Vittorio Zucconi Goffredo De Marchis
Non è vero che Renzubblica sia diventato un monolitico blocco filorenziano. In qualche sottoscala, attento a non far troppo rumore, si nasconde ancora qualcuno che tenta di fare del giornalismo. Ma le comode scrivanie sono riservate agli utenti abituali dell'armadietto dei lecca-lecca.
Oggi il destino ha voluto che due articoli (appartenenti a due giornalisti dei due diversi gruppi), finissero in pagina, su Renzubblica, fianco a fianco. Uno è di Vittorio Zucconi, l'altro è di Goffredo De Marchis. Ne trascriveremo ampi stralci, senza mettere in calce le rispettive firme. Ai lettori l'arduo compito di capire chi scriva dal sottoscala, e chi scriva avendo a portata di mano l'armadietto dei lecca-lecca...
ARTICOLO UNO
Obama, assist a Renzi - "All'Italia serve il SI. Matteo governi anche se perde il referendum". Baci e abbracci per tutti, ma il dinner non sposta voti
Entusiastico baciatore all'italiana, che ha costretto anche la First Lady Michelle e l'allampanato John Kerry a piegarsi per ricevere da lui il bacetto sulle guance, Matteo Renzi si è gustato lo show alla Casa Bianca con l'evidente felicità di un fanciullo accolto nel massimo Paese dei Balocchi politici.
Può darsi che questo sia il suo ultimo viaggio ufficiale a Washington, se gli andasse male il referendum, ma il giovanotto di Rignano sull'Arno che dallo scoutismo e dalla Ruota della Fortuna è arrivato fino al portico della Casa Bianca, nel luogo della Storia dove tutti i grandi della Terra sono apparsi e si strinsero la mano anche nemici mortali come Rabin e Arafat, era visibilmente deciso ad assaporare il momento. A gustarselo anche più degli agnolotti di Mario Batali.
La Washington d'ottóbre, sempre il mese più luminoso e piacevole in questa città sospesa tra Sud e Nord, si era vestita da festa per l'ospite italiano, gentile, ma sempre un po' cinica, avendo visto troppi sorrisi e ascoltato più promesse di amore eterno di una spiaggia estiva per farsi impressionare. Ma se le parole sono state quelle che i muri bianchi hanno ascoltato da quando Alcide De Gasperi dovette promettere a Harry Truman la fedeltà atlantica per rompere il clima gelido che lo aveva accolto, l'entusiasmo festoso e poi il coraggioso inglese di Matteo Renzi sono stati una novità allegra.
C'era, sia da parte di Obama che sta vivendo il crepuscolo della propria avventura politica al massimo della popolarità, sia da parte di Renzi, che si divincola al minimo del favore popolare, una curiosa atmosfera di spensieratezza informale. Un tono da rimpatriata che neppure i completi d'ordinanza dei due uomini, Matteo in completo blu notte da esame di Maturità Classica circa 1960 e Barack, con cravatta grigio perla un po' da concertista jazz alla Carnegie Hall, riuscivano a ingessare. Anche il momento di ansia che circondava lo speech e che la signora Agnese nascondeva con eleganza nel suo abito di pizzo verde, si è dissolto, di fronte alla dignitosa fluidità dell'inglese che il nostro presidente del Consiglio aveva preparato con cura maniacale.
Una cura pari alla pronuncia di quel "Patti Chiari, Amicizia Lunga" detto da Obama nell'italiano fonetico scritto nel suo foglietto in "Pahttee Keeahreee, Ameeceetzeeah Loongah", per sottolineare l'immancabile riferimento alla granitica solidità dell'alleanza settantennale fra le due nazioni. Nel sollievo di chi ricordava momenti tragici del passato, il Mister President si è potuto risparmiare quel "Lei parla un ottimo inglese" concesso da George Bush a Silvio Berlusconi che aveva crudelmente trucidato la frasetta in inglese preparata a Camp David.
Sembrava, fuori dall'ingombrante interesse degli Stati Uniti alla vittoria del Sì al referendum, che i due uomini si trovassero reciprocamente simpatici. Che la sfrontatezza di Renzi, tanto diverso dalla processione di intraducibili mandarini che arrivavano, parlavano e poi scomparivano inghiottiti nel gorgo della politica romana, che la sua giovane età, vicina alla giovinezza di Barack e Michelle quando in quella Casa entrarono, li avvicinasse e li mettesse di buonumore.
Non un solo voto sarà spostato da questo incontro, che i media americani hanno trattato come un evento di mondanità glamour. La politica estera, i summit, le cene di Stato, non fanno vincere elezioni, non negli Usa, non in Italia. Ma possono produrre figure barbine. Almeno questa volta, non ne abbiamo fatte. Può bastare.
ARTICOLO DUE
Un perfect day per la visita di Matteo Renzi e per la moglie Agnese Landini, in vestito di pizzo verde di Valentino, emozionatissima accanto a Michelle. Possono renderlo ancora più speciale solo le parole di Barack Obama. E i giudizi sul premier, sul referendum costituzionale, sulla battaglia italiana contro l'austerity targata Bruxelles e Berlino, sulla politica migratoria dell'Europa arrivano con una tale nettezza che nemmeno Renzi sa come reagire.
Un presidente americano scommette tutto sul premier italiano: «Matteo incarna una nuova generazione per la leadership non solo in Italia ma anche in Europa». E ancora: «È bello, giovane, è un mio amico, è malato di Twitter ma ha fatto molte riforme». L'investimento dell'amministrazione democratica è pieno, assoluto. Perciò Obama dice che il 4 dicembre, data del quesito sulla legge costituzionale, «tifo per Matteo». Lui vota Sì perché «l'ammodernamento delle istituzioni aiuta l'Italia». Lui vota Sì persino entrando nel merito come si dice sempre: «In un mondo globalizzato e dominato da Internet i governi devono muoversi più velocemente». E se la scommessa è sbagliata, ovvero se vince il No, «Matteo, devi rimanere al timone ancora per un po'».
Cosa è successo nei 90 minuti di colloquio faccia a faccia nell'ufficio di Obama alla Casa Bianca? Cosa ha ipnotizzato il presidente alla fine del suo mandato, della figura di Renzi? Tra le righe della conferenza stampa e dei discorsi di presentazione c'è la risposta a queste domande. Innanzitutto, «una grande affinità politico culturale», spiega il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Obama cerca nel mondo una visione progressista e moderna e la scorge in volti nuovi, più vicini alle generazioni del futuro. Per questo sceglie Renzi, per questo segue il canadese Trudeau che il Washington Post qualche giorno fa accostava proprio al premier italiano. Eppoi va combattuta la battaglia contro il populismo in America (Trump) e in Europa. «C'è un collegamento stretto — spiega Obama — tra la stagnazione economica e gli impulsi populistici che si creano in alcuni Paesi». L'Italia e Renzi sono vissuti come un argine a queste tendenze [...]
Fa praticamente tutto da solo Obama e Renzi accetta di stare di lato, che non è nelle sue corde. Il miglior testimonial lo ha trovato qui, nella capitale americana, non aveva bisogno di portarli dall'Italia invitandoli alla cena d'onore. Rispetto alle iperboli obamiane, non sembra nemmeno offrire granché in cambio. Certo, Obama detta alcune condizioni: le sanzioni alla Russia vanno mantenute, l'Italia farà ancora la sua parte in Libia, il nostro contributo per le truppe Nato in Lettonia. Il premier risponde: «L'agenda internazionale dell'Italia coincide totalmente con quella degli Stati Uniti». E coincide con la politica di Obama che prova a pronunciare qualche parola in italiano: «Patti chiari amicizia lunga» (forse non gli hanno spiegato che noi lo usiamo a volte come un avvertimento). Renzi invece usa il latino: «Historia magistra vitae», la storia è maestra di vita, e «la storia sarà generosa con Obama». Ma che farà lui se perde il referendum, seguirà il suggerimento di Barack? «Lo scopriremo solo vivendo. Ma vincerà il Sì» [...]
Poi si torna a parlare di Europa e migranti, con un nuovo asse Roma-Washington: «Italia, Grecia e Germania sono lasciati soli contro questo fenomeno. Far parte della Ue però significa prendere i vantaggi e condividere i costi. Non lasciare il problema solo ad alcuni e augurargli buona fortuna». Renzi sorride. E i due si abbracciano, per l'ennesima volta.
Ai lettori l'arduo compito di indovinare quale sia l'articolo di Vittorio Zucconi e quale sia quello di Goffredo De Marchis.
Tafanus
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