Recensione del film /documentario "S IS FOR STANLEY" (di Angela Laugier)
Regia: Alex Infascelli
Principali interpreti: Alex Infascelli, Emilio D’Alessandro, Janette Woolmore – 78 min. – Italia 2015.
Che sia un film o un documentario o un oggetto alieno in attesa di essere identificato, per incollargli l’etichetta adatta a definirne il genere, quest’opera alla quale Alex Infascelli si è dedicato per tre anni è bella e interessante. E’, per prima cosa, il ritratto di un uomo, Emilio D’Alessandro che ha avuto un ruolo importante nella vita di uno dei massimi registi della storia del cinema, che tutti abbiamo amato e continuiamo ad amare: Stanley Kubrick, ovvero S che, come dice il titolo, sta per Stanley (is for Stanley). Così infatti Kubrick firmava i bigliettini che lasciava nei locali della sua casa affinché Emilio D’Alessandro li leggesse, ne prendesse nota e si attivasse di conseguenza. Emilio, londinese di genitori italiani, era il suo autista-meccanico-segretario-uomo di fiducia e talvolta anche la sua memoria, ma soprattutto era un amico speciale e vero.
Si erano conosciuti in modo strano: appassionato di auto e motori, Emilio sognava un futuro in Formula Uno, ma, avendo moglie e figli, non poteva permettersi di attendere la gloria e, dopo qualche gara, si era accontentato di fare il taxista, prestandosi anche a effettuare trasporti particolarmente difficili o delicati.
Kubrick aveva bisogno di trasportare l’enorme fallo di ceramica di Arancia Meccanica, ma l’ingombro, il gran peso, la relativa fragilità, nonché la difficoltà di percorrere le strade della metropoli piene di neve e scivolose, rendevano l’impresa ardua. Emilio accettò di buon grado ottenendo però di coprire almeno un poco, per ragioni di…decenza, l’imbarazzante oggetto. Fu l’inizio di una conoscenza che col tempo sarebbe diventata amicizia e familiarità profonda. Il regista, che era quel genio che conosciamo, era quasi del tutto sprovvisto di senso pratico: nessuno come lui era in grado di intuire l’utilità di un oggetto, di una location, di un edificio, magari in stato di abbandono, per realizzare un progetto, ma nessuno come lui necessitava, oltre che di uno staff che conducesse trattative e stipulasse contratti, anche di un factotum che con la sua intelligenza comprendesse subito come adattare, con le dovute modifiche o riparazioni, ciò che sarebbe servito alle esigenze delle riprese, a chi affidare certi compiti, come intervenire anche sul set in caso di problemi tecnici imprevisti. Erano passate fra le mani di Emilio le armi di Barry Lyndon, ma anche l’ordine per le migliaia di candele che ne avrebbero illuminato gli interni; le trasformazioni per i locali di Shining, ma anche quelle di un’intera fabbrica dismessa e acquistata per Full Metal Jacket.
S aveva trovato con Emilio il collaboratore ideale, su cui poter contare in qualsiasi momento del giorno e persino della notte poiché una linea telefonica privata con l’abitazione di lui gli permetteva anche questa “invasione” della sua pace familiare. Un po’ troppo forse anche per un uomo così affezionato e paziente, per non parlare di quella povera moglie che pur essendosi abituata ad affrontare da sola quasi tutti i problemi della casa e dei figli, continuava a sperare che sarebbe arrivato il momento, con l’età della pensione, di godersi, finalmente, la compagnia del marito, andando a vivere a Cassino, dove una vecchia casa di campagna dei nonni li attendeva. Era stato difficilissimo lasciare S, ma era giusto così…o no? Dopo un rapporto così faticoso, ma anche interessante e ricco, non era facile adattarsi alla vita sonnolenta del paese, soprattutto dopo che S si era rifatto vivo: aveva ancora bisogno di lui, ora che stava realizzando il vecchio progetto, a lungo accarezzato, di girare il film dal bellissimo romanzo breve di Schnitzler Doppio sogno. Stava nascendo Eyes Wide Shut, l’ultimo dei suoi film!
Infascelli racconta, ma soprattutto ascolta e ci fa ascoltare le rivelazioni strabilianti di quest’uomo umile e mite, che di S conosceva ogni aspetto, dalla vita familiare ai rapporti con gli animali, ai problemi di salute, ai farmaci che gli servivano, ma al quale non aveva chiesto mai nulla, accontentandosi di portar via, su suo invito, qualcosa che gli servisse per la casa di Cassino: i tappeti dell’Hotel di Shining, che infatti lì fanno ancora bella mostra di sé! Fu ripagato dall’affetto profondo e sincero di quel genio, che morì, si può dire, fra le sue braccia, dopo avergli persino dedicato un omaggio riconoscente nell’ultimo film.
Magnifica ed emozionante ricostruzione che ogni amante del cinema di Kubrick dovrebbe vedere, magari con qualche sacrificio: la distribuzione non è stata facile, as usual!
Chi riuscirà a vederlo, però, potrà anche divertirsi: un’ironia commossa (irresistibili le osservazioni di Emilio sugli attori, specialmente quelle su Jack Nicholson) permea ogni scena e salva dall’agiografia retorica il genio e il piccolo uomo a lui devoto.
Angela Laugier
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