Voi forse non lo sapete, ma il PdR è davvero un partito "ggiovane ggiovane!", Per esempio pochi sanno che tale Filomena Mastromarino da Gioia del Colle passa con nonchalance dalle poltrone dell'Assemblea Nazionale del PdR di Renzi, al lettone del cast di Rocco Siffredi...
Confesso di ignorare quale sia il contributo dato da Filomena (in arte "Malena la Pugliese") alla definizione delle strategie del PdR, mentre cominciano a circolare in rete, alla velocità del renzismo, i video porno della "membra" dell'Assemblea Nazionale del PdR, ma anche - su piattaforme meno castigate di youtube - della nostra che incontra altri "membri", nell'entourage di Rocco Siffredi. Poichè non amo il porno "hard", ho scelto la cosa più castigata che sono riuscito a trovare, ma di questa nostra "membra" del PD, se vi avventurate su youporn, potrete trovare anche degli interventi a-politici della Malena di notevole spessore (o diametro...)
A questo punto resta solo da stabilire se circolino più teste di cazzo nel giro di Rocco Siffredi, o in quello di Matteo Renzi
Scritto il 30 novembre 2016 alle 23:46 | Permalink | Commenti (1)
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Ridurre i costi facendo questa supercazzola di Senato? Sarebbe stato molto più "risparmioso" riequlibrare il numero dei consiglieri regionali
CASTE E CASTINE - le castine non si toccano... Prendete questa assurdità delle regioni a statuto speciale. Una delle prime cose che avrebbe dovuto prevedere la Nuova Magnifica Costituzione sarebbe stata l'abolizione dei privilegi a queste regioni. Ma Renzi, purtroppo, è disperato, e da due mesi, anziché governare, passa le sue giornate in giro per l'Italia col suo giocattolo a quattro motori, ad annoiare il prossimo ripetendo in tre comizi al giorno le stelle balle (i 500 milioni di risparmio, il colpo alla casta)...
PARLIAMONE, DELLA CASTA - Prendete ad esempio la Val d'Aosta: un totale di 102.633 iscritti nelle liste elettorali, esprimono un Consiglio Regionale (che non si tocca, per carità...) di ben 30 consiglieri regionali. Pagati profumatamente, specie ove si consideri che non sudano per 40 ore a settimana e per 49 settimane all'anno... Ebbene, la Val D'Aosta, con meno abitanti di un qualsiasi quartiere di Roma o di Milano, esprime - come abbiamo detto, 30 consiglieri regionali. In pratica, in Val D'Aosta, un cittadino-elettore ogni 2.932 abitanti diventa Consigliere Regionale. E' come se il mio paesello di 10.000 abitanti producesse tre consiglieri regionali.
Ma restiamo, per confronto, in Lombardia: alle ultime elezioni regionali, questa regione, che conta 7.738.820 iscritti alle liste elettorali, ha espresso 80 consiglieri: uno ogni 96.735 iscritti alle liste elettorali. In Val d'Aosta per diventare "casta" bastano 2.402 voti (quelli dei parenti stretti e dei colleghi d'ufficio); in Lombardia servono in media 67.592 voti. In rapporto al numero di abitanti, in Val d'Aosta si diventa "casta" con un ventottesimo dei voti necessari in Lombardia. Solo riequilibrando nella sola Val D'Aosta il rapporto consiglieri/elettori, si sarebbe potuto ridurre il consiglio regionale, a... un solo consigliere.
Ma allora perchè la Nuova Bellissima Costituzione non ha previsto un riequilibrio, neanche parziale, del numero dei consiglieri regionali? Vera piaga italiana, che gestisce il bancomat-sanità, rubando a piene mani? Semplice! Perché Renzi e i suoi cari sono disperati, e hanno bisogno persino di strapagare il voto dei quattro gatti iscritti alle liste elettorali in Val d'Aosta.
Ed ora una buona notizia, che vale più di qualsiasi sondaggio clandestino: con l'avvicinarsi del "giorno fatale", la comunicazione di Renzi e delle sue badanti ha intensificato a dismisura sia la distribuzione di marchette elettorali (tanto la bocciatura europea arriverà dopo il 4 Dicembre), quanto la ossessiva ripetizione dell'affermazione che "questo non è un voto per Renzi o contro Renzi, ma è un voto pro o contro il c.d. "rinnovamento".
Troppo tardi, troppo male, troppo sospetto. Che Renzi abbia un sondaggio?
Tafanus
Scritto il 30 novembre 2016 alle 11:15 | Permalink | Commenti (1)
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29 novembre 2016
...e domenica tutti al vuoto, tutti al vuoto!...
Scritto il 29 novembre 2016 alle 22:53 | Permalink | Commenti (0)
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Senza Renzi, Verdini e Alfano la Costituzione "immobile" per altri settant'anni??? Basta con questa minchiata, please... (www.bastaunsi.org)
Sarei alquanto stufo di sentir ripetere da Renzi e dalle sue badanti che "prima di Renzi, in settant'anni la Costituzione è rimasta immobile come un paracarro", mentre adesso che sono arrivati loro...
Voglio deluderli. La Costituzione, entrata in vigore il 1° Gennaio 1948, ha avuto - per merito degli stessi che l'avevano varata da "colori politici" a volte opposti - le prime modifiche già 5 settimane dopo. Ci vogliono le palle, perchè quelle prime modifiche erano anche l'equivalente di una ammissione di errori e/o omissioni. Ma anche dopo, quando se ne è ravvisata l'esigenza, e quasi sempre a larga maggioranza, è stata modificata:
9 febbraio 1948: Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale
26 febbraio 1948: Conversione in legge costituzionale dello Statuto della Regione siciliana; Approvazione dello Statuto della Regione siciliana; Statuto speciale per la Sardegna; Statuto speciale per la Valle d'Aosta; Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.
11 marzo 1953: Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale
18 marzo 1958: Scadenza del termine di cui alla XI delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione
9 marzo 1961: Assegnazione di tre senatori ai comuni di Trieste, Duino Aurisina, Monrupino, Muggia, San Dorligo della Valle e Sgonico
9 febbraio 1963: Modificazioni agli articoli 56, 57 e 60 della Costituzione
27 dicembre 1963: Modificazioni agli articoli 131 e 57 della Costituzione e istituzione della regione Molise
21 giugno 1967: Estradizione per i delitti di genocidio
22 novembre 1967: Modificazioni dell'articolo 135 della Costituzione e disposizioni sulla Corte costituzionale
16 gennaio 1989: Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della L.cost. 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione
4 novembre 1991: Modifica dell'articolo 88, secondo comma, della Costituzione
6 marzo 1992: Revisione dell'articolo 79 della Costituzione in materia di concessione di amnistia e indulto
22 novembre 1999: Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni
23 novembre 1999: Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione
17 gennaio 2000: Modifica all'articolo 48 della Costituzione concernente l'istituzione della circoscrizione Estero per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero
23 gennaio 2001: Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione concernenti il numero di deputati e senatori in rappresentanza degli italiani all'estero
18 ottobre 2001: Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione
23 ottobre 2002: Legge costituzionale per la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione
30 maggio 2003: Modifica dell'art. 51 della Costituzione
2 ottobre 2007: Modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte
20 aprile 2012: Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale
31 gennaio 1963: Statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giulia
10 novembre 1971: Modificazioni e integrazioni dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
23 febbraio 1972: Modifica del termine stabilito per la durata in carica dell'Assemblea regionale siciliana e dei consigli regionali della Sardegna, della Valle d'Aosta, del Trentino-Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia
9 maggio 1986: Modifica dell'articolo 16 dello statuto speciale per la Sardegna
3 aprile 1989: Indizione di un referendum di indirizzo sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo che sarà eletto nel 1989
12 aprile 1989: Modifiche ed integrazioni alla L.cost. 23 febbraio 1972, n. 1, concernente la durata in carica dell'Assemblea regionale siciliana e dei consigli regionali della Sardegna, della Valle d'Aosta, del Trentino-Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia. Modifica allo statuto speciale per la Valle d'Aosta
6 agosto 1993: Funzioni della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali e disciplina del procedimento di revisione costituzionale
23 settembre 1993: Modifiche ed integrazioni agli statuti speciali per la Valle d'Aosta, per la Sardegna, per il Friuli Venezia Giulia e per il Trentino-Alto Adige
24 gennaio 1997: Istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali
31 gennaio 2001: Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano
23 ottobre 2002: Legge costituzionale per la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione
7 febbraio 2013: Modifica dell'articolo 13 dello Statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia; modifiche all'articolo 3 dello Statuto della regione siciliana, in materia di riduzione dei deputati dell'Assemblea regionale siciliana; modifica degli articoli 15 e 16 dello Statuto speciale per la Sardegna, in materia di composizione ed elezione del Consiglio regionale.
Si da il caso che gli addormentati politici della Prima Repubblica abbiamo modificato la Costituzione in ben 15 anni (1948, 1953, 1958, 1961, 1963 (due volte), 1971, 1972, 1986, 1989 (due volte), 1993 (due volte), 1997, 2001, 2002, 2013, e quasi sempre su materie che hanno richiesto cambiamenti in più di un solo articolo.
Si da il caso che Dick Fulmine Renzi in tre anni abbia modificato solo gli articoletti riguardanti il numero e la distribuzione delle poltroncine nelle regioni a statuto speciale (che devono essere tenute buone, perchè TUTTE hanno un numero di consiglieri (futuri "grandi elettori" dell'inutile Senato), notevolmente più alto delle regioni a statuto ordinario, in rapporto alla consistenza della popolazione. Ad esempio la Val d'Aosta avrà così un "grande elettore" per 60.000 abitanti, mentre regioni come il Molise o l'Umbria avranno un consigliere ogni 600/700.000 abitanti.
Per piacere, mandiamo in soffitta questa ignobile riforma autoritaria, e se possibile mandiamo a casa anche il galletto e tutto il suo harem di galline starnazzanti.
Tafanus
Scritto il 29 novembre 2016 alle 11:14 | Permalink | Commenti (0)
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28 novembre 2016
Padri Costituenti e Padrini Ricostituenti (2° puntata)
Voltagabbana riformatori (I Padrini Ricostituenti)
La forma (per non dire la ri-forma) è sostanza. E il metodo è merito. Nel dicembre del 2013 la Corte costituzionale, con la sentenza-bomba che sarà depositata nel gennaio 2014, rade al suolo il Porcellum, cioè la legge elettorale partorita dal centrodestra, e firmata dal leghista Roberto Calderoli, poi definita da lui stesso «una porcata». Motivo: la norma mina gravemente il principio di rappresentanza (in merito alle liste bloccate e imposte dall'alto) e di eguaglianza del voto. La sentenza non impedisce, però, al Parlamento di lavorare, e non travolge gi atti compiuti precedentemente: vale il principio di continuità dello Stato. Ma, da come è scritta, è chiaro a tutti che la Corte prescrive tempi brevi per sanare il vulnus di un Parlamento delegittimato dall'essere stato eletto con quella legge. La Corte richiama infatti due esempi di applicazione del principio di continuità dello Stato: la prorogatio dei poteri delle Camere fino a nuove elezioni e la possibilità delle Camere sciolte di essere appositamente convocate per la conversione in legge di decreti legge. In entrambe le ipotesi - fa notare il Professor Alessandro Pace - il «principio fondamentale della continuità dello Stato incontra limiti di tempo assai brevi, non più di tre mesi». Nonostante ciò, due governi - Letta e Renzi, entrambi sostenuti con «viva e vibrante soddisfazione» dal presidente Giorgio Napolitano, come direbbe Maurizio Crozza - premono affinché quegli stessi senatori e deputati modifichino la Costituzione.
Il 2 ottobre 2015, durante la discussione in Senato, i rappresentanti di Ala (la stampella verdiniana al governo Renzi) Lucio Barani e Vincenzo D'Anna, si rivolgono a due deputate grilline, l'uno mimando il gesto del sesso orale e l'altro indicando i propri genitali. E il loro modo di difendere i l progetto di revisione costituzionale targato Renzi-Boschi-Verdini. E dire che il senatore D'Anna, quando era nel gruppo Autonomie e Libertà, prima di passare ad Ala, era ferocemente contrario al progetto...
Nel luglio 2014, annunciando a Palazzo Madama interventi su gran parte degli emendamenti per «sbarrare la strada alla riforma», D'Anna tuonava: «Un liberale è al tempo stesso conservatore quando si tratta di conservare la libertà minacciata, ed è questo il caso di un progetto di riforma che priva gli italiani del diritto e della libertà di poter scegliere i propri parlamentari, e radicale ogni qual volta si devono conquistare ulteriori spazi di libertà per i l cittadino. Se folle significa richiamarsi a Tommaso Moro e John Locke, padri del liberalismo e del diritto dei cittadini, che è antecedente allo Stato stesso, ebbene saremo tanto folli da utilizzare il regolamento del Senato per sbarrare la strada a una riforma liberticida». Poi accusava i l governo: «Stiamo mettendo mano alla Carta costituzionale di questo Paese che fu redatta dall'Assemblea Costituente e, senza offendere nessuno, io qui non vedo né Dossetti né Calamandrei né Moro. Se quella gente, di quello spessore, impiegò un anno per poterla redigere credo sia profondamente sbagliato che due persone che si incontrano e fanno un patto (il patto del Nazareno, ndr) chiedano poi al Senato di ratificarlo in pochi giorni, quasi si trattasse di un adempimento rituale». E ancora: «Ezra Pound diceva che se un uomo non è disposto a battersi per le proprie idee, o non vale niente lui, o non valgono niente le proprie idee. Colleghi, vi conosco e mi auguro che voi valiate come uomini, però questa schifezza non la potete votare». «Signori - incalzava l'irrefrenabile D'Anna - io sono stato deputato per due anni e mezzo, e ho sentito i Franceschini, i Fassino, i Di Pietro invocare la libertà e la democrazia contro il caimano, lo psiconano, il peronista, il pericolo per la democrazia impersonato in Berlusconi, che all'epoca era la fonte di ogni nequizia e di ogni sfacelo accaduto o che poteva accadere. Domando quindi ai colleghi del Pd: avete subito una trasformazione genetica, siete stati investiti da radiazioni, siete una mutazione politica e biologica al tempo stesso di quelle persone?». Cosa che poi è capitata a lui.
Del resto, nell'attuale XVII legislatura, il 26% deiparlamentari, più di uno su quattro, ha cambiato posto in aula, fra Senato e Camera, abbandonando lo schieramento in cui era stato eletto: 252 in tutto tra deputati e senatori, con una media di 10 passaggi al mese, uno ogni tre giorni (dati Openpolis).
(da "Padri Costituenti e Ricostituenti")
Scritto il 28 novembre 2016 alle 23:56 | Permalink | Commenti (0)
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La Ri-Costituzione di Maria Elena, Matteo e Denis? Un pastrocchio incommestibile
In questi ultimi giorni di feroce battaglia a suon di comunicazione TV nella quale il SI vince tre a uno, e di "istituzioni" e giornaletti di Murdoch e della Famigghia Agnelli che fanno passare il messaggio che se vincerà il NO crolleranno 12.000 banche italiane, ci sarà l'invasione delle cavallette e quant'altro, ci rivolgiamo alle persone che sanno leggere e scrivere cogli ultimi residui di energia. Oggi ad esempio dedichiamo un interessante capitolo del libro di Travaglio e Silvia Truzzi al "linguaggio" della costituzione vecchia e di quella "nuova". Tafanus
Una lingua da premio Strega
La Carta (quella vera, quella del 1948) è così ben scritta, che vincerà nel 2006 un premio Strega speciale: lo ritirerà l'ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. È il "libro" di tutti gli italiani e deve essere comprensibile a tutti, in un paese dove il 60% degli over 14 è ancora analfabeta. "La Cositituzione - dice all'epoca Meuccio Ruini, aprendo i lavori della Costituente - si rivolge direttamente al popolo e deve essere capita». E i 556 padri costituenti, provenienti dalle culture politiche più diverse, anzi opposte, lo seguono". Alla fine la stesura viene sottoposta a un grande linguista, Pietro Pancrazi, per renderla ancor più semplice, lineare e intelligibile. Risultato, un testo agile e cristallino: 9.300 parole in tutto (una trentina di cartelle, con appena 1.357 vocaboli e frasi lunghe in media meno di 20 parole. "Il 93% della Costituzione - osserverà De Mauro - è fatto con un vocabolario di base della lingua italiana, col vocabolario di massima frequenza, col vocabolario che già nelle scuole elementari, per chi le fa, può essere ben noto». Come diceva Luigi Settembrini, patriota e letterato napoletano, per avere una buona lingua serve un buon Paese". E viceversa.
Poi arrivano i lanzichenecchi della Seconda Repubblica. Chi legge gli articoli della Carta rimasti intatti, nella prima parte, e quelli modificati negli ultimi vent'anni, capisce lo scadimeto verticale, in picchiata, della classe politica dal dopoguerra ad oggi.
Cominciano nel 1999 con il nuovo articolo 111, abusivamente ribattezzato «giusto processo» , da un'idea di Cesare Previti scambiato per Cesare Beccaria: 8 commi scritti con i piedi dal centrosinistra d'intesa con il centrodestra. Proseguono, sempre sotto l'Ulivo nel 2001, con il nuovo Titolo V sul federalismo: il solo articolo 117 si divide in 9 commi, di cui il secondo è composto lettere, dalla "a" alla "s", che produrrà una infinità di contenziosi tra Stato e Regioni davanti alla Consulta. E ora lo si vuole cambiare di nuovo. La destra completa l'opera nel 2005 con una riforma che modifica 53 articoli della Carta (solo il numero 70 passa dalle 9 parole del testo originale a 717), ma per fortuna non ci riesce perché gli italiani la bocciano col referendum del 2006.
Ora tocca ai "rottamatori", soprattutto della lingua italiana: parlano e scrivono un idioma cuneiforme, di ceppo non indo-europeo, che necessita di traduttore simultaneo e codice di decrittazine. Lo fa notare il senatore del Pd Walter Tocci nel suo discorso a Palazzo Madama il 17 luglio 2014: «La Costituzione è come la lingua che consente a persone diverse di riconoscersi, di incontrarsi e di parlarsi. La Carta è il discorso pubblico fra i cittadini e la Repubblica, è il racconto del passato rivolto all'avvenire del Paese. Se la Costituzione è una lingua, lo stile è tutto. Senza lo stile è possibile l'autocompiacimento del ceto politico, ma non il riconoscimento repubblicano. L'elegante lingua italiana dei padri costituenti, con le sue parole semplici e profonde, viene improvvisamente interrotta da un lessico nevrotico e tecnicistico, scandito dai rinvìi ai commi, come un regolamento di condominio».
O un decreto Milleproroghe. O il libretto di istruzioni di uno stereo o di una lavatrice. Rimandi, rimpalli, commi, cavilli, circonlocuzioni, supercazzole burocratesi che deturpano non solo l'etica ma anche l'estetica della Costituzione.
L'apoteosi dell'abominio si trova in tre dei 47 articoli "riformati": il 70, il 71 e il 72, quelli che illustrano l'iter di formazione delle leggi. Il primo conta attualmente 9 parole: quello nuovo sarà di 439. L'articolo 71 quadruplica: da 44 a 171 lemmi. Il 72 le raddoppia, anzi di più: da 90 a 431. Come nota Michele Ainis, giurista e costituzionalista, chi prova a leggere tutto d'un fiato il nuovo comma 1 dell'articolo 70, rischia l'ipossia: due soli periodi di cui UNO DI 167 PAROLE, su un totale di 193. Roba da far stramazzare un campione di apnea.
Del resto tutto il ddl Boschi, che modifica la Costituzioni su Senato, Titolo V e Cnel, è un capolavoro di prolissità e di cialtroneria, con una prosa tratta dal peggior burocratese, l'"antilingua" {copyright Italo Calvino) nata nei palazzi della politica apposta per non far capire nulla ai cittadini. Del resto, chi pensa male parla e scrive peggio. Lo spiega benissimo Leonardo Sciascia in "Una storia semplice", quando l'ex studente del professor Franzo è ormai un magistrato e, prima dell'interrogatorio, ricorda al suo insegnante i pessimi voti del liceo»: «Ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio. Sono qui, procuratore della Repubblica". Fulminante la risposta: "L'italiano non è l'italiano: è il ragionare. Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto"
Salvatore Settis, nel suo ultimo libro Costituzione! edito da Einaudi, cita un documento del Comune di Siena del 1309: «Fare scrivere, ale spese del Comune di Siena, uno Statuto del Comune, di nuovo in volgare di buona lettera grossa, bene legibile et bene formata, accioché le povere persone et l'altre persone che non sanno gramática, et li altri che vorranno, possano vedere e copia trarre e avere a loro volontà».
Nel Medioevo (cui dovremmo chieder scusa quando lo citiamo come epoca buia) ci si poneva il problema di far capire le leggi ai cittadini perché potessero scegliere. Purtroppo - avvertiva Beccaria - la norma oscura «strascina seco necessariamente l'interpretazione». E si crea enorme confusione «se le leggi siano scritte in
una lingua straniera al popolo, che lo ponga nella dipendenza di alcuni pochi». Infatti Piero Calamandrei ai costituenti, racomandava - con Dante - di fare "come quei che va di notte, che porta il lume dietro e a sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte". E Benedetto Croce, l'abbiamo visto, invocava in aula lo Spirito Santo, intonando il "Veni Creator". Poi sono arrivati Renzi, Boschi e Verdini: "...Denis Creator Spiritus..."
(Dal capitolo "Padri Costituenti e Ricostituenti)
Scritto il 28 novembre 2016 alle 18:22 | Permalink | Commenti (1)
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27 novembre 2016
Il flop del lavoro giovanile ha un nome: Matteo il Vecchio
Il governo più giovane nella storia della Repubblica non riesce a sedurre gli under 35. Che al referendum rischiano di diventare il tallone d'Achille del premier. E qualche ragione per essere arrabbiati, i "nuovi adulti", ce l'hanno (di Duluoz - l'Espresso)
Se da tre settimane gli incubi di Hillary Clinton sono popolati dagli operai bianchi del Midwest che hanno votato Donald Trump, quelli di Matteo Renzi sono gremiti di giovani precari meridionali furiosi come bisce. Il premier ha capito che sarà il voto degli under 40 a decidere chi vincerà il referendum. E che sono gli arrabbiati e i delusi, il tallone d'Achille su cui ha deciso di concentrare gli sforzi finali suoi e dei comitati del Sì. «Se non convinciamo i giovani a cambiare idea e votare per noi, il 5 dicembre andiamo tutti a casa», ripete il premier tre volte al giorno a chi gli capita davanti. Ecco spiegate le ultime mosse: Matteo che si lancia sulla copertina della rivista Rolling Stone (titolo "The young pop", dove discetta di Fedez e Dj Ax, «almeno ha evitato di rimettere il chiodo» ironizzano gli antipatizzanti), Matteo che annuncia «una decontribuzione totale per chi assumerà giovani al Sud nel 2017», Matteo che applaude «il bonus di 500 euro per i diciottenni», che da inizio novembre possono scaricarsi la paghetta di Palazzo Chigi da una app del governo ("18App", si chiama). Un plafond da spendersi in ebook e spettacoli teatrali, musei e concerti, pure di musica techno, che era stato approvato già un anno fa e che diventa operativo solo adesso. «Renzi sta diventando ridicolo anche nel dispensare le sue marchette», ha reagito Giorgia Meloni. «Evidentemente sa che questo referendum lo perderà».
«Non è detta l'ultima parola», pensa invece Renzi. Che sta tentando il tutto per tutto per affabulare i ragazzi d'Italia: i trend fotografati dalla categoria più sbeffeggiata dell'anno, quella dei sondaggisti, varranno anche poco, ma tutte le rilevazioni segnalano che per ora il No è in predominio schiacciante soprattutto tra chi ha meno di quarant'anni. Che votano "contro" non tanto per difendere la Costituzione del 1948, ma per mandare a casa un governo che non li ha mai rappresentati. «Tra i ragazzi c'è un sentiment antisistema, frutto anche di un'insoddisfazione che continua a essere molto violenta», ragiona Giuliano Da Empoli, uno dei consiglieri più ascoltati da Renzi, preoccupato dal fatto che i giovani elettori abbiano abbandonato il Pd in blocco, rivolgendosi all'offerta politica del Movimento 5 Stelle.
Un vero paradosso, per il governo più "young" della storia della Repubblica. Un esecutivo riempito di ministri e ministre di primo pelo, che ha fatto della rottamazione, del cambiamento, della novità a tutti i costi il perno della sua comunicazione. Il punto, probabilmente, sta proprio qui. Nello spread tra quello che è stato annunciato dallo storytelling renziano e quello che è stato davvero realizzato. Analizzando documenti ufficiali della Banca d'Italia, dell'Istat, dell'Ocse, scartabellando le misure dei primi mille giorni dell'esecutivo, ecco che il quadro si fa più chiaro. Mostrando come l'insoddisfazione e la rabbia si basano su uno status quo che Renzi ha certamente ereditato, ma che non sembra aver affrontato con vigore sufficiente per tentare di ribaltare. Anzi: le diseguaglianze generazionali sono aumentate, e di riforme importanti per ridurre il gap di opportunità tra giovani e anziani, in questi primi tre anni dell'era di Rignano sull'Arno, non s'è vista l'ombra.
Partiamo dal lavoro, pietra miliare di ogni polemica. «I dati dell'Istat pubblicizzati dal governo raccontano che da febbraio 2014 ad oggi ci sono 656 mila posti in più», ha detto Renzi qualche giorno fa. In realtà, il tasso di disoccupazione giovanile è sì migliorato di qualche decimale, ma resta inchiodato a un mostruoso 37,1 per cento, con punte che vanno dal 60 all'80 per cento in regioni del Sud come Campania, Calabria e Sicilia. I nuovi occupati, dati alla mano, sono infatti in gran parte over 50, una crescita esponenziale dovuta alla stretta sull'età pensionabile voluta dall'ex ministro Elsa Fornero.
Le nuovi assunzioni a tempo indeterminato sono state pagate in larga parte dallo Stato, e hanno riguardato soprattutto lavoratori maturi: nel 2015 grazie al Jobs Act le imprese hanno potuto assumere ottenendo sgravi fiscali da favola, foraggiati di fatto dai contribuenti, e la bolla è scoppiata appena il governo ha chiuso i rubinetti degli incentivi. «Questo Paese ha speso ad oggi circa 18 miliardi per poter permettere al presidente del Consiglio di dire che ha qualche centinaio di migliaia di occupati in più. Una spesa straordinaria, con un risultato minimo», ha attaccato Susanna Camusso, leader di un sindacato, la Cgil, che non si è recentemente distinto come campione dei diritti dei giovani. «Un risultato che peraltro, con tutto il rispetto per le persone, riguarda prevalentemente la fascia over 50».
Il refrain è sempre lo stesso. Renzi, Maria Elena Boschi, Marianna Madia, Luca Lotti, i "ragazzini" di Palazzo Chigi non hanno cambiato una tendenza che dura da tre lustri: quella dell'impoverimento strutturale delle nuove generazioni, che la Banca d'Italia ha individuato come i soggetti più colpiti dalla crisi iniziata nel 2008. Non solo. Nell'ultimo rapporto annuale dell'Istat si dice che un ragazzo su tre sotto i 34 anni è «sovraistruito», cioè troppo qualificato per il lavoro che svolge. Significa che lui e la sua famiglia hanno investito tempo e denaro per una formazione che l'ha portato, come primo lavoro, a fare «il commesso, il cameriere, il barista, l'addetto personale, il cuoco, il parrucchiere, l'estetista», scrivono nel maggio 2016, sconfortati, gli esperti dell'istituto.
Ovvio che il sentimento dominante, anche per coloro che un lavoro ce l'hanno, sia quello della frustrazione. E della consapevolezza che l'istruzione non è più la chiave di volta per la mobilità sociale: se Almalaurea racconta che gli stipendi dei neolaureati italiani sono i peggiori del continente, a tre anni dal titolo di studio e dalla bicchierata fuori l'ateneo con nonne e parenti solo la metà dei rampolli italiani ha trovato un contratto standard e un posto degno corrispondente agli studi fatti.
«La vecchiaia non è così male se considerate le alternative», diceva Maurice Chevalier. Mai aforisma fu più azzeccato, almeno sotto le Alpi: è un fatto che la Generazione X e quella successiva dei Millennial abbiano ormai la certezza che le loro condizioni economiche e il loro stile di vita saranno peggiori di quello dei loro padri. È la prima volta, dal Dopoguerra, che si registra un fenomeno di questo tipo: l'ascensore sociale, quello che consentiva di migliorare attraverso lo studio, il merito, l'iniziativa individuale, è bloccato da anni. E quando si muove lo fa in un'unica direzione: il basso.
La Boschi, ministro per le Riforme e architetto del referendum, invita i giovani a votare Sì «per non farsi rubare il futuro». Il rischio è che votino No perché Renzi non ha saputo rispondere alle emergenze del presente. Oltre che sul Jobs Act, il governo ha puntato sul progetto europeo "Garanzia giovani", un programma nato per aiutare gli under 30 a trovare un posto decente. È un flop clamoroso: secondo l'Isfol, ente pubblico del ministero del Lavoro guidato da Giuliano Poletti, su quasi un milione di italiani iscritti al programma solo 32 mila (quindi il 3,7 per cento) hanno trovato un'occupazione vera e un contratto decente. Gran parte dei denari investiti, 1,5 miliardi di euro arrivati dalla Ue, è scomparsa nei rivoli della burocrazia. Molti iscritti non hanno mai ricevuto una risposta dai centri per l'impiego, che si sono affannati a smistare qualche migliaio di ragazzi in tirocini, corsi professionali e perfino nel servizio civile. «Che un milione di giovani si siano attivati e registrati a Garanzia giovani è un dato di grande rilievo», aveva detto Poletti qualche giorno prima che il suo Isfol mettesse una pietra tombale sull'esperienza, costringendo Renzi ad ammettere che i risultati sono «così così, poteva andare meglio».
Non stupisce, dunque, che nell'anno di grazia 2016 sette milioni di under 35 siano costretti a vivere ancora con i genitori: si tratta di studenti e disoccupati, dei cosiddetti Neet (oltre due milioni di giovani che non studiano e non lavorano: in Sicilia e Calabria restano nel limbo della loro vecchia cameretta 4 ragazzi su 10), ma anche di persone che hanno lavori saltuari o malpagati, che non permettono loro di emanciparsi dalla famiglia d'origine, fare a meno del welfare elargito da papà, affittarsi o comprarsi una casa propria, sposarsi e fare figli. Anche Eurostat spiega che nel 2015, «i giovani adulti» entro i 34 anni che vivono con almeno un genitore sono il 67 per cento, un esercito di "bamboccioni per forza" in netta crescita rispetto alla rilevazione precedente. Siamo i peggiori in Europa, di gran lunga.
Il 7 novembre Giorgio Alleva, presidente dell'Istat, in un'audizione alla Camera sulla legge di Bilancio 2017, lo ha ribadito: «I giovani sono oggi una delle categorie più svantaggiate: si tratta di generazioni che, dopo anni di istruzione e formazione, faticano a trovare lavoro, con ricadute che interessano i comportamenti, le condizioni economiche, le scelte riproduttive e di vita».
La risposta di Renzi e del governo "young" è stata quella di allargare a un altro milione di pensionati la "quattordicesima", un assegno supplementare dell'Inps pagato ai pensionati con redditi sotto i 10.290 euro l'anno. Chi già la prende, inoltre, vedrà accresciuto l'assegno. Una mossa che di certo dà una mano a chi se la vede male, ma che per l'ennesima volta dimostra che, se ha fiches da investire, Renzi preferisce puntarle sugli anziani e i dipendenti pubblici. Non a caso base elettorale del Pd, e - secondo i sondaggi - più propensa a votare Sì.
Perfino il presidente dell'Inps voluto da Renzi, Tito Boeri, si sta smarcando da mesi dalle scelte di Palazzo Chigi, evidenziando che l'Italia «non può investire solo su chi ha smesso di lavorare», e che la manovra finanziaria che verrà è, ancora una volta, tutta squilibrata: «Per i giovani si fa poco, e un paese che smette di investire su di loro è un paese che non ha grandi prospettive di crescita». Il problema vero è quello dell'equità: «Ci sono delle persone che oggi hanno dei trattamenti pensionistici, o dei vitalizi, come nel caso dei politici, che sono del tutto ingiustificati alla luce dei contributi versati in passato. Abbiamo concesso per tanti anni questo trattamento privilegiato a queste persone». Ora, propone Boeri, bisogna che chi ha prestazioni elevate contribuisca a alleggerire i conti previdenziali, e permettere una redistribuzione alle persone che, la pensione, rischiano di non averla mai. O decurtata, come indicano tutte le analisi, del 50-60 per cento rispetto all'ultimo stipendio.
Il governo, però, non è d'accordo. Tanto che Tommaso Nannicini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e consigliere economico di Renzi, ha risposto secco che le pensioni ricche e i vitalizi «non si toccano». Motivo: «Il rischio di mettere le mani nelle tasche sbagliate è troppo grosso».
È un punto centrale, che dà il segno profondo delle politiche renziane, non disposte a tagliare l'enorme fetta di spesa pubblica (il 32 per cento del totale, secondo dati Ocse del 2014, in media la percentuale è tre volte più alta di Svezia, Norvegia, Regno Unito e Olanda) destinata ai pensionati. «La conseguenza», ragiona la sociologa Chiara Saraceno, «è che abbiamo pochi soldi per altre spese sociali fondamentali, e pochissimo per i giovani: per l'istruzione in Europa spendiamo meno di tutti, per la ricerca idem».
«Giovani e precari: dobbiamo prendere i loro Sì. Al Nord, almeno: il Sud ormai è andato», ripete Renzi ai suoi. Ma se è vero (come è vero) che il referendum del 4 dicembre è diventato, a causa di errori strategici del premier, innanzitutto un voto politico sull'operato del governo, è difficile che chi viene pagato con i voucher non sfoghi nelle urne la sua rabbia su una leadership che ha permesso l'esplosione dei buoni lavoro, usati dalle aziende per pagare gli ex co.co.co. Il piddino Cesare Damiano spiega che alla fine del 2016, se il trend rimarrà costante, «potremmo arrivare a 150 milioni di voucher venduti. Un vero record rispetto ai 500 mila del 2008, un numero 300 volte più basso». Una follia, dicono i sindacati dei precari, visto che i buoni sono stati inventati nel 2003 per far uscire dal nero i lavoretti una tantum, come quelli degli studenti che arrotondano al bar e il babysitteraggio occasionale. Nell'era Renzi, invece, i blocchetti vengono usati a piene mani da commercianti, professionisti, ristoratori per camuffare lavoro nero, contratti stagionali, e stipendi da fame dei dipendenti: secondo l'Inps quest'anno la paga "tipo" di chi viene retribuito con i buoni si aggira in media sui 500 euro. L'anno.
Naturale che la promessa di un reddito di cittadinanza (anche se la copertura economica resta operazione difficilissima) attragga milioni di ragazzi verso il M5S. Stanchi dell'immobilismo di una classe dirigente che sembra incapace di affrontare i costi politici e i prezzi elettorali di una necessaria redistribuzione generazionale del reddito e della ricchezza.
Mentre aspettano una rivoluzione che non arriva mai, i giovani restano esclusi dai gangli del potere pubblico (abbiamo i dirigenti pubblici più vecchi d'Europa), dalle imprese private, dai quadri sindacali (la metà degli iscritti sono pensionati), dalle università (nel 2014, su 13239 professori ordinari nemmeno uno ha meno di 35 anni, e solo 15 - spesso figli di baroni e potenti - sono sotto i 40. «Se va avanti così, con il turn over che ci lascia prendere un giovane ogni due docenti che vanno in pensione, rischiamo nel 2020 di non avere più giovani che possano concorrere ai programmi europei», commenta l'ex capo della Conferenza nazionale dei rettori Stefano Paleari.
Non è un caso, infine, che lo Svimez segnali come pure nel 2016 sia proseguita «la desertificazione del capitale umano meridionale»: in cerca di migliori condizioni di vita, in vent'anni i flussi migratori hanno portato via dal Sud oltre un milione di persone, facendo scomparire in pratica una metropoli grande come Napoli. In pochi hanno notato che per il 2015 l'Istat ha segnalato come il numero delle nascite al Sud abbia raggiunto il livello più basso dai tempi dell'unità d'Italia. La Fondazione Migrantes, della Conferenza episcopale italiana, ha poi messo il carico da novanta, raccontando che in valore assoluto vanno via (con destinazioni privilegiate Regno Unito, Germania, Francia e Svizzera) soprattutto giovani under 35 non dal Sud, ma dalla Lombardia, da Veneto, Lazio e Piemonte. Centosettemila persone nel 2015, il 6,2 per cento in più rispetto al 2014.
Se la Commissione Ue ha detto che la fuga di cervelli dall'Italia «può provocare una perdita netta permanente di capitale umano qualificato a danno della competitività del paese» e che «non si può parlare di scambio di cervelli» perché se molte teste lasciano il paese pochissimi laureati stranieri scelgono di venire a lavorare qui, il giovane-vecchio, Matteo, ha replicato annoiato che la questione «è ormai trita e ritrita: agli scienziati dico di tornare a casa, ma se tornate dovete sapere di tornare in un paese dove la ricerca è fondamentale. Sono orgoglioso di voi. Il mio indirizzo è [email protected], restiamo in contatto». Il 4 dicembre, però, per Renzi sarà fondamentale riuscire a restare in contatto con i giovani incazzati che non sono ancora partiti.
(Duluoz - l'Espresso)
Scritto il 27 novembre 2016 alle 23:44 | Permalink | Commenti (0)
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Off Topics del 28 Novembre
Pinuccio chiama Briatore
Scritto il 27 novembre 2016 alle 23:19 | Permalink | Commenti (0)
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Peccato, Lilli Gruber... otto giorni prima del voto, si produce in una ignobile puntata di "Otto e mezzo"
Peccato, Lilli Gruber... A volte anche i migliori "pisciano fuori dal vaso"... Ieri sera a "Otto e mezzo" è andata in onda una ignobile puntata della sua trasmissione.
Ignobile perchè eravamo a sette giorni dal voto. Ignobile perchè la AGCOM aveva appena stigmatizzato (e solo Dio sa quanto le sia costato) il fatto che sulle TV ci sia statauna fortissima, intollerabile predominanza di presenze di sostenitori del SI, che i media avrebbero in teoria avuto l'obbligo (morale e giuridico) di "riequilibrare" prima del voto.
E peccato che Lilli Gruber, giornalista certamente non ingenua e disinformata, abbia messo su una puntata nel corso della quale la sempre sorridente ed educatissima Sandra Bonsanti sia stata schiacciata fra un post-fascista, saltato "just in time" sul carro del SI, che per tutta la puntata - forse memore delle sue origini politiche - ha tenuto nei confronti della SIGNORA Bonsanti un atteggiamento irridente, da borgataro sceso in città per il sabato sera, e un acidissimo Crepet, sul cui lettino da psichiatra da talk-show non mi farei disporre neanche sotto la minaccia di un mitra. E poco importa che Crepet non fosse in sala ma in "collegamento esterno": cosa cambia? A volte addirittura è un vantaggio, perchè con la scusa del "ritorno in cuffia", i "collegati esterni" sono gli unici ad aver diritto di sproloquiare senza interruzioni.
Questa è stata, ieri sera, la "par-condicio" (o addirittura il "riequilibrio"?) firmato Lilli Gruber. Lilli, dunque, sulle non invidiabili scie dei Santoro, degli Sgarbi, dei Gad Lerner, e di tutti coloro che - per accaparrarsi, riprendersi o sperare di conservare un ben remunerato angolino tutto loro in RAI (Renzi Audizioni Italiane) o su altre reti nazionali, vogliono "salire sul carro" (almeno con un piede), in attesa degli scrutini di domenica prossima. Nessuno vuole fare le fine, evidentemente, di Bianca Berlinguer o di Massimo Giannini. Si sa... noi italiani siamo un popolo di "tengo-famiglia".
Dite che esagero? Bene: guardatevi - o se l'avete già vista riguardatevi con occhio attento la puntata di ieri sera. Lo ripeto: una trasmissione ignobile, costruita per schiacciare letteralmente la Bonsanti fra interruzioni, risatine e "facce dell'armi". Avrei gradito che la Bonsanti, dotata di cultura politica, fosse magari schiacciata fra altri due politici "diversamente ignoranti" sia sulla Costituzione vigente, che sulla riforma Renzi/Boschi/Verdini/De Luca. Invece Crepet e Barbareschi hanno mostrato solo arroganza, livore, ignoranza sul fatto che la Costituzione sia stata "aggiornata" in corso d'opera almeno una cinquantina di volte in 69 anni, dolcemente, senza fare rumore, senza farlo a botte di striminzite maggioranze diverse da quelle volute dal popolo, da un premier mai eletto da nessuno, e sostenuto da un parlamento eletto con una legge elettorale bollata come anticostituzionale dall'Alta Corte.
Un parlamento che detiene il record, dal 1948 ad oggi, del numero di "cambiatori di casacca", ognuno impegnato a ritagliarsi un pezzettino del Corpo Sacro del Serial Twitter da leccare amorevolmente. Povera Italia... Le cose che ho sentito dire ieri in trasmissione mi ricordano una celebre frase di Marinetti su D'Annunzio:
"...un cretino, che ogni tanto ha dei lampi di imbecillità..."
Guardate, e decidete voi se e a chi potrebbe essere adattato questo fantastico aforisma...
Tafanus
Scritto il 27 novembre 2016 alle 10:39 | Permalink | Commenti (109)
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Off Topics del 27 Novembre
Scritto il 27 novembre 2016 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Cinema - "Elle" - Recensione di Angela Laugier
Recensione del film "ELLE" - (di Angela Laugier)
Principali interpreti: Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Virginie Efira, Christian Berkel, Anne Consigny, Jonas Bloquet, Charles Berling, Lucas Prisor, Vimala Pons, Raphaël Lenglet, Judith Magre – 130 min. – Francia 2016.
Reso visibile in Italia per ora solo in alcune giornate del Torino Film Festival, questo film lo scorso aprile ha conteso la Palma d’oro a Cannes a Toni Erdmann (che fra qualche mese sarà proiettato anche in Italia. Meglio tardi che mai). Sappiamo com’è andata: nessuno dei due film, entrambi amati e sostenuti dalla critica, ebbe la Palma prestigiosa, che andò sorprendentemente a Ken Loach, dando il via a un seguito di polemiche, che, dopo aver visto questa pellicola, mi sembrano assai giustificate. Lo dico con tutta serenità, confermando l’apprezzamento che ho già espresso per il bellissimo I, Daniel Blake.
Michèle, il gatto e la “matta bestialità“ - Si progettavano e si realizzavano prodotti di animazione tridimensionale, destinati al mercato dei videogiochi per adulti, nell’impresa di cui era padrona e dirigente Michèle (Isabelle Huppert), donna d’affari dura e determinata, che conosceva il fatto suo e che di nessuno si fidava, se non di Anna (Anne Consigny), la propria segretaria, del cui marito era l’amante. Ai suoi ordini si adeguava tutto lo staff, dall’ultimo arrivato ai più maturi collaboratori, che erano obbedienti (e riluttanti) esecutori della sua volontà. La donna aveva vissuto storie complicate: un padre serial killer in galera; una madre (Judith Magre) piuttosto anziana ma irriducibilmente e grottescamente vezzosa, vogliosa e spregiudicata; un marito da cui aveva divorziato e un figlio, Vincent, (Jonas Bloquet) che non era quel che si dice un mostro d’intelligenza, ma che ora non viveva più con lei, essendosi sistemato con una giovane donna speranzosa come lui che la prossima nascita di un bébé avrebbe indotto Michèle, la dura, a scucire i soldi per l’acquisto di un appartamento grande in cui il piccino potesse crescere.
La vita di Michèle dunque si svolgeva fra l’impresa e la casa, in un alloggio della banlieu parigina che ora condivideva con un bellissimo gatto grigio, dagli occhi misteriosi e imperscrutabili proprio come i suoi: d’altra parte l’animale, per indipendenza e libertà, le rassomigliava molto, così come anche per crudeltà spietata e insieme innocente: in fondo era, come lei, nato così. All’inizio del film, l’apparizione improvvisa dell’animale, che con un imperioso miagolio si era fatto aprire la porta dell’alloggio, era sembrata buffa e aveva fatto sorridere; presto comprenderemo, però, che la sua presenza improvvisa e perentoria era un segnale inquietante della bestialità oscura in agguato, che di lì a poco si sarebbe introdotta di prepotenza nella tranquilla vita di Michèle, la quale, infatti, non aveva fatto a tempo a chiudere la porta a vetri, quando quella stessa porta veniva riaperta violentemente, mentre lei, gettata a terra, era stata costretta a subire la furia sessuale inaudita di un aggressore sconosciuto, mascherato e vestito con un manto nero, come un eroe dei suoi videogiochi.
Se l’inizio del film era stato folgorante e memorabile, il seguito ci spiazza : Michèle, che non era donna dalle lacrime facili, mostrava una capacità inattesa di dominare razionalmente la situazione: riassettata la casa, rimossi i frammenti degli oggetti che frantumandosi erano caduti a terra con lei, aveva rimosso con un bagno caldo anche la sporcizia che quell’uomo le aveva lasciato addosso, aveva medicato le ferite e aveva ripreso la solita vita. In azienda aveva riunito e informato i suoi collaboratori, tutti sospettabili, per scrutare da vicino le loro reazioni, e valutarne la sincerità, ignorandone (come sempre) i consigli. Di fare denuncia alla polizia era assurdo parlare; meglio un brindisi che sancisse senza equivoci il ritorno alla normalità. Purtroppo, però, al primo stupro ne erano seguiti altri, perpetrati nello stesso modo e con altrettanta barbarie, così da indurla a indagare non solo fra i suoi collaboratori più stretti, ma anche fra i suoi più prossimi conoscenti, fra i quali Patrick (Laurent Lafitte), il suo vicino di casa.
Michèle come Poirot? - Il grande tavolo festoso della sua salle à manger, durante la notte di Natale, offriva l’opportunità del confronto allargato fra lei e i collaboratori sospettati, che erano stati tutti quanti invitati per il cenone, insieme a compagne, mogli, fidanzate. Tutti avevano conti in sospeso con lei (che non li stimava affatto), poiché a tutti pesava obbedirle; di Patrick, il vicino, la donna non sapeva molto, ma il suo comportamento pio e devoto, appiattito sulla religiosità bigotta di sua moglie, sempre pronta alle orazioni e ai rosari, la rendeva diffidente: si sarebbe occupata soprattutto di lui, cercando di conoscerlo. Che cosa di meglio che misurarne la reattività sessuale? Le riprese mostrano in modo alterno il sopra e il sotto del tavolo: l’aspetto dell’intrattenimento gentile, del cibo e della festa (c’è persino spazio per la messa papale trasmessa dalla TV), e insieme ciò che stava avvenendo oscuramente sotto la bella tovaglia: le gambe di Michèle che si allungavano per incontrare quelle di Patrick, che sembrava aver ben compreso e rispondeva, rilanciando il messaggio. Naturalmente i suoi movimenti audaci e ben dissimulati, i suoi ammiccamenti non provavano alcunché, ma Michèle era convinta che quella pista fosse promettente, perciò decideva di percorrerla fino in fondo. Non aggiungo, a questo punto, ulteriori particolari del racconto; mi limito a dire che ora il film diventa un thriller teso, pervaso da un’ironia nera, impronta stilistica di tutto il film. Da una parte, infatti, il tentativo di scoprire l’identità dello stupratore richiedeva che lei affrontasse un percorso conoscitivo pericoloso; dall’altra le si presentava una strada molto intrigante per la sua novità, poiché alla curiosità tutta mentale e razionale dello smascheramento si stava affiancando una curiosità di altro tipo, un po’ perversa, folle, istintuale, animale (il gatto ora le rassomigliava davvero!) che rischiava di esporla seriamente alla bestialità sadica di un maniaco probabilmente incapace di fermarsi.
La vicenda raccontata si ispira al romanzo Oh… di Phillippe Dijan (che per il film lo ha sceneggiato insieme a David Birke e Harold Manning). Era stato però il produttore franco- tunisino Said Ben Said ad acquistarne i diritti cinematografici, così come era stata Isabelle Huppert ad assicurarsi legalmente il diritto di prelazione nel caso il romanzo fosse diventato un film, prima ancora che Dijan offrisse la regia (e l’attrice) a Paul Verhoeven, che dalla metà degli anni ottanta lavorava a Hollywood, dove aveva diretto i suoi film più noti (tutti ricorderanno Basic Instinct), spesso trasgressivi, triviali e scandalosi. L’incontro fra lui e l’attrice si rivelò subito promettente: nasceva, infatti, un rapporto di fiducia e collaborazione che si sarebbe mantenuto per tutta la durata delle riprese.
Graffiante e ironica fino al sarcasmo, la regia di Paul Verhoeven manifesta anche questa volta la sua volontà di provocatore ambiguo che può apparire politically incorrect, nello sfidare alcune tematiche femministe, anche se mai nel film si minimizza la gravità della violenza, di cui si evidenzia senza sconti la sopraffazione insopportabile. L’interpretazione di Isabelle Huppert dà vita a un personaggio femminile di grandissima complessità che, non intendendo piegarsi alla paura e alla prepotenza, evita ogni vittimismo, preferendogli il ruolo difficile di chi conduce il gioco, anche a rischio di soccombere. I personaggi maschili appaiono impietosamente ebeti e presuntuosi, del tutto inadeguati ad assumere qualsiasi responsabilità nella vita.
Nel film sono numerosissimi i rimandi a molto precedente cinema, dal Buñuel di Tristana (la stampella), o di Bella di giorno (la scoperta dell’erotismo perverso e pericoloso), fino a quello meno noto di Estasi di un delitto, richiamato dalle fiamme inquietanti della stufa in cantina). Ritroviamo poi il Fellini di 8 1/2, a cui il regista dice di aver pensato nella scena del grande tavolo natalizio, nonché Haneke alla cui folle e misteriosa Pianista sembra quasi rifarsi il personaggio di Michèle, e persino i Coen di Blood Simple (nella scena delle forbici fatte penetrare sul dorso della mano). Un susseguirsi ininterrotto di invenzioni sorprendenti, di immagini rutilanti, di spiazzanti svolte e anche di divertenti volgarità, controllate da una regia attentissima, rendono questo lavoro del quasi ottantenne Verhoeven un signor film, di qualità davvero notevole e rara, da vedere assolutamente (distribuzione italiana permettendo!)
Angela Laugier
Scritto il 27 novembre 2016 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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26 novembre 2016
Caro Mario Calabresi, lasci perdere le "comparsate" in TV... non le portano bene
La morte dell'anarchico Pinelli (di Entico Baj)
Ieri Mario Calabresi, direttore di Renzubblica, nonchè figlio del commissario accusato da molti di corresponsabilità nel "suicidio" dell'anarchico Pinelli, ha fatto una indecente comparsata dalle parti di Lilli Gruber, durante la quale non solo ha ribadito il suo voto per il SI (...così magari qualche giornalista ancora indipendente sopravvissuto in Renzubblica si ricordi in ogni momento di chi sia a pagargli lo stipendio...), ma ha anche provato, con risultati esilaranti, a scagionare la giornalista che ha scritto un articolo sul cancro, ficcando nel titolo quasi lo hastag della campagna "Basta Un Si", dicendo che solo noi menti malvagie vi abbiamo letto qualcosa di sconcio. Una impagabile figuraccia di Mario Calabresi - sottolineata dal sarcasmo di Sabina Guzzanti - che a me ha fatto venire in mente un'altra figuraccia: una ignobile trasmissione condotta dal desaparecido Antonello Piroso con Mario Calabresi, nell'agosto 2007, nell'anniversario della morte del Commissario Calabresi.
In quell'occasione ho trovato giusta e comprensibile la commozione con lacrima dei due sull'uccisione del commissario Calabresi; ma ho trovato che fosse una cosa sconcia che nessuno dei due, in quella occasione, abbia pensato di sciupare il trucco spendendo un quarto di lacrima per l'anarchico Pinelli, "suicidato" e innocente, e di inviare una parola di cordoglio alla vedova Pinelli, che ha visto uscire vivo e tranquillo il marito per l'ennesima convocazione in Questura, e lo ha riavuto indietro solo in una cassa.
Siamo stati certamente i primi a stigmatizzare quella ignobile trasmissione, e quasi certamente gli unici. Un consiglio a Mario Calabresi: lasci perdere la TV... Non è roba per lui, e ogni volta che finisce nel tubo catodico ne esce alquanto bruciacchiato.
In quella trasmissione né Antonello Piroso (per nostra fortuna sparito da La7) né il figlio del Commissario Calabresi, hanno colto l'occasione di spendere una sola parola di pentimento o di semplice cordoglio nei confronti del "suicida" Pinelli e/o di sua moglie. Questo, per chi volesse leggerlo, il nostro post di allora (...correva l'anno 2007...):
Lettera aperta ad Antonello Piroso e Mario Calabresi
Commissario Calabresi: lettera aperta ad Antonello Piroso
Caro Piroso, complimenti per la trasmissione! (come ormai è obbligatorio dire). Lei questa sera ha preso una lodevole iniziativa, che è quella di intervistare, senza contraddittorio, il figlio del Commissario Calabresi, ucciso 35 anni fa perchè ritenuto da alcuni il responsabile del "suicidio" di Pinelli.
Particolarmente lodevole l'iniziativa di ricordare con mezzo minuto di silenzio che non tutte le vittime sono uguali, nel senso che mandanti ed assassini, una volta scontata la pena, hanno il diritto di ritornare ad una vita piena e normale, mentre Calabresi padre non c'è più, e il dolore della moglie e dei figli di Calabresi non si estingueranno mai. Fine pena, mai, come si scrive per gli ergastolani.
Bravo, condivido.
Smetto però di condividere quando lei si è scordato (scordato?) di associare, in questo nobile discorso e nel mezzo minuto di silenzio, altre vittime: la moglie e i figli dell'anarchico Pinelli. Perché vede, tre cose sono emerse, negli anni, per tabulas, in maniera inequivoca:
-1) Pinelli, con la bomba di piazza Fontana, non c'entrava un cazzo.
-2) Pinelli, che veniva fermato ogni volta che c'era da dare rapidamente in pasto ai giornalisti un nome, è entrato in via Fatebenefratelli vivo, e ne è uscito morto.
-3) Pinelli, morto al terzo giorno di fermo, era nelle mani della questura e di Calabresi ILLEGALMENTE: il fermo di polizia aveva una durata massima, per legge, di 48 ore.
Io, vede, non do la colpa al Commissario Calabresi (rispetto le decisioni della magistratura SEMPRE, quando mi piacciono e quando non mi piacciono). Però è un dato di fatto che Pinelli, da quella stanza al quarto piano, sia uscito solo per sfracellarsi nel cortile della questura. E' un dato di fatto che bisogna mostrare "pietas" per i familiari di Calabresi, ma bisogna mostrarne almeno altrettanta per la moglie di Pinelli, alla quale LE ISTITUZIONI hanno portato via di casa un marito vivo, ed hanno restituito un cadavere, dopo esame autoptico.
Un Commissario di Polizia a Milano negli anni di piombo potrebbe anche aver dovuto mettere in conto (anche se questa cosa è crudele) il "rischio professionale" del mestiere. Un ferroviere no. E' anche per questo, e non solo per questo, che lei dovrebbe vergognarsi per l'incipit della sua trasmissione.
Scritto il 26 novembre 2016 alle 11:48 | Permalink | Commenti (3)
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Le Perle Musicali/139 - Roberta Gambarini alla Hugh's Room di Toronto
Ancora un pezzo di Roberta Gambarini???? Ebbene si, lo confesso... Non mi stancherei mai di ascoltarla...
Scritto il 26 novembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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25 novembre 2016
Off Topics del 25 Novembre - www.BastaUnsi.org
Scritto il 25 novembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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24 novembre 2016
L'analisi di Massimo Giannini: "Se l'impresentabile Vincenzo De Luca ora è indifendibile"
Quello che segue è l'articolo di Massimo Giannini di oggi sulla squallida vicenda di Vincenzo De Luca, il Ras campano maestro di clientelismo e di volgarità, che persino Crozza fatica a stargli dietro. Massimo Giannini non è mai piaciuto a Renzi (la cui RAI gli ha infatti tolto la trasmissione che conduceva), ed è ancora sopportato su Renzubblica forse solo perchè sarebbe clamorosa la cacciata del vicedirettore, reo di "insufficiente renzismo". Il suo articolo di oggi su Renzubblica è confinato a pagina 29, e sull'edizione online, che rappresenta più della readership totale del giornale, è introvabile, sia nella sezione "free" sia nella sezione a pagamento. Lo pubblichiamo noi, pur sapendo che il nostro contributo alla sua diffusione è una goccia in mezzo al mare. Ma crediamo che diffondere articoli di questo genere sia un puro e semplice dovere civico. Quindi invito tutti i miei amici a contribuire alla diffusione d questo articolo.
Tafanus
La "tamburriata nera" del ras della Campania, Vincenzo De Luca,dovrebbe far sorridere. Sommerso dalle critiche per il suo inaccettabile insulto a Rosy Bindi ("un'infame da uccidere"). Travolto dalle polemiche per il suo inconcepibile "inno al clientelismo" (pronunciato la scorsa settimana davanti a 300 amministratori locali).
Sottoposto per questo a una richiesta di informazioni alla Procura di Napoli, da parte della Commissione Antimafia ( per verificare se vi siano gli estremi per l'avvio di un'inchiesta). Di fronte a tutto questo, il governatore finge di cavarsela con il solito sarcasmo, sulfureo e surreale. Ironizza con un pescatore che gli offre un merluzzo, sul molo di Pozzuoli, e gli risponde «non posso, è voto di scambio». Motteggia su Facebook, rispondendo all'Antimafia «ci rende curiosi conoscere l'iter previsto sul reato di battuta e come evolverà la crociata del calamaro».
Una sceneggiata napoletana, appunto. Se non fosse che è tutto maledettamente più serio e più grave, e quindi da ridere non c'è proprio niente. Dietro il caso De Luca non c'è un ipotetico caso giudiziario, ma un ciclopico scandalo politico. La Procura di Napoli valuterà se la "chiamata alle armi" pronunciata dal presidente della Regione con i sindaci campani in vista del referendum del 4 dicembre prefigura qualche violazione di legge.
La Commissione Antimafia, acquisite le informazioni dai magistrati partenopei, valuterà se procedere a sua volta, secondo la normativa vigente. Ma non c'è bisogno di aspettare questi riscontri, per dare un giudizio su quello che è avvenuto. Perché quello che è avvenuto non riguarda il codice penale, ancora inviolato fino a prova contraria. Ma chiama in causa il codice etico, già clamorosamente abusato. Parlano i fatti, molto più delle farneticanti elucubrazioni che De Luca affida alternativamente ai social network e alle telecamere casarecce di Lira Tv.
Basta riascoltare la registrazione del comiziaccio di martedì 15 novembre, all'Hotel Ramada, vicino alla stazione centrale del capoluogo campano, per toccare con mano l'abisso in cui può precipitare un leader politico, che si professa "moderno". Venticinque minuti di spregiudicata immoralità pubblica. De Luca deve convincere i sindaci a portare quanta più gente alle urne, per sostenere la riforma costituzionale di Renzi. E per farlo li incita ad usare tutti i mezzi.
«Vi piace Renzi, non vi piace Renzi, a me non me ne fotte un cazzo». C'è da portare a casa il Sì, il 4 dicembre, costi quel che costi. Non come fa Bersani, che invece di fare promesse in campagna elettorale si preoccupa delle «compatibilità economiche»... «Ma vi pare?», prorompe il governatore, in un profluvio di risate dell'uditorio. Ma poi insiste, e spiega: «Abbiamo fatto una chiacchierata con Renzi, gli abbiamo chiesto 270 milioni per Bagnoli e ce li ha dati. Altri 50 e ce li ha dati. Mezzo miliardo per la Terra dei fuochi e ha detto sì. Abbiamo promesse di finanziamento per Caserta, Pompei, Ercolano e Paestum. Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli... Che dobbiamo chiedere di più?».
Fiumi di soldi, in cambio di un Sì al referendum. Altro che Senato delle autonomie, fine del bicameralismo paritario, taglio dei costi della casta. A De Luca interessa tutt'altro. E lo dice: «Dobbiamo parlare con i nostri riferimenti. Il mondo delle imprese, gli studi professionali... Il comparto della sanità: questa non è la Toscana, qui il 25% è dei privati, migliaia di persone... Possiamo permetterci di chiedere a ognuno di loro di fare una riunione con i propri dipendenti e di portarli a votare». (E proprio sulla sanità, non a caso, grazie a un emendamento approvato nella notte, il governatore ha ottenuto la possibilità di autonominarsi commissario straordinario).
C'è un "preclaro esempio" da seguire. De Luca ce l'ha sotto gli occhi, e lo indica agli altri 299 sindaci presenti. È quel Franco Alfieri, già sindaco di Agropoli, non candidato nel Pd perché "impresentabile" secondo le famose liste dell'Antimafia di Bindi. De Luca se lo è preso come consulente, con delega all'agricoltura e alla pesca. E oggi lo indica come modello: «Prendete lui, notoriamente, clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela scientifica, organizzata, razionale come cristo comanda. Ah, che cosa bella!».
È questo mago dell'intrallazzo, che deve portare quanta più gente a votare Sì: «Franco, vedi tu come madonna
devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu! Ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso!».
Eccolo, dunque, il "metodo De Luca". Un ibrido inquietante. C'è un po' di Cetto Laqualunque, l'eroe cinematografico di Antonio Albanese che, superato ormai dalla realtà, chiedeva voti in cambio di "cchiù pilu pi tutti". C'è un po' di Achille Lauro, 'O Comandante che, da sindaco di Napoli e poi parlamentare monarchico, negli anni cinquanta faceva il pieno di voti con il sistema della "scarpa spaiata": prima delle elezioni distribuiva nei comizi una scarpa sinistra, dopo il voto completava la dazione e distribuiva anche la destra. De Luca, affidandosi al sapiente Alfieri, ha solo aggiornato il modello: non scambia "pilu" né scarpe, ma fritture di pesce, gite in barca o chissà cos'altro.
La sostanza è la stessa. E purtroppo è marcia. E soprattutto stride platealmente, e dolorosamente, con l'idea "altra" e alta della politica propugnata in questi ultimi anni dal Pd, al quale pure De Luca appartiene. Sono questi i protagonisti del "cambiamento", che dovrebbero rifondare i valori della sinistra riformista? Sono questi i campioni del "nuovo", che dovremmo preferire ai rottamati dell'accozzaglia del No?
Aspettiamo una parola di Renzi, il premier non può tacere su quello che sta accadendo in quel Sud che è la vera spina nel fianco, suo e di tutto quel che resta del partito. Non basta avere in cassaforte un bel bottino di consensi, per essere considerato un "intoccabile". Non sappiamo se, prima delle amministrative, il ras salernitano fosse davvero "impresentabile", come sosteneva allora l'Antimafia. Ma una cosa è sicura:
oggi è indifendibile.
(Massimo Giannini - Repubblica del 24/11/2016)
La risposta di Renzi, purtroppo, non si è fatta attendere. La nomina di Vincenzo De Luca a "commissario" della Sanità Campana, che sarebbe come dire la nomina a plenipotenziario del 70% di tutta la spesa pubblica di una delle regioni più grandi d'Italia. Si sa... Renzi è sempre molto riconoscente, verso i "fedeli servitori", e non si mette mica a sottilizzare su quisquilie quali l'etica della politica e di chi la rappresenta... Se "MancaUnsi", Renzi è sempre pronto a ricompensare generosamente - coi soldi miei - chi quel SI mancante, glielo procura. E di come faccia a procurarglielo, ovviamente "non gliene fotte un cazzo". Come al Ras De Luca
Tafanus
Scritto il 24 novembre 2016 alle 19:50 | Permalink | Commenti (1)
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"BastaUnsi", anche per debellare il cancro, ma intanto avanza il NO - www.BastaUnsi.org
Indicativo l'aumento della frequenza con la quale il renzino ci informa che si vota sul CNEL, e non su Matteo Renzi... Che abbia dei sondaggi "riservati"? Che la storia dell'istigatore De Luca al voto di scambio ("Fate come cazzo volete, ma portatemi 4.000 voti...") lo abbia ulteriormente danneggiato? Ma allora perchè affidare ad uno così il controllo della "cassa" della sanità campana?
Sta di fatto che gli ultimi dati (quelli che non si possono dire), e che quindi si riferiscono a corse di cani e di cavalli, dicono che i "cavalli" viaggiano verso il 55%, i brocchi viaggiano verso il 45%, E Renzi se ne faccia una ragione: LUI ha personalizzato con immensa stupidità ed arroganza la campagna; lui ci ha fatto dire "il ritiro di Renzi dalla politica se vince il no è una minaccia o una promessa?"; lui adesso, ogni volta che ricorda che non si vota per Renzi o contro Renzi, ci ricorda che invece si vota proprio per Renzi o contro Renzi, visto che se fate in giro domande sulla vecchia e sulla "nuova" Costituzione, rischiate di ricevere delle risposte talmente disinformate ed esilaranti, da farvi rotolare per terra.
La controprova? Il numero degli indecisi sul voto è nettamente inferiore al numero di coloro che sul confronto fra attuale costituzione e variazioni proposte non saprebbero infilare dieci parole sensate di seguito.
Per gli appassionati di ippica, trovate qui le ultime notizie sulle quote degli "allibratori":
Scritto il 24 novembre 2016 alle 18:06 | Permalink | Commenti (1)
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Ci cascano di nuovo! dopo Renzubblica, la Rai e la Boschi strumentalizzano i malati di cancro
...dite la verità... questo è "culo"! Chi sarà mai, questa fortunata malata di cancro? la figlia del custode della Humanitas? La barista del San Raffaele? E chissà se la ineffabile Boschi farà un comizietto anche a Bari, per spiegare a quei15/20 disgraziati che per 30/45 giorni si mettono in viaggio tutte le mattine alle 4:00, per andare da Bari a fare la radioterapia a San Giovanni Rotondo, aspettare per delle ore che gli altri disgraziati arrivino al loro turno, e quando TUTTI hanno fatto la terapia, si rimettono nel pulmino e tornano a Bari...
Sembra che per questi disgraziati il viaggio di andata e ritorno, l'attesa, la terapia, valgano - quando tutto va bene - non meno di nove ore. Ma si sa... L'Italia della Boschi ha un centro di radioterapia ogni cento metri. Quella reale (la nostra) a volte non ha un centro (disponibile nei tempi che servono), non dico entro 100 metri, ma neanche entro cento chilometri....
Trovate i dettagli su www.bastaunsi.org
Io sono uno fortunato: ho trovato la disponibilità per un ciclo di tomoterapia a 25 chilometri da casa, al San Raffaele. Altri - che ho conosciuto in sala d'attesa, venivano dalla Val D'Aosta, da Napoli, da Ivrea... A questi, la Boschi del "BastaUnsi" potrebbe promettere una sala da radioterapia in ogni condominio. Oppure potrebbe scegliere di andare a Bari, a spiegare ai pendolari notturni del pulmino che sono degli stronzi, perchè i normodotati trovano (...e cche 'ce vò'...) un impianto di radioterapia entro cento metri da casa.
P.S.: Mi viene un dubbio: e se il vero cancro italiano fossero questi malfattori?
Tafanus
Scritto il 24 novembre 2016 alle 01:08 | Permalink | Commenti (0)
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23 novembre 2016
Come e quanto si vota (e come e quanto si imbroglia) col voto degli italiani al'estero (da una inchiesta di Sebastiano Messina) - www.bastaunsi.org
Mi sono sempre chiesto quale sia il senso di far decidere ad un "terza generazione" di emigrati italiani, che non parlano e non capiscono l'italiano; che vivon0 e lavorano all'estero; che non hanno nessuna intenzione di tornare in Italia; che sono da due generazioni con passaporto e cittadinanza straniera, di fare magari da ago della bilancia su leggi, e/o parlamenti, che riguardano la NOSTRA vita, e non la loro. E me lo chiedo con forza ancor maggiore quando scopro che nel voto sul referendum del 1999, fallito per 150.000 voti, su 2.351.000 di voti esteri, ben 349.000 - pari a quasi il 15% dei "VOTI ESPRESSI", appartenevano a buonanime morte da un pezzo...
Quello che segue è l'articolo di Sebastiano Messina, e mi permetto di rispondere in anticipo ai soliti noti che ci diranno che questo articolo è una bufala inesistente: la "bufala" è stata pubblicata oggi a pag. 29 di Repubblica cartaceo, con "strillo" in prima pagina, ed è stato messo online fra gli aricoli a pagamento, ma da domani sarà in libera lettura anche on line.
L'ARTICOLO DI SEBASTIANO MESSINA - Come era forse inevitabile, dal momento che la campagna per il referendum è diventata una commedia all'italiana, la scena madre del 4 dicembre potrebbe essere girata all'estero. Non ai Caraibi, a Miami o in India, come nei film di Natale dei fratelli Vanzina, ma in tutti i cinque continenti. Il presidente del comitato per il No, il professor Alessandro Pace, ha infatti messo le mani avanti: «Se il voto degli italiani all'estero dovesse rivelarsi determinante per la vittoria del Sì, allora impugneremo questa consultazione». Ed è impossibile non ricordare che anche Donald Trump, alla vigilia delle presidenziali americane, avvertì che avrebbe riconosciuto il risultato solo se non avesse vinto Hillary Clinton, ma la cattedra di diritto costituzionale su cui siede il professor Pace ci dà la certezza che lui presenterebbe ricorso anche se quel voto fosse a suo favore, e risultasse decisivo per la vittoria del No.
Ora, il sospetto del broglio alle elezioni fa parte della tradizione italiana, ben prima che il referendum sulla scelta tra monarchia e repubblica facesse nascere la leggenda — nonostante i due milioni di voti di scarto — che i partiti del CLN avessero truccato, alterato e taroccato un risultato favorevole al Re. Ma il professor Pace evoca un broglio preventivo, una violazione delle regole costituzionali, e teme che il voto degli italiani all'estero non sia «né libero né segreto».
Timore, sia chiaro, per nulla infondato, a giudicare dai precedenti. Alle politiche di tre anni fa, nel grande edificio di Castelnuovo di Porto dove confluiscono i voti di tutti i 1361 seggi delle circoscrizioni estere, spuntarono schede compilate dalla stessa mano, fotocopie a colori, voti di elettori già passati a miglior vita e un gran numero (quasi il 10 per cento) di schede nulle per vizi di forma. E fu proprio l'ambasciatrice Cristina Ravaglia, capo della "Direzione Generale per gli Italiani all'Estero" della Farnesina, a segnalare al Quirinale e a Palazzo Chigi che la procedura adottata per il voto per corrispondenza esponeva al «pericolo di furti, incette, pressioni, compravendite, sostituzione del votante, ma non solo».
Il governo, naturalmente, oggi assicura che vigilerà, controllerà e garantirà il rispetto della legalità, ma nessuno può mettere la mano sul fuoco sulla regolarità di un voto che negli ultimi anni ha rapidissimamente assunto un peso sempre maggiore sui già traballanti equilibri della politica nazionale.
È per colpa — o per merito: dipende dai punti di vista — del voto estero se l'Italia non ha abbandonato la proporzionale e adottato l'uninominale secco: il 18 aprile 1999, al terzo referendum che avrebbe completato la transizione italiana verso il maggioritario, il 91,5% votò Sì, e nei seggi italiani il quorum venne superato d'un soffio, ma quando arrivarono i voti della circoscrizione estero la percentuale scese dello 0,42 per cento al di sotto della soglia minima, e il referendum fallì per 150 mila voti (si scoprì poi che dei 2 milioni 351 mila emigrati o residenti all'estero, 349 mila erano morti da un pezzo, ma ormai era troppo tardi per riscrivere il risultato).
Da allora ad oggi, gli elettori fuori dai confini nazionali sono diventati 4.128.497 — il 7% del totale — grazie alle norme che hanno consentito di ottenere il passaporto (e il diritto di voto) a chi aveva, ovunque nel mondo, un solo genitore italiano. Con il risultato che l'Italia oggi è, in tutto il pianeta, il Paese con la più alta percentuale di elettori che vivono all'estero. E a differenza di Gran Bretagna e Germania, dove gli emigrati a un certo punto (dopo 15 o 25 anni) perdono il diritto di voto, l'Italia ha fatto diventare elettori non solo gli emigrati, come era giusto, ma anche i loro discendenti di seconda, terza o quarta generazione che non solo sanno poco o nulla di quello che accade in Italia, ma non ci hanno mai messo piede.
L'ambasciatore Sergio Romano (che non è un noto sovversivo komunista - NdR) ha scritto sul Corriere che «tra i Paesi di grande emigrazione l'Italia è il solo che abbia spensieratamente elargito il diritto di voto anche a coloro che non hanno mai vissuto nella patria d'origine e non parlano italiano». È così, il caso-limite è quello degli italo-brasiliani: 9 su 10 non parlano la nostra lingua e 7 su 10 neanche la capiscono.
Però sono elettori, vengono calcolati nel quorum (per i voti in cui serve) e naturalmente possono votare. Eleggendo 12 deputati (che resteranno anche con l'Italicum ) e 6 senatori, rappresentanti di interi continenti. Un mio compagno di liceo, Francesco Giacobbe, siciliano di Piedimonte Etneo, emigrato in Australia, è stato eletto tre anni fa senatore nella circoscrizione "Africa, Asia, Oceania e Antartide". E sono certo, conoscendolo, che lui onori con passione il suo impegno, ma mi sono sempre chiesto come sia umanamente possibile interpretare la volontà popolare di un elettorato sparso in tre continenti, dal deserto del Sahara al mare di Amundsen, e cercare voti in un collegio sul quale, come nell'impero di Carlo V, non tramonta mai il sole.
(Sebastiano Messina - Repubblica del 23/11/2016)
Scritto il 23 novembre 2016 alle 20:50 | Permalink | Commenti (9)
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Scritto il 23 novembre 2016 alle 00:50 | Permalink | Commenti (0)
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22 novembre 2016
Con la magliarata odierna, Repubblica, dopo 40 anni, esce da casa mia (www.bastaunsi.org)
Oggi Renzubblica ha superato, con un articolo dal titolo truffaldino che semanticamente associa la guarigione e/o la prevenzione dal cancro con un blasfemo titolo della serie "basta un si", qualsiasi limite di decenza. Vanna Marchi non avrebbe potuto fare di meglio.
Fra titolo e contenuto dell'articolo non c'è nessuna relazione, tranne la eventuale, flebile, truffaldina idea che "basta un si" possa riferirsi alla prevenzione ed alle vaccinazioni. Questo l'articolo, che ho scannerizzato come foto e non copiato come file di testo, per mostrare la relazione anche grafica fra titolo e testo, e la tolate assenza di legami logici fra titolo e testo.: Agnese Codignola, autrice di questa ignobile marchetta al renzismo, dovrebbe vergognarsi. Dovrebbe vergognarsi il titolista (se il titolo non è della Codignola); dovrebbe vergognarsi il capo-redattore della sezione scientifica, e dovrebbe vergognarsi il direttore Mario Calabresi. Oggi, quando ho visto questo ignobile complesso "titolo+articolo", per fortuna mi trovavo già nel luogo della casa più adatto al vomito: il cesso. Già mi ero incazzato qualche minuto prima, leggendo il titolone sugli "italiani che per la prima volta dopo anni si dichiarano soddisfatti della loro situazione. Che coincidenza! A 12 giorni dal referendum pro o contro Renzi!.Poi è arrivata la ignobile marchetta "basta un si" legata al cancro (per inciso, sulla mia incazzatura non ha minimamente influito la mia "vicenda" personale", legata appunto ad un tumore, che per fortuna sembra che stia prendendo una buona piega). Ma prima di scoprire, con un enorme senso di sorpresa e di disappunto, questo articolo-marchetta, Repubblica mi aveva già "stupito" con un articolo, sempre sul numero di oggi, che scopriva (toh!... a 12 giorni dal voto...) che a sorpresa, dopo oltre 5 anni, per la prima volta la maggioranza degli italiani si dichiara soddisfattissima della propria posizione:
Era da un pezzo che pensavo di mollare Repubblica, che leggo fin dalla fondazione (quasi mezzo secolo fa). L'articolo indecente di oggi mi ha fatto rompere gli indugi. Da domani Repubblica non sarà più nella mia cassetta delle lettere, e spero che tanti seguano il mio esempio.
Scritto il 22 novembre 2016 alle 14:49 | Permalink | Commenti (14)
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21 novembre 2016
La "Grande Accozzaglia" del 1946 - www.bastaunsi.org
La "Grande Accozzaglia" del '46
E' molto istruttivo, a fronte di qualche imbecille che oggi parla di "accozzaglia" per definire il 54% degli italiani che intendono votare, secondo coscienza, per il NO a questa ignobile riforma costituzionale fatta con l'apporto di tanti bei "Padri Criminali", ricordare come fosse costituita l'accozzaglia che nell'immediato dopoguerra ha approvato a larghissima maggioranza, dall'estrema sinistra all'estrema destra, la ex "Costituzione Più Bella Del Mondo".
Per brevità, non darò centinaia di nomi, ma solo i nomi dei più noti bastardi dell'accozzaglia del 1946:
PARTITO D'AZIONE - Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Vittorio Foa, Riccardo Lombardi....
PARTITO COMUNISTA - Luigi Longo, Palmiro Togliatti, Mauro Scoccimarro, Umberto Terracini, Nilde Iotti, Giorgio Amendola, Arrigo Boldrini, Giuseppe Di Vittorio, Giuseppe Dozza, Antonio Giolitti, Girolamo Li Causi, Giancarlo Pajetta, Pietro Secchia, Umberto Terracini...
DEMOCRAZIA CRISTIANA - Aldo Moro, Emilio Taviani, Giovanni Gronchi, Oscar Luigi Scalfaro, Stefano Bazoli, Paolo Bonomi, Emilio Colombo, Alcide De Gasperi, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Piero Mentasti, Costantino Mortati, Giulio Pastore, Giuseppe Pella, Attilio Piccioni, Matteo Rescigno, Giuseppe Spataro, Fiorentino Sullo, Umberto Tupini...
PARTITO LIBERALE - Epicarmo Corbino, Vittorio Badini Confalonieri, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Francesco Saverio Nitti, Aldo Bozzi...
GRUPPO MISTO - Alfredo Covelli, Ivanoe Bonomi, Aprile Finocchiaro, Vittorio Emanuele Orlando...
PARTITO SOCIALISTA - Pietro Nenni, Giuseppe Arata, Lelio Basso, Paolo Treves, Giovanni Lombardi, Carlo Matteotti, Riccardo Momigliano, Sandro Pertini, Ignazio Silone, Giuseppe Saragat, Ezio Vigorelli, Roberto Tremelloni...
PARTITO REPUBBLICANO - Randolfo Pacciardi, Ugo Della Seta, Ugo La Malfa, Randolfo Pacciardi, Ferruccio Parri, Carlo Sforza...
Altri tempi, altre accozzaglie, altri Padri Costituenti... Allora non c'era nessun Dossetti che dicesse ad Arrigo Boldrini "...ma come... voti come Palmiro Togliatti...". E non c'era nessun Giuseppe Di Vittorio che dicesse a Luigi Einaudi "...ma come, voti come Benedetto Croce?"
Ora siamo pieni di idioti, a partire dalle "più alte cariche di governo", che dicono a "quelli del no" "ma come, voti come Casapound?"
E purtroppo questi "idioti di alto rango" hanno fatto un mare di proseliti fra i "cagnolini da lecco", che in Italia hanno infestato tutti i periodi storici. Solo che una volta potevano ripetere "a cocorito" le sciocchezze di Renzi solo alla moglie e ai figli, mentre adesso, come diceva Umberto Eco, "la rete è servita a dare un megafono a qualsiasi imbecille che non ha nulla da dire, e spesso quel nulla lo dice anche male".
(Questo post è dedicato al crescente numero di imbecilli ai quali non è sembrato vero di ricevere direttamente dall'Apostolo Matteo da Frignano sull'Arno l'imboccata dell'Accozzaglia. Talmente idioti da non riuscire ad inventarsi da soli neanche una minchiata, che non sia sotto dettatura.
E tanto idioti da non capire che la minchiata dell'accozzaglia è assolutamente speculare e reversibile, perchè può essere usata anche in direzione inversa.
Firnato: il vostro "felicemente accozzagliato,
Tafanus
Scritto il 21 novembre 2016 alle 15:01 | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 21 novembre 2016 alle 00:37 | Permalink | Commenti (0)
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20 novembre 2016
Cinema - "Fai bei sogni" - Recensione di Angela Laugier
Recensione del film "FAI BEI SOGNI" (di Angela Laugier)
Principali interpreti: Valerio Mastandrea, Bérénice Bejo, Guido Caprino, Nicolò Cabras, Dario Dal Pero, Barbara Ronchi, Fabrizio Gifuni, Linda Messerklinger, Miriam Leone – 134 min. – Italia, Francia 2016.
Non è la famiglia de I pugni in tasca, né la narrazione ha la stessa rabbia violenta, ma neppure questa famiglia se la passa molto bene. Alla fine del film, forse, capiremo perché, e usciremo dal cinema col sollievo di chi, durante tutta la durata della proiezione, ha partecipato con emozione alle vicende di Massimo, da piccolo (Nicolò Cabras), da adolescente (Dario Dal Pero), e da adulto (Valerio Mastandrea) quando sembra aver trovato, finalmente, il senso della propria vita. Il racconto, che Bellocchio ha liberamente tratto dal romanzo autobiografico di Massimo Gramellini, si svolge a Torino in un arco temporale di quasi quarant’anni (dagli inizi degli anni ’60 alla fine degli anni ’90) e si sviluppa intrecciando i tre momenti della vita di Massimo al cui centro è l’evento tragico della morte della madre (Barbara Ronchi).
La mamma - Era un po’ stravagante, quasi bizzarro il comportamento di quella madre: se giocava a nascondino con Massimo, rimaneva a lungo negli scatoloni di cartone per sottrarsi alla sua vista incurante delle sue ricerche febbrili, delle sue ansie e delle sue paure; si spostava senza meta sui tram, senza trovare mai la fermata giusta per scendere; si incupiva all’improvviso senza apparente ragione; amava evocare il mondo spaventoso e insieme fascinoso di Belfagor, era reticente col marito; era all’origine probabilmente della crescente tensione in famiglia…ma era una madre unica, speciale. Indescrivibile la gioia di Massimo quando la ritrovava e poteva rifugiarsi fra le sue braccia: ogni angoscia se ne andava, si dileguava l’ansia, mentre subentrava la coscienza orgogliosa della protezione sicura, della presenza costantemente amorosa, di un angelo che vegliava sul suo sonno, propiziandogli i bei sogni evocati nel titolo del film e del romanzo.
Poi, all’improvviso, la morte, o, almeno, così si diceva: Massimo non ci credeva affatto: l’avevano portata via in una scura bara di legno, ma ciò non era altro che un’ingiustizia, il segno di un complotto contro di lei: altro che l’eterno riposo delle preghiere funebri! Se riposo aveva da esserci, non avrebbe potuto che essere breve: prima o poi la mamma si sarebbe risvegliata tornando da lui. La rimozione del lutto era diventata, d’altra parte un imperativo categorico per tutti gli adulti della famiglia, che tendeva a occultare la verità, sia per un tabù diffuso in ambito torinese, relativo alla morte per suicidio, che da sempre viene negato ipocritamente e allontanato come una vergogna gravissima, sia per l’inadeguatezza, avvertita da tutti, verso la difficile rivelazione. Il padre poi aveva pensato che la scuola prestigiosa e la cultura, soprattutto quella dei preti, avrebbero trovato il modo di far arrivare a Massimo le risposte che egli non intendeva dare al figlio, e che, inoltre, dalla passione sportiva (dalla amatissima squadra del Torino) sarebbero arrivate anche a Massimo molte gioie e soddisfazioni, così da rendere meno dolorosa quella perdita.
La scuola e l’età adulta - Tanti compagni, qualche amicizia, ma poca vera confidenza. La morte taciuta a tutti: la mamma è negli Stati Uniti! Sarebbe stato un vecchio prete (grande Roberto Herlitzka), studioso di astronomia e soprattutto uomo pensante, a chiarire a Massimo alcuni concetti, il primo dei quali aveva a che fare con la realtà fattuale: nulla di più reale della morte, condizione perché la vita continui. Crescere significa prenderne atto e proseguire a vivere, nonostante la morte, ciò che richiede molto coraggio: è una condanna per tutti gli uomini, ma anche l’opportunità per dare un senso a ciò che fanno. Paradiso, aldilà, ritrovarsi dopo la morte non sono che speranze che appartengono a chi crede, importanti certamente, ma non in grado di offuscare la realtà crudele della solitudine e del dolore universale.
Non era stato facile, purtroppo, per Massimo, nemmeno da adulto, elaborare quel lutto che non riusciva a capire, neppure ora, giornalista brillante e stimato a cui si continuava a far credere a una morte per “infarto fulminante”. Una provvidenziale crisi di panico e qualche spiegazione di Elisa (Bérénice Bejo), il medico del pronto soccorso che l’aveva visitato, lo avrebbero indotto a cercare la verità che gli occorreva per riconciliarsi con le ragioni del proprio vivere.
Lasciare andare il passato, costruire da sé con coraggio il futuro, emergendo come Elisa aveva fatto col suo tuffo dall’altissimo e quanto mai metaforico trampolino, forse gli sarebbe stato possibile; in ogni caso avrebbe tentato, nonostante le ipocrisie, le mezze verità, le troppe bugie!
Il film, per quanto si sia ispirato al romanzo autobiografico di Gramellini, per fortuna non è una biografia che vada ad aggiungersi alle troppe circolanti in questo momento sugli schermi (si sarà capito che non amo i biopic!), ma è una narrazione compiutamente bellocchiana, con una famiglia che al proprio interno racchiude, per nasconderli e ignorarli, i dolori più strazianti, rimuovendoli nell’illusione che prima o poi si potranno superare, compromettendo seriamente in tal modo l’equilibrio emotivo di quel figlioletto vivace, lasciato da solo a elaborare una tragedia troppo grande per lui. Allo stesso modo, appartengono tipicamente al cinema di Bellocchio l’interesse per la figura materna, la religiosità inquieta e quasi disperata del vecchio prete, una delle pagine più interessanti e “vere”del film. Un ottimo cast (Valerio Mastandrea superlativo) un’accurata e letterariamente pregevole sceneggiatura e la bellissima fotografia “scura” di Daniele Ciprì aggiungono ulteriore interesse a questa pellicola, opera finalmente degna del regista famoso che negli ultimi due film aveva, a mio avviso, alquanto deluso. Da vedere.
Angela Laugier
Scritto il 20 novembre 2016 alle 21:11 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 20 novembre 2016 alle 00:02 | Permalink | Commenti (0)
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19 novembre 2016
Bankitalia: ...non ci sono più i governatori di una volta... Ora abbiamo gli Ignazio Visco
Grazie Visco. Con la tua improvvida uscita elettorale a favore del SI, un primo obiettivo lo hai già ottenuto: hai fatto salire ieri lo spread a livello 187 (un livello che non si vedeva da molto tempo...). Siamo alle "profezie che si autoavverano: si parla di turbolenze economiche, e in un attimo queste arrivano. Se lo dice il Governatore della Banca d'Italia...
Sarà un caso che Ignazio Visco sia stato nominato Governatore dal Governo Berlusconi? Quello stesso Berlusconi che parla di Renzi come "dell'unico leader che ci sia oggi in Italia"?
Vedi, caro Visco...prima di sparare questi improvvidi mortaretti, faresti bene a mettere in ordine cronologico i fatti. Le "turbolenze" non sono innescate dal fatto che essendoci alle viste un referendum "costituzionale" che stravolge 47 articoli della Costituzione su 139, se ne discuta, e che alcuni ne parlino a favore, ed altri contro. E' la democrazia, bellezza!
Forse - non so se capisci ciò che dico - le "turbolenze" sui mercati (fisiologiche, per il paese più indebitato d'Europa dopo la Grecia) non sono innescate dal fatto che si discuta, e che alcuni milioni di italiani si arroghino - addirittura! - il diritto di votare NO. Ti è venuto in mente il fatto che le turbolenze non sono determinate dalla legittima discussione sul voto, ma dall'essere questo paese, grazie all'unico "leader" che ci sia in Italia (parola di Berlusconi... lo stesso Berlusconi che ti ha nominato Governatore), inchiodato sul dibattito referendario, e spaccato a sinistra e a destra dalle uscite e dalle politiche improvvide del reuccio di Frignano sull'Arno?
Non ci sono più i Governatori di una volta...
Una volta i Governatori si scrivevano con la G maiuscola, e si chiamavano Einaudi, Menichella, Carli, Baffi, Ciampi... Poi abbiamo iniziato a scrivere con le minuscole: antonio fazio (una vita finita con una condanna definitiva), una breve parentesi maiuscola con Mario Draghi, e adesso ignazio visco, nominato dal governo Berlusconi...
Mi consenta! (come direbbe il suo king-maker)... Il compito di un Governatore degno di questo titolo non è quello di fare squallida propaganda elettorale per una parte, destabilizzando i mercati... Appena ha aperto bocca, lo spread - che già dava da qualche settimana segni di nervosismo - è schizzato verso l'alto. Lo so, lo so... Ha detto solo una cosina banale... TUTTI i mercati, per QUALSIASI votazione, vanno sull'otto volante, perchè il rimbalzo di notizie che smentiscono altre notizie che smentiscono altre notizie innesca e facilita l'otto volante dei mercati, che è il retroterra che permette alla grande speculazione ed agli insider traders di guadagnare mille volte alternando speculazioni al rialzo ed al ribasso...
Meglio di noi, persino Spagna, Slovenia e Rep. Ceca
Vedi, caro (anzi, "carissimo e costosissimo" Visco), compito di un Governatore sarebbe quello (non te lo ha spiegato nessuno???) di gestire queste turbolenze girando con un estintore in mano, e non con una tanica di benzina. A gettare benzina sul fuoco ci sta già pensando Renzi da mesi, e non ci sarebbe bisogno del tuo contributo... Lo spread non sale perchè fra due settimane si vota... Lo spread sale da mesi, e Renzi prima, e tu con le tue improvvide dichiarazioni, avete impresso la spinterella definitiva, e ora la Grecia è di nuovo vicina.
Lo spread "sale perchè c'è chi dice no a Renzi", o forse sale perchè abbiamo raggiunto un livello di indebitamento che è una macina da mulino che ci trascina sempre più in fondo???? E a Renzi che a fronte di un debito che si avvia verso i 2.300 miliardi di euro (e verso il 140% del PIL), e che ciononostante continua a chiedere (anzi, a pretendere) l'autorizzazione a fare altre spese in deficit, premessa per ulteriore aumento del debito e dello spread e del costo del debito, e così via in una inarrestabile spirale, non avresti niente da dire?
Lo spread: meno di 90 in giugno 2015, 186 ieri
Vedi, caro (anzi, carissimo) Visco, lo spread non sale da qualche settimana, e cioè da quando si è incarognita la discussione sul referendum sulla legge Boschi/Verdini/Alfano... Lo spread sale dalla primavera del 2015, ma solo dopo le tue improvvide profezie sull'invasione delle cavallette è balzato in vista di quota 200. Esattamente come era avvenuto, ricordi? sotto il governo del tuo king-maker Berlusconi, un attimo prima di balzare in pochi giorni verso quota 570 e verso il possibile default dello stato italiano. Ne siamo usciti col commissariamento di fatto.
Nel frattempo, accontentiamoci... in un anno, sotto il governo dell'unico leader che ci sia in Italia (endorsement di tale Silvio Berlusconi) lo spread è salito di 90 punti, e il costo del debito salirà quindi di 20 miliardi di euro all'anno più alto. Un altro macigno che contribuirà a tenere gli italiani con la testa sott'acqua, fino all'inevitabile annegamento.
Caro (anzi, carissimo) Visco, un consiglio: lascia stare la campagna elettorale. Non è roba per te. Lascia che sia Renzi, con la sua credibilità vicina allo zero, a profetizzare l'invasione delle cavallette. Il compito che hanno sempre svolto governatori come Einaudi, Menichella, Baffi, Ciampi non è stato quello di piromani, ma quello di pompieri.
Tafanus
Scritto il 19 novembre 2016 alle 11:55 | Permalink | Commenti (0)
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18 novembre 2016
La "pugnette" di "quelli che il SI", e i fatti della Demos
Da domani, salvo errori, i sondaggi sul referendum dovrebbero essere "imbavagliati". Tanto stupidamente imbavagliati, che in altre circostanze hanno "accecato" TUTTI i sondaggi contenuti nel sito governativo, inclusi quelli che niente avevano a che vedere con le votazioni prossime. Una abitudine tutta italiana, stupida quant'altre mai, per due motivi:
- -a) i sondaggi continuano ad essere fatti, e ad essere resi noti, attraverso il ricorso a trucchetti infantili, quali parlare non di "partiti" ma di "cavalli", non di "punti" ma di "lunghezze", e via cretinando.
- -b) nei paesi evoluti (l'Italia non c'entra) i sondaggi sono permessi fin quasi all'ingresso nella "gabbina". I cittadini sono considerati esseri adulti e alfabetizzati, che non hanno bisogno del ciripà di stato.
Ma tant'è... in Italia funziona così. E noi - che ogni tanto abbiamo la pretesa di svolgere un minimo di servizio pubblico, stiamo salvando sul nostro server TUTTI i sondaggi svolti nell'ultimo mese, e li metteremo a disposizione di chiunque, in formato "leggero" pdf, anche quando il sito sondaggipoliticoelettorali.it chiuderà per "immaturità senile"; così come tradurremo in chiaro i sondaggi su finte corse dei cavalli, e li metteremo a disposizione durante il black-out di legge. Si chiama "disobbedienza civile", e ha lo scopo di rendere meno ipocrite e cretine le leggi da operetta di questo paese, nel quale i parlamentari - ne siamo certi - contnueranno a disporre dei sondaggi, e i comuni cittadini saranno invece costretti a "guidare nella notte a fari spent".
Ma veniamo all'ultimo sondaggio che ufficialmente Ilvo Diamanti, responsabile della "Demos", ha potuto pubblicare. Come è noto, Diamanti non è fidanzato né con Grillo, né con Fassina o D'Alema, e prima di fare il sociologo ha fatto il sociologo, e non il paleontologo o il giocatore di rugby...
L'andamento dei si e dei no
Negli ultimi due mesi (da metà settembre a metà novembre) il SI ha perso 5 punti (da 39 a 34); il NO ha guadagnato 10 punti (da 31 a 41): differenza algebrica in due mesi? +15 punti per il NO; il No guadagna in media sul SI un punto ogni 4 giorni.
La leggenda metropolitana dei "ggiovani e colti" che sarebbero il serbatoio de "SI"
Quante volte ci siamo sentiti spiegare, da novelli maghi dell'analisi sociologica, che il NO sarebbe il voto dei vecchi bacucchi conservatori come noi, alquanto "tuttologi", "millantatori" e semi-analfabeti di ritorno, poveri pensionati che passano le loro inutili giornate ai giardinetti, o a guardare gli operai della Telecom che posano cavi nelle buche, mentre il SI sarebbe il voto di giovani virgulti (anche 75enni, in alcuni casi...), colti, con culture manageriali, poetiche e calcistiche, iper-alfabetizzati, innovatori per definizione... (beh... magari sono amanti del lemma "innovazione", ma non troppo esperti nel distinguere "buone innovazioni" da "cattive innovazioni".
Costoro sono, come il loro Apostolo, per il "fare, fare presto", a prescindere dal "fare bene o dal fare male. Loro sono per il si, perchè se non passa la riforma Renzi/Boschi/Berlusconi/Verdini/Alfano, il 5 dicembre ci saranno in contemporanea l'invasione delle cavallette, il terremoto di Messina, una eruzione esplosiva del Vesuvio, la replica della tragedia del Vajont, scoppierà la terza guerra mondiale, avremo l'inflazione a tre cifre, a Frignano sull'Arno nascerà la Repubblica di Weimar, i bastioni di Orione saranno distrutti dalle fiamme...
...e in questo momento tragico(mico), sta per iniziare la fine del mondo, e io non so cosa mettermi...
E allora analizziamola, questa segmentazione del voto, confrontandola a quella degli espertissimi 'de noantri... Contrariamente a "quelli che per il SI votano i ggiovani colti, dinamici, innovatori, in carriera", Ilvo Diamanti ci dice che:
- Quelli con livello d'istruzione medio-basso si distribuiscono equamente fra SI e NO, mentre le persone con elevato livello d'istruzione hanno una nettissima prevalenza per il NO: 44 vs 33. Una differenza abissale. E dato che io sono per il no, mi viene un sospetto: che io sia, a mia insaputa, una persona abbastanza "alfabetizzata"???
- TUTTE le zone geopolitiche sono per il NO. Con piccole e non significative differenze al Nord, con grandissime differenze, incolmabili, sia nelle zone rosse dell'Italia Centrale, sia nel Sud e nelle Isole.
- Sono i "ggiovani" i "rinnovatori per il SI", mentre siamo noi bacucchi, vecchi e conservatori ad essere per il no? Diamanti ci dice che che c'è una grande predominanza per il NO nelle classi d'età 18/54 (addirittura abissale negli anni apicali della carriera lavorativa (30/54); che c'è ancora un leggero predominio dei no (due punti) nella classe 55/64 anni; e che la "prevalenza dei "rivoluzionari & rinnovatori del SI" ha l'unica roccaforte fra gli over 65... Che il segmento del SI magari coincida con quello di pensionati che guardano, scuotendo il capo, gli operai della Telecom nelle buche?
Bene... Ho come un'impressione che le idee di alcuni nostri critici molto ironici, colti, rivoluzionari, riformatori, siano molto più vicine al "mondo delle pugnette" che non al "mondo dei fatti". A meno che...
A meno che del fatto che della nomina di De Luca e della Raggi a "senatore" (con l'accessorio dell'immunità) non fotta niente a nessuno, ma invece interessi alla "ggente" mandare a casa questo serial twitter, instancabile produttore di slide ed annunci, battute da Zelig e insulti agli avversari... Tutto è possibile...
Si vota per "il merito" o pro/contro Renzi?
Beh... ad occhio - e a meno di non avere delle fette di salame toscano sugli occhi, circa due terzi degli italiani pensano che sarà un voto NON sul merito (che pochi conoscono, e molti di questi pochi disapprovano) ma un voto pro o contro Renzi e il renzismo. Un voto per liberarsi di questo impiccio, senza peraltro temere che subito dopo arriveranno le cavallette eccetera. Un altro come Renzi (e speriamo persino un po' migliore) non si fa fatica, a trovarlo. E, a spanne, non sarà neanche difficilissimo trovare qualcuno che si intenda di esercito più della Professoressa Pinotti, e di sanità più della Lorenzin, e di comunicazione più della Alessia Rotta... Che il fatto centrale possa consistere nel crollo di fiducia nel serial twitter e nei suoi cari???? Renzi non sarebbe nuovo a queste partenze a razzo... Tanto a razzo che finisce con l'andare a sbattere sistematicamente contro un muro.
Gli era successo già come sindaco di Firenze. Anche quella carica era non alla portata delle sue capacità, ma solo del suo eloquio vanaglorioso... Tanto è vero che dopo pochi mesi di sindacatura, nell'annuale indagine del Sole24Ore sulla popolarità dei sindaci delle città-capoluogo, il Renzino era maglia rosa. Gli era bastato un anno, per passare dalla prima posizione a metà classifica.... LEGGETE QUI
andamento fiducia in renzi e nei renzini
...un calo di quattro punti in un solo mese... e proprio nel mese in cui il renzino ha prodotto il suo massimo sforzo... tre/cinque comizietti al giorno, re-inaugurazione di cose già re-inaugurate più volte, 77 ore di presenza in TV, una alluvione di marchette (spesso non mantenute), un passaggio nel campo dei populisti/anti-Europa... Ma si da il caso che se pensi di fregar voti al populismo - che in questo momento sembra "tirare" in tutto il mondo, se convinci la ggente a sposare i vari populismi, i voti non vanno a te, ma vanno ai possessori del brevetto del populismo. Vanno ai Grillo e ai Salvini, che come populisti sono più datati e credibili di chi sposa atteggiamenti populisti a tre settimane dal voto, solo perchè convinto che paghino... Fare il populista di mattina e andare poi a pranzo con Marchionne? Non mi sembra una grande trovata.
...ah Renzì... come dite voi in Toscana "accà nisciuno è fesso?..."
Tafanus
Scritto il 18 novembre 2016 alle 18:06 | Permalink | Commenti (2)
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17 novembre 2016
Com'è cambiata la vostra connessione Internet dal 2013 ad oggi
Abbiamo inserito due piccoli sondaggi (in alto sulla colonna di sinistra) sulle eventuali variazioni della qualità del vostro servizio Internet dal 2013 ad oggi: una domanda sulla velocità media della vostra connessione internet in download, una domanda su eventuali variazioni qualitative dal 2013 ad oggi.
Vi preghiamo caldamente di rispondere, perchè intendiamo chiarirci le idee su dove stia andando la qualità della rete in Italia. A lato, il fac-simile dei due brevissimi questionari.
PS: e non conoscete la velocità della vostra connessione, potete misurarla in un attimo sul sito speedtest
Grazie per la collaborazione.
Tafanus
Scritto il 17 novembre 2016 alle 23:28 | Permalink | Commenti (0)
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Matteo Renzi "pone il veto" al bilancio UE??? - Matteo va alla guerra con la pistoletta ad acqua
Nei giorni scorsi un Matteo Renzi in stato di panico ha (e)ruttato minacce "fine-di-mondo", strillando insieme al fido Gozi (che mi aveva dato l'impressione di essere una persona seria), che se l'Europa non cederà ai suoi diktat, "porrà il veto" sul bilancio UE 2017.
Non so se Matteo sia affetto da ignoranza crassa sulle regole che governano l'approvazione del bilancio annuale europeo, o se - come credo - punti sulla ignoranza sei suoi adoratores per spararle grosse, e vellicare il populismo anti-EU che tanto sembra aver pagato a Lega e M5S. Ma la sua minaccia è più ridicola delle pistolette ad acqua, o delle pistole-giocattolo con tappo rosso in canna, adatte a sparare tappini di morbido sughero.
Sinceramente, se io fossi un renzino (ma per fortuna i tanti cazzari che a turno hanno occupato la scena politica italiana mi hanno lasciato sufficienti anticorpi) mi incazzerei come una iena per essere trattato da minus habens. Perchè delle due l'una: o Renzi confida sulla ignoranza degli italiani per imbrogliarli, e "per qualche doll voto in più", oppure (e in tal caso peggio mi sentirei) siamo davvero governati da un ignorante (absit iniuria verbis), cioè da uno che ignora. Tertium non datur (scusate, ma oggi sono in vena di mostrare quasi tutti i motti latini che ricordo (manca solo veni, vidi, vici... ma non saprei dove ficcarlo...)
Dunque, Renzi e Gozi minacciano di "porre il veto" sul bilancio annuale. Uno strafalcione sesquipedale, perchè il veto si può porre SOLO sul bilancio pluriennale. Quello in vigore scade nel 2020. E comunque, a memoria di alfabetizzato, NESSUNO ha mai esercitato il diritto di veto sul bilancio pluriennale. Tutti buoni e bravi? Tutti d'accordo su tutto? No. Semplicemente tutti sanno (per uscire dal latino e passare ai francesismi) che il bilancio pluriennale non serve a un cazzo. Non obbliga al fatto che i bilanci annuali (quelli si, operativi) vi si adeguino. Ha lo stesso valore - vicino allo zero - dei "piani quinquennali" della fu URSS, dei piani settennali cinesi, dei "Business Plans" aziendali.
Viceversa, informiamo Renzi (e ci scusi il frignanese se la nostra ignoranza non si allinea alla sua) non esiste alcuno strumento per il quale il bilancio annuale - quello operativo, e non il libro delle buone intenzioni che è il bilancio pliriennale) possa essere bloccato dal veto di un paese, visto che quasi tutti i passaggi si approvano in qualsiasi sede a maggioranza semplice, salvo pochissimi passaggi, che si approvano a maggioranza qualificata, che c'è sempre stata). Quindi Renzi usi il suo pistolino ad acqua per giocare coi figlioli e coi "seguaci", e lasci perdere gli italiani liberi, adulti e vaccinati.
La procedura di approvazione del bilancio ANNUALE della UE parte il 1° Settembre, e si esaurisce il 31 Dicembre. Diamo a Renzi e a Golzi la time-table del processo formativo e del processo di approvazione del bilancio annuale. Lo mandino a memoria, e passino la parola "VETO" al cercaparole: non la troveranno.
Per una visione chiara della tabella, si rinvia al SITO
Il mio povero babbo, austero e severissimo ufficiale dell'arma dei Carabinieri, morto giovanissimo, ha fatto in tempo a lasciarmi due preziosi insegnamenti:
- Mai minacciare punizioni che non sei in grado di mantenere
- Quando fai minacce possibili, applicale, o non ti crederà più nessuno
Alla prima categoria appartiene la minaccia gozi-renzina di "porre il veto" sul bilancio annuale UE, sì da impedirne l'approvazione.
Alla seconda categoria appartiene il Renzino che minaccia (o promette?) dimissioni irrevocabili dalla vita politica in caso di sconfitta sul referendum
Il Renzino, che vuole sempre strafare, è riuscito a disattendere entrambi gli insegnamenti. Come il "follower" Gozi, come Uolter Veltroni l'Africano...
Come direbbe la Simona Marchini d'antan in radio:
...eh... signora mia... non ci sono più le mezze stagioni! il pane non è più buono come quello di una volta, non c'è più rispetto per gli anziani, e non ci sono più ndeanche i cincinnati di una volta...
Tafanus
Scritto il 17 novembre 2016 alle 16:29 | Permalink | Commenti (2)
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Off Topics del 17 Novembre - L'Europa e i conti italiani
Scritto il 17 novembre 2016 alle 00:17 | Permalink | Commenti (0)
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16 novembre 2016
Disastro RAI - Antonio Campo Dall'Orto intervistato da Riccardo Bocca
Dirige la Rai da più di un anno. Ma la TV di Stato fatica. Sia sugli ascolti che sulla qualità. Riccardo Bocca (l'Espresso) gli ha chiesto:
Perché?
«Ho parlato con Fiorello, ma aveva già promesso la sua Edicola a Sky. Mi piacerebbe il suo show teatrale. Ho letto come tutti che Maggioni è diventata presidente Trilateral. Sono sicuro che non confonderà i ruoli. Vespa non è un manifesto della nostra azienda. È soltanto una delle voci che la compongono»
Si è presentato come l'uomo della rivoluzione e ci terrebbe a non diventare il simbolo della delusione. A quindici mesi dalla sua nomina a direttore generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto, classe 1964, natali veneti targati Conegliano, a 28 anni già vicedirettore di Canale 5 e poi una carriera spesa sulle poltrone ai vertici di Mtv, La7, Telecom Italia Media e Viacom, naviga in un mare di continui attacchi e polemiche. Le accuse che si porta in spalla le conoscono tutti: assenza di idee e progetti sufficientemente chiari, nomine discutibili, assunzioni altrettanto discutibili, spese tanto per cambiare discutibili. E poi i palinsesti della collezione autunno-inverno: annunciati come la grande svolta, ma in realtà orfani di novità e ascolti incoraggianti. Anzi, c'è chi ha parlato soprattutto di ritorno al passato tra un Pippo Baudo alla guida di "Domenica in", Vespa sempre e comunque in auge e il ritorno senza euforie di Michele Santoro. Ora il numero uno di viale Mazzini accetta di ripercorrere il proprio percorso a ostacoli all'interno dell'azienda, e lo fa seduto nel suo ufficio al settimo piano in maniche di camicia, senza cravatta e con un gilet grigio addosso. Butta di striscio gli occhi alla parete di televisori che gli sta davanti, e inizia a carburare con un'analisi della situazione presente:
«L'azienda sta attraversando un periodo di transizione», dice,«una profonda riforma che il pubblico mostra di cogliere e apprezzare. Pensi che l'altro giorno, sui social, riguardo alla serata che Rai1 ha dedicato a Roberto Bolle, qualcuno ha addirittura scritto: "Queste sono le cose che mi riconciliano con il pagamento del canone..."
Toccante. Però, come lei sa, c'è anche chi la pensa molto diversamente. Nicola Porro ad esempio, a cui è stato chiuso su Rai2 il talk show Virus, e che ora conduce su Canale 5 Matrix, ha dichiarato in un'intervista a Libero che lei è come lo sgangherato Conte Mascetti di Amici miei: un professionista che ha costruito «il fallimento più grave della Rai degli ultimi vent'anni». Soltanto una botta d'astio, o c'è qualcosa che anche lei stesso con sincerità si rimprovera?
«Diciamo che nei momenti in cui si investe in innovazione, ci sono cose che riescono bene e altre invece male. E aggiungiamo pure che ciò in cui vorrei migliorare è la formula per comunicare a tutti che la trasformazione in Rai non riguarda solo noi che ci lavoriamo, ma è una priorità per il Paese intero, mentre qui alla fine si finisce sempre a discutere su un punto in più o in meno di share. Dopodiché non va dimenticato che chi mi critica si chiama Nicola Porro: un giornalista che è stato toccato in prima persona dal nostro cambiamento...».
Il problema, però, non è tanto Porro quanto la situazione complessiva della tv di Stato. Se da una parte è in corso una crescita tecnologica, con il lancio dell'app RaiPlay che ha portato finalmente on line tutti i contenuti Rai, dall'altra durante la sua gestione ha trionfato la più consueta realpolitik. Giannini criticava il governo Renzi a Ballarò? Guarda caso, rimosso. Il Tg3 non aveva una linea renziana? Bianca Berlinguer, combinazione, sostituita e spostata nella fascia pomeridiana. Persino il placido meteorologo Mercalli ha alzato la voce ipotizzando manovre censorie dietro la soppressione del suo programma di approfondimento scientifico. Il tutto, mentre l'offerta del servizio pubblico ha continuato a perdere peso specifico.
«No, no, le cose non stanno così. L'errore è quello di guardare sempre a ciò che si è tolto senza considerare ciò che c'è ora. Chi segue i canali Rai, oltre ai telegiornali trova un panorama informativo che spazia da Fabio Fazio a Lucia Annunziata. Arrivando appunto a Bianca Berlinguer, che ora porta l'informazione in una fascia che prima non ne aveva».
Si può anche vedere in modo diverso, la questione: lei le ha tolto un telegiornale e l'ha mandata alla ventura alle 18.25. Al di là degli ascolti, non può essere considerato un premio.
«È l'inizio di un progetto. E in primavera la trasmissione si arricchirà di una seconda serata. Tutto all'insegna del servizio pubblico e del racconto della nazione».
Un racconto, va specificato, che non la mette affatto al riparo dai venti di sfiducia che le soffiano addosso dalla politica. Non è paradossale che lei prima abbia frequentato la Leopolda, incubatrice storica dei sogni renziani, poi sia diventato il numero uno in Rai, e infine venga percepito con disagio proprio dai fedelissimi del premier?
«Se fosse vero sarebbe paradossale».
Ma è vero. Tra i suoi detrattori seriali, per dire, c'è Michele Anzaldi del Pd, che ha chiesto il suo commissariamento. Cosa pensa di lui e del suo bombardamento?
«Credo che le critiche costruttive siano sempre bene accette, mentre la violenza verbale non fa onore a chi la utilizza».
Ribadisco: cosa pensa, al di là delle diplomazie, di Michele Anzaldi?
«Penso a lui come a un politico che esprime le proprie opinioni. Niente di più».
Resta il fatto che la materia su cui attaccarla non manca. Tra le accuse più scivolose, c'è quella che per la grande Rai lei ha ingaggiato collaboratori provenienti soprattutto da due micro mondi: quelli di Mtv e Vanity Fair. Dal direttore di Rai Sport Gabriele Romagnoli (Vanity) a Massimo Coppola (Mtv), da Antonella di Lazzaro (sempre Mtv) alla direttrice di Rai3 Daria Bignardi (Vanity e anche La7, di cui lei è stato amministratore delegato). Qualità delle persone a parte, il punto sta nel passaggio dalla lottizzazione selvaggia a un gruppo di amici che monopolizza la struttura televisiva pubblica. Per giunta con esiti incerti.
«Guardi che la verità è un'altra. È che ho introdotto i concetti di meritocrazia e selezione in un luogo come la Rai dove prima non c'erano. La mia linea è stata quella di scegliere in base ai curricula e alle attitudini professionali, e l'ho fatto anche in occasione del cambio dei direttori di tg - tutti interni - e di rete, che invece sono due esterni e due interni. Per me conta sempre e soltanto una cosa: la qualità».
Parole encomiabili, alle quali però si sommano tracce di solida conservazione. Ad esempio, nel campo giornalistico Bruno Vespa resta il caposaldo della Rai serale. Davvero lo considera l'uomo più adeguato a interpretare l'informazione di viale Mazzini nel 2016? Tocca sottolineare che è lo stesso conduttore che la scorsa stagione è inciampato nell'ospitata dei Casamonica e nell'intervista al figlio di Totò Riina a Porta a Porta. È anche lo stesso titolare di talk show che si prestò ad annusare l'odore di santità dalla mano di Silvio Berlusconi. Non sarebbe ora di guardare oltre?
«Questo è un punto chiave: il rapporto tra continuità e innovazione. Il nostro scopo primario è parlare a tutti, anche al pubblico consolidato di Rai1. Le abitudini vanno rispettate».
Però non ha risposto su Vespa.
«Vespa non è un manifesto della nostra Rai. È soltanto una delle voci che la compongono».
Guarda caso, una presenza in linea con palinsesti che avrebbero dovuto segnare il salto della Rai nel presente, se non nel futuro, e invece affogano in troppo passato. Pippo Baudo alla guida di Domenica in, ad esempio. Il programma che affiancherà Lorella Cuccarini a Heather Parisi, per fare un altro esempio. Per non parlare del Rischiatutto di Fabio Fazio che celebra Mike Bongiorno. Tutti ingredienti rivolti a un pubblico maturo che si ritrova faccia a faccia con ciò che ha già visto e sentito da giovane. Non sarebbe meglio costruire progetti nuovi e fortemente identitari, invece di sfruttare il fascino della nostalgia?
«Attenzione: ci tengo a rivendicare che abbiamo inaugurato quarantadue programmi nuovi. E poi su Rai1, in particolare, stiamo puntando soprattutto sul ripensamento in chiave internazionale del comparto fiction. Ci vanno dati tempo e fiducia. Tenendo presente che nella mia testa il mix perfetto per la Rai attuale è quello tra Domenica in, l'esperimento su Rai2 di Nemo e la serie de I Medici».
Un angolo nei suoi pensieri, direttore, deve tenerlo anche per i molteplici flop che hanno scandito questa stagione. Ne cito tre per tutti: il post talk show Politics, arrivato sotto quota 3 per cento, il già citato e incolpevole Nemo che naviga dalle stesse parti, e le Dieci cose suggerite da Walter Veltroni che hanno ucciso lo share dei sabato sera. La sensazione, fatta salva la voglia di cambiamento, è che non sappiate ancora bene da che parte andare.
«Assolutamente no. Stiamo seminando. Il che non significa che, dopo qualche mese, non si debba setacciare. Però è importante, dal mio punto di vista, sottolineare la necessità e il valore di assumersi dei rischi. Perché i programmi nuovi sono delle startup che richiedono molte cure, mentre in Italia si schiaccia il coraggio criticando prima del tempo. E comunque, segnalo che da inizio gennaio a oggi le prime serate Rai sono cresciute dello 0,7 per cento, con un +1,3 nella fascia tra i 15 e i 44 anni. Numeri che inducono a un certo ottimismo».
Meno incoraggiante, invece, è un altro capitolo a cavallo tra etica e amministrazione. Mi riferisco ai maxi stipendi di dirigenti facenti e nullafacenti che tanto scandalo hanno procurato nei mesi scorsi. C'è voluta l'indignazione pubblica perché vi rendeste conto di quanto tutto questo fosse inaccettabile. È normale?
«Punto primo: è una situazione ereditata da come sono stati costruiti finora i percorsi di carriera. Punto secondo, già ad agosto stavo lavorando per identificare tutti i casi in questione: ne ho trovati 51, e ora ne restano da risolvere solo nove».
Non dovrebbe essere troppo difficile. Prendiamo il caso dell'ex direttore di Rai3 Andrea Vianello. È un ottimo conduttore, per giunta esperto di dirette, eppure voi lo lasciate nella sua stanza a far nulla mentre riceve oltre 300 mila euro l'anno.
«So che due reti stanno lavorando a progetti che lo riguardano, anche se al momento non è deciso che forma prenderanno. A riguardo, però, vorrei anche ristabilire il principio che tutti i nostri professionisti devono mettersi a disposizione delle strategie aziendali. È questo, il corretto modo di procedere».
Un altro modo corretto di procedere, a brevissimo, sarà quello introdotto dalla riforma della legge sull'editoria, secondo cui d'ora in poi le retribuzioni in Rai non dovranno sfondare il tetto dei 240 mila euro. Il problema è che per la prima volta non è esplicitamente prevista l'esclusione per gli artisti, che si ritroverebbero a guadagnare assai meno rispetto ai contratti con televisioni private. Può dire, una volta per tutte, cosa ne pensa?
«Dico che, al momento, l'interpretazione prevalente dei nostri legali è che gli artisti resteranno esclusi, anche se per sicurezza abbiamo chiesto lumi al ministero dell'Economia che è il nostro azionista. Resta il fatto che io considero l'eventuale applicazione di questa misura un clamoroso regalo alla concorrenza, peraltro senza precedenti nelle principali tv europee».
C'è pure chi prevede che d'ora in poi, per aggirare la legge, la Rai includerà i compensi degli artisti in quelli delle case di produzione, che a loro volta pagheranno le star. Si sente di promettere che non ricorrerete a questo trucco?
«Ma guardi che è un falso problema. Già oggi, in certi casi, la Rai acquista programmi da società terze che poi retribuiscono gli artisti. Solo che grave, anzi gravissimo, sarebbe perdere il contatto diretto con i personaggi che connotano l'offerta quotidiana Rai».
A proposito di personaggi e contratti. Quando Gianni Minoli, in una recente intervista al Festival della tv e dei nuovi media di Dogliani, le ha chiesto chi le sarebbe piaciuto portare in Rai, lei ha detto Paolo Bonolis. Ottimo professionista, ma anche un entusiasta interprete del trash catodico. È questo lo stile che auspica per la sua Rai?
«La Rai che a me piace è quella vista negli ultimi tempi il lunedì sera con una buona fiction sulla prima rete, Pechino Express sulla seconda e Report sulla terza. Poi sì, è vero, ho trattato con Bonolis, che è un conduttore poliedrico. Ed è pure finita male».
Dipende dai punti di vista. Anche Asia Argento è un'artista assai poliedrica, ma il suo esordio ad Amore criminale al posto di Barbara De Rossi è stato un disastro di ascolti. Ha condiviso questa scelta?
«Rispondo dicendo che credo davvero nell'autonomia di testata e di rete, altrimenti tutti sarebbero autorizzati a considerare la Rai un'entità mono-pensiero».
Traduco: lei non ha condiviso.
«Non ho detto questo. Condivido, al contrario, il progetto complessivo di Rai3 e il suo stile nel raccontare ogni aspetto della quotidianità».
A proposito di racconti, narrazioni e storytelling, che sono le sue passioni, può spiegare come siete riusciti a farvi scappare lo storyteller numero uno Fiorello e la sua omonima Edicola? Non è il tipico prodotto di intrattenimento per regalare a viale Mazzini un'aria meno stantia senza rinunciare alla qualità?
«È andata così: quando gli ho parlato io, era già in parola con Sky. Il che non significa che in futuro non si possa tornare a lavorare assieme. Anzi: a mio avviso, anni fa Fiorello ha realizzato il sabato sera televisivo che rappresenterebbe alla perfezione la nostra Rai di oggi».
Quindi? Lanci un'offerta meno generica.
«D'accordo. Già da domani ospiterei con gioia qualcosa di simile allo spettacolo teatrale che Rosario ha portato in giro per l'Italia. La porta è aperta, e a questo punto lo sanno tutti».
In realtà lo sapevano tutti anche prima, che Fiorello voleva dire applausi e ascolti sicuri, a prescindere dai direttori generali di turno. Ma è sull'insieme dell'offerta, come lei stesso ha accennato prima, che si valutano i risultati. In piena onestà, ritiene di essersi meritato i 650 mila euro annui che ha guadagnato finora?
«Io non ho negoziato lo stipendio, è stato definito in automatico rispetto al mio ruolo. Quanto al giudizio sul mio operato, vorrei esprimermi a fine mandato, e sarebbe bello che lo facessero anche tutti coloro che seguono quotidianamente i nostri programmi».
Viceversa, si può ragionare da subito su alcune questioni economico-culturali aperte. Ad esempio, dopo il clamore per l'arrivo in Italia del tele-supermercato mondiale Netflix, e la sensazione che da quel momento il mercato sarebbe stato stravolto, tutti hanno preso atto che i numeri degli abbonamenti al servizio sono ancora modesti (circa 300 mila), e hanno capito che la tv generalista continuerà a lungo ad esistere, come dimostra anche la crescita della pubblicità Rai nell'ultima semestrale (+27 milioni rispetto al 2015) e la crescita dell'11,5 per cento dei ricavi rispetto all'anno precedente. Ma sarà ancora in grado, la Rai, di elaborare un suo immaginario, o si appellerà per vincere alla forza della tradizione?
«Prima di rispondere, è il caso di ragionare sul punto da cui è partita la sua domanda. Nel senso che Netflix non è valutabile soltanto in base ai suoi 300 mila abbonati attuali. È il capofila, piuttosto, di una rivoluzione che trasformerà anche la televisione generalista. A tal punto che noi stessi abbiamo fatto un accordo con Netflix per produrre assieme Suburra, e crediamo che sia un passaggio fondamentale per diventare ciò che più ci sta a cuore: cioè una realtà industriale in grado di esportare le proprie storie nel resto del mondo».
Ciò non toglie che mentre ci si dedica a questo sacrosanto obiettivo, in Rai persistano antichi freni. Tipo il potere degli agenti che rappresentano gli artisti e trattano a nome loro. Non l'ha imbarazzata, ad esempio, quando Fabio Fazio ha fatto in diretta da Che tempo che fa gli auguri di compleanno al suo agente Beppe Caschetto? Non sono forse dettagli spiacevoli, simbolo dell'invadenza di questi manager nella televisione pubblica?
«Mi creda: tutto dipende dalla forza degli editori e dall'autorevolezza dei direttori di rete. È in base a questo che deriva il comportamento degli agenti di spettacolo. Oggi, in Rai, mi sento di dire che non ci sono interferenze nei palinsesti, e neppure scelte specifiche che le facciano presumere. Se ha degli esempi lei, li faccia...».
Va bene, eccone uno. Molti addetti ai lavori sono rimasti stupiti dal fatto che Rai1, in questa stagione, abbia bocciato il sabato pomeriggio di Unomattina in famiglia, buon prodotto d'intrattenimento e divulgazione popolare, per sostituirlo con Parliamone... sabato, salotto di chiacchiere condotto da Paola Perego. La quale è sposata con il manager Lucio Presta, e che guarda caso dopo la desolante Domenica in dello scorso anno ha trovato subito nuova collocazione. Come commenta questo episodio?
«No, su questo non dico niente. O meglio: Andrea Fabiano, il direttore di Rai1, sostiene che sono scelte sue».
Il che sarà sicuramente vero, ma non cancella la sensazione che in Rai si dicano certe cose e poi se ne facciano altre. Come nel caso di Storie vere, il programma condotto da Eleonora Daniele sempre su Raiuno. In quello spazio, e lei di certo ne è al corrente, il dolore viene cucinato in ogni salsa. Eppure era proprio questo ciò che non le andava a genio, quando nel marzo scorso si è schierato contro il cinismo delle emozioni e ha tolto la cronaca nera da Domenica in.
«È vero. Abbiamo intrapreso, assieme a Fabiano, un percorso per togliere gli elementi più dissonanti rispetto alla missione che ci siamo dati. Ma il problema, lo specifico, non è tanto la cronaca nera quanto l'eccesso di cronaca nera che diventa elemento di spettacolo. Su questo, confermo, dobbiamo sempre lavorare».
Quanto a casa Mediaset? Affacciandosi un momento sul cortile della concorrenza, e immergendosi scarpe e piedi nel settore dell'ultra-pop, apprezza le performance di due regine degli ascolti come Barbara D'Urso e Maria De Filippi?
«Le reputo due professioniste estremamente brave. In particolare stimo il lavoro di Maria De Filippi e la sua versatilità».
Ma come? Lei, il paladino delle multi-piattaforme, il teorizzatore dell'evoluzione televisiva in chiave internazionale, che accetta lo squallore di trasmissioni come Uomini e donne Over, dove si va a caccia di share con i sentimenti degli anziani, o anche come C'è posta per te, affollata sempre e comunque di lacrime e drammi?
«Il discorso è un altro. Questi programmi sono pensati per il servizio commerciale, non certo per quello pubblico. Ma vorrei precisare che il mio non è un giudizio morale. Ciascuno fa il suo, l'importante è farlo bene».
Sarà. Però proprio per questa dedizione al prodotto, resta difficile comprendere perché la Rai continui ad acquistare format da fuori, invece di ragionare e produrre con la propria testa. Esistono cervelli buoni anche all'interno del servizio pubblico. O no?
«Ascolti questo elenco: Stato civile, Carta Bianca, Italia di Michele Santoro, L'importante è avere un piano con Stefano Bollani... Sono tutte nostre produzioni, e ce ne sono ancora molte altre. Stiamo facendo il possibile, non siamo immobili. Neppure sull'ostico fronte della burocrazia, contro la quale sono intervenuto costituendo un gruppo di lavoro con funzioni chiave - dagli acquisti all'amministrazione, dall'ufficio legale al responsabile anticorruzione - per semplificare le procedure cardine».
Risultati effettivi?
«Ora avviare una trasmissione è più facile. Ma devo aggiungere con onestà che siamo ancora lentissimi sul versante degli acquisti tecnologici. Basti dire che per impostare e assegnare una gara mirata all'acquisto di telecamere Hd, impieghiamo circa un anno».
Problemi dei quali parla, con il presidente della Rai Monica Maggioni?
«Con lei parlo spesso di macrotemi, tipo il rinnovo delle concessioni o simili. E posso dirlo? Se penso ad argomenti sui quali siamo in disaccordo, non mi viene in mente niente».
Davvero? Non dissente neppure sull'iscrizione di Maggioni alla presidenza della Trilateral, la potente associazione internazionale fondata negli Usa da David Rockefeller?
«L'ho scoperto, come tutti, leggendo i giornali. E sono sicuro, aggiungo, che troverà il modo e la misura per non confondere questo nuovo ruolo con la sua figura istituzionale».
Nell'attesa di verificarlo, le novità più scomode per lei e per la sua Rai arrivano ancora una volta dal governo, che abbassando con la nuova legge di Bilancio il canone da 100 a 90 euro ha fatto - immagino - sballare le vostre prospettive di spesa. Quali saranno, a suo avviso, le conseguenze concrete?
«Sto cercando di capirlo in questi giorni con il Consiglio d'amministrazione e con il ministero delle Finanze. Un punto è indubbio: un progetto come il nostro, basato al cento per cento sull'innovazione, richiede solidi investimenti. Senza denari, gioco forza, finisce tutto il ragionamento sulla vocazione internazionale».
L'augurio, sincero, è che la Rai torni al più presto a rappresentare l'anima brillante e paziente di chi continua a seguirla. Però permetta, fa anche una certa impressione rileggere una sua intervista del 2005 in cui diceva che quella italiana era «una tv malata», che poteva guarire soltanto «stando lontano dall'esempio di Rai e Mediaset». A che punto siamo, oggi, della terapia?
«Proviamo a trasformare ogni risorsa Rai in un enzima per il cambiamento. O ancora meglio, un anticorpo contro l'appiattimento sulla banalità. Speriamo bene».
(Intervista di Riccardo Bocca su l'Espresso)
Scritto il 16 novembre 2016 alle 23:11 | Permalink | Commenti (0)
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Spread a 180 punti, ora aumenta il rischio per Renzi e le banche
«Aumenta lo spread italiano? Ovvio, c’è incertezza», dice Renzi. Non ha tutti i torti: visto da questa prospettiva non è difficile immaginare la ragione per la quale ormai da settimane cresce. Lentamente, ma senza sosta: ai primi di agosto la forchetta dei Btp italiani con i Bund tedeschi era poco sopra i cento punti base, ieri è schizzato a 182 e chiuso solo qualche punto più sotto, a 176. Vero è che i tassi sono aumentati in tutta Europa, e che parte lo si deve alla vittoria (quasi) a sorpresa di Donald Trump. Centottanta punti base sono niente rispetto ai 570 del terribile autunno del 2011, ma è il livello più alto da oltre due anni a questa parte. I tassi dei titoli a dieci anni sono tornati a rendere più del due per cento: se non caleranno, alla fine dell’anno saranno costati all’Italia due miliardi di interessi sul debito in più di quanto previsto finora. Quel che però fa impressione oggi non è lo scarto con la Germania, che pure in autunno va alle urne con una Merkel indebolita dalla destra populista. Si nota di più un altro spread: quello con i Bonos spagnoli.
A Madrid ci sono voluti mesi per mettere insieme una specie di maggioranza disposta a confermare Mariano Rajoy alla Moncloa. Eppure il rischio che calcolano i mercati sui titoli spagnoli è nettamente più basso di quello italiano: appena 125 punti base. Cosa lo giustifica?
L’economia italiana è più solida di quella spagnola, basti dire che il tasso di disoccupazione iberico è al 19,3 per cento contro l’11,7 italiano. Il deficit è al 4,3 per cento, contro il 2,6 dell’Italia; il debito ha appena sfiorato il cento per cento della ricchezza prodotta contro il 132 per cento dell’Italia. Ma quell’economia, nonostante la paralisi istituzionale, corre ad un ritmo quattro volte più veloce di quella italiana. A modo suo Rajoy ha garantito una continuità istituzionale che a Renzi potrebbe essere negata da un giorno all’altro: il Pil spagnolo quest’anno è confermato in crescita del 3,2 per cento, quello italiano fatica a raggiungere il +1 per cento. Nonostante l’ombrello protettivo della Banca centrale europea - che pure dovrebbe proseguire per tutto il 2017 - l’Italia soffre ancora di un problema che in Spagna come in gran parte d’Europa è stato risolto con massicce iniezioni di soldi pubblici: il sistema bancario appesantito da dieci anni di recessione e stagnazione. Poiché le banche italiane posseggono un bel pezzo di debito pubblico, non è difficile capire perché i mercati diano un prezzo a quel rischio. Nel 2012 quella fu la ragione che impedì al governo Monti di accettare i 60 miliardi di aiuti europei concessi alla Spagna. Ma è per le stesse ragioni che l’Italia oggi è più vulnerabile di altri
Scritto il 16 novembre 2016 alle 14:14 | Permalink | Commenti (0)
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il partito renzista sarà unico e autoritario (di Giampaolo Pansa)
È un ingenuo Gianni Cuperlo, uno dei big del Partito democratico. Anche se ha passato la cinquantina, conserva la faccia del ragazzo bello e bravo che farebbe la gioia di tante madri con figlie a carico. Cuperlo è stato una giovane promessa del Pci, poi del Pds, sino ad arrivare al Pd odierno. Nel caos dei democratici, resta una delle voci ascoltate. E nella direzione del 20 ottobre, si è domandato con allarme se Matteo Renzi, partendo dalla convention della Leopolda, non stia meditando di costituire un partito parallelo a quello che oggi guida come segretario e, al tempo stesso, come premier.
Cuperlo si sbaglia. Renzi non intende affatto dar vita a un bis del Pd. Più semplicemente, e brutalmente, vuole a prendersi tutto il partito attuale. Per trasformarlo dapprima in un partito personale e poi in un partito unico e autoritario. Con un solo uomo al comando: se stesso. E senza veri concorrenti.
Come lo chiamerà non lo sappiamo. I media hanno parlato di Partito della Nazione. Ma l’unica certezza e che sarà una costruzione diversa da tutte le altre che conosciamo, senza opposizioni, in grado di inchiodare la politica italiana a un regime personale. Dove conterà soltanto il verbo del leader.
I politici come Cuperlo dovrebbero dedicare le proprie energie intellettuali a domandarsi se Renzi abbia il carattere adatto, la tenacia giusta e la forza sufficiente per realizzare questo progetto. II Bestiario teme di si. E adesso cercherà di aiutare i Cuperlo d’Italia a scrutarlo molto da vicino. Per capire quante probabilità abbia di diventare Leader Solitario del nostro sfortunato paese.
Prima di tutto, Matteo è un soggetto impossibile da classificare. E’ di sinistra, di destra, di centro? Domande inutili. Renzi è Renzi, un Fregoli della politica, capace di tutti i travestimenti e di qualsiasi parte in commedia. Sempre più spesso, ho il sospetto che, da cattolico, sia convinto di essere un unto del Signore, destinato dal Padreterno a essere il padrone dell’Italia e guidarla verso traguardi luminosi. Per limitarmi ad altre figure della storia europea, la stessa convinzione animava Benito Mussolini, Adolf Hitler e persino Giuseppe Stalin. Anche se quest’ultimo, un marxista integrate, non credeva in Domineddio.
E’ possibile che Renzi sia convinto di aver ricevuto mandato da un’entità superiore. Ed è proprio questo che lo spinge a essere super sicuro di se spesso. Protervo. Sfrontato. Ironico. Sfottente. Persino bullo. Osservatelo alla tivù quando sta in un consesso internazionale. In maniche di camicia e la faccia da ragazzo che la sa lunga, sembra il nipote degli altri leader europei. Persino la cancelliera Angela Merkel mette da parte la sua mutria da walkiria per diventare una zia cautelosa di questo enigmatico bamboccione italico.
Perché Renzi potrebbe riuscire nell’intento di diventare il solo dominus della politica italiana? Prima di tutto perché ha il carattere del leader di animo cattivo, per non dire da carogna. Chi è obbligato a trattare con lui racconta che è vendicativo al massimo, pronto a rappresaglie anche personali. Non ha pietà per nessuno. Pensate alla fine che ha fatto a Matteo Richetti, renzista della prima ora, liquidato in un amen come competitor alla carica di presidente dell’Emilia Romagna: «Vai a fare altro». O al licenziamento di Carlo Cottarelli, il tecnico incaricato da Enrico Letta di indicare i tagli della spesa pubblica.
Politico del Duemila, Renzi sa approfittare come pochi dell’unico medium vincente in quest’epoca dove il fumo conta più dell’arrosto: la televisione. Secondo Il Fatto quotidiano, nel solo mese di ottobre è stato in tivù per ben 77 ore. Ha invaso anche i programmi del suo ex avversario naturale, lo spompato Silvio Berlusconi. II suo cicì e ciciò con Barbara D’Urso su Canale 5 resterà nella storia come il primo caso di un cuculo che s’insinua nel nido di un altro pennuto. E lo devasta, con l’aria di fargli un favore.
Scritto il 16 novembre 2016 alle 12:18 | Permalink | Commenti (3)
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BastaUnSi dato all'estero con sistemi "innovativi" per fottere il prossimo
Per saperne di più, ckicca sull'immagine
...nel 2008 vennero ritrovati nei magazzini della Andreani Logistica, a Buenos Aires, 120 mila schede in più rispetto a quelle necessarie per il voto dei nostri connazionali argentini. E che lo stesso anno, al telefono con Marcello Dell’Utri, il faccendiere Aldo Micciché parlava di “voti di ritorno”, dei “certificati” che “ce li votiamo noi” e dei “quaranta o cinquanta certificati” che gli erano arrivati a casa. Per non parlare del falò di schede (“Non avevo vie d’uscita, perché non me li potevano consegnare… di distruggerle, chiaro o no?”) che lo stesso Micciché confessa al collaboratore di Barbara Contini, allora capolista del Pdl a Napoli. Il punto è proprio questo: quante schede stampa ogni tipografia? Quante ne vengono consegnate? Quante tornano indietro inutilizzate?
La Farnesina, per il momento, non fornisce risposte nel dettaglio. Non risulta prevista però la presenza, per esempio, di rappresentanti di lista (in questo caso dei Comitati) durante le operazioni di confezionamento e spedizione. L’allarme riguarda alcuni luoghi in particolare: in Venezuela, per dirne una, le carenze del sistema di toponomastica aumentano la possibilità che il plico non riesca ad essere recapitato. E proprio le schede rimaste senza destinatario sono quelle più a rischio manomissioni...
Scritto il 16 novembre 2016 alle 11:54 | Permalink | Commenti (0)
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Off topics del 16 Novembre
Scritto il 16 novembre 2016 alle 00:55 | Permalink | Commenti (0)
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15 novembre 2016
Referendum: sondaggi - Il No cresce, soprattutto grazie ai giovani
...brutte notizie per il renzino... che nonostante i 32 comizietti al giorno, in tre settimane vede passare il NO da un vantaggio di 3,3 punti, ad un vantaggio di sei punti... E brutta notizia anche per quel tale Renato Favretto (tipografo e pallonaro) che sfidava il mondo intero... "ci vediamo il 5 dicembre"... Salvo poi tirarsi indietro quando gli ho proposto una scommessuccia... Mai più sentito, e mi ha tolto anche "l'amicizia" (una cosa che mi ha gettato in un profondo stato depressivo...). Non solo, ma prima di togliermi "l'amicizia" , mi ha anche accusato di "millantare" il mio mestiere. Peccato, perchè io i suoi mestieri di tipografo e di pallonaro io non li ho mai messi in dubbio...
Chissà cosa penserà oggi che persino la fida iXé (quella che dava al renzino, sistematicamente, un paio di punti più della media degli altri sondaggisti, si è rassegnata ad assegnare la vittoria al no... Ecco cosa scrive Il Fatto:
I dati Ipr e Tecnè per Porta a Porta. Negli ultimi 20 giorni i contrari hanno aumentato progressivamente preferenze, ora il distacco è tra 5 e 6 punti. Nella fascia d'età 18-34 anni raggiungono anche il 62 per cento. Elettori di Forza Italia spaccati
Il No che cresce, il Sì che diminuisce. I contrari alle riforme costituzionali diffusi quasi in tutta Italia, a parte che nel Centro. E soprattutto tra i giovani che sembrano trascinare il No al referendum costituzionale a dispetto degli elettori ultracinquantenni. Sono i risultati dei sondaggi Ipr e Tecnè per Porta a Porta. I due istituti danno al No un margine tra i 5 e i 7 punti percentuali. Per Ipr il No è al 52,5 contro il 47,5, mentre per Tecnè oggi finirebbe 53,5 a 46,5
(...insomma, anche questa volta iXé fa l'abituale regalino sistematico di due punti al renzino, ma obiettivamente più di così non se la sente di fare... E chissà cosa penserà il tipografo-pallonaro di questa segmentazione, lui che affermava - con caratteri di piombo - che i "ggiovani rinnovatori" erano per il si, e i vecchi bacucchi conservatori come me erano per il no... NdR)
Le raccomandazioni sono sempre due in materia di sondaggi e Il Fatto cerca di ricordarle sempre: primo, che i sondaggi come questo hanno un margine d’errore del 3 per cento e, secondo, misurano non tanto un peso specifico “alla lira”, ma una tendenza. E la tendenza la dà anche la serie storica sia di Ipr che di Tecnè. Il No è in crescita da 20 giorni e costantemente nelle ultime tre rivelazioni di entrambi gli istituti. Per Ipr il No ha vissuto quasi un’accelerazione: era al 50,8 per cento il 24 ottobre, è balzato al 52 il 7 novembre e ora incrementa di un altro mezzo punto [...]
Chi sono i "conservatori"???
I giovani trascinano il No - A trascinare i contrari in questa crescita, secondo Ipr e Tecnè, sono soprattutto i giovani. Nella fascia d’età 18-34 anni, infatti, il No è rispettivamente al 62 e al 58 per cento. Più indecisa la sfida nella fascia d’età 35-54 anni, mentre tra gli ultracinquantenni il Sì resta in vantaggio solo per Ipr (56-44), mentre nell’ultima settimana la svolta a favore del No è avvenuta – secondo Tecnè – anche tra i più anziani (questa settimana è 51-40 per chi si dice contro la riforma Boschi) [...]
Avvertenza: il tipografo-pallonaro probabilmente accuserà anche Il Fatto di "millantare" le notizie, e i due istituti di "millantare" le loro conoscenze specifiche delle metodologie della ricerca sociale... Chissà se ci rinnoverà l'invito a "sentirci il 5 Dicembre"...
Tafanus
Scritto il 15 novembre 2016 alle 23:14 | Permalink | Commenti (4)
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Su www.BastaUnsi.org le notizie più fresche sul referendum - Aggiornato al 15 Novembre, ore 16:12
Scritto il 15 novembre 2016 alle 16:12 | Permalink | Commenti (4)
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"BastaUnSi" - Insieme per un'Italia più deficiente - 15/11/2016
Scritto il 15 novembre 2016 alle 09:58 | Permalink | Commenti (4)
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14 novembre 2016
"BastaUnSi" per un'Italia più giusta e deficiente
Scritto il 14 novembre 2016 alle 22:47 | Permalink | Commenti (0)
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Per sputtanare l'Invincibile Armata del renzini, "BastaUnSIndaco" di Capoliveri - E il renzismo di fionda a capofitto in una figura di merda planetaria...
Ruggero Barbetti fo President!
ISOLA D'ELBA. Internet non perdona. Basta un refuso per aprire scenari dagli esiti imprevedibili. E in questo caso beffardi per chi il refuso l'ha commesso: niente meno che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi (o il Pd, o chi per lui) nella già discussa lettera inviata agli italiani all'estero per convincerli a votare "Sì" al referendum costituzionale. E c'è anche un vincitore, in questa storia, che con un colpo di genio ha trasformato quel refuso in una vittoria degli avversari di Renzi: il vincitore è Ruggero Barbetti, sindaco di Capoliveri (Isola d'Elba) al suo quinto mandato.
La storia è divertente e merita di essere raccontata ripartendo da quel refuso. Dunque il presidente del Consiglio scrive una lettera ai 4 milioni di italiani all'estero sostenendo le ragioni del "Si", iniziativa che suscita polemiche nel mondo politico. Ma quello di cui pochi si accorgono (tra i primi il senatore leghista Calderoli) è che in fondo alla lettera c'è un refuso. Il sito indicato per trovare le informazioni sulla campagna per il Sì, che dovrebbe essere www.bastaunsi.it , diventa www.bastausi.it . Manca una "n". Fin lì sembra solo un caso di sciatteria, di distrazione, gravissima visto che si tratta di una missiva del premier mandata a 4 milioni di persone e su una questione così importante.
Ma a questo punto l'errore prende una piega imprevedibile grazie al guizzo di Ruggero Barbetti, 59 anni, sindaco elbano, esponente di Forza Italia e soprattutto, coordinatore regionale di Costituzione Bene Comune. Comitato per le ragioni del No al referendum, creato dalla Fondazione dell'ex ministro Altero Matteoli.
...ecco dove porta la letterina renzina a 4 milioni di italiani...
A spiegarlo è lo stesso Barbetti, interpellato dal Corriere della Sera. Visto che il premier indirizzava i destinatari della lettera a un indirizzo col refuso, Barbetti si è chiesto: "Vediamo se qualcuno ha comprato l'indirizzo sbagliato". E dopo aver verificato - quasi senza crederci - che nessuno lo aveva fatto, ha comprato il dominio www.bastausi.it (nella dizione col refuso) e ne è divenuto titolare. Il risultato è che, da due giorni, chi segue le indicazioni della lettera di Renzi, inviate a 4 milioni di italiani all'estero, e digita l'indirizzo www.bastausi.it viene reindirizzato sul sito dei comitati per il NO, Costituzione Bene Comune
Una beffa perfetta di cui Barbetti rivendica con orgoglio e soddisfazione il merito rispondendo al telefono al Corriere. "Sì, sono stato io", dice il sindaco, con l'aria di chi se la gode tantissimo (Fonte: Il Tirreno)
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Un capolavoro di insipienza, visto che la squallida operazione renzina è costata, secondo alcune stime (e solo per spese postali - carta, busta, etichettatura e stampa escluse) la bazzecola di 16 milioni di euro, di cui la metà - quelli relativi alla letterina "istituzionale" del Pres del Cons, che si accompagna, per caso, alla letterina propagandistica per il SI. Dilettanti allo sbaraglio.
Naturalmente in rete già fiorisce l'ironia... sulla mia pagina facebook relativa al gruppo aperto L'unirenzità - Raccolta di scemenze assortite un amico, che ringrazio, mi ha segnalato la cosa stamattina, con questo commento:
E in molti siti e "social" è già partito il tormentone di scrivere frasi insensate eliminando tutte le "n" che si incontrano lungo il cammino. Azi, lugo il cammio.
Tafaus
Scritto il 14 novembre 2016 alle 12:32 | Permalink | Commenti (4)
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13 novembre 2016
Off Topics del 14 Novembre
Scritto il 13 novembre 2016 alle 23:29 | Permalink | Commenti (0)
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Off Topics del 13 Novembre
Scritto il 13 novembre 2016 alle 20:01 | Permalink | Commenti (0)
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Cinema - "La ragazza senza nome" - Recensione di Angela Laugier
Recensione del film "LA RAGAZZA SENZA NOME" (di Angela Laugier)
Titolo originale: La fille inconnue
Regia: Luc e Jean-Pierre Dardenne
Principali interpreti: Adele Haenel, Jérémie Renier, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione, Thomas Doret, Christelle Cornil – 113 min. – Belgio 2016.
Nello studio medico della dottoressa Jenny Davin (Adele Haenel), alla periferia di Liegi, un giovane stagista fa del suo meglio per imparare il mestiere non facile di curare i malati. Jenny mal ne sopporta l’eccessiva emotività, poiché è convinta che il medico dovrebbe imparare a non farsi coinvolgere dalla sofferenza dei pazienti, dal momento che solo un giusto distacco mantiene lucidi e attenti alle loro necessità. Jenny è severa e rigida con lui, ma lo è anche con se stessa: è questo il suo modo di essere, che va ben oltre la vita professionale. Per chi vede il film, infatti, questo è l’unico elemento che ne connota la personalità dall’inizio alla fine: la giovane dottoressa si sposta dentro e fuori Liegi; avvicina uomini e donne degli ambienti più diversi; si incontra e spesso si scontra con personaggi ambigui, omertosi, minacciosi, senza mai abbandonare l’ imperativo categorico della coerenza con i propri princìpi che le dettano il comportamento. Di lei non si sa niente all’infuori di ciò che accade sotto i nostri occhi, durante tutto lo sviluppo del racconto: i due registi non parlano del suo vissuto familiare, né di quello sentimentale; non esiste un prima o un dopo rispetto alla narrazione che scorre sullo schermo; esiste lei, creatura cinematografica inseparabile dalla sua coscienza morale, che è rappresentata con insistenti primi piani del suo volto e dei suoi occhi, che indagano, interrogano, scrutano, cercano di leggere e interpretare altri sguardi per ricostruire i piccoli frammenti di verità che possano finalmente darle pace. Il suo tormento nasce dal senso di colpa, per non aver aperto (mentre ancora era lì), un’ora dopo il termine dell’orario di visita, il proprio studio a una donna che la polizia avrebbe trovato morta, forse di morte violenta, il giorno successivo. Non era una sua paziente; era una prostituta nera di difficile identificazione, che forse aveva cercato di fari aprire sentendosi inseguita. Forse, sarebbe bastato farla entrare per salvarle la vita.
Al rimorso per essersi negata a lei, Jenny unisce una profonda volontà di espiazione: si sarebbe assunta il compito di cercarne l’identità per offrirle almeno una targhetta al cimitero, perché potesse vivere nella memoria di qualcuno.
Come fossero andate le cose, si saprà solo alla fine del film, che assume a poco a poco le connotazioni di un noir molto teso, perché il mistero intorno a quella morte diventa presto una detection che Jenny conduce, anche a proprio rischio, negli ambienti più squallidi e sordidi delle periferie delle città belghe, in un mondo popolato da ambigui figuri che hanno interesse a tacere, che fingono di non sapere o che mentono per non compromettere la loro rispettabilità, in famiglia o nell’ambiente di lavoro. La voglia di chiarezza di Jenny, così come la sua fermissima determinazione di andare fino in fondo all’indagine che ha intrapreso, lasciano emergere perciò squarci di marginalità periferiche, di squallore e di povertà nei quali è ben riconoscibile la griffe dei fratelli Dardenne, come sempre molto attenti a non isolare i loro personaggi dal contesto sociale in cui si muovono. La pellicola, forse, si è giovata del taglio di sette minuti che i due registi le hanno apportato, riconoscendo implicitamente la validità di alcune osservazioni critiche che erano state mosse nei loro confronti dopo la proiezione di Cannes, che non era stata proprio un successo. Nell’insieme, ora è visibile un buon film, raccontato in modo scabro e lineare, ottimamente interpretato da una magnifica Adele Haenel.
Angela Laugier
Scritto il 13 novembre 2016 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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12 novembre 2016
I magliari della politica: Referendum, Renzi invia lettera per il Sì a italiani che votano all'estero. Furia delle opposizioni: "E' reato"
Il 4 Dicembre, puniamo i magliari del Governo con un semplice, sonoro, fragoroso NO
"Oggi - scrive Renzi - siamo ad un bivio. Possiamo tornare ad essere quelli di cui all'estero si sghignazza, quelli che non cambiano mai, quelli famosi per l'attaccamento alle poltrone e le azzuffate in Parlamento. Oppure possiamo dimostrare con i fatti che finalmente qualcosa cambia e che stiamo diventando un paese credibile e prestigioso".
La missiva è stata subito presa di mira da Sinistra Italiana che ha presentato un'interrogazione sul voto degli italiani all'estero. "Tra le lettere inviate da Renzi, a proposito, chi paga e quanto costano, e i documenti che circolano alla Farnesina sui procedimenti elettorali più di una perplessità viene sui rischi relativi al libero esercizio del voto e sul fatto che alcuni report siano stati celati. In questo momento è necessaria chiarezza per evitare che si addensino dubbi e ombre" afferma il capogruppo di Sinistra Italiana a Montecitorio Arturo Scotto.
"La lettera spot per il sì che Renzi ha inviato ai 4 milioni di elettori italiani all'estero è l'ennesima grave anomalia di una campagna referendaria nel corso della quale il premier sta usando metodi e mezzi discutibili. Ora a chi vota all'estero fa arrivare in contemporanea e non assieme (??? Non toglietecela, la Boschi! Il mondo non sarebbe più altrettanto divertente! NdR), come ha precisato con equilibrismo linguistico il ministro Boschi, il plico per il voto e l'indicazione per il sì. Una stranezza che rischia di inquinare fortemente la libera espressione democratica. Ci auguriamo che il presidente Mattarella intervenga" critica Paolo Romani, presidente del gruppo di Forza Italia al Senato.
Gli fa eco Brunetta che parla di reato. "La notizia, lanciata ieri dalla ministra Boschi, delle milioni di lettere partire da parte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, agli italiani residenti all'estero in merito al voto sul referendum costituzionale è di una gravità inaudita e senza precedenti. Roba da Procura della Repubblica e da reato ministeriale" afferma il capogruppo di FI alla Camera.
Anche per Fratelli d'Italia "le lettere inviate dal presidente del Consiglio agli italiani all'estero non sarebbero pagate dagli italiani, ma dal Pd, di cui Renzi resta Segretario nazionale. Ma questa precisazione peggiora le cose perché non si capisce come il PD abbia potuto entrare in possesso degli elenchi degli italiani residenti all'estero, con tanto di domicilio. Chi gli ha dato l'accesso? A quale titolo? Vuoi vedere che c'è la "magagna"? Perché se l'indirizzario è quello di Palazzo Chigi, quel database non può assolutamente uscire da quel 'portone' né fisicamente né informaticamente" dice Fabio Rampelli, capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera.
Per il Comitato per il No, come sottolineano Alfiero Grandi e Domenico Gallo, quella missiva è una "evidente forzatura". "La confusione tra ruoli politici (segretario del Pd e nume tutelare del Comitato per il Sì) e istituzionali (Presidente del Consiglio) conferma che c'è qualcosa di sbagliato al fondo delle modalità con cui sono state approvate le modifiche inaccettabili della Carta Costituzionale.
Vale la pena ricordare che nel nuovo senato ci saranno 5 senatori nominati dal presidente della Repubblica e nessuno dai residenti all'estero, particolare che Renzi dimentica di ricordare nella sua lettera".
"Prima - continua la nota - il tentativo di separare le modifiche costituzionali dalla legge elettorale, fingendo che non siano due aspetti di un'unica scelta politica; poi una campagna elettorale condotta per ottenere un plebiscito sul governo, anziché consentire agli elettori di giudicare il merito delle modifiche; infine il tentativo di delegittimare il dissenso facendolo passare per vecchio e conservatore, quando è evidente che nulla è più vecchio del tentativo di manomettere la Costituzione della nostra Repubblica, come ha sempre tentato di fare in passato chi ha cercato di imporre le scelte di una minoranza sulla maggioranza dei cittadini"-
"Ora - aggiungono Grandi e Gallo - arriviamo all'uso privato e di parte degli incarichi pubblici, del quale c'è un lungo elenco, il cui cuore è che il Presidente del Consiglio e i Ministri non hanno alcun riguardo per il loro ruolo istituzionale, per un suo uso nell'interesse pubblico, di tutti i cittadini. Anzi lo usano a piene mani a fini di parte e di convenienze politiche, dimostrando ignoranza e disprezzo per ogni distinzione tra ruolo istituzionale e ruolo di partito. La vittoria del No è necessaria anche per ristabilire in modo netto questa distinzione tra ruolo pubblico e istituzionale e interessi di parte".
In una nota poi, i comitati per il No chiedono un incontro urgente con il Capo dello Stato in cui si afferma: "A nome di quindici comitati per il No al referendum costituzionale, di differente orientamento politico, il senatore Gaetano Quagliariello ha chiesto ufficialmente un incontro urgente al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, al fine di rappresentare le gravi preoccupazioni in ordine alla correttezza della competizione referendaria, con particolare riferimento al voto degli italiani residenti all'estero".
"Alla luce delle notizie di stampa - continua la nota - e delle segnalazioni pervenute da diverse aree del mondo, allarmanti in ordine alla correttezza di alcune iniziative dei sostenitori del sì e del comportamento delle istituzioni italiane fuori e dentro i confini nazionali vi è la seria preoccupazione che possano essere state gravemente violate la parità di condizioni tra i due schieramenti in competizione, la corretta gestione di dati anagrafici e la dovuta neutralità delle strutture diplomatiche all'estero".
QUI LA LETTERA:
L'ufficio stampa del gruppo del Pd alla Camera dei deputati poi divulga una parte della norma in materia di trattamento di dati presso i partiti politici e di esonero dall'informativa per fini di propaganda elettorale [...]
Ora, il problema non è di sapere se la divulgazione dei dati sensibili dei cittadini a fini di propaganda elettorale sia lecita o meno. E' lecita, ma sporca. Ed è tanto più sporca se i partiti di opposizione chiedono i dati che il governo/partito ha usato, e li ottengono tardi, fuori tempo massimo, attraverso il patetico tentativo di "capire male" la richiesta, e di inviare un file con 4 milioni di nomi privi di indirizzo. Ma, come dicevamo... i magliari non possono diventare statisti da un momento all'altro, specie quando la cacarella avanza...
UN SERVIZIO AI NOSTRI LETTORI
Le fotine della lettera che circolano sono (volutamente?) illeggibili. Ne abbiamo scannerizzata una, l'abbiamo passata con un programma OCR, e ve la offriamo in forma leggibile. Un venditore porta a porta di Folletto non avrebbe potuto fare di peggio. Questo il testo:
Cara italiana, caro italiano,
nessuno meglio di voi, che vivete all’estero, sa quanto sia importante che il nostro Paese sia rispettato fuori dai confini nazionali. Nessuno meglio di voi sa quanto sia importante che si parli di noi per la nostra capacità di lavorare, per la nostra creatività, per la nostra intelligenza. Ma nello stesso tempo, nessuno meglio di voi ha provato sulla propria pelle il fastidio, o addirittura la mortificazione di sentire, sull’Italia, risolini di scherno, accompagnati sai soliti, umilianti luoghi comuni.
Tra tutti, uno, durissimo a morire. Quello per cui siamo un Paese dalla politica debole, che si perde in un mare di polemiche. Un Paese instabile, che cambia il presidente del Consiglio più spesso di un allenatore della Nazionale. E tra noi, ahimè, possiamo dircelo: questo luogo comune non è così distante dalla realtà.
In questi due anni e mezzo di Governo ho visitato moltissimi Stati e ho provato ogni volta, con tutte le mie forze, a dare dell’Italia un’immagine diversa. A raccontare dei successi degli italiani del mondo, a promuovere le nostre bellezze, a sponsorizzare la capacità di innovazione dei nostri giovani.
Ma soprattutto, in ogni viaggio all’estero, ogni volta che ho sentito risuonare l’Inno di Mameli con voi, ogni volta che ho incrociato i vostri sguardi orgogliosi, ogni volta che sono riuscito a stringervi le mani, ho sentito fortissimi l’onore e l’emozione di rappresentare il Paese che noi tutti amiamo.
Dalla prima volta, a Tunisi, nel marzo di due anni fa, fino all’ultima, alla Casa Bianca, dove il Presidente Obama, scegliendo di dedicare all’Italia la sua ultima cena di stato, ha compiuto un gesto di straordinaria attenzione. E lo ha rivolto non al nostro governo, ma al nostro Paese.
L’Italia, dicevamo, ha un enorme bisogno di essere rispettata all’estero. E in questi anni qualcosa è finalmente cambiato. Ne sono fiero e felice. Ma non sono soddisfatto. Dobbiamo fare di più, tutti insieme. È vero, l’Italia non è più considerata il problema dell’Europa e il prossimo appuntamento del G7 nella magnifica Taormina, ci darà un’occasione per condividere i nostri valori umani, civili e sociali. Ma dobbiamo continuare a migliorarci, come le vostre storie ci insegnano.
E allora la riforma costituzionale su cui siete chiamati a votare, è un altro tassello per rendere più forte l’Italia.
Qualcuno dice che si tratta di tecnicismi, che non incidono realmente sulla vita del Paese. Tutt’altro. Con questa riforma superiamo finalmente il bicameralismo paritario, un sistema legislativo che esiste solo in Italia e costringe ogni legge ad un estenuante ping pong tra Camera e Senato. Anni per approvare una legge, quando il mondo, fuori, corre veloce. Con questa riforma superiamo il doppio voto di fiducia al governo, da parte di Camera e Senato, che ha dato al nostro Paese il record mondiale di instabilità (62 governi in 70 anni)
Questa riforma, definendo le competenze tra Stato e Regioni, mette fine all’assurda guerra tra enti pubblici che ogni anno si consuma in centinaia di ricorsi alla Corte Costituzionale.
Questa riforma riduce finalmente poltrone e costi della politica (315 stipendi in meno in Parlamento, stipendi abbassati ai consiglieri regionali, abolizione dei rimborsi pubblici per i gruppi regionali), elimina enti inutili come il Cnel (1 miliardo di spesa per zero leggi approvate), aumenta la maggioranza necessaria per eleggere il Presidente della Repubblica, garantisce più potere alle opposizioni. E questo senza toccare i poteri del presidente del consiglio, né alcuno dei “pesi e contrappesi” che garantiscono l’equilibrio tra i poteri dello Stato.
Per decenni tutti hanno promesso questa riforma, ne hanno discusso in tv e sui banchi del Parlamento, hanno riempito i giornali e più recentemente i social network. Ma si sono dimenticati di realizzarla.
Adesso la riforma c’è, ha superato sei letture parlamentari e ora dipende dal voto dei cittadini. Sì, anche dal vostro.
Sarete voi a decidere se questa Italia deve continuare ad andare avanti oppure deve tornare indietro. Sarete voi a decidere se dire sì al futuro oppure se rifugiarsi nell’attuale sistema, talmente burocratico da non avere nessun paragone in Europa.
Oggi possiamo dimostrare all’Italia e al mondo che noi ci crediamo davvero. Che la storia dell’Italia è meravigliosa e noi possiamo rendere migliore anche il suo futuro.
Oggi siamo a un bivio. Possiamo tornare ad essere quelli di cui all’estero si sghignazza, quelli che non cambiano mai, quelli famosi per l’attaccamento alle poltrone e le azzuffate in Parlamento. Oppure possiamo dimostrare con i fatti che finalmente qualcosa cambia e che stiamo diventando un Paese credibile e prestigioso.
Ci date una mano? Basta un sì”.
Matteo Renzi
La conclusione? Neanche Rondolino sarebbe riuscito a fare di peggio... L'Italia rispettatissima qual è??? Quella che non viene invitata ai vertici fra Merkel e Hollande? O quella di Junker che dice "di quello che dice Renzi me ne frego"? O quella che sta facendo le pulci ad ogni riga della legge di stabilità, che non convince neanche le istituzioni economiche e finanziarie italiane? L'Italia rispettatissima è quella di cui ieri l'insospettabile RaiNews24 scrive questa notiziola, che per ora "vale" un maggior costo per interessi sul debito di una ottantina di milioni di euro all'anno?
Ma andiamo avanti, perchè questi governanti sembrano posseduti non solo dalla disonestà intellettuale e da una irrefrenabile propensione al magliarismo, ma anche da quella che mi limiterò a chiamare "stupidità aritmetica". Fare una figura da magliari per far votare gli italiani all'estero per salvarsi le chiappe? Ma questi ce l'hanno, la mitica calcolatrice da due euro comprata dal cinese? Perchè vedete, la mitica "lettera dell'Imperatore ai Sudditi" potrebbe persino rivelarsi un boomerang... Analizziamo il voto degli italiani all'estero alle politiche del 2013, che certamente avevano un appeal ben superiore rispetto alla incomprensibile riforma costituzionale di Renzi, Boschi e Verdini. Osservate i dati, poi li commentiamo:
Alle politiche del 2013 gli italiani all'estero aventi diritto di voto erano 2.812.400. Ad esercitare questo diritto sono stati solo il 29, 75%: 836.700. Alle politiche precedenti (quelle del 2008) era andato a votare il 39,59% degli aventi diritto. Insomma, da una consultazione politica all'altra, un quarto dei votanti nel 2008 ha detto che delle cose italiane non gliene frega più una mazza.
Ma, con l'occhio alle elezioni 2013 (quando Renzi non era stato ancora nominato Reuccio da Napolitano, ma già si arrampicava come un matto), si possono trarre altre considerazioni:
-a) Il PD (non ancora PdR) era all'estero al 29,3%. Il PD di Bersani, quello senza marchette. Dopo decine di marchette renziane (fatte o promesse) il PdR viaggia più o meno sugli stessi valori.
-b) Lasciando perdere i partitini sotto il 4%, e vediamo che i potenziali partiti per il si (a quadro politico odierno, sono:
- una parte del PdR (26%)
- Scelta Civica (ridotto allo zerovirgola)
- Gli "Italiani all'Estero di De Gregorio (spariti)
- Un terzo dell'attuale Forza Italia ridotta al 10% (fa un altro 3,3%)
-c) E vediamo i potenziali voti per il NO su base partitica:
- Un decimo del PdR (3,0%)
- Due terzi di Forza Italia (6,7%)
- L'80% dei grillini (24,0%)
- un buon 5% di elettori provenienti da partiti populisti con simpatie nfascio-leghiste
Bene: nella migliore delle ipotesi Renzi dall'estero non prenderà un voto in più del SI contro il NO; nella peggiore della ipotesi (per lui) potrebbe addirittura portare a casa un saldo netto pesantemente negativo, anche su valori assoluti ridicoli: potrebbe portare a casa 300.000 SI, e 400.000 NO. Ma anche se portasse a casa 400.000 Si e 300.000 NO, il saldo sarebbe di 100.000 voti, su una aspettativa di meno di 30 milioni complessivi di votanti. A spanne, uno 0,3% in più o in meno.
La domanda di un "cretino politico" come il sottoscritto, ad un genio della politica come Renzi:
"Valela la pena di fiondarsi in questa ennesima figura di merda per 100.000 voti che potrebbero andare al SI, ma molto più probabilmente al no, visto che adesso gli italiani all'estero non sono più pizzaioli e muratori, ma ricercatori, medici, infermieri, imprenditori, studenti? Che potrebbero anche incazzarsi per essere stati trattati come minus habentes?
Caro Renzi, l'eccesso di cacarella, a volte, anzichè uscire dall'orifizio a ciò deputato, può avere un riflusso che lo porta al cervello, con risultati imprevedibili... E si ricordi, il 5 dicembre, di rendere una doverosa visita a Mattarella...
Con la abituale disistima, il non suo
Tafanus
Diretta "Matteo Risponde" su FB
Scritto il 12 novembre 2016 alle 11:23 | Permalink | Commenti (6)
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Off Topics del 12 Novembre
Scritto il 12 novembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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11 novembre 2016
Off Topics dell'11 Novembre
Scritto il 11 novembre 2016 alle 00:03 | Permalink | Commenti (0)
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10 novembre 2016
La missione impossibile di Hillary: convincere gli uomini (di Emanuela Audisio)
Non hanno mandato a casa solo lei. La vecchia politicante dai tailleur sgargianti rossi, bianchi e blu. La donna tradita, che ancora a quasi settantanni, con le palpebre gonfie, voleva il comando della Casa. L'avvocata ricca e ambiziosa, amica dei banchieri, che pretendeva di dirigere il mondo. Ma tutto l'universo femminile che non si accontenta di fare la nonna e vuole i pantaloni. Superman si è ripreso il suo posto, Superwoman non può sostituirlo. Le donne non volano da sole, non salvano l'umanità, non fanno giustizia. E soprattutto lei era la donna sbagliata. Un usato sicuro che l'America ha allontanato.
Hillary ora si scusa: «I'm sorry». È la vendetta del maschio bianco: vecchio (sopra i 65 anni) e giovane (18-29). Niente più neri a dare ordini, ma soprattutto niente donne che invitino a sparecchiare la tavola, meglio se tornano a servire e ad obbedire. Sempre un passo indietro al marito, come Melania Trump. Non devono fare ombra. Niente ex First Lady che sottobraccio a Bill, First Husband, rovescia i ruoli. È la riscossa dell'Uomo. L'operaio, il contadino, il disoccupato, l'impiegato. Quello che a casa vuole trovare la cena pronta, una moglie senza grilli per la testa, e nessuna contestazione in famiglia. Basta frustrazioni: i bisogni delle donne non sono una priorità nella vita quotidiana. Questo hanno urlato Michigan, Pennsylvania, Winsconsin (dove l'ultimo repubblicano a vincere era stato Reagan nell'84).
Hanno anche apprezzato il maschilismo: che saranno mai dei commenti sessisti? I blue collar, i red-neck, la working class, quella che ha fatto grande il romanzo americano è andato alla riscossa. Volevano quello, uno che si vanta di aver fregato lo Stato, non pagando le tasse. L'uomo bianco ha rivendicato il suo ruolo a capotavola e il suo diritto ad usare frasi volgari. La società non si cambia: prima gli uomini.
Hillary, vestita in grigio e in viola, non ha più il suo sorriso sguaiato, anzi per la prima volta sembra vera, non più imbalsamata nella sua fiducia, quando ammette: «Questa sconfitta pesa, mi dispiace non abbiamo vinto. Dico alle giovani donne: sono contenta di essere stata il vostro campione».
Peccato non ci sia stata partita: Mrs Clinton non ha capito il gioco o non ha saputo giocare. E non ha convinto le donne, quelle che dovevano essere la sua squadra. Non portava il cambiamento, ma riaffermava il potere. Troppo legata alla cricca politica di Washington e a quella economica di Wall Street, esperta di affari appunto, ma incapace di parlare all'America. Il suo sogno americano era di seconda generazione. «Stronger together» era il motto di Hillary. Ma together con chi? Con l'élite, con chi ha già tutto. Le giovani donne non hanno visto una di loro, tranne quelle più istruite, le pensionate della Florida l'hanno trattata da impicciona, da erede di chi le ha impoverite con l'Obamacare. E le repubblicane invece di essere disgustate dal maschio predatore l'hanno votato in massa (91%)
L'American Dream è tradizione. Trump l'ha sventolato come prodotto ancora sano e funzionante. E nelle campagne e nelle fabbriche l'hanno visto benissimo. Lo hanno considerato come un marito un po' fanfarone, ma non pericoloso: si sa, esagera, poi gli passa. Hillary non è riuscita ad interpretare nemmeno il sogno femminile e femminista. Non è stata la Merkel, la donna severa che fa la cosa giusta, né il nuovo, l'indipendente, ma solo la moglie dell'ex presidente, con un "unfinished business". Hanno portato male anche le celebrità. Cosa gliene frega ai minatori e agli operai dismessi che Brace Springsteen, Madonna, Katy Perry, Beyoncé, Lady Gagà, Jennifer Lopez, Bon Jovi salgano sul palco per Hillary? Forse qualcuno di loro ha fatto la fame, ma era tanto tempo fa, ora sono miliardari, non soffrono, vanno alle feste, e magari sono pure vegani. E se ora si disperano, twittano subito, per il loro pubblico. Hillary lascia da Mrs Clinton, con marito e figlia al seguito. È professionale, ma si vede che è lesionata: «Romperemo il soffitto di cristallo, prima di quanto crediate, lo dico alle bambine di oggi». La sua ambizione è morta, ma il sogno continua. Anche se non sarà lei a realizzarlo. Lei quel soffitto l'ha solo graffiato. Doveva picconarlo, le è mancata la forza genuina, e la spinta delle sorelle, più importante di quella di Hollywood. Sarebbe stato un presidente donna invece di una donna presidente. Ma chi l'ha sfrattata dalla Casa Bianca ora è orgoglioso: men first. Il mondo torna al suo posto. Bianco e maschio.
Emanuela Audisio - Repubblica del 10/11/2016
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Cara Emanuela,
la leggo spesso con molto piacere, anche quando scrive di sport, perchè riesce a trattare lo sport come merita: una collezione di giochi con contorno di danaro, e niente per cui valga la pena di prendersi a coltellate o a manganellate. Mi piace come scortica chi merita di essere scorticato, e mi piace la sua ironia telegrafica.
Questa volta mi è piaciuta a metà. Insieme a pezzi profondi e condivisibili di analisi della sconfitta di Hillary (rappresentante del peggior establishment, un po' guerrafondaia, ambiziosa quanto basta per non lasciare il suo ruolo di First Lady neanche dopo l'umiliazione della "Sala Orale", assoluta mancanza di carisma, innata antipatia), ha "incollato con lo scotch" anche spiegazioni che suonano alquanto vetero-femministe...L'uomo che vuole rimandare le "femmine" a lavorare all'uncinetto, a camminare mezzo passo dietro il marito...
Forse, per una piccolissima quota di maschietti americani, ci sarà stato anche questo. Ma il "lavoro a perdere" lo ha fatto da sola: coi comportamenti di una vita, coi maldestri tentativi di celarli, con quelle tonsille perennemente offerte come un sorriso che sembra il sorriso di un "meccano", o di un pessimo fumetto giapponese...
L'antifemminismo c'entra, ma solo in dosi tollerabili. Ha perso lei, non le donne. Se i democratici avessero avuto l'intelligenza e la forza di mandare alle primarie non la sguaiata Hillary, ma tale Michelle, oggi forse potremmo ragionare di una magnifica vittoria. invece siamo qui, col fiato sospeso, a cercar di capire quali e quanti danni potrà fare Donald Bronson, il Vendicatore della Notte, nei quattro anni di buio che attendono gli Stati Uniti.
Stamattina giornali e tiggì erano pieni della frasetta di Trump "sarò il Presidente di tutti". Ma Dio Santo... Cosa si aspettavano che dicesse? Che "sarò il Presidente dei nazisti, dei bancarottieri e dei palazzinari"??? Prepariamoci ad accogliere in tutto il mondo Donald Duck Trump, seguito a due passi di distanza dalla First Sciura slovena, che in teoria bene dovrebbe incarnare ciò che Trump dice di combattere: l'immigrazione, il lavoro in nero, gli "stranieri che rubano il posto agli americani"... Se i "democrats" fossero usciti sconfitti da uno "statista di destra" (un ossimoro), potremmo anche farcene una ragione. Ma gli americani si sono sconfitti da soli: scegliendo alle primarie il peggior "destro" e la peggiore "sinistra" su piazza, e adesso lamentandosi per il fatto che per forza di cose si dovranno beccare un fumetto ridicolo ma pericoloso, perchè dall'altra parte c'era una donna ridicola e altrettanto pericolosa.
God Save the USA
Tafanus
Scritto il 10 novembre 2016 alle 22:00 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 10 novembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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08 novembre 2016
Off Topics del 9 Novembre
La Leopolda, capolinea della sinistra (di Massimo Giannini) (...della sinistra o del renzismo... NdR)
La settima Leopolda renziana è il capolinea della sinistra italiana. Quel poco che era rimasto della vecchia "ditta" riformista attraversa la sua ultima stazione, dalla quale non uscirà più, o potrà uscire solo a pezzi.
Renzi aveva riconosciuto il suo errore iniziale: il voto sulla riforma costituzionale costruita come un'ordalia su se stesso. Aveva tentato di tornare a parlare del "merito": discutiamo solo di Senato delle autonomie, di navette parlamentari, di leggi a data certa. Un compito arduo, un esito incerto. Perché questa riforma è un compromesso complicato e pasticciato, difficile da "vendere" bene agli italiani confusi (se non ai prezzi di saldo del populismo, cioè con la promessa che serve a "mandare a casa i politici" e a far pagare il conto alla "casta").
Con la "prosa" del tecnicismo costituzionale il Sì non recupera i "clienti" perduti. Può farlo solo attraverso la poesia del "leaderismo emozionale". Solo così puoi vincere. È la lezione di Christian Salmon, inventore dello storytelling in politica: «Votare è comprare una storia».
Dunque, si torna alla casella di partenza. La storia che Renzi rivende dalla Leopolda torna a raccontare il referendum del 4 dicembre come un "derby tra la rabbia e la speranza". Come la "guerra dei mondi": il vecchio contro il nuovo. Dove il nuovo è ovviamente lui medesimo, garante unico del cambiamento, macchinista di "un treno che passa ora o non ripasserà mai più". E dove il vecchio, illividito di rabbia, non è tanto incarnato dagli avversari naturali della sinistra, cioè i Berlusconi e i Grillo. Ma è costituito soprattutto dalla sinistra stessa, cioè i Bersani e i D'Alema.
E' contro questa sinistra, che Renzi consuma il suo strappo finale. Lo fa con una mossa di grande astuzia, un compromesso sulle modifiche alle legge elettorale, firmato anche da Cuperlo, è poco più che una "scrittura privata", che rinvia tutto a dopo il voto. Ma in quel pezzo di carta c'è tutto quello che la minoranza Pd aveva chiesto: l'eliminazione del ballottaggio, il premio di coalizione, il ritorno ai collegi uninominali, perfino l'elezione diretta dei nuovi senatori. Renzi, firmando quella carta, paga un prezzo altissimo alla coerenza (ha sempre definito l'Italicum «una bellissima legge che tutta l'Europa ci invidia» ). Ma Bersani, negando ancora una volta la sua firma, stavolta rischia di pagarne uno ancora più alto (se accetti di partecipare alla commissione, e in quella sede accolgono tutto quello che hai chiesto, come fai a rifiutare? Puoi dire che non ti fidi di Renzi, ma allora ha ragione lui a sostenere che il tuo "movente" non è il no alla riforma, ma il no alla sua leadership).
Ma lo fa anche con un attacco definitivo contro «quelli che 18 anni fa decretarono la fine dell'Ulivo, e ora stanno provando a decretare la fine del Pd». E qui sta la seconda ragione, per la quale l'attacco di Renzi alla "ditta" non deve stupire. Una ragione che riguarda la politica. La settima Leopolda riflette la compiuta metamorfosi del Pd in PdR, il Partito di Renzi, per usare la formula di Ilvo Diamanti. Un partito che può e deve fare a meno di "quella sinistra", ormai vissuta e costruita come nemico. Perché è ormai chiaro che il blocco sociale da aggredire, per il partito renziano trasformato in struttura servente del leader, è quello moderato e tuttora "congelato" dopo la diaspora berlusconiana.
Vale per il referendum di dicembre (secondo i sondaggi che Alessandra Ghisleri ha mostrato al Cavaliere, il 25% di italiani indecisi sarebbe attualmente diviso tra un 60% di No e un 40% di Sì, e dunque è su quel 60% che Renzi deve tentare un recupero). Ma vale anche per il dopo (come ha riconosciuto ieri Roberto D'Alimonte sul Sole 24 Ore, se vincessero i Sì l'unico sbocco possibile di un Italicum riscritto secondo il compromesso appena varato sarebbe "una coalizione con Forza Italia e/o Area Popolare").
Nella narrazione renziana, nulla si salva prima del 2014. "Quelli che c'erano prima" hanno sfasciato il Paese e il partito. Per questo devono obbedire o scomparire. Si torna così dove tutto era cominciato: la rottamazione come "rivoluzione". È evidente che la sinistra ha fallito. Il problema è che, dopo aver ucciso la "vecchia", nessuna Leopolda ci ha ancora spiegato quale sia, e soprattutto se debba esistere, una "nuova" sinistra.
(Massimo Giannini - Repubblica del 7/11/2016)
Scritto il 08 novembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 08 novembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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