New Labour di Tony Blair non va in cerca di terze vie, i suoi confini sono mobili, abbastanza ampi per contenere tutto.
L'ideologia della Fiducia. La fabbrica delle buone notizie. Oscurare ciò che va male, amplificare ciò che va bene. Contrapporre la gente comune che «prova a farcela» agli intellettuali «professionisti delle critiche». Il renzismo, come la maggioranza di governo negli anni Cinquanta, è un potere in apparenza soft, accogliente con tutti, in realtà spietato con le voci dissonanti. Una divisione del mondo in due. Da un lato gli apostoli del nuovo verbo dell'Ottimismo, esperti, economisti, costituzionalisti, giornalisti, tutti protesi a creare il senso comune della ripresa e delle riforme, dell'Italia che ce la fa, sui giornali, nei tg, nei talk-show: i neo-Conformisti.
Dall'altro, gli apocalittici, i gufi, i rosiconi, incapaci di capire il nuovo. Negli anni Cinquanta Mario Scelba, il ministro dell'Interno democristiano, se la prendeva con il «culturame». «Credete che la Dc avrebbe potuto vincere se non avesse avuto con sé una forza morale che vale molto di più del culturame di certuni?», si chiedeva nel 1949. «Culturame», spiegava in un'intervista, «definisce la moralità di tutti i cialtroni della cultura e traditori... io nego loro il diritto di parlare al popolo italiano in nome della cultura». Il ministro Maria Elena Boschi ha certamente modi più garbati del siciliano Scelba ma anche lei picchia duro sugli intellettuali che non appoggiano il suo progetto di riforma della Costituzione: «professoroni che cercano di fermarci. Gli italiani sono stanchi di loro».
Renzi ha riportato nel linguaggio della politica un vocabolo che mancava da decenni: disfattismo. Per la prima volta l'ha utilizzato in un tweet il 12 marzo 2014, era premier da meno di un mese: non ha smesso più: «Abbiamo battuto il disfattismo cosmico dell'auto-flagellazione» (18 luglio). «Vince l'Italia che non si fa risucchiare dal vortice del disfattismo» (18 agosto, festeggiando le azzurrine del volley). «Gli esperti del disfattismo volevano bloccare l'Expo» (6 settembre). Lo schema è rudimentale: il governo lavora per il bene del Paese, chi critica tifa per la sconfitta. Dalla denuncia del disfattismo all'accusa di lavorare per la rovina dell'Italia il passo è breve. Nel 1952 sul film "Umberto D." di Vittorio De Sica il giovane e potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giulio Andreotti fece calare una sorta di maledizione: «Se nel mondo si sarà indotti, erroneamente, a ritenere che quella di Umberto D. è l'Italia del secolo ventesimo, De Sica avrà reso un pessimo servigio alla sua patria». E nel 1954, con l'accusa di essere «denigratorio dell'Italia», fu escluso dal festival del cinema di Venezia il cortometraggio "Quando il Po è dolce" sulle condizioni di vita nel Delta padano: il regista si chiamava Renzo Renzi. Oggi l'accusa di gettare fango sul Paese si abbatte sulla fiction "Gomorra". «Certi programmi tv sono offensivi e per niente rappresentativi della realtà che vogliono raccontare», ha tuonato il questore di Napoli Guido Marino. Il premier non si esprime sulla serie tv, ma attacca «chi fa la caricatura del Sud»: «Basta ripetere che quattro regioni italiane sono in mano alla mafia». Il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca è andato oltre e ha sparato su Raitre «in mano a una lobby radical chic che è la più grande fabbrica di depressione del paese, fa giornalismo camorristico».
La Rai è il campo di battaglia scelto da Renzi per cambiare «modo di raccontare l'Italia». Sotto tiro sono i vituperati (da Palazzo Chigi) talk-show, in crisi di ascolti. «Il servizio pubblico deve fare informazione per permettere a chi sta guardando non di indignarsi o di eccitarsi ma di imparare qualcosa di più», ha detto il nuovo dg Rai Campo Dall'Orto al "Foglio". Ritorno al futuro: la Rai pedagogica, moralista e cloroformizzata degli anni Cinquanta, sotto il controllo del partito di governo, quella dello scrittore Bonaventura Tecchi, presidente del comitato di controllo sui programmi, che aveva lanciato lo slogan «educare divertendo, divertire educando». Qualcosa del genere è riecheggiato nell'aula della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai la settimana scorsa quando la deputata super-renziana Lorenza Bonaccorsi, responsabile cultura del Pd, ha spiegato che la futura Rai dovrà seguire le regole della Bbc: «Educare, informare, intrattenere. In quest'ordine» («Il motto è "inform, educate and entertain", l'informazione viene prima», ha replicato il direttore di Raitre Andrea Vianello).
Sottigliezze. L'Italia degli anni Cinquanta, nel mezzo della guerra fredda e alla vigilia del miracolo economico, tollerava i grandi giornali del Nord schierati con il centrismo democristiano e il monopolio dc dell'informazione radio-televisiva. Oggi la guerra fredda non c'è più e il miracolo ancora non si vede. E di quella stagione rischia di restare in vita soltanto il conformismo.
(Marco Damilano - l'Espresso)
Scritto il 04 ottobre 2015 alle 22:09 | Permalink | Commenti (3)
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...non si sa mai... se una sera vi dovesse venir voglia di ascoltare della buona musica, fatevi prestare il Falcon da Renzi, fate un salto in Lettonia, a Riga, e forse riuscirete a sentire questa magnifica interpretazione di "Estate" di Roberta Gambarini...
...chi è Roberta Gambarini??? In Italia non è quasi nessuno... ma fate un salto in rete, e scoprirete che nel mondo musicalmente educato è un mito del jazz, e una donna di una straordinaria bravura e i di contagiosa simpatia... Buon ascolto
Scritto il 04 ottobre 2015 alle 19:31 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 04 ottobre 2015 alle 09:30 | Permalink | Commenti (1)
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Recensione del film "Maruerite (di Angela Laugier)
Regia: Xavier Giannoli
Principali interpreti: Catherine Frot, André Marcon, Michel Fau, Christa Theret, Denis Mpunga – 127 min. – Francia 2015.
Il film si ispira liberamente alla storia vera del soprano americano Florence Foster Jenkins, vissuta negli Stati Uniti negli anni ’30 del ‘900.
Arriva direttamente dal festival di Venezia questo film bello e tragico in cui il regista Xavier Giannoli, nel raccontare la vita dello stonatissimo soprano Marguerite Dumont, tanto appassionata, quanto inadeguata interprete di musica operistica, ricostruisce con intelligenza ed eleganza anche la storia della società parigina nel difficilissimo dopoguerra degli anni ’20. Un matrimonio aveva unito la ricchissima Marguerite al nobile spiantato Georges Dumont: ne era nato un rapporto molto sbilanciato: a lui interessavano esclusivamente i soldi, le donne e i motori (siamo all’inizio dell’uso dell’automobile); a lei, romantica sognatrice, interessava solo lui. Non corrisposta nell’amore, la poveretta sublimò freudianamente tutta la sua passione frustrata dedicandosi alla musica e al canto delle più famose arie operistiche, senza rendersi conto delle proprie limitatissime risorse vocali.
I concerti nella signorile casa Dumont, nella campagna parigina, erano tenuti da ottimi musicisti e da bravissimi cantanti professionisti, ma si concludevano invariabilmente con l’ esibizione di Marguerite, né la sciagurata si accontentava di interpretare canzoncine senza pretese: si cimentava, al contrario, con candida incoscienza, nelle arie più impegnative (ahimé, persino la Regina della Notte), atrocemente massacrandole con le stecche e gli acuti fuori controllo. Eppure, poiché questi spettacoli, tutti a scopo benefico, costituivano le sole occasioni mondane del luogo, la buona borghesia dei dintorni accorreva in massa, plaudente e festante, e a lei, padrona di casa e ospite squisita, riservava gli applausi più scroscianti e le più smaccate adulazioni. Questa situazione si sarebbe ripetuta ancora per molto tempo se due finti giornalisti pronti a incensarla, un po’ goliardi, e un po’ aspiranti artisti “dada”, non le avessero proposto di partecipare a uno spettacolo teatrale, scritto da loro, violentemente antibellicista. Essi contavano su un suo finanziamento generoso (ciò che infatti avvenne) e sul fatto che quella sua voce, priva di intonazione musicale e di grazia, fosse la più adatta a beffare la retorica trionfalistica del dopoguerra vittorioso: sarebbe stato sufficiente farle cantare la Marsigliese alla fine della pièce. Il putiferio che ne seguì, infatti, fu enorme e indusse i buoni borghesi scandalizzati ad allontanarsi per sempre dalla sua casa, mentre i due intendevano, ulteriormente lusingandola e ingannandola, aprirle ben altre prospettive: un vero pubblico e un vero teatro in una città piena di fermenti culturali, Parigi.
Il film, che si era avviato raccontando gli aspetti comici e grotteschi della storia di Marguerite, incapace di prendere coscienza della sua voce terribile, segue ora con pietosa partecipazione la deriva drammatica della sua vita alimentata dalla menzogna, dalla quale era impossibile farla uscire, essendo il sogno e l’illusione, non la realtà, la dimensione nella quale essa intendeva continuare a vivere, nella speranza che finalmente anche il marito, troppo spesso assente, si accorgesse di lei, del suo valore e, naturalmente, del suo amore.
Il regista ha saputo costruire il complesso ritratto di una donna sola, ma ha anche evitato ogni facile manicheismo: Marguerite è troppo ostile al “vero” per essere l’eroina positiva della tragedia inevitabile, mentre gli altri personaggi, dal marito a quelli che hanno approfittato del suo disperato bisogno di ammirazione e di affetto, sono troppo umani per non provare per lei almeno un po’ di commossa e sincera pietà che, infine, parzialmente li riscatterà. Il finale, giustamente “mélo”, è sottolineato dalle note struggenti dell’Addio al passato dalla Traviata, mai così opportunamente richiamata alla nostra memoria. Grandissima interpretazione di Catherine Frot, che ha conteso, con pieno merito, la coppa Volpi alla nostra Valeria Golino.
P.S.L’amico follower Claudio Marcello Capriolo, con molta cortesia, mi segnala un suo post dello scorso novembre che ci permette di ascoltare la voce di Florence Jenkins, il soprano stonato che ha ispirato Marguerite. Grazie !
Angela Laugier
Scritto il 04 ottobre 2015 alle 09:28 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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