Le urne vuote nel referendum sulle trivelle. E quelle che a ottobre daranno una Costituzione su misura a Renzi. Due facce della stessa medaglia (Luigi Vicinanza - l'Espresso)
La democrazia muta e inerte rischia di sostituirsi alla democrazia consapevole e partecipata. Lo certifica il risultato inconcludente quanto prevedibile del referendum di domenica 17 aprile. Mancato il quorum - ha votato solo il 31,2 per cento degli aventi diritto - il presidente del Consiglio, fautore dell'astensione, non solo si è intestato il facile risultato. È andato oltre. Ha provato a trasformare in consenso personale, per sé e per il suo governo, quel senso di sfinimento che attraversa l'Italia nei confronti delle forme di partecipazione democratica. Quel 68,8 per cento che è rimasto a casa - chi per legittima valutazione politica, chi semplicemente per disinteresse - è diventato in blocco una maggioranza pro-Renzi. Maggioranza silenziosa. Precettata d'ufficio a convalidare una vittoria sul raccogliticcio fronte avverso. Nell'euforia post-referendaria sono stati pesati sulla stessa bilancia i comportamenti di chi si è astenuto per calcolo e quelli di chi ha smesso da tempo di votare.
Nell'altro campo - quello di Emiliano, Brunetta, De Magistris, Di Maio, gli sconfitti con tanti se e tanti ma - l'operazione è persino più azzardata. Senza quorum e senza quid conteggiano i 15 milioni e 800 mila italiani recatisi alle urne, di cui oltre 13 milioni a favore del Sì, come un fronte popolare anti-premier. Se pure in parte fosse vero, e forse lo è, resta il dato della sconfitta: il tentativo di azzoppare il premier non è riuscito. Anzi, il risultato referendario è stato per Matteo Renzi il pretesto per invocare il superamento della "guerra civile ideologica" che, ha detto a caldo domenica sera, ha bloccato e continua a bloccare il Paese.
Fa impressione sentir parlare il premier di guerra civile, sia pure limitata alla sfera ideologica. In precedenza non si era mai spinto a tanto. Al meeting di Rimini di Comunione e liberazione, la scorsa estate, aveva archiviato berlusconismo e antiberlusconismo, posti sullo stesso piatto della bilancia: pari sono. Il percorso renziano, tuttavia, è coerente con il sentimento e il risentimento prevalenti tra la gente. Non cittadini, ma gente, massa indistinta di delusi, sfiduciati, incazzati, traditi dai partiti. Estenuati da uno stillicidio di cattive notizie: gli affarucci degli amici di una ex ministra, le paure suscitate da un'immigrazione fuori controllo o l'economia percepita in perenne stagnazione per cui non si spende e i prezzi nelle città accusano deflazione. Matteo piè veloce è egli stesso causa ed effetto di questa opinione diffusa di disincanto. Troppe aspettative finiscono inevitabilmente per trasformarsi in un incattivimento degli umori collettivi.
Renzi, molto meglio dei suoi avversari interni ed esterni, sa però fiutare l'aria che tira. Svuotando il referendum sulle trivellazioni ha abilmente trasformato in un successo quel dato che, in tutte le altre occasioni, viene stigmatizzato come una malattia della democrazia: il rifiuto delle urne. Arma pericolosa nelle mani dei populisti, riflette il politologo Piero Ignazi (pagina 21). Già ci si interroga su quale potrà essere il livello di partecipazione all'unico referendum che sta a cuore al premier-segretario. Quello di ottobre, destinato a confermare il nuovo assetto costituzionale appena approvato in via definitiva. Per quel tipo di consultazione non è richiesto quorum, ma poiché Renzi lo sta presentando come un plebiscito sulla sua persona - prendere o lasciare - ha bisogno di una valanga di sì alla riforma per legittimarsi una volta e per sempre agli occhi (appannati) degli italiani. Azzardo una previsione: vincerà la prova. Per gli stessi motivi per cui tanti non votano più. Renzi infatti farà leva sui tanti italiani convinti che, rispetto a una democrazia impotente, sia preferibile un decisionismo interpretato da un uomo solo al comando. La nuova Costituzione sembra cucita su misura affinché Renzi la indossi per perfezionare quel "governo personale" instaurato di fatto due anni fa. Sarà il vero trapasso storico delle nostre istituzioni repubblicane. Abbattute non per effetto di una "guerra civile" per fortuna mai combattuta. Ma rivoluzionate sull'onda della stanchezza e della rassegnazione. L'Italia è altrove, ha detto al Senato il premier. Ha ragione.
Luigi Vicinanza - l'Espresso del 22/04/2016
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