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Scritto il 30 aprile 2016 alle 15:01 | Permalink | Commenti (0)
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Piano europeo per il quale l’Italia ha ricevuto 1,5 miliardi da Bruxelles. A dirlo è il nuovo report del centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi. “Infranti i sogni di quei ragazzi che hanno creduto al governo”, dice il direttore scientifico Michele Tiraboschi. Fra improbabili annunci pubblicati sul portale del ministero guidato da Giuliano Poletti, pagamenti in ritardo e la scarsa trasparenza delle Regioni. A fronte di 897mila iscritti ci sono solo 300mila proposte di tirocini e stage (Fonte: Giorgio Velardi - Il Fatto)
Speranze tradite. Annunci improbabili. Pagamenti in ritardo. E nessuna prospettiva per il futuro - Quello di Garanzia Giovani sarà un compleanno amaro. Domenica il piano europeo di contrasto alla disoccupazione giovanile, per il quale l’Italia ha ricevuto 1,5 miliardi di euro da Bruxelles (un quarto dell’intera somma stanziata per gli Stati con un tasso di giovani fra i 15 e i 24 anni che non studiano né lavorano superiore al 25%), compirà infatti due anni. Lanciata simbolicamente il 1° maggio 2014, giorno della festa del lavoro, nel nostro Paese la Youth Guarantee si è però rivelata un fallimento.
Anzi, “un flop annunciato da rimettere il prima possibile nel cassetto”, come la definisce Michele Tiraboschi, docente di Economia all’università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt, che in un nuovo report ha analizzato lo stato dell’arte del piano. Con giudizi tutt’altro che positivi.
PORTE CHIUSE – Perché “resta difficile riporre ora in un cassetto, assieme ai sogni di gloria di una rinnovata festa del lavoro aperta a quanti ne sono sempre stati esclusi, anche quella massa di giovani italiani che ha creduto alla parola del governo – scrive il numero uno del centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi. Un vero e proprio esercito di giovani di belle speranze che hanno preso sul serio la promessa di una ‘garanzia’ iscrivendosi al programma e mettendosi pazientemente in coda a una porta che, però, per la maggioranza di loro, è rimasta chiusa, alimentando rabbia e delusione”. Perché “i numeri parlano chiaro, ed è davvero difficile trovarne una interpretazione positiva – aggiunge . Se si guarda l’evoluzione dei tassi di occupazione e disoccupazione giovanile e del numero di Neet (cioè i giovani che non studiano né lavorano, ndr) emerge chiaramente come non vi sia stata nessuna significativa inversione di tendenza a partire dal 1° maggio 2014”.
Proprio così. Al netto delle cancellazioni, al piano si sono finora iscritti 897mila giovani di età compresa fra 15 e 29 anni (l’Italia ha infatti deciso di alzare l’asticella), di cui 659.000 “presi in carico”. Hanno cioè sostenuto un colloquio con il centro per l’impiego e sottoscritto un patto di servizio. Per molti, a cominciare dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si tratta di “numeri buoni”. “Sta andando meglio di quel che credessimo”, ha spiegato il 30 marzo scorso l’ex presidente di Legacoop (...e ti pareva...)
A MANI VUOTE – Ma purtroppo non è così. Il motivo? “Se andiamo ad analizzare il vero numero importante, quello sulle proposte concrete fatte ai giovani iscritti, il quadro si incupisce – scrive Tiraboschi. Secondo gli ultimi dati del ministero del Lavoro queste ammontano a circa 300 mila: circa un terzo degli iscritti al netto delle cancellazioni. Una cifra che di per sé certifica il fallimento del piano e getta una ombra scura sulle illusioni di quei 600 mila ragazzi che restano al momento a mani vuote”. Insomma, una presa in giro. Non solo. Infatti circa il 60% delle proposte “consiste in tirocini di dubbia valenza formativa, mentre i contratti di lavoro veri e propri sono poco più del 10%, con un boom a dicembre 2015, ultimo mese in cui una impresa poteva usufruire del combinato disposto di Garanzia Giovani e decontribuzione per l’assunzione di un giovane con un contratto a tutele crescenti”. E ancora: le offerte pubblicate sul sito del dicastero guidato da Poletti sono in molti casi decisamente inappropriate al contesto. Si passa dal maggiordomo al facchino, dal manovale con esperienza al pizzaiolo, dalla segretaria all’addetto al caricamento dati. “Tutti lavori nobili – ricorda il presidente di Adapt – ma per i quali non si vede l’esigenza di un tirocinio al posto di un vero e proprio contratto”.
TRASPARENZA CERCASI – L’altro nodo dolente è rappresentato dalle Regioni. Se da una parte è vero che ognuna ha definito e attuato un piano di implementazione e i bandi regionali sono presenti in tutta Italia, seppur in ritardo sulla tabella di marcia, dall’altro esiste una conclamata difficoltà di valutare i risultati raggiunti a livello locale. “Ad un anno dall’avvio di Garanzia Giovani, solo un terzo delle Regioni forniva un report regionale periodico e, dopo un altro anno, la situazione non si è evoluta. Alcune Regioni compilano tali report ma non li rendono consultabili al pubblico se non su richiesta”. E così “i risultati di Garanzia Giovani divisi per Regione restano difficilmente accessibili e la situazione si mantiene poco trasparente e chiara”. Con 169.073 registrazioni, la Sicilia è la Regione con più iscritti al piano. Il 70,61% (119.386) sono stati “presi in carico”, ma ad oggi non si conosce il numero delle proposte concrete. Stesso discorso per la Campania, dove si sono registrati in quasi 129 mila e in 63.608 sono stati “presi in carico” (49,33%). Non mancano i casi virtuosi, come quelli di Lombardia e Veneto. La prima risulta la Regione che al momento ha saputo offrire proposte concrete al maggior numero di giovani (43.944), mentre in Veneto il rapporto tra presi in carico e iscritti è sopra la media nazionale (69%) e la percentuale degli attivati è la più alta tra le regioni per le quali questo dato è disponibile (l’85%). Più in generale, comunque, il rapporto totale fra registrati e presi in carico si attesta al 64,67%.
RISCHIO ESCLUSIONE – Aspetti negativi, questi, sottolineati anche dalla Commissione Europea. La quale, pur non producendo un report specifico di valutazione periodica sulla Garanzia Giovani, in un recente dossier (Country Report Italy 2016) ha messo nero su bianco le problematiche esistenti nel nostro Paese. A cominciare dall’elevata percentuale di Neet, che resta una delle più alte in Europa ed è pari al 22% nella fascia d’età 15-24 anni. “Emerge quindi preoccupazione per l’elevato rischio di esclusione dei giovani dal mercato del lavoro – ricorda Adapt – che colpisce in particolar modo i giovani dai profili medio-bassi”. Ma non c’è solo questo. La commissione ha infatti sottolineato come la piena implementazione della Youth Guarantee e la capacità di proporre offerte di qualità rimangono ancora la sfida principale visto che, nonostante una accelerazione delle prese in carico, ancora soltanto un terzo di coloro che sono registrati hanno ricevuto una offerta concreta (e tra le cause di ciò è indicata quella del frammentato scenario regionale, sia dal punto di vista degli schemi di implementazione sia da quello della comunicazione del piano). Infine, per Bruxelles resta preoccupante la scarsa diffusione dell’istruzione terziaria che, ferma al 23,9% per la fascia d’età 30-34 anni è tra le più basse d’Europa.
#labuonascuola + #lavortabbona ... A quando le slides?
Tafanus
Scritto il 30 aprile 2016 alle 15:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 28 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Proroga per l'impianto Vega di Edison-Edf prima del referendum, via libera nonostante la richiesta danni, campagna renziana contro il quorum, affare Vega B e Rospo Mare: il 17 aprile in Francia hanno festeggiato
A vincere il referendum anti-trivelle del 17 aprile sono stati soprattutto i francesi, anche se non se ne è accorto quasi nessuno. Grazie all’azione del governo italiano, che in più di un’occasione e con più di un provvedimento negli ultimi anni ha favorito Edison. Perché se è vero che Eni è la compagnia titolare della maggior parte delle concessioni interessate dalla consultazione, è altrettanto sicuro che i progetti più importanti e redditizi sono nelle mani della multinazionale controllata al 99,5% dal gruppo Électricité de France, per l’84% di proprietà statale. Che oggi, in virtù del mancato raggiungimento del quorum, può realizzare sia la piattaforma Vega B, a largo della costa di Pozzallo, in provincia di Ragusa (da affiancare alla già esistente Vega A), sia il progetto che prevede 4 nuovi pozzi per la piattaforma Rospo Mare B, in Abruzzo. Tutti riguardano l’estrazione di petrolio.
La possibilità di sfruttare i giacimenti di gas e greggio per la loro ‘durata di vita utile’, opportunità non da poco introdotta dal governo Renzi nella legge di Stabilità, è il regalo più grande. Ma non è l’unico. Solo una vittoria del ‘sì’ al referendum avrebbe potuto ostacolare i progetti della multinazionale. Nonostante Vega B avesse già ottenuto l’autorizzazione, infatti, in caso di abrogazione della norma avrebbe fatto fede la data di scadenza della concessione, a dicembre 2022. E non si sarebbero più potuti rilasciare altri titoli entro le 12 miglia. Morale: Edison avrebbe avuto solo sei anni di tempo per mettere in piedi la piattaforma, scavare i pozzi ed estrarre. Un affare poco produttivo. Come quello dei nuovi 4 pozzi previsti da collegare alla piattaforma Rospo Mare B, nell’ambito della concessione B.C 8.LF (grazie alla quale già operano tre piattaforme e 29 pozzi). Se non fosse valsa ‘la vita utile del giacimento’, Edison avrebbe avuto tempo fino a marzo 2018 per realizzare nuovi pozzi. Ora potrà agire sine die. Pressioni politiche, rapporti diplomatici e lobby. Dopo l’affaire Tempa Rossa, è lecito interrogarsi su autorizzazioni, proroghe, circostanze e coincidenze che negli ultimi tempi hanno fatto felici i francesi.
I CONTI DI EDISON - Edison ha chiuso il bilancio 2015 in rosso per 776 milioni, anche se con un indebitamento di 1.147 milioni di euro, 619 in meno rispetto allo scorso anno. Per quanto riguarda il settore degli idrocarburi, nel 2015 i ricavi di vendita sono aumentati del 6,7% rispetto al 2014. Sommando le produzioni interne e quelle all’estero, quella di petrolio è cresciuta del 4,6 per cento, risultato di un calo del 2,8% di quella domestica e di un aumento del 17,3% di quella estera. Un momento difficile, quindi. E in un’intervista al Corriere della Sera l’amministratore delegato Marc Benayoun ha spiegato che un eventuale ‘sì’ al referendum “avrebbe avuto un impatto economico negativo”. La posizione dell’azienda è chiara: per Edison l’esito del referendum è una vittoria. Nessun commento su presunti ‘trattamenti di riguardo’ da parte del governo.
LA STRANA STORIA DELLE PIATTAFORME VEGA – Di certo c’è che ora nulla potrà fermare i progetti in cantiere. La concessione nell’ambito della quale verrà realizzata Vega B è la C.C6.EO. L’originario ‘Programma di Sviluppo’ venne approvato nel 1984 e prevedeva la realizzazione di due piattaforme, la Vega A e la Vega B. La prima è oggi la più grande piattaforma petrolifera fissa off-shore italiana, mentre la seconda non fu mai costruita e scomparve da qualsiasi documento. Fino al 2012, quando titolare della concessione era già Edison al 60 per cento con Eni socio di minoranza al 40 per cento. Il 5 gennaio 2012 la compagnia chiese una proroga decennale e a luglio dello stesso anno presentò domanda di pronuncia di compatibilità ambientale per Vega B. Sul sito del ministero si legge che a Vega A sono allacciati 19 pozzi, il nuovo progetto ne prevede altri 12. Perché, dunque, è ragionevole affermare che negli anni Edison ha ricevuto diversi trattamenti di favore da parte di via Veneto? Non tanto per la proroga della concessione (scaduta nel 2012 dopo 28 anni) arrivata il 13 novembre 2015, a neanche 6 settimane dall’entrata in vigore della legge di Stabilità 2016 con il divieto assoluto di nuove perforazioni entro le 12 miglia, quanto per i particolari del placet arrivato da Roma.
INQUINAMENTO CON ‘BUONA CONDOTTA’ – Dopo la procedura integrata Via-Aia che si è conclusa positivamente al ministero dell’Ambiente il 15 aprile 2015 (negli stessi giorni è arrivato l’ok anche per Rospo Mare, al 61,7 % di Edison), a novembre il Mise ancora guidato da Federica Guidi ha concesso la proroga per “buona gestione del giacimento” fino al 2022, dimenticando un particolare non di poco conto. Lo stesso dicastero, infatti, si è costituito parte civile e ha richiesto un risarcimento di 69 milioni di euro a Edison nel processo che si sta tenendo a Ragusa e in cui la multinazionale è accusata di aver iniettato illegalmente in un pozzo sterile enormi quantità di rifiuti petroliferi tra il 1999 e il 2007, nell’ambito delle attività collegata alla piattaforma Vega A. Tradotto: ti chiedo risarcimento milionario perché inquini, ma ti faccio continuare a estrarre per ‘buona condotta’.
QUESTIONE DI POLITICA DIPLOMATICA – In ballo ci sono tantissimi milioni di euro. E un rapporto, quello tra Roma e Parigi, che sembra essere assai saldo alla luce del favore a Total su Tempa Rossa e a Edison su Vega A. Non solo in tema energia: è ancora accesa la polemica per l’accordo siglato a gennaio 2015 dall’Italia per ridefinire i confini marittimi con la Francia. Nel silenzio assoluto e senza passare dal Parlamento, il governo ha dato l’ok alla cessione di un triangolo di mare al largo delle coste di Liguria e Sardegna. Acque molto pescose, per chi quel tratto di Tirreno lo conosce bene. E ricche di gamberoni e pesci spada. Ebbene, alla stipula del trattato di Caen non hanno partecipato solo ministeri politici, ma anche tecnici. Come quelli del Mise. Il motivo? L’articolo 4 disciplina ‘lo sfruttamento di eventuali giacimenti di risorse del fondo marino o del suo sottosuolo, situati a cavallo della linea di confine’. Giacimenti di risorse, quindi di petrolio o gas. Come quello di Tempa Rossa (concesso alla francese Total per il 50%, mentre l’inglese Shell e la giapponese Mitsui hanno ciascuna il 25%), come per la piattaforma Vega A e, in futuro, per Vega B.
LO ZAMPINO DELLE LOBBY – C’è un altro filo rosso tutto lobbistico, poi, che collega le due infrastrutture. Ed è rappresentato da Gianluca Gemelli, il compagno dell’ex ministro Guidi, dimessasi proprio dopo la pubblicazione dell’intercettazione in cui comunicava al suo fidanzato l’imminente via libera all’emendamento che di fatto ha sbloccato Tempa Rossa. Gemelli conosce molto bene Vega A. E non per l’attività della sua società Industrial Technical Services, che si occupa di “costruzione, avviamento e manutenzione di impianti chimici, petrolchimici, petroliferi, farmaceutici e di produzione di energia”. Prima di conoscere Federica Guidi, infatti, Gemelli era sposato con Valentina Ricciardi, figlia di Giuliano Felice Ricciardi, che ha introdotto il genero nel giro degli ambienti che contano. Ricciardi, guarda caso, era uno dei progettisti di Vega A. Solo coincidenze, per carità. Fatto sta che, tornando agli effetti del referendum mancato, delle 94 piattaforme attive entro le 12 miglia marine Eni possiede la stragrande maggioranza, ma i progetti in cantiere più importanti sono proprio quelli di Edison.
LE POSSIBILI PRESSIONI – Evidente, quindi, l’interesse della multinazionale e, di conseguenza, della Francia. Probabili le pressioni politiche. Che, in altri casi, ci sono state di sicuro. Del resto lo ha detto anche il ministro Maria Elena Boschi ai pm che l’hanno interrogata: “L’ambasciata inglese ci sollecitò l’emendamento Tempa Rossa”. I francesi hanno fatto lo stesso? Di certo lo stesso ministro Boschi (che a luglio ha rappresentato il governo ai festeggiamenti della Repubblica di Francia) a novembre è volata a Parigi per due importanti incontri istituzionali. E non è escluso che durante quei colloqui si sia parlato anche di energia. E quindi degli interessi di Edison che, come Eni del resto, è di proprietà pubblica. Interessi cui si è sempre dato un certo peso. Anche al di qua del confine.
Scritto il 28 aprile 2016 alle 00:57 | Permalink | Commenti (1)
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Italiani sempre più malati e meno assistiti per la crisi - Presentato il Rapporto Osservasalute che rimarca il peso delle difficoltà economiche sulle malattie e sull'assistenza sanitaria. Le strutture pubbliche nel guado tra innovazione e tagli delle risorse. Al Sud nella Sanità viene sostituito solo un quarto dei dipendenti che vanno in pensione (Fonte: repubblica.it/salute)
La salute degli italiani è sempre più a rischio a causa della "precarietà economica che, divenuta ormai una condizione strutturale del Paese, incide sia sull'offerta dei servizi, sempre più sotto l'attacco della spending review, sia sul benessere psicofisico dell'individuo". E' quanto emerge dalla dodicesima edizione del Rapporto Osservasalute, l'analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane, presentata oggi a Roma all'università Cattolica. La ricerca è stata pubblicata dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, coordinato da Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di Sanità pubblica dell'università Cattolica - Policlinico Gemelli di Roma.
La situazione di difficoltà legata alla crisi ed ai tagli di risorse e servizi sanitari influisce particolarmente nell'aumento dei casi di tumori prevenibili: tra le donne, ad esempio, i nuovi casi di tumore al polmone, tra il 2003 e il 2013, sono aumentati del 17,7%, così come quello alla mammella che registra un incremento del 10,5%. Tra gli uomini l'incidenza del tumore al colon retto, nello stesso periodo, è aumentata del 6,5%. Mentre gli stili di vita sbagliati fanno aumentare il numero di italiani in sovrappeso, con il 45,8% degli over 18 in eccesso ponderale.
A fare le spese di questo peggioramento del quadro epidemiologico sono soprattutto le regioni del Mezzogiorno. "Il deficit di risorse destinate alla prevenzione rischia di far vacillare la salute degli italiani, già sotto l'attacco della congiuntura economica negativa che sta colpendo ormai da anni anche il nostro paese: la precarietà che sta ormai divenendo una condizione strutturale mette a rischio la tenuta dei servizi sanitari offerti ai cittadini e anche la salute reale e percepita degli individui (sempre più numerosi sono gli studi che dimostrano ad esempio che essere lavoratori precari mina il benessere psicofisico della persona)".
Per il rapporto, i punti deboli della salute degli italiani sono sempre gli stessi, a partire dai cattivi stili di vita che restano tali o persino, a causa della crisi, peggiorano. "Un dato esemplificativo tra tutti, la sedentarietà che aumenta in maniera significativa per entrambi i generi: da 34,6% a 36,2% negli uomini e da 43,5% a 45,8% nelle donne. E' però sempre più urgente incentivare l'offerta di servizi di prevenzione e di politiche socio-sanitarie ad hoc che riducano la probabilità dei cittadini di ammalarsi e fronteggino i bisogni sanitari di una popolazione sempre più anziana, con l'insorgenza sempre maggiore di più malattie croniche (comorbilità) nello stesso individuo" [...]
Abuso antidepressivi - Dal rapporto emerge anche un altro aspetto, quello dell'aumento del consumo di antidepressivi e del numero dei suicidi. Nel 2013 si è registrato un incremento del consumo di farmaci antidepressivi, i cui valori erano invece rimasti stabili nei due anni precedenti. Il rapporto Osservasalute ne attribuisce la causa a più fattori: la riduzione della stigmatizzazione delle problematiche depressive, l'aumento dell'attenzione del medico di famiglia e l'arricchimento della classe farmacologica di nuovi principi attivi utilizzati anche per il controllo di disturbi psichiatrici non strettamente depressivi (ad esempio disturbi d'ansia).
Per quanto riguarda i suicidi, nel 78,7% dei casi il suicida e un uomo. La mortalità per suicidio aumenta al crescere dell'età. Per gli uomini vi è un aumento esponenziale dopo i 65 anni ed il tasso raggiunge il suo massimo nelle classi di età più anziane (21,6 per 100mila nella classe di età 75-79 anni; 29,3 per 100mila per la classe di età 80-84 anni; 35,0 per 100mila nella classe degli over-85). Per le donne, invece, la mortalità per suicidio raggiunge il suo massimo nella classe di età 70-74 anni (4,7 per 100.000), dopo di che tende a ridursi lievemente nelle classi di età più anziane.
Sanità pubblica tra innovazione e tagli - Il servizio sanitario nazionale è alle prese con una rivoluzione a due facce destinata a cambiare presto la sanità pubblica. Da un lato, il percorso di innovazione e digitalizzazione dei servizi; dall'altro, la riduzione generale dei costi e del personale [...]
Emorragia di personale - L'altra grande modificazione in corso nel Servizio Sanitario Nazionale è l'emorragia dei dipendenti conseguente alla riduzione delle risorse. A livello nazionale i dati mostrano come il tasso di compensazione del turnover negli ultimi 4 anni sia sempre stato inferiore a 100. Analizzando il trend 2009-2012, tale tasso è arrivato a segnare 68,9 punti percentuali nel 2012, circa 10 punti percentuali in meno rispetto all'anno precedente (78,2% nel 2011).
Anche qui, la realtà cambia da regione a regione - Solo Val D'Aosta e Trentino-Alto Adige, nel 2012, hanno completamente rimpiazzato i dipendenti usciti per limite d'età. In generale il divario Nord-Sud ed Isole è meno marcato rispetto agli anni precedenti. "Particolarmente critica è la situazione di Lazio, Puglia, Campania, Molise e Calabria che mostrano tutte valori inferiori al 25%". Il sistema, spiegano gli autori del Rapporto, sconta una diminuzione delle risorse: "Nel 2013 la spesa sanitaria pubblica pro capite è di 1.816 euro. Tale valore del 2013 è il risultato di un trend in diminuzione della spesa sanitaria nazionale che si riduce del 2,36% fra il 2010 e il 2013 con un tasso medio annuo composto di -0,79% e con un decremento dell'1,50% solo nell'ultimo anno".
La mappa interattiva del rapporto coi dati regionali
Scritto il 27 aprile 2016 alle 18:39 | Permalink | Commenti (0)
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Forse sarà annoverato come un altro grande risultato del governo Renzi, e di quelli che lo hanno preceduto, voluti tutti dal senatore a vita Giorgio Napolitano.
In Occidente è accaduto solo due volte, 21 anni fa in Danimarca, ed il paese immediatamente mise riparo all’abbassamento dell’aspettativa di vita investendo in prevenzione, sanità, informazione e nell’ Unione sovietica, all’indomani della caduta del muro e della fine del regime comunista.
Accade nel 2016 nel paese della “svolta” di Renzi, dove gli anziani non riescono più neanche a curarsi, oltre che a mangiare degnamente, dove la sanità è nelle mani di “baroni” che fanno assumere figli e parenti incapaci ed ignoranti, dove il “lusso” dei controlli medici è riservato, come interi reparti ospedalieri, a mogli ed affini dei politici nostrani, dove l’inquinamento viene taciuto, nascosto, da chi dovrebbe rappresentarci, e lo fa indegnamente, ed è il frutto di quella corruzione che ruba risorse all’intero paese, alle famiglie più in difficoltà, a quel welfare calpestato dagli interessi e dalle ricchezze dei soliti pochi.
Scritto il 27 aprile 2016 alle 17:48 | Permalink | Commenti (0)
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Sembra che molti paesi occidentali - la maggioranza - la pensi diversamente. Sembra che persino in Italia, dove la truffa-quorum è ormai abitualmente adottata da vent'anni, tutti (o quasi) abbiano capito che con la legge (e l'uso truffaldino che se ne fa, complici "le più alte cariche dello stato") così stia passando nel cimitero di quelle che vagano fra l'inutile e il dannoso. Siamo arrivati al paradosso che lo stesso Presidente del Consiglio - che in altre occasioni ha illustrato con molti hastag e con molti tweet il diritto-dovere civico del voto, in questa occasione abbia temporaneamente cambiato idea. Sembra che la Total, l'uomo che aveva la "sguattera del Guatemala" a servizio, ed altri gentiluomini of that kind, abbiano ringraziato sentitamente. Non faranno mancare il loro appoggio (non solo morale) alle prossime 25 Leopolde.
È tutta una questione di quorum. Il referendum sulle trivelle, o meglio per l’abrogazione della norma che prevedeva il prolungamento della concessione all’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia fino all’esaurimento dei giacimenti, alla fine si è rivelato nullo perché a votare è andato solo il 31,2% degli aventi diritto (circa 15 milioni di persone) e non il 50% come previsto dalla Costituzione. Non è stato raggiunto quorum, appunto, cioè il “numero legale” necessario per rendere valido il voto. Uno strumento che la stessa riforma costituzionale (il ddl Boschi) approvata in via definitiva alla Camera modificherà: il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50%, ma se i cittadini che propongono la consultazione sono 800mila anziché 500mila, la percentuale viene ridotta. Basterà che vada a votare il 50% dei votanti dell’ultima tornata elettorale, e non degli aventi diritto.
Il quorum, però, non è istituto di poco conto. Matteo Renzi, nemico del referendum sulle trivelle sollevato dalle regioni, ha invitato a non andare a votare con l’obiettivo di rendere nulla la consultazione. Il Movimento cinque stelle, che invece ha appoggiato il sì nel referendum sulle trivelle, dopo il risultato elettorale è tornato a rilanciare la vecchia battaglia dell’abolizione del quorum nei referendum «perché negli strumenti di democrazia diretta solo chi partecipa deve contare e decidere» [...]
«Introdotto per prevenire le distorsioni che risultano da una bassa partecipazione, alla fine il quorum contribuisce a diminuire la partecipazione introducendo distorsioni nei risultati dei referendum», scrivono due politologi, Luiz Francisco Aguiar-Conraria e Pedro C. Magalhães nel paper Referendum Design, quorum rules and turnout , in cui analizzano i risultati di 109 referendum nazionali in Europa dal 1970 al 2007.
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La maggior parte degli Stati nel mondo non prevede il raggiungimento del quorum per rendere valido il risultato di un referendum. Ma l’Italia non è l’unico Paese in Europa a farlo. Quindici Stati membri dell’Ue oggi prevedono sia quorum di partecipazione sia “quorum di approvazione”. In quest’ultimo caso una certa percentuale di votanti deve dire sì per far passare una data proposta. Una soluzione che, secondo la Venice Commission del Consiglio d’Europa, è preferibile perché crea meno distorsioni rispetto al quorum di partecipazione.
Oltre all’Italia, nell’elenco troviamo Bulgaria, Croazia, Danimarca, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia. Ogni Stato ha i suoi dettagli. Come l’Italia, Bulgaria, Croazia e Malta, richiedono un quorum di partecipazione del 50% nei referendum abrogativi. In Lettonia, tranne nel caso di referendum costituzionali, il quorum richiesto è della metà dei votanti che hanno partecipato all’ultima tornata elettorale. In Polonia e Portogallo, se la partecipazione non raggiunge la metà dei votanti, il risultato del referendum è solo consultivo e non vincolante.
L’Ungheria prevede un quorum di approvazione del 25 per cento. In Danimarca, una modifica della Costituzione deve essere approvata dal 40% dell’elettorato; nel caso del referendum abrogativo, il testo messo al voto è respinto solo se il 30% dell’elettorato lo respinge.
In alcuni casi, è richiesto un quorum particolarmente alto per decisioni fondamentali. In Lettonia, quando un emendamento costituzionale è sottoposto al referendum, deve essere approvato da più del 50% dei votanti registrati. In Lituania, alcune decisioni particolarmente importanti legate alla sovranità possono essere modificate solo da una maggioranza di tre quarti dell’elettorato (75%), mentre altre questioni legate allo Stato e alle revisioni costituzionali richiedono la maggioranza dell’elettorato. In Croazia, invece, è richiesto il sì della maggioranza dell’elettorato nel caso di fusione con altri Stati. In Olanda, si richiede un quorum di partecipazione del 30%, cifra appena raggiunta nel referendum sul patto tra Europa e Ucraina, con la vittoria del no [...]
La richieste del quorum nei referendum locali e regionali, invece, è rara. In Belgio, ad esempio, è richiesta la partecipazione del 10% a livello provinciale e del 20% a livello comunale. Patria dei referendum senza quorum, invece, è la Svizzera. Dove dall’inizio dell’anno si è già votato per quattro diversi referendum.
...già... si direbbe che la Svizzera sia un preclaro esempio di paese antidemocratico, perchè soisa il principio che chi vota ha ragione, la maggioranza dei voti espressi vince (anche due voti su tre), e che chi si rifugia nell'astensione ha torto sempre e comunque. Che Presidente ed Amministratore Delegato della Svizzera sia diventato, anostra insaputa, tale Bokassa?...
Tafanus
Scritto il 27 aprile 2016 alle 16:47 | Permalink | Commenti (0)
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Oggi niente vignette "cattivissime" alla Ellekappa, alla Altan, alla Biani... E niente vignette alla Staion o alla Vincino, che ormai per essere capite hanno bisogno del libretto d'istruzioni.
Oggi una pausa stupenda per gli amanti della buona musica: una grandissima Roberta Gambarini, col mitico Enrico Rava e la loro band, ricevono una calorosissima standing ovation in una sala da concerti di Riga, grande come uno stadio e piena come un uovo, con una esecuzione bellissima e piena di humour di un pezzo italianissimo (Estate) di un autore italianissimo (Bruno Martino). Un pezzo che praticamente TUTTI i jazzisti del mondo hanno inserito nel loro repertorio...
Scritto il 27 aprile 2016 alle 01:18 | Permalink | Commenti (4)
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Renzi non ha ancora deciso. Se lo boicotta, questa odiosa forma di consultazione viene mantenuta. Se invita a votare è per lui una grave contraddizione (di Michele Serra - l'Espresso)
Dopo il referendum sulle trivelle, grazie al quale molti italiani per un mese si sono insultati orribilmente (ma inutilmente: gli insulti non hanno raggiunto il quorum necessario), quali altre appassionanti prove referendarie ci attendono? L'unica notizia certa è che alle porte c'è un referendum sulle pressofusioni, che secondo la legge 563 comma 39/ter e successivi aggiornamenti possono essere effettuate anche con il metodo Britner, con stampi in vanadio, mentre il comitato promotore sostiene che è molto meglio il metodo Protzsky, con stampi in berillio. Il Pd si è già pronunciato a favore di entrambi i metodi.
Il confronto La campagna elettorale durerà due mesi e gli italiani potranno finalmente mettere a confronto i due sistemi, il Britner e il Protzsky, constatando che fino a oggi le pressofusioni, nel nostro paese, sono state effettuate senza alcuna trasparenza, mantenendo l'opinione pubblica all'oscuro delle varie, delicatissime fasi di questo nevralgico processo industriale. Voleranno nuovi orribili insulti e accuse infamanti, ci si rinfaccerà di essere servi di Renzi oppure di voler far cadere Renzi, dopodiché quasi nessuno andrà a votare, le pressofusioni continueranno a essere fatte esattamente come prima e anche Renzi continuerà a essere fatto esattamente come prima.
Notriv - Nel frattempo il movimento Notriv si è sciolto, depositando il marchio Noprox, a disposizione del prossimo gruppo di cittadini che vorrà opporsi a qualcosa. Già molte le proposte per nuove raccolte di firme: per dire no all'uso della plastica nelle fabbriche di plastica, no agli incentivi per le tombe di famiglia in cemento armato introdotti alla chetichella nel decreto Sbloccatutto e previsti anche per famiglie di soli due defunti, no alla maleducazione, no allo yodel, no a nuove licenze per ristoranti giapponesi gestiti da cinesi, no alla morte, no ai nani da giardino, no alla ferratura dei cavalli non consenzienti, no ai no (quest'ultimo quesito ha già ricevuto il Premio Breton, assegnato ogni anno dall'Internazionale Surrealista). Secondo i sondaggi l'unico referendum con ottime probabilità di raggiungere il quorum è quello contro lo yodel.
Noreferendum - È nato anche un movimento per abolire i referendum, ritenuti un istituto costoso e inutile. Il comitato promotore Noreferendum sta raccogliendo le firme contro i referendum, ma è difficile che il loro referendum possa raggiungere il quorum. Renzi non ha ancora deciso se invitare a non andare a votare al referendum, perché in caso di mancato quorum il referendum fallirebbe e dunque i referendum rimarrebbero; oppure se invitare a votare "sì" raggiungendo il quorum e abolendo così i referendum, ma purtroppo attraverso un referendum.
Emiliano - Il governatore della Puglia non demorde. Ha presentato uno studio scientifico nel quale si dimostra che le orecchiette alle cime di rapa non provocano danni all'organismo, mentre il petrolio sì. Lo studio è stato reso possibile da un dipendente della Regione Puglia che, energicamente sollecitato da Emiliano, ha mangiato per una settimana orecchiette e per una settimana petrolio. Nel secondo caso si è sentito malissimo. In conseguenza di questo risultato scientifico, inoppugnabile, Michele Emiliano presenterà una legge regionale che prevede di trasformare le piattaforme per l'estrazione di idrocarburi in ristoranti tipici pugliesi, raggiungibili in barca. Quelli entro le dodici miglia anche a nuoto.
Il blog di Grillo - Ha attribuito il fallimento del referendum a un virus lanciato dagli aerei militari per far perdere l'orientamento agli elettori impedendo loro di raggiungere le urne. Dopo poche ore il post è stato aggiornato, correggendo parzialmente il tiro. Il referendum sarebbe fallito per un complotto delle banche, della lobby dei benzinai, degli ebrei, dei cinesi, della Cia, dei plutoniani, delle donne, degli dèi invidiosi, del caso, dello spostamento dell'asse terrestre, degli alunni della moglie di Renzi.
Renzi - Ha firmato un accordo con la Ikea per accelerare la commercializzazione della nuova piattaforma petrolifera fai-da-te, la Svalbo, che può essere comodamente caricata nel bagaglio della propria automobile e montata in mare in poche ore. Estrae dalle sabbie circa dieci litri di petrolio al giorno, esattamente la quantità necessaria ad alimentarla. Può essere facilmente trasformata in divano-letto.
Michele Serra
Scritto il 26 aprile 2016 alle 14:26 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 26 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 25 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 24 aprile 2016 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "ASCENSORE PER IL PATIBOLO" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Ascenseur pour l’échafaud
Regia: Louis Malle
Principali interpreti: Jeanne Moreau, Maurice Ronet, Georges Poujouly, Yori Bertin, Jean Wal, Lino Ventura – 90 min. – Francia 1958.
Il primo film di Louis Malle, che, nella sua versione originale, dopo il restauro della Cineteca di Bologna, è stato distribuito in settanta sale italiane, per la gioia di chi ama il cinema. Un bellissimo film.
Questa è la storia maledetta di due amanti: lui è Julien Tavernier (Maurice Ronet); lei è Florence Carala (Jeanne Moreau). Julien lavora nell’impresa di Simon Carala, uomo impegnato in affari poco chiari, marito di lei; entrambi sono legati da una passione così profonda e totalizzante da organizzare con meticolosa razionalità l’uccisione di Simon, simulandone il suicidio, per vivere liberamente il loro amour fou. Il delitto, che è raccontato all’inizio del film, è materialmente compiuto dal solo Julien, che con lei ha definito i dettagli con tale perfetta precisione da rendere inattaccabili i loro rispettivi alibi.
Non andrà così, però: una corda dimenticata; l’ascensore che si blocca all’improvviso rendendo inutili i tentativi di uscirne e raggiungere lei, a sua volta impegnata nella febbrile ricerca di lui nella notte parigina; un furto d’auto che si conclude malamente, ma che accende gelosie e sospetti del tutto infondati… il caso, insomma, inaspettato e imprevedibile manderà in fumo il sogno d’amore della coppia, preparando, forse per entrambi, il cupo futuro evocato dal titolo del film.
Quando Louis Malle girò questo suo primo lungometraggio (aveva alle spalle un solo documentario girato nel 1955 come assistente di Jacques Yves Cousteau), a Parigi cominciavano ad avvertirsi i primi fermenti della Nouvelle Vague, il movimento al quale egli non aderì mai, ma al quale, per più di un aspetto, proprio questo film sembra preludere, in modo particolare per il gusto delle riprese en plein air che rendono indimenticabile la notte irrequieta di Florence, in quelle strade di Parigi ancora poco esplorate dal cinema, battute dalla pioggia, lontane dalla grandeur trionfale dei boulevard, in singolare opposizione rispetto alla notte claustrofobica di Julien, bloccato nell’ascensore del grande edificio in cui ha commesso il delitto.
Non mancano poi squarci illuminanti della realtà quotidiana, come il risveglio della città; la ripresa della vita dopo la pausa notturna; la riapertura dei bar e dei piccoli bistrot; la lettura dei giornali, e persino la vita nelle case dei poveri, degradate e sporche o negli squallidi ambienti dei commissariati di polizia: un insieme di immagini che ci offrono anche il quadro complessivo delle contraddizioni di una Francia alle prese con gli enormi problemi non ancora risolti del dopoguerra e delle colonie, alla vigilia della ribellione di queste ultime.
Fra i grandi pregi del film va annoverata la straordinaria musica diventata leggendaria: Miles Davis, il grande jazzista che si trovava a Parigi, fu avvicinato da Louis Malle, che non intendeva chiedergli una vera e propria colonna sonora, ma una collaborazione con alcuni musicisti francesi per una seduta di improvvisazione: dopo alcune perplessità, Davis accettò e registrò in una notte (dalle 10 di sera alle 8 del mattino) le musiche che avrebbero accompagnato sette scene del film, precedentemente montate su una bobina, che continuava a proiettare durante tutta la seduta.*
*Chi vuole saperne di più, QUI, troverà per esteso la storia di questo straordinario incontro, molto importante nella storia del Jazz ma anche nella storia del cinema
Angela Laugier
Scritto il 24 aprile 2016 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Le urne vuote nel referendum sulle trivelle. E quelle che a ottobre daranno una Costituzione su misura a Renzi. Due facce della stessa medaglia (Luigi Vicinanza - l'Espresso)
La democrazia muta e inerte rischia di sostituirsi alla democrazia consapevole e partecipata. Lo certifica il risultato inconcludente quanto prevedibile del referendum di domenica 17 aprile. Mancato il quorum - ha votato solo il 31,2 per cento degli aventi diritto - il presidente del Consiglio, fautore dell'astensione, non solo si è intestato il facile risultato. È andato oltre. Ha provato a trasformare in consenso personale, per sé e per il suo governo, quel senso di sfinimento che attraversa l'Italia nei confronti delle forme di partecipazione democratica. Quel 68,8 per cento che è rimasto a casa - chi per legittima valutazione politica, chi semplicemente per disinteresse - è diventato in blocco una maggioranza pro-Renzi. Maggioranza silenziosa. Precettata d'ufficio a convalidare una vittoria sul raccogliticcio fronte avverso. Nell'euforia post-referendaria sono stati pesati sulla stessa bilancia i comportamenti di chi si è astenuto per calcolo e quelli di chi ha smesso da tempo di votare.
Nell'altro campo - quello di Emiliano, Brunetta, De Magistris, Di Maio, gli sconfitti con tanti se e tanti ma - l'operazione è persino più azzardata. Senza quorum e senza quid conteggiano i 15 milioni e 800 mila italiani recatisi alle urne, di cui oltre 13 milioni a favore del Sì, come un fronte popolare anti-premier. Se pure in parte fosse vero, e forse lo è, resta il dato della sconfitta: il tentativo di azzoppare il premier non è riuscito. Anzi, il risultato referendario è stato per Matteo Renzi il pretesto per invocare il superamento della "guerra civile ideologica" che, ha detto a caldo domenica sera, ha bloccato e continua a bloccare il Paese.
Fa impressione sentir parlare il premier di guerra civile, sia pure limitata alla sfera ideologica. In precedenza non si era mai spinto a tanto. Al meeting di Rimini di Comunione e liberazione, la scorsa estate, aveva archiviato berlusconismo e antiberlusconismo, posti sullo stesso piatto della bilancia: pari sono. Il percorso renziano, tuttavia, è coerente con il sentimento e il risentimento prevalenti tra la gente. Non cittadini, ma gente, massa indistinta di delusi, sfiduciati, incazzati, traditi dai partiti. Estenuati da uno stillicidio di cattive notizie: gli affarucci degli amici di una ex ministra, le paure suscitate da un'immigrazione fuori controllo o l'economia percepita in perenne stagnazione per cui non si spende e i prezzi nelle città accusano deflazione. Matteo piè veloce è egli stesso causa ed effetto di questa opinione diffusa di disincanto. Troppe aspettative finiscono inevitabilmente per trasformarsi in un incattivimento degli umori collettivi.
Renzi, molto meglio dei suoi avversari interni ed esterni, sa però fiutare l'aria che tira. Svuotando il referendum sulle trivellazioni ha abilmente trasformato in un successo quel dato che, in tutte le altre occasioni, viene stigmatizzato come una malattia della democrazia: il rifiuto delle urne. Arma pericolosa nelle mani dei populisti, riflette il politologo Piero Ignazi (pagina 21). Già ci si interroga su quale potrà essere il livello di partecipazione all'unico referendum che sta a cuore al premier-segretario. Quello di ottobre, destinato a confermare il nuovo assetto costituzionale appena approvato in via definitiva. Per quel tipo di consultazione non è richiesto quorum, ma poiché Renzi lo sta presentando come un plebiscito sulla sua persona - prendere o lasciare - ha bisogno di una valanga di sì alla riforma per legittimarsi una volta e per sempre agli occhi (appannati) degli italiani. Azzardo una previsione: vincerà la prova. Per gli stessi motivi per cui tanti non votano più. Renzi infatti farà leva sui tanti italiani convinti che, rispetto a una democrazia impotente, sia preferibile un decisionismo interpretato da un uomo solo al comando. La nuova Costituzione sembra cucita su misura affinché Renzi la indossi per perfezionare quel "governo personale" instaurato di fatto due anni fa. Sarà il vero trapasso storico delle nostre istituzioni repubblicane. Abbattute non per effetto di una "guerra civile" per fortuna mai combattuta. Ma rivoluzionate sull'onda della stanchezza e della rassegnazione. L'Italia è altrove, ha detto al Senato il premier. Ha ragione.
Luigi Vicinanza - l'Espresso del 22/04/2016
Scritto il 23 aprile 2016 alle 18:07 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 23 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 22 aprile 2016 alle 12:29 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 22 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 21 aprile 2016 alle 00:01 | Permalink | Commenti (1)
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Renzi si gioca tutto da qui all'autunno, quando si terrà il referendum sulle riforme costituzionali, tra dossier, guerre di apparati e manovre delle lobby. Mentre i sondaggi danno in discesa il consenso alla figura del premier (Marco Damilano - l'Espresso)
La grande paura. Ora che cominciano i sei mesi decisivi. Con il sì definitivo della Camera di martedì 12 aprile alla riforma della Costituzione, l'alfa e l'omega di Matteo Renzi, il punto di partenza e il punto di arrivo per il premier venuto da Firenze, sono cominciati i sei mesi che porteranno al referendum fine-del mondo su cui il capo del governo punta tutte le sue carte. Un semestre bianco su cui si concentrano le sfide e i timori, come nei sei mesi che precedono l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Pressioni. Veleni. Minacce. «Sono molto preoccupato...», scuote la testa un ministro mentre l'aula di Montecitorio vota per cambiare la Costituzione, tra i banchi vuoti, con il Pd e la maggioranza da soli a partecipare al passaggio storico. Eppure doveva essere il momento del trionfo, una giornata storica, l'addio al Senato fotocopia della Camera così com'è stato in settant'anni di vita repubblicana, invece il via libera alla riforma arriva nel momento più difficile.
Sondaggi in discesa, per il Pd e per il gradimento personale di Renzi, più basso perfino delle percentuali di voto per il suo partito. La vigilia del referendum sulle trivelle del 17 aprile, con l'incognita sulla percentuale dei votanti: il raggiungimento del quorum sembra lontano anche ai promotori, ma sul quesito ambientalista i due fronti che si scontreranno in futuro, i renziani e i no-Renzi, ben più che gli astensionisti e i no-Triv, sondano l'opinione pubblica, fanno le prove generali dell'autunno. E sono apparsi, per la prima volta in due anni i carteggi. I dossier. Le guerre tra gli apparati. Le manovre delle lobby alle spalle dei ministri, con la sospetta complicità di pezzi dello Stato. E infine, più sgraditi di tutti, i corvi che volano sopra, accanto e addirittura all'interno del governo Renzi.
Nelle ultime due settimane il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi è stata costretta a dimettersi dopo l'intercettazione con il suo compagno Gianluca Gemelli, indagato dai pm di Potenza. Un altro esponente del governo, il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, presidente della regione Basilicata dal 2005 al 2013, è finito sotto inchiesta. Un ministro di primissimo piano, il titolare delle Infrastrutture, Graziano Delrio, è andato in procura a denunciare un complotto contro di lui. Nelle intercettazioni dell'inchiesta è risultato infatti che un consulente della Guidi, Valter Pastena, uomo di casa in numerosi ministeri, si vantava al telefono con Gemelli di poter arrivare a un dossier contro Delrio preparato dai carabinieri («Chi conduce le indagini è il mio migliore amico»), con tanto di foto dell'ex sindaco di Reggio Emilia in compagnia di uomini della 'ndrangheta. E negli ultimi giorni un dettagliato, informatissimo dossier anonimo spedito alla presidenza del Consiglio, ai vertici militari, alle procure di Roma e di Potenza e ai giornali è piovuto sull'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della Marina, anche lui sotto inchiesta a Potenza.
Insinuazioni personali, accuse gravissime, immagini grottesche, come quella del cavallo bianco che accolse gli invitati a un cocktail a bordo della Vittorio Veneto a New York, e ben più corpose vicende di appalti che riportano a Pastena. Come la convenzione della Marina con la ditta Aeronautical Service, per produrre scafi veloci, nonostante fosse stata dichiarata inadeguata alle esigenze produttive. «Valter Pastena ha visto passare tra le sue mani oltre cinque miliardi di euro da destinare all'ammodernamento della flotta, gli è venuta l'acquolina in bocca tanto da ricercare, e facilmente ottenere, questo patto scellerato con il De Giorgi», scrive il corvo. «Poi si sa, una cosa tira l'altra, ed ecco che i due si ritrovano sempre insieme, e a volte insieme ad altri (si chiamano lobby?)».
Per missive di questo tipo, anonimi ben informati su manovre e affari, in Vaticano tre anni fa finì per dimettersi il papa. Nel laico governo repubblicano, invece, il fascicolo è stato accolto con un silenzio imbarazzato e De Giorgi è rimasto per ora al suo posto. Eppure è passato di mano in mano, in tutti i palazzi, con crescente inquietudine. E nonostante le smentite della Marina la maggior parte delle informazioni e dei documenti allegati alla lettera è stata considerata credibile nelle stanze del governo.
Ma il papa si dimette, l'ammiraglio no. In sua difesa, al momento dell'apertura dell'inchiesta di Potenza, è intervenuto Renzi, in pubblico («lo stimo molto, credo sia una persona di cui l'Italia può essere orgogliosa», ha detto il premier alla trasmissione di Lucia Annunziata) e in privato. Più discretamente si è fatto sentire il Quirinale: De Giorgi è un servitore dello Stato in scadenza, è in arrivo la sua sostituzione per limiti di età, meglio non infierire, anche se fino a qualche giorno fa il potente ammiraglio dimostrava di non avere nessuna intenzione di ritirarsi a vita privata, puntava su una proroga del mandato e poi alla guida della Protezione Civile. Si muoveva negli ambienti della politica come se contasse più di molti ministri, forte dei suoi rapporti personali, di una corsia preferenziale con Palazzo Chigi.
Nell'inchiesta c'è anche il racconto del decreto di nomina per la presidenza del porto di Augusta che nel 2015 fu "strappato" dal ministro delle Infrastrutture Delrio su richiesta di Ivan Lo Bello, con la conseguente proroga nella casella-chiave del porto più importante della Sicilia orientale di Alberto Cozzo, amico di Gemelli. Circostanza negata da Lo Bello, già presidente di Confindustria, uomo-simbolo della nuova stagione antimafia dell'associazione imprenditoriale siciliana, oggi piuttosto scolorita dopo l'inchiesta che coinvolge l'attuale presidente Antonello Montante. Lo stesso Gemelli, il compagno della Guidi, era un pupillo di Lo Bello, inserito anche grazie a questa credenziale nel consiglio di amministrazione di importanti società (come lo Ias, l'Industria Acqua Siracusana) e al vertice di Confindustria Siracusa.
Una rete di legami di cui andrà dimostrato il profilo penale. Ma sul piano politico c'è l'incredibile facilità con cui imprenditori, mediatori, faccendieri continuano ad arrivare ai vertici del governo, a influenzare le decisioni nel cuore del potere romano, anche nell'era Renzi. E la prudenza sul caso De Giorgi, da parte di un premier che ha fatto del decisionismo, «la democrazia decidente», il suo tratto identitario, è l'indizio di una consapevolezza. C'è un fronte scoperto nel governo «più riformista della storia repubblicana», come ama definirlo Renzi. Qualcosa che riguarda la sua composizione, il peso politico e l'autorità dei singoli ministri, il modo di intendere il rapporto tra Palazzo Chigi e i ministeri, il cuore del potere, ritenuto sempre forte, fortissimo,e che ora si scopre all'improvviso fragile, permeabile alle guerre grandi e piccole delle lobby e degli apparati.
Dossier e inchieste della magistratura a parte, l'inizio del Semestre bianco è segnato da un cambio di immagine. Ministri bypassati, delegittimati, privati della possibilità di decidere, perché nel governo conta soltanto il premier con il suo gruppo ristretto e tutti gli altri sono interscambiabili. E altri ministri messi nel mirino. Il ministro Delrio su cui spunta un dossier all'epoca dei fatti, gennaio 2015, era ancora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il numero due del governo, l'uomo più vicino a Renzi, anche se in rapporti gelidi con l'altro sottosegretario, il giovane Luca Lotti. In quei giorni si parlava di lui come possibile nome di Renzi per la presidenza della Repubblica dopo Giorgio Napolitano. Chi intendeva macchinare contro di lui, dunque, sapeva di puntare su un candidato al Quirinale, come nelle stagioni più buie della storia repubblicana. Anche se, in questo caso, a parlarne forse a sproposito sono i campioni di un'epoca minore: piccoli affaristi per piccole manovre.
Il diretto interessato, Delrio, non commenta le notizie che lo riguardano: «Per me parla il gesto che ho fatto: non ho aspettato un minuto ad andare in procura». Ma non nasconde di avvertire uno strano clima di tensione attorno al governo e cerca una spiegazione politica. «Siamo alla vigilia di un passaggio fondamentale, decisivo. Nei prossimi sei mesi ci sarà il referendum sulla Costituzione e l'entrata in vigore della nuova legge elettorale. Se tutto va bene portiamo a casa la riforma e arriviamo alla fine della legislatura. Nel 2018 il governo Renzi sarebbe per durata il governo più longevo della storia repubblicana, con la possibilità di vincere le elezioni e di governare per altri cinque anni grazie alle nostre riforme. Stiamo per cominciare una stagione di stabilità che questo Paese non ha mai conosciuto...». Se tutto va bene per Renzi finirà così, ma cosa c'entra con i veleni di queste settimane? «Ci sono troppi poteri che in questo Paese non accettano un governo stabile, non sono abituati ad avere di fronte un interlocutore forte», risponde Delrio. Un segnale d'allarme. È il semestre bianco del governo Renzi lo spazio in cui bisogna infilarsi. E le difficoltà mettono il premier di fronte a un bivio. Riprendere il contatto diretto con la società italiana, a colpi di Twitter, dialoghi con la Rete su Facebook, apparizioni televisive, viaggi sul territorio. Con il rischio che tutto si concentri sulla sua persona. E che a furia di disintermediare, come ripete il premier, a resistere siano quei settori e ambienti che abitano la zona grigia, la terra di mezzo tra la politica e gli affari: per forza di pressione, per contatti personali, con l'aiuto di apparati statali. Oppure può ricompattare la sua squadra, uscire dal gioco dell'uno contro tutti, il suo preferito, cercare alleanze inedite. In fondo, perfino il suo rivale più pericoloso, l'ex premier Enrico Letta, ha lanciato un messaggio: al referendum di ottobre voterà sì, un voto sulle riforme e non sulla persona del premier. Un gesto di pace in questa fase di guerra che anticipa l'inizio del semestre renziano.
Marco Damilano
Scritto il 20 aprile 2016 alle 21:19 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 20 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 19 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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E per parlarne, partiamo da lontano. Esattamente dal 1974. Tanto per iniziare a farsi un'idea: il 31% di affluenza è - e il grafico lo mostra a chiare lettere - il risultato della pluridecennale, progressiva disaffezione dall'Istituto referendario, generato da molti fattori:
E ora diamo uno sguardo al grafico in alto: i puntini riguardano (in percentuale) i dati dell'affluenza ai referenda effettuati dal 1974 al 2016. Stiamo parlando di 42 anni. Un tempo sufficiente per poter parlare di "tendenza di lungo periodo". La linea curva rappresenta la linea di tendenza polinomiale. che "media" fra gli occasionali sbalzi di singoli dati atipici.
Il referendum che Renzi non voleva (e di cui si intesta il mancato raggiungimento del quorum), guarda caso si chiude con un'affluenza al 31%, che è esattamente sovrapponibile alla curva di tendenza. Ma - e mi scuso se faccio un discorso controtendenza rispetto ai titoloni dei giornali di oggi ("Senza Quorum", ed altre perle giornalistiche del genere), Renzi dimentica di dire due o tre cosine:
In altri termini, siamo un popolo di coglioni, che vanno a votare solo se sono convinti di vincere, e mai dare un segnale importante a questi governanti foraggiati dai petrolieri anche attraverso opportune "sguattere guatemalteche".
Se si mettono insieme questi fattori, si capisce che un referendum che riguarda una piccolissima parte della popolazione, e che raggiunge il 31% di affluenza, è una sconfitta. E' una sconfitta non per chi è andato a votare SI, ma per Renzi e per i suoi scherani, che contavano su cifre d'affluenza da prefisso telefonico.
Altre due annotazioni:
Facciamocene quindi una ragione. Noi siamo un popolo coglione, che ha bisogno come il pane di piccoli e grandi cazzari. Un popolo che è passato, senza soluzione di continuità, dal craxismo, al berlusconismo, al renzismo. Ogni popolo ha i governanti che si merita.
E ora teniamoci vita natural durante queste decine di orribili cattedrali di ferro arrugginito, che nessuno rimuoverà più, perchè il decommissioning è forse più costoso della costruzione. I reucci di "trivellopoli", grazie a Renzi, Hanno trionfato. L'italia ha perso, ancora una volta.
Tafanus
Scritto il 18 aprile 2016 alle 23:05 | Permalink | Commenti (49)
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Recensione del film "LA COMUNE" (di Angela Laugier)
Regia: Thomas Vinterberg
Principali interpreti: Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Helene Reingaard Neumann, Martha Sophie Wallstrom Hanse, Lars Ranthe, Fares Fares, Magnus Millang, Julie Agnete Vang, Anne Gry Henningsen, Lise Koefoed, Adam Fischer, Oliver Methling Søndergaard, Ida Emilie Krarup, Mads Reuther, Jytte Kvinesdal, Rasmus Lind Rubin – 111 min. – Danimarca 2016.
Il film racconta i ricordi del regista nella Danimarca degli anni ’70, quando, ancora assai piccolo, con i genitori, aveva abitato all’interno di una Comune, percorrendo un’esperienza al tempo assai diffusa. I riferimenti storici sono dati dagli eventi della guerra fra Americani e Vietnamiti, ampiamente citata nel corso della narrazione.
Lui, Erik (Ulrich Thomsen), insegna Architettura all’Università di Copenhagen; lei, Anna (Trine Dyrholm), conduce da anni il telegiornale danese; il loro matrimonio regge, senza scosse, da tre lustri, durante i quali era nata Freja (Martha Sophie Wallstrom Hanse), l’amata figlioletta, ora adolescente. L’eredità imprevista di una grande villa, nella campagna intorno a Copenhagen, che avrebbe permesso ad Anna e a Freja di vivere in un spaziosa abitazione circondata dal verde, aveva contrariato Erik, l’erede, timoroso che le notevoli spese per rimettere in ordine e mantenere quella casa sarebbero state al di sopra delle loro reali possibilità. Era stata Anna a trovare la soluzione al problema che avrebbe messo d’accordo tutti: invitare alcuni amici, attentamente selezionati, a vivere con loro tre, per condividere gli spazi e distribuire le spese aiutandosi reciprocamente nei lavori della casa. Si era costituita in questo modo una piccola comunità: anche se forse un po’ anomala rispetto alle numerose “Comuni” sessantottine: gli abitanti non erano molto giovani; le trasgressioni si limitavano alle sole bevande alcoliche; la privacy di ogni coppia era assicurata; la vita sociale regolamentata con una certa pignoleria. La convivenza sembrava funzionare, perché tutto, anche il dolore più atroce (qual era stato il lutto per la morte del bambino di una coppia) era diventato più sopportabile essendo condiviso: tutti ne avevano sinceramente partecipato; tutti se ne erano davvero fatti carico, con la loro rispettiva sensibilità, col loro individuale modo di piangere.
In queste pagine si trovano le cose migliori del film: la narrazione successiva, infatti, non raggiunge la stessa forza espressiva ed emotivamente non è altrettanto convincente.
La nuova storia d’amore di Erik con Emma (Helene Reingaard Neumann), la giovane studentessa, avvia il film verso un finale di grande tristezza, affrontato però con estrema superficialità. Il regista, infatti, pur raccontando la progressiva estromissione di Anna (oltre che dal cuore di Erik) dal suo lavoro e, infine, per l’inconsapevole crudeltà di Freja, persino dalla casa che aveva voluto e organizzato tenacemente, ci lascia l’impressione sgradevole di una conclusione quasi ottimistica, più adatta a Rossella O’Hara ( della serie…domani è un altro giorno!) che alla donna complessa e matura che, per ingenua generosità, aveva aperto anche alla nuova coppia la comunità che aveva costruito.
Grandissima interpretazione di Trine Dyrholm, Orso d’Argento a Berlino, assegnato con pieno merito a lei, quale migliore attrice nell’edizione di quest’anno.
Vinterberg ci aveva dato film migliori, peccato!
(Angela Laugier)
Scritto il 17 aprile 2016 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Renzi querelato
Nel 1985 la Corte di Cassazione, terza sezione penale, riaffermò la validità del principio, mentre si dibatteva sul referendum sulla scala mobile. Una notizia riportata da un ritaglio de La Stampa dell'epoca, che da alcuni giorni sta girando sui social network. La decisione della Cassazione arrivò mentre l'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi stava invitato pubblicamente gli elettori a non votare. Pochi giorni Mario Capanna, leader di Democrazia Proletaria, presentò una denuncia contro Craxi, richiamando la sentenza (Fonte: Andrea Palladino - Il Fatto)
“Inutile”. “Costoso”. Addirittura “una bufala”. Il referendum, fin dal 1971, è stato lo spauracchio di chi occupava il governo pro-tempore. Famosa fu la frase del 1991 di Bettino Craxi: “Domenica andate al mare”. Si votava per la preferenza unica, e quell’uscita non portò fortuna al leader socialista, che – nel giro di poco più di un anno – venne travolto dalle inchieste giudiziarie. Ultimo in ordine temporale è il referendum su nucleare e acqua pubblica. Era il 2011 e Silvio Berlusconi invitava apertamente all’astensione. Perse il referendum, sommerso da 29 milioni di voti (27 milioni furono i Sì),che ne anticiparono di pochi mesi la fine politica (...fusse ca fusse @lavortabbona?...)
Invitare a non votare porta decisamente male. Non solo. Le norme sulle elezioni politiche (del 1957) e sul referendum (del 1970) spiegano come indurre all’astensione gli elettori sia vietato dalla legge, almeno per chi ricopre un incarico pubblico. Nel 1985 la Corte di Cassazione, terza sezione penale, riaffermò la validità di quella legge, mentre in Italia si dibatteva sul referendum sulla scala mobile. Una notizia riportata da un ritaglio de La Stampa dell’epoca, che da alcuni giorni sta girando sui social network.
La decisione della Cassazione arrivò mentre l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi stava invitato pubblicamente gli elettori a non votare, su suggerimento di Marco Pannella. Pochi giorni Mario Capanna, leader di Democrazia Proletaria, presentò una denuncia contro Craxi, richiamando la sentenza della Cassazione. Nel giro di pochi giorni il segretario del Psi cambiò idea, schierandosi per il No (voto che poi prevalse) (...non male, il ricordo di Pannella, padre putativo dei referenda, e della loro bellezza istituzional-democratica, che invitava a boicottare l'istituto col quale ci ha sfrantumato le palle per decenni, fino al mitico "mazzo" di 23 quesiti presentati insieme... NdR)
A due giorni dall’appuntamento sulle trivelle elettorale Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, ripercorre la via di Capanna, presentando un esposto alla Procura di Roma contro Matteo Renzi, ipotizzando la violazione delle norme elettorali. La denuncia richiama le dichiarazioni del premier dello scorso 5 aprile: “Speriamo che questo referendum fallisca”; parole che sono state rafforzate anche nelle scorse ore, quando Renzi ha apertamente definito l’appuntamento elettorale “una bufala”. La questione – dal punto di vista strettamente giuridico – non è semplice, perché la stessa legge spiega che l’invito all’astensione deve avvenire abusando della propria funzione. Ed è questo il punto che ora i magistrati romani, destinatari della denuncia di Ferrero, dovranno valutare. Una seconda denuncia dovrebbe arrivare anche dal Movimento 5 Stelle (allargata a Napolitano), mentre lo stesso governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha commentato: “Non era mai successo nella storia d’Italia che l’arbitro della partita, cioè il presidente del Consiglio, consigliasse di renderla nulla non giocandola, o giocandola in maniera sleale”.
La discussione sull’invito all’astensione e l’obbligo del voto era iniziata già negli anni ’60. Nel 1963 un gruppo di anarchici di Foggia finì sotto processo per “istigazione a disobbedire alle leggi”, per avere propagandato l’astensione dal voto in occasione delle elezioni politiche. Dopo quattro anni di processi vennero condannati in via definitiva a nove mesi di reclusione (...e non avevano "cariche istituzionali - occorre ricordarlo - quindi ciò che sta facendo Renzi, Presidente del Consiglio, appare più criminale dell'episodio che ha condannato alla reclusione il "gruppo di anarchici". ma si sa... "La Legge è Uguale per Tutti". Ma per alcuni è "più uguale". NdR)
La norma che rendeva obbligatorio il voto è stata abrogata nel 1993; prima di allora l’astensione era riportata nei certificati di buona condotta. E’ rimasta intatta, invece, la disposizione di legge che vieta ai pubblici ufficiali di indurre all’astensione gli elettori o di condizionare il voto, richiamata dalla sentenza della Cassazione del 1985 e dalla denuncia presentata dal segretario di Rifondazione comunista. Quello stesso articolo è riportato nelle istruzioni inviate ai componenti dei seggi elettorali per il voto di domenica prossima, compilate solo dieci giorni fa. In questo caso il richiamo al divieto di “induzione all’astensione” è rivolto direttamente agli scrutatori, ai segretari, ai presidenti e ai rappresentanti di partito presenti nei seggi elettorali, che svolgono un ruolo di pubblici ufficiali. Sulla questione si è creata una certa giurisprudenza tra gli anni ’70 e ’80, quando – con diverse sentenze – alcune preture condannarono amministratori pubblici che avevano condizionato il voto. Nell’enciclopedia giuridica, alla voce reati elettorali, l’articolo 98 del testo unico del 1957 viene commentato evidenziandone il senso di difesa del principio della libertà del voto: “E’ evidente che il legislatore ha inteso, con la norma in esame, impedire e punire lo svolgimento di un’attività politica svolta da colui che eserciti una pubblica funzione, o abbia la veste di ministro di culto o sia comunque investito di un potere pubblico, e ciò per evitare l’efficacia suggestiva e l’influenza persuasiva o cogente che possono derivare dall’attività in parola in materia di elezioni”.
Quanto erano persuasive le parole di Renzi quando preannunciava la perdita di migliaia di posti di lavoro in caso di vittoria del Sì al referendum?
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Domenica, prima di recarvi a votare, fareste cosa utile per voi, e per noi, se dedicaste 10 minuti a leggere questo documento del WWF, che riporta e spiega dati sul prezioso bene delle trivelle tratte non da un tweet di Renzi, ma dall'analisi di dati di fonti ufficiali e governative. Si tratta di 5 paginette pdf scritte belle larghe. Così potrete apprendere che circa la metà della piattaforme sono pezzi fatiscenti di ferro arrugginito, inattivi, o fermi fa anni per "manutenzione". Roba che prima o poi si affloscerà in mare, producendo danni ambientali gravissimi. La legge proposta dal governo, e che il referendum chiede di abrogare, propone di vietare questa ulteriore "marchetta" ai petrolieri, i quali vorrebbero lasciare questi ferri vecchi arrugginiti in eterno in mare. Demolire delle piattaforme fatiscenti cosa, quasi quanto costa costruirle. Quindi tanto vale far finta che siano ancora in produzione, o in manutenzione.
Questo il frontespizio del documento in questione:
Se volete "viaggiare informati", trovate al link seguente il documento completo del WWF
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P.S.: Aggiungo in calce la email che ho appena ricevuto dall'amico prete Paolo Farinella sull'argomento:
TRE MOTIVI PER VOTARE SI AL REFERENDUM SULLE TRIVELLE
di Paolo Farinella, prete
Genova 15-04-2016. – Il primo motivo sta nell’invito del presidente del Consiglio, seguito a ruota dal presidente emerito della Repubblica che protegge il primo come una chioccia, perché hanno commesso un reato e continuano a commetterlo perché violano due leggi in vigore. Ecco il testo.
D.P.R. 361 del 30 marzo 1957,“Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati” (recepisce il D.P.R. 5 febbraio 1948, n. 26, Titolo VII, art. 98 e altri). Testo attualmente in vigore.
Il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio, l’esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all’astensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000199.
(nota)199 La misura della multa è stata così elevata dall'art. 3, L. 12 luglio 1961, n. 603, nonché dall’art. 113, primo comma, L. 24 novembre 1981, n. 689. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù dell'art. 32, secondo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689
Il secondo motivo è molto semplice, senza doverci addentrare in questioni tecniche: N. 40 trivelle dentro le 12 miglia sono inattive o perché esaurite o perché non convenienti economicamente. Se passa il NO, le compagnie petrolifere non avranno l’obbligo di smantellarle, ma resteranno come mostri in mezzo al nostro mare senza produrre petrolio o gas, ma inquinando il nostro mare fino alla consunzione totale. Se vince il SI come ci auguriamo, il governo dovrà pretendere che siano smantellate, cessando d’inquinare, non subito, ma dallo scadere della concessione (dal 2018 al 2030 circa).
Il terzo motivo è imperativo: Se Renzi dovesse vincere questo referendum, mette le premesse per vincere le amministrative e in ottobre anche il referendum sulla riforma costituzionale «Renzi/Boschi/ Verdini/Alfano».
Donne e uomini di buon senso, non permettiamo con la nostra rassegnazione di permettere che costoro distruggano quello che è costato sofferenza, dolore, sangue e morte. Il 25 Aprile è l’anniversario della LIBERAZIONE. Con quale coraggio ne faremo memoria se restiamo a casa o ci disinteressiamo di questo referendum che lo stesso governo e l’ex presidente della Repubblica boicottano, commettendo un reato? Significa che hanno paura. Facciamogli venire lo spavento che fa 90 e mandiamoli a casa. Senza indugio, in nome della LEGALITÀ, DELL’ONESTÀ, DELLA NOSTRA DIGNITÀ.
Chi non vota o vota NO, sappia che diventa complice di costoro che si stanno pappando lo Stato, la Carta, il nostro presente e il nostro futuro. Diamo una lezione di educazione civica all’ometto di Rignano, ignorante in fatto di diritto, disastroso in fatto di governo, peggiore di tutti quelli che lo hanno preceduto.
Mi appello alla base sana del PD, non tollerate che Renzi vi spenga l’anima, tornate a casa vostra e VOTATE SI, come avrebbero votato PERTINI, BERLIGUER, DE GASPERI, NENNI. Non volevate morire democristiani, ma state asfissiando dorotei renziani.
DOPO DOMANI DOMENICA 17 APRILE 2016 AL REFERENDUM VOTIAMO SI
Paolo Farinella, prete
Scritto il 16 aprile 2016 alle 19:09 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 16 aprile 2016 alle 01:27 | Permalink | Commenti (0)
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Una ragione di più per andare a votare
A pochi giorni dalle consultazioni scoppia la polemica sui dati relativi ai ridotti spazi di informazione dedicati al quesito che il governo avversa invitando gli elettori a disertare le urne. La7 ha dedicato due ore in più rispetto a viale Mazzini, cinque volte più di Mediaset. Freccero: "Gravissimo, porterò la questione nel cda del 20 aprile"
(...fantastico... Freccero "porterà il caso" in CDA tre giorni dopo che il referendum sarà stato effettuato, e forse avrà mancato il quorum... E farlo tre settimane prima, no? NdR)
C’è il referendum sulle trivelle, l’importante è non dirlo. Meno che mai al Tg del servizio pubblico: tra il 4 e il 10 aprile la Rai si è fermata a 8 ore e 59 minuti, e in particolare il Tg1 a 13 minuti. E’ polemica sugli spazi tv dedicati alla consultazione del prossimo 17 aprile, quando manca una manciata di giorni all’appuntamento degli italiani che sono chiamati a decidere se ratificare le scelte del governo sulle concessioni perenni alle multinazionali o fermare quella decisione, lasciando che le piattaforme entro le 12 miglia scadano secondo il contratto tra lo Stato e le compagnie. Una mancanza di informazione che è stata messa in luce oggi da La Stampa e investe più di tutti il servizio pubblico che, in quanto tale, dovrebbe offrire il massimo di informazione e invece – anche in questa occasione – sembra piuttosto andare a ruota di altre reti, offrendo notizie e servizi col contagocce. La questione sarà sollevata dal consigliere di minoranza Carlo Freccero nel cda del 20 aprile: “Dobbiamo verificare quei dati ma è verissimo che il servizio pubblico non ha dato al referendum l’attenzione necessaria. L’ho notato anche io e la cosa è molto grave, sopratutto se questa distrazione collima con la posizione del governo”.
A misurare gli spazi dedicati al referendum per conto dell’Agcom è Greca Italia, media research company che fa questo di mestiere. Ebbene, dalle rilevazioni è emerso che fino al 10 aprile scorso la rete televisiva che più di tutte ha dato risalto al tema delle trivellazioni è stata La7 con 11ore, 34 minuti e 45 secondi. Oltre due ore in più rispetto alla Rai che si è fermata a 8 ore e 59minuti e addirittura 5 volte di più rispetto alle reti Mediaset. Dai dati disaggregati di questa tornata, dicono gli analisti, i volumi e i contenitori informativi si sono ulteriormente assottigliati. Nelle pieghe dei dati riportati da La Stampa emerge che il pozzo nero dell’informazione ha colpito non tanto o solo gli spazi delle reti generaliste quanto i telegiornali nelle fasce di maggior ascolto. Secondo i dati tra i Tg Rai, Tg2 e Tg3 nonostante il minor numero di edizioni, informano molto di più rispetto al telegiornale principale.
Tutte le edizioni del Tg1 hanno riservato al tema del quesito referendari nella settimana che precede il voto – cioè dal 4 al 10 aprile – solo 13 minuti e 28 secondi, e cioè meno delle settimane precedenti. I tre principali tg della Rai hanno parlato del tema solo per 53 minuti nella settimana appena conclusa, meno di quella precedente. In buona sostanza: più ci si avvicinava all’appuntamento e più gli spazi per comunicarlo si stringevano. Chi se si è perso quegli slot d’informazione, non amando gli italiani la carta stampata, ne saprà poco o nulla e andrà fatalmente ad aumentare la quota degli astenuti. E qui sta il nodo della questione. Perché la Rai, servizio pubblico, sembra aver assecondato la linea del governo (che ne nomina i vertici) e il Pd hanno fatto una campagna per l’astensione. Il premier in persona ha più volte auspicato il fallimento del referendum (lo ha fatto ancora giovedì, a tre giorni dalla consultazione), tifando esplicitamente perché gli italiani disertino le urne. Una coincidenza o una scelta di assecondare l’esecutivo? Con questi numeri sarà naturale per i promotori della consultazione gridare al bavaglio. Il direttore Mario Orfeo, contattato da Ilfattoquotidiano.it, contesta i dati: “Non tengono conto degli spazi del tg all’interno di Uno mattina e Tv7 che naturalmente alzano di molto il tempo in cui ci siamo occupati del referendum, per altro in sostanziale equilibrio delle parti. Quindi è uno studio su dati parziali“.
Del resto a passare è proprio la linea del governo che punta all’astensione, non alla vittoria del “no”. Perfino i trivellatori più convinti, infatti, hanno notato e lamentano l’assenza del servizio pubblico. Il presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli, ad esempio, racconta di essere stato invitato una volta sola in Rai, ad Agorà, mentre ha ricevuto ben 4 inviti da La7. “Siamo quattro a uno, non lo dico per protagonismo ma perché è evidente che il servizio pubblico televisivo abbia dato una scarsa attenzione all’appuntamento, solo in parte compensata dagli approfondimenti puntuali e sistematici che la radio ha dedicato al tema”. Né può essere una attenuante la circostanza per cui altre reti, come SkyTg24 o abbiano colmato quel vuoto. Secondo La Stampa la questione, se sarà colta nelle sue implicazioni, avrà un peso nel dibattito sul rinnovo della concessione del servizio pubblico.
Scritto il 15 aprile 2016 alle 11:39 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 14 aprile 2016 alle 23:58 | Permalink | Commenti (0)
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Ugo De Siervo, Presidente Emerito Corte Costituzionale
Sonora bocciatura da parte di Ugo De Siervo, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, del pastrocchio della riforma costituzionale voluta da un "pool di cervelli" e di competenze in materia di Diritto Costituzionale quali quello di Matteo Renzi, Maria Elena VasaVasa Boschi, Verdini, Angelino Alfano et similia... (Fonte: Agensir.it)
A pronunciarlo è Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, nel suo intervento al seminario di studio “I chiaroscuri della riforma costituzionale. Valutazioni a confronto", promosso oggi a Roma dall’Istituto Vittorio Bachelet dell’Azione Cattolica italiana. Pur riconoscendo l’opportunità di alcuni aggiornamenti delle disposizioni organizzative della nostra Costituzione Democratica, per De Siervo occorre assolutamente evitare di introdurre norme e istituzioni inadeguate, inefficaci o indegne di una piena e moderna democrazia.
Alcune parti importanti della riforma costituzionale "appaiono tali da non risolvere i problemi esistenti, ma da produrre conflitti gravi fra le istituzioni ed i vari protagonisti politici".
Tra queste De Siervo cita la riscrittura delle norme in tema di autonomie regionali e locali. "Se l’attuale Titolo V della Costituzione appare in tante parti errato, carente e troppo squilibrato verso un modello di pseudofederalismo, lo si vuole sostituire con un nuovo, confuso ed impreciso accentramento statale".
"Paradossale che questo forte riaccentramento non riguardi tutte le Regioni, perché ne sarebbero esenti le cinque ad autonomia particolare". "Il nuovo Senato" – prosegue – "non solo appare formato in modo assai incerto, ma appare privo di funzioni legislative, mentre la confusa definizione dei diversi poteri legislativi del Senato stesso produce un’irragionevole moltiplicazione dei procedimenti legislativi del Parlamento". Riserve anche sull’elezione di due giudici della Corte costituzionale da parte di Palazzo Madama, e sulla modalità di elezione del presidente della Repubblica.
De Siervo così conclude: "L’impressione è che si stia tornando ad un sistema sgangherato di fortissimo accentramento".
"SGANGHERATA": così, in maniera telegrafica, è definita la "riforma costituzionale" di questi dilettanti allo sbaraglio. E, purtroppo, non siamo su "Scherzi a parte"
Tafanus
Scritto il 14 aprile 2016 alle 15:12 | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 14 aprile 2016 alle 11:57 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 14 aprile 2016 alle 00:01 | Permalink | Commenti (0)
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Non mi piace ciò che sono costretto a scrivere, ma lo scrivo lo stesso... Chissà perchè, anche quando muore qualcuno di cui, in vita, tutta la intellighenzia ha detto e scritto peste e corna, improvvisamente si debba cominciare a parlarne benissimo...
Ricordo (ero molto giovane) un "musical" di Renato Rascel. La scena più esilarante era quella di Rascel che si aggirava per un cimitero, e si fermava a leggere tutte le lapidi...
La lettura delle lapidi apologetiche va avanti per almeno 5 minuti. A questo punto Rascel si ferma, con aria perplessa, e - parlando con se stesso, si interroga... "Mah... mi piacerebbe sapere dove hanno sepolto i "figli 'de na mignotta"...
Fino a ieri, quando si parlava di Casaleggio, lo si faceva o per mettere in dubbio la conduzione delle "clickettarie" sul web, controllate solo dal suo server; o per parlare delle espulsioni dal "Movimento", che testimoniavano la mancanza di senso della democrazia; o per tracciare scenari e "retroscemari" in stile Spectre e Grande Fratello. Ma il "must", da almeno otto anni, era quello di parlare e straparlare delle "previsioni casaleggesi sul mondo di domani". Scenari che si installavano sistematicamente fra il catastrofico, il ridicolo, il farneticante.
L'esempio più noto (e più - mi si passi il termine - preso per il culo), è il celeberrimo filmato intitolato "Gaia", una indimenticabile accozzaglia di sciocchezze che fatto ridere molti di noi, ma è stato pericoloso abbastanza, perchè molti, dopo quel filmato, hanno iniziato a considerare seriamente Casaleggio come il "Quelo" di Corrado Guzzanti. Ecco un piccolo estratto delle "profezie" del Santone:
[...] nel 2018 il mondo sarà diviso in due blocchi: a ovest con Internet e a Est con una dittatura orwelliana. Nel 2020 ci sarà la Terza Guerra Mondiale (durerà vent’anni). Nel 2040 trionferà la rete democratica (Internet). Nel 2050 un brain trust collettivo risolverà ogni problema mentre nel 2054 ci saranno le prime elezioni mondiali in Rete. Spariranno religioni, partiti e governi nazionali” [...]
Inutile dire che oggi, a "Casaleggio morto", nessuno ha avuto il coraggio di ricordare cosa scriveva o cosa diceva di Casaleggio vivo. Oggi il termine più abusato per descrivere Casaleggio è "visionario". Per carità! non "visionario" come sinonimo di mezzo matto, ma "visionario" inteso come persona dalla vista lunga-anzi-lunghissima, uno che vedeva in anticipo cose che noi umani non saremmo riusciti neanche ad immaginare... cose come la Terza Guerra Mondiale che durerà vent'anni. Non ci resta che aspettare. Ormai questa guerra è imminente. Inizierà nel 2020, è molto prossima. Non ci ha detto, Casaleggio, chi la scatenerà, quali saranno le alleanze, perchè durerà vent'anni (in un mondo pieno di bombette atomiche?). Forse sarà combattuta, di comune accordo, a sassate.
Per quanto mi riguarda (lo so, non si dovrebbe dirlo, non è politically correct), di Casaleggio morto - fatta salva la umana "pietas" che non si nega a nessuno - continuo a pensare ciò che pensavo di Casaleggio vivo. Ve lo dirò solo fra qualche mese, quando sarà finito il concorso a chi la spara più grossa su cosa sia stato Casaleggio.
P.S.: Chiedo ai miei nemici una sola cortesia: quando morirò, nessuno di quelli che in vita mi hanno ritenuto un fijo de na mignotta, si azzardi a cambiare idea. Vorrei avere il privilegio di essere giudicato male, da morto, esattamente come prima. Niente lapidi la "Uomo Integerrimo", "Lavoratore Infaticabile", "Eroe morto per un vaso di gerani caduto da un balcone". Grazie
Tafanus
Scritto il 13 aprile 2016 alle 23:46 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 13 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (3)
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...credeva di essere Horatio Nelson, e invece era solo Giuseppe De Giorgi...
Feste sulla Vittorio Veneto, ragazze trasferite sulla nave militare con un elicottero, i Falcon usati come taxi, cavalli bianchi sui quali aspettare gli ospiti, le modifiche in corso alle navi in costruzione perché non avevano cuccette e aree per gli ufficiali abbastanza degne.
C’è un dossier – raccontano Corriere della Sera e Repubblica – sul quale indagheranno i magistrati dell’inchiesta petrolio che mette in imbarazzo l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della Marina Militare. Il documento, trenta pagine, è anonimo, ma sarà sottoposto alle verifiche dei pm che già hanno iscritto De Giorgi per la vicenda dell’Autorità Portuale di Augusta in Sicilia che riguarda anche il dirigente della Ragioneria dello Stato Valter Pastena e il compagno dell’ex ministro dello Sviluppo Federica Guidi, Gianluca Gemelli. Secondo l’ipotesi dell’accusa l’ammiraglio De Giorgi ha chiesto l’aiuto di Gemelli per far sbloccare stanziamenti di oltre 5 milioni legato alla cosiddetta Legge Navale, cioè il programma navale inserito nella legge di Stabilità del 2014. In cambio De Giorgi avrebbe spinto per nominare a capo della Port Authority un funzionario “comodo” per Gemelli. A De Giorgi per questo presunto “scambio” vengono contestate le ipotesi di reato di associazione per delinquere, abuso d’ufficio e traffico d’influenza. Venerdì il capo delle forze armate navali sarà interrogato a Potenza.
Verso la pensione, ma resiste - L’ammiraglio De Giorgi – figlio d’arte, suo padre Gino negli anni Settanta – fu capo di stato maggiore, andrà in pensione a giugno, ma finora ha respinto qualsiasi richiesta di dimissioni, nonostante su di lui si sia abbattuta la bufera dell’inchiesta dei pm di Potenza. Ha resistito anche quando sono uscite le ricostruzioni degli investigatori sulla sua attività per “arginare” l’attività del ministro della Difesa Roberta Pinotti. Sullo sfondo, peraltro, c’è un legame che può arrivare a imbarazzare anche Palazzo Chigi. Il figlio di De Giorgi, Gabriele, è “leopoldino”, ha fatto parte del comitato elettorale in sostegno di Matteo Renzi alle primarie del 2012, e dopo anni di lavoro come assistente parlamentare è ora capo della segreteria del sottosegretario all’Interno Domenico Manzione, a sua volta fratello di Antonella, capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi ed ex comandante dei vigili urbani di Firenze ai tempi di Renzi sindaco.
“I festini sulla Vittorio Veneto” - L’autore del rapportino anonimo definisce “famosi” nell’ambiente quelli che chiama “festini” organizzati da De Giorgi all’epoca del comando dell’incrociatore Vittorio Veneto, l’ammiraglia della flotta italiana fino al 2003. Feste con la nave in navigazione “con tanto di trasferimento a mezzo elicottero di signorine allegre e compiacenti”. In un’altra occasione, sempre da comandante della Vittorio Veneto in sosta a New York, De Giorgi, secondo il dossier anonimo citato dal Corriere della Sera, “accolse gli invitati ad un cocktail a bordo, in sella a un cavallo bianco appositamente noleggiato. Tutti sapevano e tutti, per paura delle sue vendette, tacevano l’uso improprio che l’ammiraglio, una volta diventato capo delle Forze Aeree della Marina, faceva degli elicotteri e soprattutto del velivolo Falcon 20 che in versione Vip lo trasportava continuamente come in un taxi (spesso in allegra compagnia da una parte all’altra dell’Italia, per l’esaudimento di interessi personali ma a spese del contribuente”.
La cena con champagne per festeggiare l’ok alla legge navale - E poi le cene di lusso. Il dossier parla di un “pranzo luculliano, abbeverato da fiumi di champagne” al ristorante “Il Bolognese” di piazza del Popolo a Roma, organizzata e animata da “compiacenti collaboratori” per celebrare “il primo positivo consenso” del Parlamento alla ormai celebre Legge Navale, quella dei 5 milioni. Secondo il dossier, citato da Fiorenza Sarzanini sul Corriere, le spese per De Giorgi “sono state sottratte alla rendicontazione amministrativa, esiste la raccomandazione di prendere nota delle spese e conservare tali annotazioni soltanto per l’anno solare in corso”.
Le maxi-modifiche milionarie alle navi in costruzione - Ma De Giorgi interviene a tutela del comfort degli alti ufficiali della Marina anche per i lavori sulle fregate di classe Fremm in costruzione alla Fincantieri di Muggiano (La Spezia). Quando nel 2013 visita il cantiere, osserva la nave e nota che non vanno bene le aree destinate al cosiddetto “quadrato ufficiali” – il luogo della nave dove ufficiali e sottufficiali siedono a mensa o si rilassano – e ai camerini. Così ordina le modifiche, “specificando – si legge ancora nel dossier – di avviare i lavori richiesti anche in assenza dei preventivi e dei necessari atti amministrativi”. C’è chi cerca di intervenire. Ernesto Nencioni, direttore degli Armamenti navali, gli spiega che costerà, prepara a tutta velocità un preventivo, viene fuori un costo di quasi 13 milioni di euro per le correzioni al quadrato ufficiali e altri 30 alle cuccette. Ma De Giorgi insiste, anche per iscritto. “Al termine della vicenda – scrive l’anonimo secondo quanto riporta Repubblica – Nencioni rassegnò le dimissioni e si ritirò a vita privata.
Dossier anonimo: “Fatti noti, ma avevo paura” - I magistrati, naturalmente, dovranno capire dove iniziano le circostanze vere e dove finiscono le voci. Tuttavia la “relazione”, inviata oltre che ai magistrati anche a Palazzo Chigi e al ministero della Difesa, è sostenuta da pezze d’appoggio originali, atti, documenti riservati, informazioni apparentemente attendibili. Sono vicende che nell’ambiente della Difesa si conoscono ma che finora sono rimaste segrete. “Non ho il coraggio di venire allo scoperto – scrive chi ha composto il dossier ora all’attenzione della magistratura – perché ho già abbondantemente pagato per non essermi piegato alle richieste del capo di stato maggiore”. De Giorgi è uno che d’altra parte fa valere i suoi poteri e la sua parola è seguita senza obiezioni dai sottoposti. Prendete il caso delle capre, raccontato tempo fa da ilfattoquotidiano.it. “Se non bastano i soldi per falciare i prati, potete comprare delle caprette” disse una volta. E i subalterni lo fecero davvero, con conseguenti disastri di gestione perché gli animali vanno gestiti, curati, sfamati, munti e protetti. “Bisognerebbe chiedersi – continua l’anonimo – come mai a tanti ufficiali dallo specchiato passato nelle commissioni di avanzamento e di vertice è stato precluso improvvisamente e senza spiegazioni ogni futuro sviluppo di carriera”. E sono elencati i nomi di coloro ai quali, secondo lui, non sono stati riconosciuti i giusti titoli.
Gli incursori trasferiti per gli schizzi a De Giorgi - Tra i vari casi ce n’è uno noto, perché finì in interrogazioni parlamentari finite come sempre nel nulla. Quello degli incursori del Comsubin che furono trasferiti dalla sede storica e attrezzata di Varignano, in provincia della Spezia, a Brindisi, dall’altra parte d’Italia. Il motivo? Durante le prove del defilamento della festa del 2 Giugno avevano partecipato ai consueti scherzi con gavettoni d’acqua (una tradizione tra i militari in quella giornata) e avevano schizzato De Giorgi. Come lo chiama il militare autore del dossier, “Sua Maestà De Giorgi”. La Marina smentì: “Il trasferimento del personale incursore presso la sede di Brindisi si inserisce nella recente azione di potenziamento della componente anfibia della forza armata, finalizzata ad incrementare le capacità operative della stessa”.
(Fonte: Il "Fatto Quotidiano")
Scritto il 12 aprile 2016 alle 23:15 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 12 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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(Seconda parte)
FINANZA E CAMPARI - A quanto pare, le isole dell'Oceano Indiano sono una meta molto frequentata anche per i viaggi d'affari, viaggi offshore. Da quelle parti è approdato anche un manager come Marco Perelli Cippo, membro del board di Campari dopo esserne stato, fino a una dozzina di anni fa, l'amministratore delegato. Perelli Cippo è stato director e azionista della Allison Park Ltd delle Seychelles, liquidata nel luglio 2015, quando l'amministratore Campari dà anche disposizione di chiudere il conto bancario della società presso Société Générale Private Banking di Montecarlo. Tutte queste operazioni sono transitate dagli uffici di Mossack Fonseca. Contattato da "l'Espresso", Perelli Cippo non ha risposto alle domande inviategli via mail. Simone Cimino, 54 anni, è un ex dominus del private equity, alleato delle banche popolari francesi, noto alle cronache per il fallito progetto di acquistare la Fiat di Termini Imerese. La sua società di gestione del risparmio, Cape Natixis è finita nel 2012 in liquidazione coatta, dopo che nel giugno 2011 Cimino era stato arrestato a Milano per reati finanziari. Il processo è ancora in corso e l'imputato si proclama innocente. Intanto le carte di Panama attribuiscono a Cimino una offshore finora sconosciuta: la società Fento Private Invest Inc. delle Isole Vergini Britanniche, che risulta costituita il 22 dicembre 2009, mentre la crisi stava travolgendo il suo regno finanziario.
STILISTA OFFSHORE - Si torna a Panama con Valentino Garavani e il suo socio Giancarlo Giammetti. La offshore di quest'ultimo si chiama Jarra Overseas SA, registrata nel 2004 alle Isole Vergini Britanniche. Per Valentino la questione è più complessa. Esiste una società, anch'essa costituita alle Isole Vergini Britanniche nella stessa data della Jarra: è la Paramour Finance Ltd, capitale 50 mila dollari. Ma chi si nasconde dietro questo paravento? Perché, per la Paramour non esiste un'attribuzione chiara come per Giammetti.
La nebbia si dirada se si esaminano alcune vicende del passato. Basta andare indietro di alcuni anni, quando l'Agenzia delle entrate apre un'inchiesta su Valentino e Giammetti, prendendo di mira gli anni dal 2000 al 2006. La vertenza si è conclusa con un accordo tra le parti e il pagamento di una somma (mai resa nota) da parte dei due soci. Ebbene in quelle carte compaiono proprio le offshore appena citate, gestite dagli avvocati: Marino Bastianini, dello studio Carnelutti, e Marc Bonnant di Ginevra. Alla richiesta di chiarimenti Bastianini dichiara a "l'Espresso": «Su quelle società non avevo poteri o deleghe di firma». Come dire, il vero dominus era Bonnant, che, attraverso Bastianini, commenta: «Non ho niente da dire». E comunque la Paramour è stata sciolta nel 2013, mentre la Jarra risulta ancora attiva. In ogni caso, per l'erario italiano è ormai accertato che Valentino e Giammetti sono residenti a Londra da 10 anni.
PETROLIO E NAVI - I Panama Papers contengono le carte di un report approfondito condotto da Mossack Fonseca sul cliente Gian Angelo Perrucci, ricchissimo imprenditore del settore petrolifero che ha fatto fortuna in trent'anni di carriera lontano dai riflettori della cronaca. Perrucci, a cui fa capo la società Burfield international delle Seychelles, viene definito nelle carte come "associate" di Atiku Abubakar, il vicepresidente della Nigeria dal 1999 al 2007. In Nigeria Perrucci è di casa insieme all'amico e socio Gabriele Volpi, imprenditore petrolifero. Abubakar è stato al centro di un'inchiesta del Senato americano per il presunto riciclaggio di 400 milioni di dollari tra il 2000 e il 2008. I funzionari di Mossack Fonseca avevano messo sotto la lente anche le attività dell'armatore Giovanni Fagioli, classe 1965, cliente sensibile per via dell'incarico diplomatico di console della Bulgaria a Parma. Nessun problema, a quanto pare. Fagioli, che non ha risposto alle domande de "l'Espresso", risulta beneficiario dal 2009 della offshore Great Alliance International Ltd con sede alle Isole Vergini Britanniche.
CATERING IN PARADISO - I fratelli Stefano e Roberto Ottaviani, controllano la Relais le Jardin, società di catering da oltre 20 milioni di euro di fatturato, con una lista-clienti che va dalla Banca d'Italia alla presidenza della Repubblica passando per l'Esercito, ambasciate di mezzo mondo e multinazionali di ogni settore. Famiglia importante, quella degli Ottaviani. Anche per via dei legami con Gianni Letta. Stefano Ottaviani ha sposato la figlia dell'ex braccio destro di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Relais le Jardin fa parte del gruppo lussemburghese Viva Gestions Immobilieres, ma i due fratelli non si sono fermati al Granducato. Sono andati ancora più lontano. In America centrale. Risultano infatti beneficiari di un trust con sede a Panama che si chiama Lagoon Investments Group.
L'EX PM AI CARAIBI - Silvio Sacchi è un ex magistrato di Napoli. Il suo addio alla toga è stato traumatico. Negli anni ‘90 è stato accusato di essersi fatto corrompere, quando era pm a Santa Maria Capua Vetere, da un imprenditore imputato di complicità con il clan mafioso dei casalesi. L'accusa era di aver accettato soldi e regali, tra il 1983 e il 1992, da quel suo indagato: vacanze gratis, valuta estera, sponsorizzazioni sportive, abiti firmati, pranzi e cene. Sacchi ha sempre respinto ogni addebito e si è difeso anche con un libro. Dopo un processo lunghissimo, è stato condannato dal tribunale, ma in appello, nel 2004, ha ottenuto la prescrizione. Nel febbraio 2006 il Csm lo ha destituito dalla magistratura. Ora le carte segrete di Panama lo indicano come azionista di una offshore delle Isole Vergini, denominata Safra Investiments Ltd, che ha come secondo socio l'imprenditore napoletano Fabio Fraissinet. Contattato da "l'Espresso", l'ex magistrato spiega di aver fatto un favore a Fraissinet che gli aveva chiesto di rilevare una parte delle quote, con l'accordo di restituirgliele in un secondo tempo. La offshore, sostiene Sacchi, non ha mai operato. Per questa operazione i due soci sono stati assistiti da un commercialista di Napoli. Salvatore Bizzarro, pure lui presente nei Panama Papers, anche con una società personale, la Bizzarro Group Incorporated con sede nello stato di Anguilla Britannica. Lo stesso commercialista si è rivolto allo studio di Panama per conto di una mezza dozzina di clienti, tra cui il gruppo di consulenza napoletano Caliendo Holding, intestatari di offshore sparse tra Isole Vergini, Nevada e Seychelles. Bizzarro non ha risposto alle nostre domande.
«IO NON C'ENTRO, PERO'...» - Il commercialista bolognese Domenico De Leo viene indicato nei Panama Papers come azionista di due offshore: Emmeci Grup Ltd delle Isole Vergini Britanniche e la Ttl holdings delle Seychelles. «La mia presenza era legata all'ingresso di fondi d'investimento internazionali in due aziende italiane con lo stesso nome delle offshore, la Emmeci spa e la Ttl spa», spiega De Leo, che vanta una carriera ricca di incarichi pubblici di prestigio (Aeroporto di Bologna, Rai World) e privati (Fineco, Rolo Banca e gruppo Unicredit). In sostanza, ha spiegato il professionista, i fondi una decina di anni fa gli chiesero di investire personalmente nelle holding. Storie vecchie, assicura il diretto interessato, che dichiara di aver ceduto le suo quote.
Anche il ligure Santiago Vacca, come il bolognese De Leo, è un professionista che si occupa di bilanci e consulenza aziendale. Vacca però è noto soprattutto per essere stato scelto da Silvio Berlusconi e dal governatore della Regione, Giovanni Toti, come coordinatore di Forza Italia nella provincia di Savona. Il suo nome compare nell'archivio di Mossack Fonseca come azionista di una offshore: la Eglin investments delle isole Seychelles. «Non ho quote di partecipazione in quella società», replica Vacca, che tra i vari incarichi ha anche quello di presidente del consiglio sindacale di Liguria Digitale, l'azienda informatica della Regione. Tra i documenti contenuti nel database ce n'è uno che però attesta un fatto che non coincide con la versione accreditata dall'esponente di Forza Italia. Si tratta di una paginetta che riassume l'azionariato della Eglin investments. E qui compare il nome di Vacca, con l'indirizzo di asa.
QUISISANA - «È una società del tutto trasparente, perchè regolarmente dichiarata», taglia corto Gianfranco Morgano, che gestisce uno dei più conosciuti hotel di Capri, il Quisisana. La società a cui fa riferimento è la Jonston investments ltd, con sede nelle Isole Verrgini britanniche. In base ai documenti dell'archivio di Mossack Fonseca, la offshore attribuita a Morgano è molto recente. Risulta infatti costituita nel gennaio del 2015. «Sarebbe dovuta servire per un'operazione che non è andata a buon fine», spiega il patron del Quisisana. Insomma una offshore usa e getta. Pochi mesi di vita e poi via, nel cassonetto dei rifiuti. Mentre all'orizzonte si profila l'uragano Panama Papers.
(Credits: l'Espresso dell'8 aprile 2016)
Scritto il 11 aprile 2016 alle 15:03 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 10 aprile 2016 alle 23:23 | Permalink | Commenti (0)
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E' così. La "miscion" di Renzi (come direbbe nel suo impeccabile englishish) è quella di correre. L'importante è correre (anche se non sa dove andare). L'importante è far presto (anche se non sa per far cosa). Ma ora il tempo - che solitamente è galantuomo, comincia a presentargli il conto. Renzi il Mito in debito d'ossigeno.
L'ultimo "scenario" politico tracciato dalla Demos del moderato Ilvo Diamanti fotografa un Renzi che continua a correre, sempre più veloce, ma in discesa... Ecco cosa scrive Repubblica oggi (le tabelle sono ricavate direttamente da demos.it, il sito di Ilvo Diamanti.
Tira una cattiva aria sull'opinione pubblica. Avvelenata dagli scandali che hanno coinvolto leader politici e di governo. In particolare: la ministra Federica Guidi. Ma hanno investito anche personaggi noti dell'impresa, dello sport e dello spettacolo, non solo italiani. Risucchiati nella vicenda dei patrimoni offshore. Il sondaggio condotto, nei giorni scorsi, da Demos per l'Atlante Politico e pubblicato oggi su Repubblica mostra come questi avvenimenti abbiano prodotto effetti significativi sugli orientamenti politici ed elettorali degli italiani.
D'altronde, le dimissioni della ministra Guidi vengono considerate doverose, meglio: obbligate, da quasi tutti gli italiani (intervistati): 85%. Ma quasi 3 elettori su 4 ritengono questa vicenda grave e problematica anche per il governo. Il 45% di essi, quasi metà, dunque, pensa che il governo dovrebbe dimettersi. Perché troppo invischiato in conflitti di interessi. Anche se la maggioranza degli italiani (quasi il 50%) ritiene, al contrario, che, il governo debba "andare avanti". L'Atlante Politico di Demos, dunque, propone l'immagine di un Paese diviso. Dove metà dei cittadini vorrebbe voltare pagina. Affidarsi a una guida diversa. Il problema, però, è che mancano alternative credibili. "Più" credibili, almeno. La fiducia nel governo, infatti, scende poco sotto il 40%. Cioè: il punto più basso dalla scorsa estate.
Grande risultato! Peggior risultato di tutti i tempi. Perde 1l 18% in un anno, e perde il 46% rispetto al Giugno 2014 (The Marchetta 80 Month), quando il "leder" era gradito al 74% degli italiani. Costo dell'operazione: ventimila miliardi di lire all'anno per il resto dei nostri giorni... L'articolo di Repubblica così prosegue:
[...] Renzi si conferma ancora il leader politico più apprezzato dagli italiani. Avvicinato da Giorgia Meloni, candidata dei FdI e della Lega (Nord?) nella corsa al Campidoglio. Molto competitiva, secondo i sondaggi. E da Matteo Salvini, segretario della Lega. Non lontano da loro – e dunque da Renzi – incontriamo anche Luigi Di Maio, vice-presidente della Camera. Fra gli esponenti più autorevoli del M5s. Silvio Berlusconi, invece, conferma il proprio declino politico. "Stimato" da poco più del 20% degli elettori. La metà rispetto a Renzi. E 4 punti in meno di due mesi fa [...]
...non male, vero? tanto correre, impadronirsi della TV pubblica, risurre l'Unirenzità in schiavitù, leccare da mane a sera i culetti placcati in oro dei potenti e dei ricchi, per ritrovarsi quasi raggiunto dalla "borgatara" Meloni e dall'uomo dalle felpe cafone Matteo Salvini... Renzi, rallenti! Forse non le conviene correre così velocemente... verso il baratro!...
[...] Si assiste, dunque, a un raffreddamento del clima d'opinione. Lo ripeto, perché, questa volta e in questa fase, il cambiamento risulta evidente. Quasi una svolta. Dettata dal cumularsi di sfiducia e delusione sociale. Un po' come 25 anni fa. Ai tempi di Tangentopoli. Non per caso il 45% degli italiani ritiene che la corruzione politica, oggi, sia più diffusa di allora. Mentre una parte altrettanto ampia di cittadini pensa che sia altrettanto estesa.
Nove italiani su dieci, praticamente tutti, ritengono, dunque, che Tangentopoli non sia mai finita. Ma sia, se possibile, più opprimente. Fra i protagonisti, manca solo la magistratura. Differenza di non piccolo rilievo. Oggi, semmai, gli elettori hanno sostituito i magistrati con alcuni soggetti politici. A cui hanno affidato il compito di "vendicarli". Comunque, di gridare forte il disprezzo e la sfiducia popolare. Per primo e soprattutto: il M5s. Non per caso, il partito ritenuto più credibile (dal 31%) nel contrasto alla corruzione. Anche per questo i suoi esponenti ottengono un favore crescente. Luigi Di Maio, in particolare. Il consenso popolare nei suoi riguardi è salito di 7 punti nell'ultimo anno. Ormai, molto vicino a Renzi. Come Salvini, d'altronde. Che si presenta, a sua volta, come "giustiziere" della politica e dei politici corrotti.
Gli effetti di questo clima (anti)politico sul piano delle stime elettorali sono evidenti. La distanza fra i primi due partiti, PD e M5s, infatti, si è sensibilmente ridotta. In seguito al calo del PD (circa 2 punti) e alla concomitante crescita del M5s, la distanza fra i due soggetti si riduce a poco meno di 3 punti. A destra, invece, si muove poco. La Lega di Salvini si avvicina al 14% e scavalca FI. Mentre, più indietro, i FdI si attestano intorno al 5,5%. Come, sul versante opposto, SEL, SI e le altre formazioni a sinistra del PD [...]
Qui è appena il caso di sottolineare che dai fasti del 45,2% del Giugno 2014 (il "Marchetta '80 Month) a 30,1% di oggi, il c.d. "PD" renzino è riuscito in un'impresa mai neanche tentata prima: la "rottamazione" di ben un terzo dell'elettoralo del fù PD. Bravo, bene, bis... Ma adesso affrettati, Renzino... Il traguardo del dimezzamento è vicino. Adesso il "vantaggio" sui populisti di Grillo si è ridotto a 2,8 punti: meno dell'errore statistico. Il 40% necessario per avere il premio di maggioranza è lontano come Saturno (e il Renzalicum sarà comunque rottamato in autunno nel referendum confermativo, dove non serve il quorum, e quindi non serve mandare la gente al mare). Renzi, se non dovesse riuscirci prima, ci riuscirà comunque in autunno: riuscirà a rottamare se stesso, alla velocità del suono. Solo gli avanzi putrefatti di Forza Italia sono riusciti a fare così male in così poco tempo.
[... ma gli scenari cambiano sensibilmente quando si prende in considerazione il ballottaggio, previsto dalla nuova legge elettorale. L'Italicum, nel "linguaggio politico" corrente. Allora la partita appare incerta. Anche se i meccanismi del nuovo sistema elettorale non sono ancora chiari. Nel caso che gli sfidanti fossero la Lega e FI (federate, insieme ai FdI, in una lista-cartello, per istinto di sopravvivenza), il PD si affermerebbe di appena 1 punto. Troppo poco per fare previsioni. Lo stesso avverrebbe se al ballottaggio arrivasse il M5s. In questo caso, però, il sondaggio di Demos disegna uno scenario inedito. Che prevede il sorpasso del M5s sul Pd. Anche in questo caso, occorre prudenza, vista la distanza, ridotta, fra i due partiti (che non supera il margine di "errore statistico").
Naturalmente, il PD, nel ballottaggio, potrebbe contare sul voto "personale" al premier. Molto più conosciuto e visibile rispetto ai candidati del M5s. Tuttavia, è anche vero il contrario. La capacità del M5s di intercettare il voto "contro" potrebbe trasformare il confronto elettorale in una sorta di referendum. "Contro" Renzi. Replicando, all'inverso, l'operazione concepita dal premier in occasione del referendum costituzionale del prossimo autunno. Secondo alcuni (fra gli altri, Gianfranco Pasquino), un "plebiscito" [...]
La seconda ipotesi è puramente "di scuola", perchè il CDX autorottamato prosegue nella sula "modalità di autodistruzione". Diverso il caso del M5S, che grazie alla dabbenaggine di Epifanio Renzi è riuscito nella "mission impossible": quella di essere passato in due mesi, in caso di ballottaggio, da +2,0 punti in febbraio, a -2,8 punti in aprile. Un bel salto - all'indietro - di ben 4,8 punti.
Disciamoscelo... un'impresa così non sarebbe riuscita neanche a Bersani...
Tafanus
Scritto il 10 aprile 2016 alle 16:13 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 10 aprile 2016 alle 14:37 | Permalink | Commenti (0)
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Regia: Samuel Benchetrit
Principali interpreti: Isabelle Huppert, Gustave Kervern, Valeria Bruni Tedeschi, Tassadit Mandi, Jules Benchetrit, Michael Pitt, Mickaël Graehling, Larouci Didi – 100 min – Francia, Gran Bretagna 2015
Non esistono cuori infranti nel condominio di questo film: esistono condòmini, invece, che si ignorano reciprocamente pur invocando l’unanime solidarietà quando le spese da decidere in assemblea richiedono la totalità dei deliberanti. Così era accaduto per installare l’ascensore: l’opposizione del solo Sterkovitz (Gustave Kervern) fu presto risolta vietandogliene l’uso, senza altre discussioni, cosicché, quando il poveretto ne ebbe davvero bisogno (un incidente lo aveva ridotto su sedia a rotelle) fu costretto a usarlo di notte alla chetichella, senza riuscire a parlarne con nessuno. Questo condominio è, infatti, abitato da persone che non riescono a comunicare fra loro e vivono perciò chiuse in una sorta di autoreferenziale solipsismo, inventandosi un’esistenza fittizia intorno alla quale costruiscono la propria immaginaria identità. Sterkovitz, per esempio, si sposta solo di notte, per rifornirsi al distributore dell’ospedale di cibi e bevande, e intreccia con la solinga infermiera di turno (Valeria Bruni Tedeschi) un’impacciata conversazione, fingendosi reporter per conto della National Geographic e mostrandole fotografie scattate, invece, in vista dell’incontro con lei…Allo stesso modo, Jeanne Meyer attrice cinematografica un tempo famosa e ora dimenticata da tutti (Isabelle Huppert) vive della memoria del proprio passato glorioso, in attesa di un nuovo improbabilissimo contratto, sul quale molto fantastica, mentre lo studente Charly (Jules Benchetrit), la cui madre, per lo più assente, lo lascia da solo a gestire la giornata, intreccia con lei uno strano rapporto filiale, fingendo interesse per le vecchie pellicole, che invece lo annoiano. Vive da sola anche un’altra abitante di quello stabile, la magrebina Madame Hamida (Tassadit Mandi), che spesso riempie le sue giornate visitando il figlio in prigione. L’arrivo inaspettato di John (Michael Pitt), astronauta americano che ha perso la rotta ed è piovuto letteralmente dal cielo, le offre l’occasione per ospitarlo con vera gioia per due giorni in quella casa, e di trattarlo davvero come il figlio che tanto le manca, coccolandolo e vezzeggiandolo con amabile semplicità.
I personaggi di questo film, che stentano a riconoscere la loro insensata solitudine esistenziale, si muovono sullo sfondo di un simbolico paesaggio urbano anonimo e squallido, ben rappresentato da quel nastro di aridissimo asfalto che è la strada senza direzione che attraversa la banlieu con i suoi casermoni privi di storia. Non è un caso che Asphalte sia proprio il titolo originale (e assai indicativo) di questa pellicola, la cui versione italiana (Il condominio dei cuori infranti), invece, ne suggerisce una lettura comico-sentimentale ben lontana, almeno a mio avviso, dal suo significato. Se di “comicità” si può parlare, allora va riferita ai numerosi effetti demenziali e grotteschi che scaturiscono dallo scarto, molto evidente in tutti i personaggi, fra il mondo immaginato e la realtà quotidiana, da cui nascono dialoghi e situazioni senza senso razionale, quasi da teatro dell’assurdo, in cui i fatti che si succedono appaiono assai privi di logica. Certo, se ne può ridere, e talvolta si ride, ma non ci si può staccare mai del tutto dalla coscienza dolorosamente tragica della condizione umana, che gli eroi del film ben interpretano.
Un film che ho personalmente molto apprezzato.
Angela Laugier
Scritto il 10 aprile 2016 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 09 aprile 2016 alle 00:01 | Permalink | Commenti (4)
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Negli 11 milioni e mezzo di documenti dello studio Mossack Fonseca, fabbrica di società offshore, oltre a leader politici di mezzo mondo e loro famigli, compaiono 800 nostri connazionali. Sono finanzieri, manager, imprenditori, avvocati, stilisti, sportivi. E mafiosi. Ecco, in esclusiva, il primo elenco. Comprese le risposte che hanno voluto dare (qualcuno si è rifiutato) alle richieste di spiegazioni de "l'Espresso" (l'Espresso - ha collaborato Alessia Cerantola)
La premiata ditta Mossack Fonseca, avvocati in Panama, funzionava come un supermarket, un supermarket dell'offshore. Serve un trust in Belize? Eccolo. Una finanziaria alle British Virgin Island? Pronti. Dovete immatricolare esentasse un panfilo da 50 metri? A disposizione. Di tutto e per tutti. Dal capo di Stato al commerciante di provincia che vuol frodare il fisco. Nell'arco di quarant'anni Jurgen Mossack e Ramon Fonseca hanno gestito la creazione di milioni di società. E adesso che il loro archivio è finito sui giornali di tutto il mondo, una trama infinita di affari segreti diventa d'improvviso visibile a tutti. I Panama Papers, svelati grazie al lavoro dell'International consortium of investigative journalists (Icij), sono la chiave per accedere a un giacimento di informazioni pressoché inesauribile. "L'Espresso", in esclusiva per l'Italia, ha avuto accesso diretto alla banca dati panamense ed è in grado, per cominciare, di rivelare una prima lista di nomi italiani legati a società offshore che sono state create o gestite dallo studio Mossack Fonseca.
Le sorprese sono molte. L'elenco comprende l'attore Carlo Verdone e una star della tv come Barbara D'Urso. C'è Luca Cordero di Montezemolo, come il sito dell'Espresso ha già documentato nei giorni scorsi. Montezemolo risulta beneficiario economico di una società offshore che nel 2007 ha aperto un conto svizzero. Lo studio legale di Panama ha curato alcune transazioni riservate per conto dello stilista Valentino Garavani e del suo socio Giancarlo Giammetti. Nelle carte affiora anche il nome di una società che porta a un vecchio affare di Silvio Berlusconi: l'acquisto, a prezzi gonfiati, di diritti televisivi dalle major hollywoodiane. Acquisti che sono costati al patron di Fininvest una condanna a quattro anni di reclusione. Tra i file dell'archivio viene infatti citata anche l'American Film Company (AFC), una offshore registrata nel '92 alle British Virgin Islands (BVI) e presieduta da Rosemarie Flax. L'anno dopo la Principal Network, una delle società più riservate della galassia berlusconiana, compera proprio dalla AFC i diritti di due film: "Shadow Hunter" e "Amityville 1992". Da notare che la AFC ha anche rapporti con dirigenti della Fininvest come Silvia Cavanna, di Rete Italia, e Luciana Paluzzi-Salomon, di "Silvio Berlusconi communications". Cinque anni dopo la AFC non servirà più e il 4 dicembre 2008 sarà definitivamente cancellata dal registro delle Isole Vergini Britanniche.
L'archivio segnala anche il nome di un armatore importante come Giovanni Fagioli, mentre per l'ex calciatore uruguaiano Daniel Fonseca viene comunicata una residenza italiana, a Como, dove si è trasferito una volta conclusa la carriera agonistica per diventare procuratore. Tra i personaggi legati allo sport la lista comprende l'ex pilota di Formula Uno Jarno Trulli, che da alcuni anni ha preso la residenza in Svizzera. Anche il mondo del pallone è stato investito dalla bufera panamense. A parte vecchie conoscenze del calcio nostrano come gli ex giocatori Ivan Zamorano (cileno) e Clarence Seedorf, i Panama Papers citano anche alcune holding della famiglia di Erick Thohir, il magnate indonesiano che possiede l'Inter.
Meno noto al grande pubblico, ma molto influente nel mondo del petrolio, è il genovese Gian Angelo Perrucci che risulta il dominus di una società delle isole Seychelles creata con l'assistenza di Mossack Fonseca. Lagoon international group è invece il nome della offshore riconducibile a Stefano e Roberto Ottaviani, imprenditori romani. Gli Ottaviani sono noti alle cronache perché Stefano ha sposato la figlia di Gianni Letta, Marina. Si resta a Roma con i protagonisti della storiaccia Telecom Sparkle, lo scandalo che sei anni fa fece molto rumore perché portò in carcere, tra gli altri, l'amministratore delegato di Fastweb, Silvio Scaglia, poi assolto. Nei file dei Panama Papers troviamo invece i nomi di alcuni dei condannati per riciclaggio e altri reati. A cominciare dall'ex senatore di Forza Italia, Nicola Di Girolamo, insieme ai broker Carlo Focarelli e Marco Toseroni. Guai con la giustizia anche per un altro cliente di Mossack Fonseca come il finanziere di origini siciliane Simone Cimino, arrestato a Milano e ancora sotto processo per reati finanziari.
Non è facile orientarsi nel ginepraio di sigle, contratti e perfino mail che raccontano anni e anni di operazioni riservate. Tra i circa 800 documenti che riportano a indirizzi italiani ce ne sono svariate decine che portano l'intestazione "The Bearer". Significa che il capitale della società è al portatore. Niente da fare, allora. Con ogni probabilità l'identità del proprietario è custodita in una casella diversa dell'archivio e fare i collegamenti del caso è un'impresa quasi impossibile. In queste pagine, "l'Espresso" dà conto di un primo elenco di nomi legati per domicilio o provenienza a località della Penisola. Sono nomi in chiaro, cioè non schermati dalla dicitura "The Bearer". Troviamo imprenditori, avvocati, commercialisti, albergatori, commercianti e immobiliaristi, residenti nelle grandi città come nella provincia profonda, da Savona a Bari, da Udine fino a Napoli. Ognuno risulta associato a una o più sigle offshore tra le oltre 200 mila archiviate nell'immenso database.
SISTEMA GLOBALE - In prima battuta, i clienti si rivolgono al loro consulente di fiducia, che quasi sempre è un gestore di patrimoni alle dipendenze di una banca o di una fiduciaria. Sono i funzionari degli istituti di credito a fare da ponte con lo studio legale panamense, che conta filiali in tutto il mondo, dal Lussemburgo a Cipro, dagli Stati Uniti alla Svizzera e Montecarlo. Gruppi finanziari globali come la svizzera Ubs e la britannica Hsbc compaiono centinaia di volte nei file segreti. E anche le italiane Unicredit e Ubi banca hanno fatto la loro parte nella creazione, via Lussemburgo, di complesse architetture societarie che portano in oasi esentasse come le Isole Vergini Britanniche. Per questo, adesso, non pare del tutto priva di argomenti l'autodifesa di Roman Fonseca. Il socio di Mossack dipinge il suo studio legale come l'ingranaggio di un sistema globale che tollera l'esistenza dei paradisi fiscali.
Di certo la macchina ha girato a pieno regime per decenni grazie alle leggi di uno stato come Panama che rifiuta di adeguarsi agli standard minimi di trasparenza raccomandati dalle organizzazioni internazionali. Anche gli italiani, come i cittadini di molti altri Paesi, hanno approfittato della situazione. Va detto che di per sé non è vietato controllare una società offshore. Basta segnalarlo nella dichiarazione dei redditi. Tocca quindi all'Agenzia delle Entrate verificare che sia tutto in regola. Intanto però, contattati da "l'Espresso", alcuni dei personaggi chiamati in causa dai Panama Papers smentiscono il loro coinvolgimento nella vicenda, oppure minimizzano.
Nei giorni scorsi, per esempio, Montezemolo ha dichiarato di «non aver alcun conto all'estero». Sin dagli ultimi giorni di marzo, però, l'Espresso aveva fatto pervenire alcune domande al presidente di Alitalia in merito alla sua presenza nei file segreti con la società panamense Lenville Overseas. Domande rimaste senza risposta. Dopo che il nome del manager è stato pubblicato sul sito del nostro giornale, Montezemolo ha deciso di uscire allo scoperto con una dichiarazione pubblica. L'archivio di Mossack Fonseca contiene però numerosi documenti che tirano in ballo il presidente di Alitalia. Tra questi anche il formulario per l'apertura di un conto in una banca svizzera, con tanto di firma di Luca Cordero di Montezemolo.
CINEMA E TV - Carlo Verdone interpellato attraverso il suo legale, si è detto «sorpreso di essere accostato a una società con sede a Panama». Le carte raccontano che l'attore romano, uno dei più amati dal pubblico dai tempi di "Un sacco bello" del 1980, risulta azionista della Athilith Real Estate con sede, appunto, nel paradiso fiscale panamense. Nell'archivio di Mossack Fonseca è conservata anche la carta d'identità di Verdone. Il quale però sostiene, per bocca del suo avvocato, di «non sapere a che cosa sia servita quella società». Athilith è peraltro arrivata presto al capolinea. Costituita nell'autunno del 2009, a novembre del 2014 è stata messa in liquidazione. Un mese dopo, il 31 dicembre è stata cancellata dal registro delle Seychelles anche la Melrose Street Ltd, di cui risultava azionista Maria Carmela, in arte Barbara, D'Urso. Dal 14 agosto 2012, come attesta un documento di cui l'Espresso" ha ottenuto copia, i libri contabili della società sono stati conservati nella residenza romana della presentatrice televisiva, che viene anche qualificata come "director", cioè amministratrice, della Melrose. «Informazioni lacunose», ha reagito lo studio legale che assiste Barbara D'Urso. Quella società, spiega una nota inviata a "l'Espresso"dagli avvocati, «è stata aperta ai fini di un'operazione immobiliare che la signora D'Urso intendeva compiere in Costa Azzurra». Un'operazione che poi non si è concretizzata, prosegue la nota, e quindi Melrose è stata chiusa. Resta aperto un interrogativo: per quale motivo passare dalle Seychelles per gestire un affare in Francia?
(Alessia Cerantola - l'Espresso)
(Fine 1° puntata - Continua)
Scritto il 08 aprile 2016 alle 23:26 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 08 aprile 2016 alle 01:09 | Permalink | Commenti (0)
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Carlo Verdone è indignato. Si difende con le unghie, coi denti, e forse con le balle, dall'accusa di far parte del "Paradiso di Panama". Ma l'Espresso lo smentisce, con tanto di documentazione in fotocopia...
“Carlo Verdone non è titolare di conti o proprietà all'estero”. Questa in sintesi la nota diffusa dall'attore romano dopo le anticipazioni dell'inchiesta dell'Espresso sugli italiani presenti nell'elenco dei Panama Papers.
I legali dell'attore hanno anche aggiunto che l'accostamento di Verdone e alla vicenda non sarebbe “credibile” perché é “ignoto su quali fatti o circostanze” si basi l'articolo che domani verrà pubblicata sul nuovo numero de l'Espresso.vedi anche: Panama Papers, ci sono anche Barbara D'Urso, Carlo Verdone e lo stilista Valentino L'attore romano e lo stilista tra i nomi italiani presenti nei documenti dello studio panamense Mossack e Fonseca. E con l'Espresso in edicola da venerdì 8 aprile i 100 nomi di connazionali coinvolti nel caso delle società con sede nei paradisi fiscali Ecco, quindi, i documenti che confermano quanto scritto nella nostra inchiesta. Tra le carte dello studio Mossack Fonseca compaiono diversi riferimenti a Verdone e alla sua offshore, la Athilith. Qui vengono riprodotti solo i più significativi.
Il primo è il verbale di una riunione del consiglio di amministrazione di Athilith, con sede a Panama, del primo ottobre 2009. In questa occasione è stata assegnata a Verdone una procura a operare per conto della società. Il secondo segnala il passaggio di proprietà a favore dello stesso Verdone del capitale di Athilith. Il trasferimento è datato16 giugno 2010.
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Scritto il 07 aprile 2016 alle 18:50 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 06 aprile 2016 alle 23:52 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 06 aprile 2016 alle 00:22 | Permalink | Commenti (1)
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Francia, coinvolta cerchia di Marine Le Pen. Esce anche il nome del presidente della Fifa Infantino. Cina censura informazioni. Credit Suisse e Hsbc negano di aver utilizzato strutture offshore per aggirare le tasse. Gb, peggiora la posizione di Cameron. Negli elenchi anche centinaia di olandesi tra cui l'ex calciatore Seedorf
Secondo la stampa britannica Ian Cameron (al centro nella foto), morto nel 2010, avrebbe dirottato fin dal 1982 ingenti somme di denaro in Centro America, facendo ruotare in seno al board della sua società - la Blairmore Holdings - decine di prestanome caraibici
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Scritto il 05 aprile 2016 alle 21:36 | Permalink | Commenti (0)
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Mentre Renzi attaccava i magistrati di Potenza ("loro indagini non arrivano mai a sentenza"), nel capoluogo lucano è arrivata la condanna per i massimi dirigenti di Total, imprenditori e amministratori a pene comprese fra due e sette anni di reclusione
“Le indagini della Procura di Potenza non arrivano mai a sentenza”. Affermazione improvvida quella del premier alla direzione nazionale del Partito democratico. Perché mentre Matteo Renzi attaccava i magistrati del capoluogo potentino, il Tribunale di Potenza emetteva un verdetto su un’inchiesta sul giacimento di Tempa Rossa gemella (ma risalente al 2008) di quella che ha portato alle dimissioni del ministro per lo Sviluppo economico Federica Guidi. E così Renzi si è visto di fatto, forse a sua insaputa, smentito dai magistrati che criticava.
I giudici hanno condannato a pene comprese fra due e sette anni gli ex vertici della Total e alcuni imprenditori e amministratori. Turbativa d’asta, concussione, abuso d’ufficio, corruzione, tentata truffa aggravata e favoreggiamento, i reati a vario titolo contestati ai 31 imputati imputati, per cui il pm di Potenza Veronica Calcagno durante la requisitoria, aveva chiesto in totale 85 anni di carcere (continua a leggere su www.ilfattoquotidiano.it )
Scritto il 05 aprile 2016 alle 21:32 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 05 aprile 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Il concetto – non letterale – suona così: “Mandatemi solo gli scritti e stop con gli incontri“. L’autore della mail è Roberto Cerreto, capo di Gabinetto del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi. Il via vai di bozze, correzioni, proposte, valutazioni sull’emendamento è incessante. E così, se non siamo dinanzi a una dettatura, poco ci manca. Siamo a dicembre 2014. L’emendamento che serve alla joint venture di compagnie petrolifere interessate al Tempa Rossa – Total, Shell e Mitsui – ha già subìto un inciampo poche settimane prima. Avrebbe potuto vedere la luce nel decreto Sblocca Italia. Ma non è andata come auspicavano le compagnie. E neanche come desiderava Gianluca Gemelli, compagno di Federica Guidi che, secondo l’accusa, stava realizzando, spendendo il ruolo dell’ex ministra, il reato di traffico di influenza illecita per incassare, attraverso la Total, un subappalto da 2,5 milioni di euro.
Negli stessi giorni in cui Cerreto chiede di ridurre gli appuntamenti personali, che si sono fatti sempre più frequenti, c’è un altro capo di Gabinetto impegnato a gestire i rapporti con le compagnie: si chiama Vito Cozzoli. È il braccio destro del ministro Guidi. Fino al caso Tempa Rossa e ai fibrillanti giorni di fine 2014, le compagnie petrolifere, per gestire i propri interessi, erano abituati a confrontarsi con l’uomo più competente per materia, ovvero Franco Terlizzese: è il direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche. Ma evidentemente è necessario rapportarsi meglio con la sponda più politica del ministero: il capo di Gabinetto Cozzoli. E così la traiettoria cambia, le compagnie iniziano a discutere, oltre che il braccio destro della Boschi, anche con l’omologo della Guidi.
È vero ciò che dice il premier Matteo Renzi che ieri, intervistato da Lucia Annunziata a In1/2ora, ha confermato quanto anticipato ieri dal Fatto: “Quell’emendamento l’ho voluto io”: fu scritto inizialmente dal suo ufficio legislativo. Ma è anche vero che, nel dicembre 2014, dopo la “bocciatura” nello Sblocca Italia, il politico più ricercato dalle compagnie è un altro: Maria Elena Boschi. Il motivo è semplice: le lobbies petrolifere, proprio per l’inciampo subìto in prima battuta, hanno compreso che è necessario curare un aspetto che, prima di allora, non avevano valorizzato adeguatamente: il rapporto con il Parlamento. È questo il momento in cui Boschi inizia a essere “corteggiata” dalla diplomazia internazionale, incluso l’ambasciatore inglese, come lei stessa ha confermato, che la segue con attenzione, nonostante debba confrontarsi con l’inglese incerto della giovane ministra. Non è un caso che la stessa Guidi, intercettata con il suo compagno, alla vigilia dell’emendamento nella legge di stabilità commenti: “Se è d’accordo Maria Elena…”.
L’“accordo” di Maria Elena è ritenuto fondamentale, proprio per i “rapporti con il Parlamento”, principalmente dalle lobby petrolifere: è lei il cavallo vincente per non ripetere il fiasco di pochi mesi prima, quando l’emendamento “ideato” da Renzi, non è riuscito a transitare nello Sblocca Italia. I timori delle compagnie sono tutti concentrati sul ruolo che svolgerà l’Eni sulla partita esportazione che Total, Shell e Mitsui si stanno giocando per far partire il petrolio da Taranto. La joint venture – raccontano al Fatto fonti qualificate – diffidano così tanto che non coinvolgono nell’azione lobbistica l’Assomineraria che, secondo loro, è ostaggio Eni. Nel frattempo si individuano le scrivanie dove far pervenire modifiche all’emendamento, idee di subemendamenti, correzioni alle correzioni delle correzioni. Tra queste scrivanie, la più importante, è quella del capo di Gabinetto della Boschi, Cerreto che con Cristiano Ceresani, all’ufficio legislativo, deve rendere digeribile il seguente concetto: se le autorità locali – ovvero Regione Puglia e Comune di Taranto – non sono d’accordo con il progetto di costruire una banchina nel porto, che consenta alle compagnie di esportare il petrolio, nei fatti il governo può intervenire per sbloccare la situazione.
Il problema della jont venture infatti è superare l’avversità dei pugliesi al progetto. Le compagnie sono certe che, grazie all’apporto della Boschi, si potrà riuscire dove prima, con l’emendamento “targato” Renzi, non si era riusciti. Il loro interesse è esportare. Punto. Il petrolio del Tempa Rossa non è quindi destinato ai consumi interni. L’Eni non dovrà neanche utilizzare le sue, peraltro datate, raffinerie: il processo avverrà all’estero. L’unico beneficio che resterebbe in Italia sono le royalty – piuttosto esigue – per l’estrazione. E ovviamente i posti di lavoro. La pressione delle compagnie è elementare: se strozzi il progetto dell’esportazione, diminuisco la produzione, l’Italia perde royalty e posti di lavoro. In cambio Renzi, Boschi e Guidi, decidono di offrire alla joint venture una città come Taranto. Negandole la possibilità di decidere.
(di Antonio Massari - Il Fatto)
L'ineffabile Boschi, ragazza di bottega di uno studio legale assolutamente digiuna di Diritto Costituzionale, miracolata dall'amico Renzi come Ministra, ieri si è prodotta in una patetica dichiarazione: ha affermato che forse, si, son siamo molto competenti, ma siamo in buona fede! Sic. Fantastica dichiarazione!
Vorrei cogliere l'occasione per informare Renzi - ora che si porrà il problema della nomina di un nuovo Ministro al posto della Guidi - che io avrei un'amica, cassiera all'Onestà, che è assolutamente incompetente in tutto (tranne che nel passare i pacchi di pasta al lettore ottico della cassa). Però è una persona molto a modo, e tutto ciò che fa lo fa in assoluta buona fede. Posso mandargli un curriculum per una eventuale nomina a Ministra? Grazie
Tafanus
Scritto il 04 aprile 2016 alle 22:13 | Permalink | Commenti (1)
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