Premessa: sono passati appena cinque anni da Fukushima, e sembra passato un millennio. Tale Chicco Testa, il principale lobbista che lotta come un leone per salvaguardare le trivelle in mare, senza limiti temporali e sena scadenze delle concessioni, è lo stesso che faceva lobbismo a favore del nucleare, anche subito dopo la catastrofe di Fukushima, o è un suo curioso omonimo e sosia?
Già... perchè solo dopo anni di prediche inutili (nostre e altrui) che già nei giorni successivi all'incidente di Fukushima abbiamo scritto fiumi d'inchiostro CONTRO le centrali nucleari (ma lo facevamo anche prima), si è accorto che AVEVAMO RAGIONE. Si è accorto che il decommissioning di Fukushima durerà decenni (nessuno sa dire quanti), costerà miliardi di yen (nessuno sa dire quanti), e lascerà una immane scia di guasti ambientali (nessuno sa dire quanto lunga, quanto dannosa, quanto costosa...)
Chicco Testa ha smesso di menare il torrone su "quant'è bello il nucleare" solo quando ha potuto rivolgere la sua attenzione e la sua opera di lobbista in direzione del nuovo Eldorado: le trivelle nel lago Adriatico. Ed è arrivato... UDITE, UDITE! al punto da chiedere scusa per le cazzate tranquillizzanti che aveva sparato nel dopo-Fukushima. Bentornato fra noi, Chicco, ma adesso per piacere non ricominci un'altra battaglia di retroguardia. Delle sue "competenze", dopo Fukushima, ne avremmo francamente piene le scatole. Si riposi.
Tafanus
Questa settimana l'Espresso pubblica un articolo-inchiesta sulle dieci cose da sapere prima di andare a votare sulle trivelle. Ma prima, un articolo di un anno fa...
Ecco cosa scriveva un anno fa "Greenreport": (per la cronaca, filiazione di "Legambiente", di cui Chicco Testa - laurea in filosofia, micacazzi...) è stato per otto anni ai vertici...
Ora, nel mondo, si parla d’altro per fortuna. A tener banco sono le strategie per contrastare i cambiamenti climatici, l’accordo di novembre scorso tra Usa e Cina, l’appuntamento di Parigi del prossimo dicembre, decisivo per definire la direttrice lungo la quale si muoveranno le politiche energetiche e ambientali globali (l'articolo continua sul link in basso)
E passiamo all'articolo che pubblica questa settimana l'Espresso, illustrando le dieci cose da sapere prima di andare a votare
Cozze, turismo e lavoro: guida alle trivelle - L'inquinamento e gli incidenti. Gli affari e i rischi per l'occupazione. Le tasse e gli aiuti per le rinnovabili. In vista del voto del 17 aprile sulle estrazioni
in mare, sono circolate tante tesi e pochi dati. Ecco le dieci cose da sapere (di Stefano Vergine - l'Espresso)
Domenica 17 aprile si terrà il cosiddetto referendum sulle trivelle, il primo nella storia d'Italia ad essere stato ottenuto dalle Regioni. Sono stati infatti dieci consigli regionali, diventati nove dopo il ritiro dell'Abruzzo, ad aver depositato le firme necessarie per indire il voto popolare. Un referendum richiesto da governatori in buona parte iscritti al Partito Democratico, che di fatto si oppongono alla politica energetica del loro segretario e premier, Matteo Renzi.
1. IL QUESITO - Gli elettori dovranno votare su una questione piuttosto tecnica. Dovranno decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa, cioè più o meno a 22 chilometri da terra, debbano durare fino all'esaurimento del giacimento, come avviene attualmente, oppure fino al termine della concessione. In pratica, se il referendum dovesse passare - raggiungere il quorum con la vittoria del sì - le piattaforme piazzate attualmente in mare a meno di 12 miglia dalla costa verranno smantellate una volta scaduta la concessione, senza poter sfruttare completamente il gas o il petrolio nascosti sotto i fondali. Non cambierà invece nulla per le perforazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia, che proseguiranno, né ci saranno variazioni per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, già proibite dalla legge.
2. LE REGIONI HANNO GIÀ VINTO - In principio i quesiti referendari proposti dalle Regioni erano sei. Ora ne è rimasto solo uno, visto che nel frattempo il governo ha sterilizzato gli altri con delle modifiche all'ultima legge di Stabilità. I cinque quesiti saltati puntavano a restituire agli enti locali un ruolo rilevante nelle decisioni sullo sfruttamento di gas e petrolio. Ruolo ridimensionato con la legge Sblocca Italia, voluta sempre da Renzi con l'obiettivo di velocizzare i processi autorizzativi nel settore, fra i più lenti d'Europa. Con le modifiche alla legge di Stabilità, insomma, il governo è tornato sui suoi passi restituendo alle Regioni il potere originario.
3. LE PIATTAFORME INQUINANO? - A sostenere che le trivelle in mare sono pericolose per la salute umana e per la fauna ittica c'è un documento pubblicato di recente da Greenpeace. Il rapporto è basato su dati raccolti fra il 2012 e il 2014 dall'Ispra, su commissione dell'Eni, relativi a 34 piattaforme a gas gestite dalla compagnia nell'Adriatico. Nei sedimenti marini e nelle cozze che vivono vicino alle piattaforme sono state trovate, in alcuni casi, sostanze chimiche in quantità superiori ai limiti di legge. A questi dati ha risposto Ottimisti e Razionali, organizzazione che si batte contro il referendum ed è formata da politici o ex politici (come Gianfranco Borghini e il presidente di Assoelettrica Chicco Testa), imprenditori, giornalisti e associazioni per lo sviluppo sostenibile come Amici della Terra. Oltre a ricordare che le cozze della zona, come tutte le altre, sono sottoposte ai controlli delle Asl prima di essere messe in commercio, l'organizzazione mette in luce due punti. Primo: i limiti di legge presi a riferimento da Greenpeace valgono per le acque che distano un miglio dalla costa, mentre le piattaforme sono più lontane e sottostanno ad altre soglie. Secondo: nelle sue relazioni l'Ispra conclude sostenendo che non ci sono criticità per l'ecosistema marino legate alle piattaforme.
4. INCIDENTI E BANDIERE BLU - Nella storia italiana si ricorda un solo grande incidente. È quello avvenuto nel 1965 al largo di Ravenna, quando la piattaforma Paguro, di proprietà dell'Eni, in fase di installazione saltò in aria causando la morte di tre persone. Non ci furono gravi danni ambientali, visto che il giacimento era di gas. Piccoli sversamenti di petrolio, tuttavia, avvengono spesso dove ci sono attività di estrazione. Lo dice un rapporto del Parlamento europeo, secondo cui solo tra il 1994 e il 2000 nel Mediterraneo (dati specifici sull'Italia non vengono forniti) ci sono stati 9.000 episodi di questo genere rilevati dai satelliti. Per dimostrare che le trivelle non recano danno all'ambiente, le società petrolifere - raggruppate sotto Assomineraria - ribattono con un dato: alle località della riviera romagnola, che ospitano circa 40 piattaforme, l'anno scorso sono state assegnate nove bandiere blu, simbolo del mare pulito.
5. GLI EFFETTI - Dal 2018 al 2034 Secondo il ministero dello Sviluppo economico, al momento nei mari italiani ci sono 135 piattaforme e teste di pozzo. Di queste, 92 ricadono dentro le 12 miglia: sono quelle a rischio con il referendum, quindi la maggioranza. Come si può vedere dalla mappa di pagina 29, ad eccezione della Sicilia le altre si trovano tutte nell'Adriatico e nello Ionio. Per sapere quando, in caso di vittoria dei sì, verranno smantellate le piattaforme, bisogna capire come funzionano le concessioni. Questi permessi rilasciati dallo Stato alle compagnie hanno una durata iniziale di trent'anni, prorogabile la prima volta per dieci, la seconda per cinque e la terza per altri cinque. La prima chiusura di una trivella entro le 12 miglia avverrebbe tra due anni, per l'ultima bisognerebbe aspettare fino al 2034, data di scadenza della concessione rilasciata a Eni ed Edison per trivellare davanti a Gela, in Sicilia.
6. A TUTTO GAS - Dai pozzi situati entro le 12 miglia si estrae soprattutto metano. Secondo i dati forniti a "l'Espresso" dal ministero dello Sviluppo economico, nel 2015 queste piattaforme hanno contribuito al 28,1 per cento della produzione nazionale di gas e al 10 per cento di quella petrolifera. Giacché l'Italia deve importare idrocarburi per soddisfare la domanda di energia, le percentuali crollano se si calcola l'incidenza di queste produzioni sui consumi nazionali. Le trivelle entro le 12 miglia, infatti, nel 2015 hanno contribuito a soddisfare fra il 3 e il 4 per cento dei consumi di gas e l'1 per cento di quelli di petrolio. Fermando progressivamente queste produzioni, l'Italia dovrebbe quindi aumentare le importazioni da altri Stati, alcuni dei quali - come Egitto e Libia - perforano nello stesso Mediterraneo.
7. CHI HA PAURA DEL VOTO - A gestire le piattaforme che rischiano di chiudere per via del referendum è soprattutto l'Eni. La compagnia di Stato italiana è azionista di maggioranza di 76 impianti sui 92 totali, mentre la francese Edison ne possiede 15 e l'inglese Rockhopper una. Chi sostiene il no al referendum porta come principale argomentazione quella della perdita di posti di lavoro. Un dato preciso sugli occupati nelle piattaforme offshore entro le 12 miglia, però, non lo forniscono né i sindacati né l'Assomineraria. Quest'ultima dice che in totale l'attività estrattiva in Italia dà lavoro a 10 mila persone, fra diretti e indiretti, che diventano 29 mila se si aggiungono gli addetti dell'indotto esterno al settore. Quanti sono quelli che perderebbero il posto in caso di vittoria del sì? La questione è controversa per via della gradualità delle chiusure, dal 2018 al 2034. Secondo il vicesindaco di Ravenna, Gianantonio Mingozzi, nel distretto della città emiliana alla fine verrebbero a mancare circa 3.000 posti di lavoro rispetto a oggi.
8. QUANTO INCASSA PANTALONE - Secondo la società di ricerca Nomisma-Energia, la tassazione complessiva a cui sono sottoposte in Italia le società petrolifere è pari in media al 63,9 per cento, un livello «relativamente alto» nel confronto tra i Paesi Ocse. Rispetto alle aziende di altri settori, quelle che estraggono idrocarburi pagano in più le royalties, imposte applicate sul valore di vendita del gas o del petrolio estratto. Succede quasi in tutto il mondo. In Italia le royalties per chi trivella in mare sono però piuttosto basse: il 7 per cento per il gas e il 4 per il petrolio. Nel 2015 tutte le estrazioni, sia su mare che in terra, hanno prodotto un gettito da royalties pari a 352 milioni. La quota delle piattaforme entro le 12 miglia, dice il ministero dello Sviluppo, è stata di circa 38 milioni: la perdita per le casse pubbliche non sarebbe dunque rilevante.
9. ITALIA RINNOVABILE - Nel confronto europeo, l'Italia è uno dei Paesi che ha spinto di più sullo sviluppo delle rinnovabili. Secondo il Gestore dei servizi energetici (Gse), nel 2015 le cosiddette fonti alternative hanno contribuito a soddisfare il 17,3 per cento dei consumi nazionali di energia. Il dato è in costante aumento, se si pensa che nel 2004 la quota rinnovabile era del 6,3 per cento. L'Italia ha dunque raggiunto in anticipo l'obiettivo fissato dall'Unione europea, che chiede al nostro Paese di arrivare al 2020 con il 17 per cento di energia prodotta da fonti rinnovabili. I critici, però, mettono in evidenza due aspetti. Il primo è che l'obiettivo italiano è poco ambizioso, dato che altri Paesi dell'Ue puntano molto più in alto e alcuni (Svezia, Islanda, Norvegia) ricavano già più del 50 per cento dalle rinnovabili. Il secondo punto è che il governo Renzi, avendo ridotto gli incentivi per le fonti verdi, non sta spingendo sufficientemente per lo sviluppo sostenibile.
10. ECCO CHI TRIVELLA IN EUROPA - L'Italia non è l'unico Paese a trivellare in mare. Secondo gli ultimi dati disponibili (2010) della Commissione europea, nelle acque della Ue nel 2010 c'erano quasi 900 piattaforme. La maggior parte, 481, si trovano nel Regno Unito. Segue l'Olanda con 181, l'Italia con 135, la Danimarca con 61. Staccati di gran lunga tutti gli altri, con meno di 10 impianti l'uno: Germania, Irlanda, Spagna, Grecia, Romania, Bulgaria, Polonia. Paesi a cui si potrebbero presto aggiungere, visti i piani annunciati dai rispettivi governi, anche Croazia, Malta e Cipro. Poi ci sono altri Stati del Mediterraneo che trivellano in mare, come Egitto, Libia, Algeria e Israele.
E ora, permettetemi il vezzo di "autocitarmi", visto che sono stato fra i nemici della prima ora del "chiccotestismo", ecco l'incipit di un nostro post del 12 Marzo 2011:
12 marzo 2011
Chicco Testa, ci manchi... torna in TV a spiegarci con la tua saccenteria che a Fukushima non è successo niente
Mi manca la comparsata del Chicco Testa che ieri mattina, ad Omnibus, aggrediva chiunque non la pensasse come lui, spiegando - ed ironizzando sull'ignoranza del prossimo - che a Fukushima non era successo niente. Ancor più divertente, questo ragazzotto che nella sua prima vita era fra gli organizzatori del referendum anti-nucleare, quando ironizzava sulla "rete" che aveva messo in circolo la leggenda metropolitana degli USA che mandavano l'acqua in Giappone. Senza minimamente preoccuparsi di sapere se si trattava di acqua "leggera" (H2O) o "acqua pesante" (D2O), nella quale il deuterio prende il posto dell'idrogeno. E' evidente che si parlasse di acqua pesante. Evidente a prova d'imbecille, non di Chicco Testa.
Per sovrappeso, oggi viene fuori che la "leggenda metropolitana" non era stata messa fuori dal qualche blogger impazzito, ma da Hillary Clinton, persona "informata sui fatti".
La "rete" - che secondo questo tizio supermontato come la panna - è un'astrazione che produce e vende fole, dovrebbe prendere l'abitudine di smascherare e sputtanare sistematicamente questi disinvolti voltagabbana. Chi è costui? Leggiamo su Wikipedia:
"...Laureato in filosofia presso l'Università Statale di Milano, dal 1980 al 1987 è stato Segretario Nazionale, e successivamente Presidente Nazionale, di Legambiente. Come tale ha guidato la mobilitazione ambientalista a seguito del disastro di Chernobyl, culminata con la manifestazione anti-nuclearista del 10 maggio 1986 a Roma, a cui partecipano più di 200.000 persone [...] Il referendum del 1987 porta infine all'abbandono dell'energia nucleare in Italia. Testa commentava allora: "Il risultato è di grandissimo interesse politico. La battaglia è stata dura per i grossi interessi in campo".
E oggi questo laureato in filosofia va in TV a cazzeggiare di aspetti tecnici del nucleare, che ha evidentemente studiato su qualche bignamino. Ma che fa? lui deve solo rassicurare la casalinga di Voghera, con la sua bella faccia da ex ragazzo. Oggi i "grossi interessi in campo" Chicco non li combatte, li difende. Ruolo più redditizio, e meno faticoso (cont'd)
Chi è dotato di sufficiente spirito di sacrificio, può leggere il NOSTRO POST di 5 anni fa aprendo il link a sinistra. Ma dato che di Fukushima ci siamo occupati spesso, a lungo e a fondo, chi volesse approfondire può digitare Fukushima nella finestrella di ricerca il alto a sinistra del blog, e... buona lettura.
E ora veniamo alle ultime fole propagandate dal Chicco con la Testa. Ma vi prego di tornare un attimo al punto 6 dell'articolo dell'Espresso, perchè da quello risulta chiaro (fonti governative, non nostre) di quanto insignificante sia il potenziale delle riserve fossili in Mediterraneo, e di come giocando sulla confusione fra "incidenza sulla PRODUZIONE italiana, e incidenza sul FABBISOGNO italiano, si tenda a contrabbandare come rilevantissime le riserve accertate in mediterraneo. Leggiamo:
6. [...] Dai pozzi situati entro le 12 miglia si estrae soprattutto metano. Secondo i dati forniti a "l'Espresso" dal Ministero dello Sviluppo Economico, nel 2015 queste piattaforme hanno contribuito al 28,1 % della produzione nazionale di gas e al 10 % di quella petrolifera (Ripeto: leggete bene: percentuali sulla PRODUZIONE italiana, che già di suo è insigngificamte rispetto al FABBISOGNO italiano)
Giacché l'Italia deve importare idrocarburi per soddisfare la domanda di energia, le percentuali crollano se si calcola l'incidenza di queste produzioni sui consumi nazionali. Le trivelle entro le 12 miglia, infatti, nel 2015 hanno contribuito a soddisfare fra il 3 e il 4 per cento dei consumi di gas e l'1 per cento di quelli di petrolio. Fermando progressivamente queste produzioni, l'Italia dovrebbe quindi aumentare le importazioni da altri Stati, alcuni dei quali - come Egitto e Libia - perforano nello stesso Mediterraneo.
Ecco, di QUESTO, non di altro stiamo parlando: dell'1% del fabbisogno italiano di petrolio, del 3/4% di fabbisogno di gas. In ballo "decine di migliaia di posti di lavoro"??? Si, ho sentito anche questa fola. Perchè, i posti di lavoro nella pesca, nel turismo, nella eventuale costruzione e manutenzione di fonti rinnovabili non sono posti di lavoro?
Noi non andremo al mare. Noi andremo a votare.
SI
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