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Ultimissime: A forte rischio serio flop di affluenza Milano, Roma, Napoli e Torino
Principali interpreti: Emma Suarèz, Adriana Ugarte, Daniel Grao, Inma Cuesta, Darío Grandinetti, Michelle Jenner, Rossy De Palma, Nathalie Poza, Pilar Castro, Susi Sánchez, Priscilla Delgado, Joaquín Notario, Blanca Parés, María Mera, Agustin Almodóvar, Mariam Bachir, Jorge Pobes – 99 min. – Spagna 2016.
Una breve introduzione. Premio Nobel per la letteratura nel 2013, Alice Munro è un’ottantenne signora canadese anglofona, che, nella prosa minimalista e scarna di raffinati racconti, ci parla della difficoltà dolorosa del vivere negli spazi gelidi della sua terra. Nulla di più lontano dalla fantasia barocca e “mediterranea” di Almodovar: così, almeno, si direbbe se non sapessimo quanto la lettura di quella narratrice di solitudini sconfinate sia stata decisiva per la nascita di questo bellissimo film, che è, in primo luogo, la libera elaborazione di tre suoi racconti* che gli hanno offertol’occasione per meditare sulla vita, sul destino e sul senso di colpa. Alla limpidezza classica e all’austerità di quella prosa, inoltre, Almodovar deve, secondo la sua stessa confessione**, lo stile semplice del film, ovvero la risposta giusta all’urgenza di chiarezza espressiva, da lui adesso ritenuta inseparabile dalla propria vena creativa. L’intreccio del film, che si svolge in Spagna, è la storia della vita di Julieta, studiosa e cultrice dell’antica tragedia greca, che da giovane (è la parte interpretata da Adriana Ugarte) era insegnante supplente in un liceo.
Mi occuperò solo dei personaggi che assumono, secondo me, un ruolo narrativo centrale per comprendere il film; il resto è lasciato alla visione in sala.
Tre presenze inquietanti. –uno strano compagno di viaggio
Il primo dei tre personaggi che si insinuano sinistramente nella vita di Julieta è un misterioso viaggiatore, da cui muove l’intera vicenda. Si tratta di una presenza fugace, poiché prestoquell’uomo avrebbe finito i suoi giorni gettandosi sotto il treno sul quale stava viaggiando, ma non irrilevante: l’avevamo visto sedersi davanti a lei, intenta a leggere un saggio sulla tragedia greca. Era strano, poco gradevole nell’aspetto; le si era piazzato proprio di fronte e ora, con insistenza inopportuna, cercava di parlarle, senza avvedersi che Julieta non avrebbe voluto essere disturbata. Un’inquietudine fastidiosa (appena interrotta in piena notte dall’apparizione improvvisa e meravigliosa – quasi un’epifania – di un bellissimo esemplare di alce, prodigiosamente scampato al treno) si era impadronita di lei e l’aveva spinta ad allontanarsi dal suo posto, alla volta del vagone ristorante, dove avrebbe conosciuto Xoan, il bel giovane, il pescatore, destinato a diventare l’amore della sua vita. La notizia del suicidio del misterioso viaggiatore, però, l’aveva turbata profondamente, quasi se ne sentisse responsabile: da allora il senso di colpa sarebbe diventato l’onnipresente compagno dei momenti difficili della sua esistenza.
–la governante ostile
Xoan aveva informato Julieta di non essere un uomo libero: una moglie in coma da anni, assistita da Marian (Rossy De Palma), l’affezionata governante, gli impediva di sposarla, ma non certo di cercarla e rivederla. Ora lei, che era rimasta incinta dopo l’incontro di quella notte ed era stata licenziata dalla scuola, lo avrebbe raggiunto, nella sua casa sul mare. La grande stanchezza per il viaggio, troppo lungo nelle sue condizioni, era confortata dalla certezza che lo avrebbe rivisto presto. Era stata, invece, Marian ad accoglierla, con malcelata ostilità: era tardi, ormai, per il funerale della sua assistita, che si era svolto il giorno prima! Per pura coincidenza, anche questa volta, l’amore si era strettamente intrecciato con la morte, con un lutto di cui Julieta non portava alcuna colpa. Neppure avrà colpa, quando, molti anni dopo, Xoan morirà, travolto da una tempesta improvvisa in alto mare, dove, come sempre, svolgeva il proprio lavoro. L’aveva lasciata, però, sbattendo la porta di casa, perché, come capita anche nei più riusciti matrimoni, la coppia aveva litigato. Era presente Marian (che aveva ulteriormente odiato Julieta per questo), ma non c’era la loro Antìa, la figlioletta amata, ora quasi adolescente, partita per un campeggio estivo con la sua migliore amica. Il dolore che l’aveva annichilita si stava trasformando, ancora una volta, in un rimorso lacerante, irrazionale, non dominabile.
–la donna della montagna
Julieta aveva venduto la casa ed era tornata a Madrid, con Antìa, ma non era più lei (anche l’attrice non è più la stessa: Adriana Ugarte passa il testimone a Emma Suarèz): della sua bellezza baldanzosa era rimasta qualche pallida traccia; dei biondi capelli da punk, solo qualche ciocca ingrigita. Antìa che le era stata vicina e l’aveva confortata amorevolmente se n’era andata non appena compiuti i suoi diciotto anni. Non era stato un normale distacco, bensì una inspiegabile separazione senza un addio e senza un perché: semplicemente era partita per una vacanza in montagna e non si era fatta più vedere. Qualche spiegazione sarebbe arrivata dopo un po’, quando una enigmatica donna, forse una religiosa, forse il capo di una setta di fanatici fondamentalisti, le aveva chiesto un incontro proprio nel luogo di quella vacanza. Lì l’aveva informata che Antìa non intendeva tornare a casa da lei, che di quella figlia ignorava quasi tutto, essendosi occupata soprattutto di sé, senza aver mai cercato di conoscerne i bisogni spirituali profondi. Ancora dolore e silenzio, ancora l’interrogarsi sulle colpe, ancora rimorsi e, finalmente, l’idea di elaborare il lutto attraverso la scrittura: il racconto della propria vita, ricostruita giorno per giorno, solo per lei, che l’avrebbe letto, forse, un giorno e, forse, avrebbe capito.
Accolto da giudizi discordanti, il film a me è parso bellissimo, sia per la linearità del racconto che, pur non procedendo diacronicamente, alterna con naturalezza estrema passato e presente, rivelando una sceneggiatura salda e senza incertezze, sia per l’insolito contenuto, che ne fa un film più simile a un’antica tragedia che a un mélo. Determinante, infatti, sembra essere l’evocazione del mondo greco nelle letture di Julieta, nel suo lavoro di insegnante, nel mare mitico dei fortunali e delle burrasche, il mare di Ulisse, emblema della fatalità ineludibile degli accadimenti contro cui non serve alcun disperato corpo a corpo. Come gli antichi eroi tragici, Julieta non sa e non vuole riconoscere i segnali inquietanti che le indicano il destino, non ascolta gli “oracoli” moderni sulla sua strada, anzi li sfugge e si avvia, perciò, inevitabilmente alla sconfitta. Può forse essere di qualche utilità nella interpretazione del film conoscere quale sia il nome che Alice Munro attribuisce ad Antìa: quel nome è Penelope.
*I racconti sono tratti dalla raccolta Runaway Stories. I lettori italiani interessati alla loro lettura, possono trovarli nella nostra lingua, avendoli pubblicati nel 2004 l’editore Einaudi nel volume dal titolo: In fuga. I tre racconti sono: Fatalità (pagg. 45-80); Fra poco (pagg. 81-116); Silenzio (pagg. 117-147).
** La “confessione” è avvenutanel corso di una bellissima intervista rilasciata il 26 aprile 2016 a Philippe Tessé a Parigi (Cahiers du Cinema n° 722 – maggio 2016 pagg. 34- 38).
Campagne elettorali minimaliste. Oscurate dalla propaganda del governo sul referendum costituzionale. E si rischia l'astensione di massa (Luigi Vicinanza - l'Espresso)
Il "partito dei sindaci" è un ricordo sbiadito, lontano. 1993, ultimo anno della prima repubblica. Rutelli a Roma, Cacciari a Venezia, Bassolino a Napoli, Formentini a Milano. Storie politiche e profili culturali diversi. Comune l'orgoglio di dare una rappresentanza all'Italia delle cento città, il meglio della nostra tradizione civica, mentre un sistema nazionale stava collassando. Lo spirito del '93 ha resistito per circa un decennio, un misto di buone pratiche, risanamento urbano, servizi più efficienti, valorizzazione delle identità culturali delle plurime capitali italiane. Federalismo praticato, più che predicato. Dal Nord al Sud.
Grazie alla legge che introdusse l'elezione diretta dei sindaci, la politica si è personalizzata nella figura del leader, consacrata dal consenso popolare. Quel sistema elettorale, nonostante siano trascorsi più di vent'anni, resta il più efficiente (o il meno peggio) tra i tanti modelli di selezione della rappresentanza politica adottati in questi anni. Non è un caso se oggi Palazzo Chigi sia occupato dall'ex sindaco di Firenze. La visibilità ottenuta con il ruolo di primo cittadino, insieme alla scalata ai vertici di un Pd uscito a pezzi dalle elezioni del 2013, quelle della "non vittoria", hanno consentito a Matteo Renzi di raggiungere un traguardo mai raggiunto da altri. Walter Veltroni, fortunato sindaco di Roma e fondatore del Pd "nuovo", uscì sconfitto nel 2008 nello scontro con Silvio Berlusconi. E ha scelto di fare il sindaco di Torino (dove si candida per il secondo mandato) Piero Fassino, dopo essere stato il segretario nazionale dei Ds.
La stagione dei sindaci tuttavia è definitivamente tramontata. Lo era già da tempo, ma è ancor più evidente in questa tornata elettorale di giugno. Il primo a declassare le elezioni nelle grandi città è stato proprio Renzi. Per opportunismo tattico. In tutte queste settimane ha sempre insistito nel dire che il voto non riguarda il suo governo, ma è limitato alla scelta dei primi cittadini. Insomma una cosa è la politica - sembra suggerirci il premier-segretario - altra cosa è la civica amministrazione. È il primato del neo-centralismo imperniato sul governo e sul premier. Infatti uno dei paradossi di questa strana campagna elettorale è nella preponderanza in tv e sui giornali dei temi legati al referendum costituzionale, che si terrà solo tra cinque mesi. Di fatto la prossima scelta tra il Sì e il No ha oscurato il presente delle nostre città.
Esemplare Roma. Ferita da Mafia Capitale. Umiliata dalla gestione del caso Marino. Malmessa come nessun'altra capitale europea. La sfida tra i candidati sindaci è scivolata verso il minimalismo delle idee: buche, traffico, assessori a rotazione. Milano, invece, si gode la sua primavera (non solo climatica). Il duello è tra due manager che fingono di essere estranei alla politica. È lo spirito del tempo: la presunta verginità come virtù da esibire. Minimalismo delle ambizioni.
Comunque vada a finire, il risultato delle comunali è destinato a pesare sul prossimo referendum. E stavolta va valutato con attenzione il numero degli astenuti. Perché se si rivela alto anche in questa occasione, dove storicamente è più sentita la partecipazione, l'allarme sarà massimo. Quando si è svolto il poco appassionante referendum sulle trivelle, Renzi si è intestato le astensioni come un successo della linea del suo governo. A ottobre invece dovrà portare ai seggi almeno 14 milioni di cittadini schierati per il Sì. Sono necessari per bilanciare i 13 milioni e passa di elettori che disobbedendogli gli hanno già votato contro in aprile. È lecito ipotizzare infatti che quei 13 milioni rappresentino lo zoccolo duro dell'antirenzismo. Ieri contro le trivelle, domani contro la nuova Costituzione. Sensibili alla mobilitazione i "contras" di ogni colore.
Si vota in 1.342 municipi. Secondo calcoli del "Sole 24 ore", i candidati sindaci sono 3.602. Ma gli aspiranti consiglieri addirittura 77.154 per 16.604 seggi nei consigli comunali e 5.935 poltrone nelle giunte. Un candidato ogni 162 elettori. È il festival delle liste civiche, quasi quattromila su poco meno di cinquemila; quelle - secondo l'Antimafia - più facilmente esposte all'inquinamento affaristico-malavitoso. In epoca di partiti liquidi e di disincanto generale, la corsa al "posto pubblico" su una seggiola comunale attira molti appetiti. Meglio dunque usare l'arma del voto, anziché subire un voto armato.
I dati sono quelli del "centro di studi religiosi" di Trieste. Il ballottaggio per il vicariato della Capitale finirebbe oggi 52-48 per la candidata del movimento ispirato dallo spassosissimo camerlengo di Genova. Per l'arcidiocesi meneghina confermata la lotta tra l'amministratore dell'Esposizione Diocesana e l'economo di rito parigino (ma dall'accento romano)
Frate Bobo in rimonta sulla Sorella Vergine, ma perdente – sia pure di poco – al ballottaggio per diventare il cardinale vicario di Roma. A Milano, invece, l’arcivescovo si deciderà tra l’amministratore dell’Esposizione Diocesana e l’economo prestato alla Chiesa che sono divisi da 4 sole parrocchie. Come al solito, chi vuol capire, capisca, e non è nemmeno così difficile: i sondaggi prima delle elezioni non si possono pubblicare, ma continuano a girare. Ed è così che Youtrend, vestendo le amministrative della maschera della corsa alla guida delle diocesi, riferisce delle rilevazioni del “centro di studi religiosi giuliano”, istituto molto ascoltato dal “potente primate d’Italia” e dal “gruppone ecclesiale democratico”.
Nel dettaglio, spiega Youtrend, la Sorella Vergine – che fa parte del “movimento ecclesiale che si ispira allo spassosissimo camerlengo di Genova” – raccoglierebbe il consenso di 29 parrocchie. A seguire Frate Bobo, che con l’appoggio del primate fiorentino, punterebbe a 26 parrocchie. La lotta per il ballottaggio sarebbe in questo caso con Sora Giorgia, a capo della Fratellanza degli italiani devoti, che raggiungerebbe le 22 parrocchie. Più lontano invece don Marchino, nonostante l’appoggio dell’anziano prelato di Monza e Brianza, che non andrebbe oltre le 17 parrocchie. Infine Padre Stefano metterebbe insieme non più di 3 parrocchie. Ma, appunto, quel che conta in questo caso sarebbe la sfida finale dove l’istituto religioso di Trieste vede una sorta di testa a testa, 52 parrocchie a 48 a favore della Sorella Vergine: due parrocchie significano che la corsa è aperta. Per due motivi: decisive diventano le due settimane tra il primo e il secondo voto, in più queste consultazioni telefoniche hanno un margine d’errore di circa 3 parrocchie.
È tra i giudici che dovranno valutare l’Italicum e – pur non comparendo nell’elenco dei “firmatari per il Sì” – da tempo manifesta il suo apprezzamento per la riforma costituzionale.
Parliamo di Augusto Barbera, classe 1938, professore di Diritto Costituzionale e membro della Consulta: il suo nome è nell’elenco degli indagati, con l’accusa di falso in atto pubblico per induzione, nell’inchiesta ormai conclusa sui concorsi universitari del 2010. “Finalmente!”, commenta Barbera al Fatto, “Considero una buona notizia la conclusione delle indagini. Così potrò, per la prima volta, conoscere gli addebiti ed esporre a un giudice le mie ragioni. E sottolineare che non ero membro di alcuna commissione giudicatrice”. Il professor Barbera potrà depositare una memoria difensiva e la procura di Roma valuterà se chiedere il rinvio a giudizio o meno. Per il momento il suo nome è nell’elenco di circa 20 indagati coinvolti nel filone romano dell’inchiesta.
...un milione e mezzo di persone incazzate non restituiranno a Renzi gli 80 euri della "marchetta", se prima non sarà annullato con effetto retroattivo il voto al PD Renzino...
Spiacente, ma ancora una volta, a costo di tirarmi addosso un mare di insulti, dissento profondamente dal "pensiero unico" che stamattina dominava sulle rassegne-stampa della TV Unificata Raiset.
Stamattina tutti i giornali erano scatenati contro i due automobilisti (peraltro certificati da un signore che girava con una riserva d'alcol al seguito, che gli serviva per fare fuoco alla "sua" ragazza)...
Tutti concordi: gli "almeno due" automobilisti che avevano sentito la ragazza chiamare aiuto, e che per egoismo e vigliaccheria hanno lasciato che la ragazza fosse arsa viva, sono degli ignobili codardi.
Vorrei associarmi agli "almeno due" mai verificati, e non agli "almeno venti" giornali che stamattina sono andati in TV con delle prime pagine "fotocopia", che inneggiavano al coraggio parolaio, senza chiedersi chi avesse raccontato cosa...
Nessuno degli "almeno due" automobilisti ha fatto outing. Quindi dobbiamo fidarci della parola dell'assassino, indignato perchè "nessuno dei due" ha salvato la SUA ragazza. Ha invece fatto outing un giovane motociclista diciottenne, non chiamato in causa da nessuno, perchè a posteriori ha capito di essere passato, senza fermarsi, sulla "scena del delitto". Tanto onesto da farsi avanti pur non essendo sospettato di niente e da nessuno. E quindi tanto più affidabile il suo racconto.
Dunque, il ragazzo passava da quelle parti in moto con la sua ragazzina, e quello che ha visto era una coppia che litigava. Attenzione... LITIGAVA. Discuteva animatamente. Nessuno picchiava nessuno. La più agitata sembrava la ragazza, mentre il futuro assassino era appoggiato alla macchina, e sembrava calmo. Il ragazzo non si era fermato, e nemmeno ha chiamato la polizia. Cosa avrebbe dovuto denunciare? Una apparente discussione animata fra un ragazzo e una ragazza, in una scena del delitto (futuro) dove non c'erano schiaffi, pugni, coltelli, mazze da baseball, lanciafiamme? E cosa avrebbe mai dovuto dire, al telefono? Guardate che su via della Magliana c'è una coppia che discute animatamente??? Sicuro che nessun poliziotto lo avrebbe mandato a cagare, dicendogli a brutto muso: "Minchia... e ci disturbi per una cazzata così?"
Allora cambiamo il quadro, e immaginiamo che uno di questi "eroi del giorno dopo" avesse assistito" ad una scena più drammatica: un uomo armato di un'accetta, o di pistola, o di lanciafiamme, che insegue un'altra persona: siamo sicuri che questi "premi Pulitzer" avrebbero inchiodato la macchina, si sarebbero catapultati a salvare la ragazza, con sprezzo del pericolo, senza pensarci un attimo??? Forse sono cinico, ma io ne dubito fortemente... Quattro di notte, scena di violenza alla Magliana, contorni poco chiari. Forse sono vigliacco, ma dubito fortemente persino di me stesso.
Forse avrei tirato fuori il telefonino, per chiamare la Polizia. Forse, come ha detto oggi a reti unificate una donna magistrato, la ragazza sarebbe ancora viva, forse no. Non ci vogliono 10 minuti per uccidere una ragazza inerme. Basta molto meno. CHIUNQUE, credo, avrebbe fatto quella telefonata, se avesse capito il quadro descritto dalla persona meno affidabile che c'era sulla scena del delitto (l'assassino); POCHI, e forse NESSUNO dei censori del giorno dopo, si sarebbero calati nei panni di Charles Bronson.
Quindi, scusate, ma mi associo all'orrore e al dolore per la morte di questa ragazza, e non all'indignazione da "giorno dopo in rassegna stampa". Troppo facile, e troppo difficile sapere cosa avrebbero fatto - di fronte ad un pericolo reale e grave - il Prof. Panebianco, o Erasmo D'Angelis, o Maurizio Belpietro (ho preso dei nomi a caso).
E infine: è proprio il caso che i giornali unificati montino una campagna da "indignati speciali" sulla mancata reazione ad una scena certificata solo da un assassino, e smentita dall'unica persona affidabile che passava da quelle parti, e il giorno dopo, capito da dov'era passato, si è esposto a petto nudo ad un molto probabile fuoco incrociato di altri indignati in servizio permanente effettivo?
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