Renzubblica ha discretamente nascosto questi due articoli nelle pagine milanesi, come se la delinquenza, l'Expo, la 'ndrangheta fossero problemi di Rho e dintorni, e non problemi italiani. Su Renzubblica online questi articoli sono disponibili sono sulla parte a pagamento. Leggerli da il voltastomaco, perchè era tutto già scritto nel dna della classe politica italiana. E da il voltastomaco anche perchè Renzi coi suoi ridicoli tweet trionfalistici, Sala col suo efficientismo naufragato, Cantone lo Sceriffo Infallibile che non si è accorto che gli stavano sfilando la cassaforte dall'ufficio...
Qualcuno ha ancora voglia di rompere le palle su twitter col ridicolo hastag #OrgoglioExpo ?
Un lungo elenco di lavori, quasi tutti ottenuti in subappalto, che porta — dopo i dieci milioni sequestrati dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano all'imprenditore bergamasco Pierino Zanga — a un ulteriore sequestro di quindici milioni di euro da parte della guardia di finanza di Locri, in una parallela indagine della Dda di Reggio Calabria (Repubblica/Milano del 26/10/2016)
Ai lavori contaminati dalla presenza della 'ndrangheta emersi con l'indagine del procuratore dell'antimafia milanese, Ilda Boccassini, e del pm Bruna Albertini — la piastra di Expo, il centro commerciale di Arese, il tratto della linea 5 del metrò, i lavori a Cormano e Bereguardo, le commesse della società di Ferrovie Nord, "Nord Ing" — gli investigatori aggiungono un'altra sequela di cantieri. Tra i più rilevanti, «i padiglioni di Cina ed Ecuador a Expo», ma anche quelli relativi «al Padiglione Italia, alle rampe di accesso e a tutta la rete fognaria». Il «70% dei lavori dell'Esposizione», dice in un'intercettazione Giuseppe Colelli, una delle teste di legno di Infrasit, la società controllata dai clan che ha incassato la maggior parte dei subappalti.
Sequestrati appartamenti, locali, auto di lusso, autocarri, società, polizze assicurative, conti correnti dalla Calabria alla Lombardia, per un valore complessivo di quindici milioni di euro. Proventi considerati illeciti, incassati da imprenditori considerati prestanome o comunque vicini alle cosche calabresi degli Aquino-Coluccio e Piromalli-Bellocco, operanti anche a Milano e nell'hinterland.
Le indagini hanno evidenziato come i clan abbiano investito ingenti capitali anche nel turismo, con la realizzazione di un complesso turistico in Romania, del valore di 80 milioni, e un immobile in Marocco. Per i trentadue soggetti raggiunti dal provvedimento di sequestro, le accuse sono a vario titolo di associazione mafiosa, riciclaggio, estorsione, induzione alla prostituzione, detenzione illecita di armi da fuoco. Nelle carte dell'inchiesta emerge la fitta rete di connivenze del gruppo anche al Nord, che ha lavorato anche in cantieri edili per la costruzione di palazzine in via Savona e via Varesine. Agli atti rapporti con uomini delle Agenzie delle Entrate per risolvere problemi col fisco, e funzionari di banca che rivelano gli accertamenti presso la propria banca dati.
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Con i subappalti aggirati i controlli - "Sulle Vie d'acqua la tangente più grossa" (di Alessia Candito e Sandro De Riccardis - Repubblica/Milano del 26/10/2016)
Sono rimasti per mesi invisibili nei cantieri del nord, poi una doppia ingenuità li tradisce. «Macrì è a Milano per Expo» risponde una sua collaboratrice agli investigatori che si recano all'autonoleggio di Graziano Macrì, a Siderno, per accertamenti su un assegno. Ed è lui stesso a dare due indirizzi che gli investigatori scoprono essere sedi di riferimento di una società edile, Infrasit.
Perché «un imprenditore calabrese, operante nel settore del noleggio di autovetture, riconducibile a Macrì Vincenzo, a sua volta collegato a Zu 'Ntoni Macrì, inteso "Baruni" o "Boss dei due mondi", trascura la sua attività in Calabria, per dedicarsi ad attività edilizie in Lombardia?» si chiedono gli uomini della finanza di Locri.
È la domanda che parte dal discendente di uno dei più importanti boss della storia della 'ndrangheta, e porta a un'inchiesta a Milano e una a Reggio Calabria, a un doppio sequestro di quasi venticinque milioni, a un'indagine che svela l'infiltrazione al nord dei clan di 'ndrangheta Aquino-Coluccio e Piromalli-Bellocco. Arrivati con le loro società, i camion e gli operai, dentro il cantiere di Expo.
«Abbiamo fatto il 70 per cento dei lavori» - dice in un'intercettazione Giuseppe Colelli, proprietario formale di Infrasit, parlando dei lavori «al padiglione Italia, della Cina, dell'Ecuador», oltre che di quelli per altre opere accessorie come «le rampe di accesso e tutta la rete fognaria».
Ancora Colelli, il 13 agosto 2014, «parla con un uomo dell'Expo che chiede come vanno i lavori». «Bene, non sono mai stati indietro. Le opere si faranno tutte — assicura — tranne, forse, quelle delle Vie d'acqua, perché là c'è stata la tangente più grande in assoluto... il 50 per cento di preventivo di quel lavoro è una tangente». Nonostante i controlli, le aziende della 'ndrangheta riescono ugualmente a entrare in Expo. «Tramite lo stratagemma del subappalto, infatti, le società gestite dagli indagati, pur intestate a prestanome, neanche risultano quali esecutrici dei lavori effettuati, anche se trattasi di appalti di notevole importanza e interesse anche mediatico — ricostruiscono gli uomini della Gdf. Quasi tutti i lavori edili eseguiti dagli indagati sono stati appaltati dalle società Viridia o Itinera». La prima, già citata nell'inchiesta sulla "Cupola di Expo" per i rapporti con Primo Greganti. La seconda, del gruppo Gavio. Le due società hanno «successivamente appaltato i lavori ad altre ditte». Scrivono gli investigatori che queste aziende «sono state individuate solo grazie a sopralluoghi e intercettazioni». È così che trovano, il 15 dicembre 2014, i documenti dei lavori nella sede di Infrasit, «sulla scrivania di Salvatore Piccoli», braccio destro di Antonio Stefano, luogotenente della cosca Aquino-Coluccio, entrambi coinvolti nell'inchiesta della Dda di Milano su "NordIng".
«Sostanzialmente — ha commentato ieri il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, prima procuratore a Reggio Calabria. Loro lavoravano sotto soglia, sotto i 600.000 euro, e quindi non c'era il controllo o il controllo era blando».
Ma i clan erano interessati anche alle attività di smantellamento di Expo. «Ho sentito in televisione che parecchie cose andranno smantellate», s'interessa al telefono il padre di Piccoli. È il 5 agosto 2015. «Non lo so, adesso vediamo, e m'informo» risponde il figlio. Intanto il clan incassa il denaro per i lavori già realizzati. «Sto aspettando dei pagamenti da parte di Expo di circa 800.000 euro, e 400.000 da Viridia», dice Pino Colelli al telefono.
Gli stessi uomini, con le stesse società, sono al lavoro anche nel cantiere di Arese di uno dei più grandi centri commerciali d'Europa. Al telefono, Piccoli e Colelli parlano dello stato dei lavori e dei pagamenti che ancora non hanno incassato. «Ad Arese ci faranno fare il secondo lotto per circa 400/500.000 euro — dice Colelli. Parcheggio, muro di sostegno, gli ingressi al centro commerciale, i cordoli. Non è una cosa che dobbiamo perdere... se riusciamo a prendere pure un pezzo di supermercato come costruzione, di centro commerciale...».
(Repubblica del 26/10/2016 - Ediz. Milano)
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