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...Napule è... un luogo nel quale mi è stato possibile guardare e filmare la Coppa America comodamente stravaccato su un divano del soggiorno della casa della sorella di Marisa, a Posillipo...
Scritto il 31 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Il Caffé Gambrinus
"...Gambrinus è una delle rare testimonianze di un salotto letterario ottocentesco autentico. Istituzione suprema di liberty scintillante, pieno di grazia e splendore neoclassico, qui, dove hanno sorseggiato un the Jean Paul Sartre, Ernest Hemingway, Oscar Wilde, Matilde Serao, Benedetto Croce, Eduardo Scarpetta, Totò e i De Filippo, discutendo di arte, letteratura, cultura, società e storia, si percepisce un’atmosfera di altri tempi..."
Il Caffè Gambrinus oggi
Scritto il 30 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Come da tradizione ormai consolidata, quasi tutti gli anni qualche giornata a Napoli, fra Natale e Capodanno, è diventata un'abitudine irrinunciabile. Si va a Napoli per trovare parenti e amici, ma anche per ritrovare sapori e umori della nostra gioventù, per ritrovare la "Napoli com'era", e la "Napoli come potrebbe diventare"...
Quest'anno la "cerimonia" durerà dal 29 dicembre al 3 gennaio. "Napule è..." è stata descritta in maniera appassionata da questa bellissima canzone di Pino Daniele, che non mi stancherei mai di ascoltare, e che era diventata l'inno ufficiale dei "Concerti di fine anno" a Piazza del Plebiscito", dove in 100.000 erano capaci di cantarla senza sbagliare una nota o una parola.
Bentrovata, Napoli!
Scritto il 28 dicembre 2016 alle 22:54 | Permalink | Commenti (1)
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...ci mancherai...
Scritto il 28 dicembre 2016 alle 22:39 | Permalink | Commenti (0)
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Quella dei voucher è la storia di un domino. È cioè la storia della caduta inarrestabile di tutti (o quasi) i limiti inizialmente posti all’uso del famigerato tagliando da 10 euro (Fonte: Il Fatto)
Una liberalizzazione sempre più massiccia, voluta da governi di ogni natura e colore politico, che ha portato a quella che anche al ministero del Lavoro definiscono una “esplosione incontrollata che è sotto gli occhi di tutti: basta guardare i dati”. Ecco, i dati: nel 2008, l’anno della reale introduzione dei voucher, i tagliandi staccati furono 500mila; nei primi 10 mesi del 2016, si è arrivati a superare quota 121 milioni.
Da strumento per regolarizzare i lavori privati a “ultimo anello della catena della precarietà” – Dovevano essere degli strumenti per regolamentare piccole prestazioni private, dalla raccolta dei pomodori alla pulizia domestica. Tutti lavoretti estemporanei, regolati da “rapporti di natura meramente occasionale e accessoria”. Questo, almeno, stabiliva la Legge 30 del 2003. Che impediva, tra le altre cose, l’utilizzo dei voucher da parte di committenti imprenditori. Introdotti a tutti gli effetti nel 2008 dal governo Prodi, negli anni seguenti i voucher hanno finito per creare, secondo il giuslavorista Federico Martelloni, “una zona franca nel mercato del lavoro”. Prima il governo Berlusconi, poi soprattutto quello guidato da Mario Monti attraverso la Legge Fornero, poi ancora l’esecutivo di Enrico Letta, hanno esteso sempre più l’uso del voucher, aprendolo definitivamente al mondo dell’impresa. “È stata questa – prosegue Martelloni – la stortura maggiore: se all’inizio è stato uno strumento utile a far emergere il nero nelle relazioni di lavoro private, a furia di liberalizzazioni il voucher è diventato l’ultimo anello, il più brutale, della catena della precarietà”.
Il ministero de Lavoro: “La tracciabilità voluta da Renzi? Non basta e neppure funziona” – Anche il governo Renzi ha facilitato l’uso dei voucher, portando fino a 7mila euro (prima era 5mila) la cifra massima che una singola persona può recepire in voucher nell’arco di un anno. Non è stata variata, invece, la soglia dei 2000 euro che il singolo committente può pagare, in voucher, a ciascun collaboratore. Chi di quel governo ha fatto parte, però, rivendica un merito sostanziale. “Nel decreto correttivo sul Jobs Act abbiamo previsto rigorosi criteri di tracciabilità dei voucher”, ha dichiarato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti alla Camera il 21 dicembre scorso. Ma un profondo scetticismo, circa l’efficacia di queste misure, trapela dalle stesse stanze del ministero di Via Veneto. Paolo Pennesi, direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro, afferma che “questo tipo di tracciabilità non solo non risolve in alcun modo il problema dell’esplosione dell’uso dei voucher, ma non è efficace neppure per prevenire gli abusi. Perché potessimo verificare che il numero di ore pagate a voucher sia effettivamente quella comunicata tramite sms dai committenti, ci sarebbe bisogno – è il ragionamento di Pennesi – di controlli in tempo reale. Ma il numero esorbitante di tagliandi staccati ogni giorno c’impedisce di farli. E così per le aziende diventa sin troppo facile truccare i conti”.
A chi è convenuta la liberalizzazione? – Per capire in che modo le aziende hanno sfruttato le opportunità che venivano loro concesse dall’uso indiscriminato del voucher, la testimonianza di Giorgio (nome di fantasia) è illuminante. Giorgio è stato per anni direttore di vari punti vendita di Burger King in Lombardia, prima che il suo rapporto con l’azienda s’incrinasse irrimediabilmente. “Di fatto – racconta – dopo una prima fase di sperimentazione, ora l’uso dei voucher è pianificato in modo scientifico. Quando si organizzano i turni, si prevede che circa la metà del personale impiegato in ciascun punto vendita venga pagata coi voucher. Inoltre l’azienda – prosegue Giorgio – tende a utilizzare i voucheristi nei turni notturni o durante i festivi: quelli, cioè, in cui un lavoratore regolare costerebbe di più”. Una strategia adottata anche da gruppi importanti, come Carrefour, nel settore della grande distribuzione, soprattutto in Lombardia. Ad affermarlo è Marco Beretta, segretario della Filcams-Cgil di Milano, che afferma: “Il voucher consente che l’abbattimento dei costi del personale avvenga in modo perfettamente legale”.
Martelloni, che è professore di Diritto del lavoro all’Università di Bologna, non ha dubbi al riguardo: “È chiaro che le uniche ad aver gioito della liberalizzazione dei voucher sono state le imprese”. E l’allarme lanciato da Martelloni è condiviso anche da Pennesi. Che spiega: “Ingenuamente si pensava che il tetto dei 2mila euro avrebbe indotto le aziende ad un uso limitato del voucher, perché il dover rinnovare in continuazione il personale impedisce qualunque forma di fidelizzazione del proprio lavoratore. Ma le imprese ritengono così conveniente il voucher come strumento di abbattimento dei costi del lavoro, che accettano volentieri il rischio di avere impiegati meno specializzati”.
Prima e dopo i voucher: cos’è cambiato? – Gli stratagemmi per aggirare le norme esistevano ovviamente già prima dell’introduzione dei voucher. “I voucher hanno solo reso tutto più semplice”, sintetizza Martelloni. È avvenuto, ad esempio, nell’edilizia, come spiega Gabriele Rocchi, segretario della Fillea-Cgil di Milano: “In passato si è assistito alla proliferazione delle partite Iva. I committenti obbligavano i manovali a diventare dei finti lavoratori autonomi, con tutti i disagi del caso. Ora, più banalmente, alcuni di quei manovali vengono licenziati e costretti a tornare in cantiere come voucheristi”. Altro escamotage che è stato cannibalizzato dai voucher è quello dei contratti di apprendistato fittizi, che ponevano – a differenza del voucher – il problema del limite d’età del lavoratore: massimo 25 anni. “Il voucher – afferma Pennesi – ha sostituito forme di lavoro più strutturato, rendendole meno convenienti per i datori e meno raggiungibili per i lavoratori”. Per capire se tutto ciò possa avere ripercussioni pesanti sul lungo periodo, Martelloni offre una lettura di carattere storico: “Il voucher ha segnato il ritorno ad una concezione ottocentesca del rapporto tra datore e lavoratore, riproponendo la concezione del contratto di lavoro come un semplice scambio tra lavoro e moneta”.
“Tornare ai committenti privati? Al ministero se ne sta parlando. Vedremo” – Cosa si sta pensando, a Via Veneto, per porre rimedio a questa proliferazione incontrollata di voucher? “Una delle poche ipotesi davvero efficaci – racconta Pennesi – sarebbe quella di tornare a restringere l’uso dei tagliandi ai soli committenti privati”. Ma si tratta soltanto di un’ipotesi? “Diciamo che è qualcosa di cui negli ultimi giorni si sente parlare parecchio, per le stanze del Ministero”. E non solo in quelle stanze: sul tavolo della Commissione Lavoro di Montecitorio ci sono due proposte, avanzate dal Pd e da M5S, che tendono proprio a ridefinire il lavoro accessorio secondo la formulazione iniziale delle Legge 30 del 2003.
Una soluzione che, seppure tardiva, potrebbe trovare l’apprezzamento anche dei critici più feroci dei voucher, e in particolare della Cgil. Che la mossa sia dunque funzionale a depotenziare il rischio costituito dai referendum promossi dal sindacato guidato da Susanna Camusso? “Questo – si tira indietro Pennesi – non spetta a me dirlo. Mi limito a supporre che se restringessimo l’uso dei voucher ai committenti privati, forse anche la Cgil sarebbe un po’ più contenta”.
PROVERBIO CINESE della DINASTIA TAFANG - Quando i governi "libbberisti" saranno riusciti a portare il precariato ai massimi livelli, e i redditi da lavoro al livello del Bangladesh, gli "imprenditori" (absit iniuria verbis) scopriranno - ma sarà troppo tardi - che i loro costi di produzione saranno di gran lunga i più bassi d'Europa, ma che in parallelo sarà il più basso d'Europa anche il reddito pro-capite dei lavoratori, e che lorsignori potranno produrre a bassissimo costo solo roba da mettere nei magazzini... Amen
Scritto il 28 dicembre 2016 alle 18:32 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 27 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Quando cinquanta talenti di quella statura scompaiono tutti insieme dal patrimonio culturale del mondo, "la campana suona per tutti"... Le poche volte che abbiamo avuto la fortuna di ascoltarli dal vivo (a volte in compagnia del loro fantastico balletto), ci hanno sempre lasciato dentro emozioni, sorrisi, stupore, simpatia...
Scritto il 25 dicembre 2016 alle 16:49 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "AGNUS DEI" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Les Innocents
Regia: Anne Fontaine
Principali interpreti: Lou de Laâge, Agata Buzek, Agata Kulesza, Vincent Macaigne, Joanna Kulig – 115 min. – Francia, Polonia 2016.
Polonia – dicembre 1945 – Lo scenario è quello penoso che segue la fine di ogni guerra: il paese in rovina; ovunque la miseria; ovunque il dilagare della violenza dei vincitori, mentre torme di bambini orfani e cenciosi nel gelido e nevoso inverno di quell’anno cercavano di rimediare un po’ di cibo nelle prossimità delle abitazioni dei sopravvissuti. Le truppe di occupazione dell’Armata Rossa avevano fatto e continuavano a fare razzia degli averi e delle donne dei contadini, né avevano esitato a violare, ripetutamente, le suore che abitavano il convento isolato al di là del bosco. Sette suore erano state ingravidate durante quelle incursioni, mentre la badessa aveva contratto la sifilide: storie di ordinaria e orribile sopraffazione, purtroppo. Di quei giorni tremendi aveva tenuto il diario una dottoressa francese, incaricata, dalla Croce Rossa del suo paese, della cura e della riabilitazione dei soldati dell’Armée feriti: Madeleine Pauliac. Agli scarni appunti di quella giovane donna si ispira liberamente la regista Anne Fontaine, che nel film racconta quella vicenda di allora.
Colpisce in primo luogo il modo delicato e attento con il quale è ricostruita la terribile vicenda: col nome di Mathilde Beaulieu (ottima Lou de Laâge), la dottoressa è protagonista della storia narrata nel film, che è anche e soprattutto la storia del dialogo che a poco a poco si rende possibile fra chi come lei possedeva una visione laica e razionale del mondo e delle umane sorti, e chi, come le suore, viveva il proprio destino con mistica e rassegnata obbedienza a una regola rigidissima, non sempre sorretta da una fede incrollabile, che, anzi, spesso vacillava di fronte a efferatezze così crudeli da rendere insufficienti le preghiere.
Mathilde era venuta a conoscenza di quegli stupri essendo stata avvicinata da Suor Maria (Agata Buzek) che l’aveva invitata a soccorrere una consorella che stava per partorire. Il suo rifiuto iniziale aveva ceduto alla pietà, cosicché Mathilde si era introdotta di nascosto e di notte nel monastero dove, nella diffidenza generale, e nonostante l’aperta ostilità della badessa, aveva fatto la levatrice in un parto difficilissimo. Il suo ritorno regolare, per proseguire le cure alla neo-madre, aveva rotto il gelo della prima accoglienza; il suo deciso intervento in difesa di tutte quando ancora una volta i soldati russi erano entrati nel luogo consacrato, seminando terrore e panico, aveva creato i presupposti di un’amichevole accettazione del suo aiuto, durante tutta la gravidanza, affinché il parto di ciascuna di loro avvenisse nelle migliori condizioni di igiene e di sicurezza.
La situazione delle suore in attesa era oggetto di sofferenze indicibili, non solo fisiche, poiché la badessa (Agata Kulesza) aveva diffuso la convinzione che la profanazione del luogo e dei loro corpi fosse il segno di una maledizione divina che si era abbattuta sul monastero. Portatrice di una visione religiosa fanatica e integralista, la donna paventava lo scandalo che avrebbe, in ogni caso soffocato, a qualsiasi costo: perciò aveva provveduto personalmente ad allontanare i neonati abbandonandoli al loro destino, così come avrebbe voluto abbandonare al loro destino anche le poverette durante il parto.
Era nata a poco a poco, nonostante tutto, un’amicizia fiduciosa fra Mathilde e le monache, grazie alla quale era stata trovata anche la soluzione al problema dei neonati, certo non desiderati, ma innocenti e sicuramente degni di quella compassione che (in questo caso sotto la forma cristiana della carità) si deve a ogni essere umano in condizione di sofferenza.
Il film è bello, non solo per il modo dialettico e problematico col quale viene messo a confronto il mondo dei laici con quello dei credenti, ma anche per la capacità raffinata della regista di disegnare e rendere credibili, in un mondo che si suppone uniforme e incolore come quello di un monastero polacco, le diversissime individualità delle monache e le diverse sfumature della loro fede.
La bellezza del film, inoltre, si manifesta in modo davvero eccelso nelle immagini altamente suggestive del paesaggio innevato, dei boschi che delimitano la scena e che simbolicamente celano sotto il manto bianchissimo della neve, gli orrori del sangue versato, delle sopraffazioni e della lotta per la sopravvivenza delle creature viventi: quello stormo nero dei rapaci che accorrono a divorare il neonato ai piedi della croce, vale la visione del film. Sorvolo, invece sul romanzetto amoroso fra Mathilde e il medico ebreo, sopravvissuto alle deportazioni, non perché non presenti motivi di interesse, ma per la sua irrilevanza nel disegno complessivo del film.
Peccato che il solito titolo all’italiana tenga lontano dalla visione parecchi spettatori che potrebbero apprezzarlo (lo dico perché ne conosco qualcuno).
Angela Laugier
Scritto il 25 dicembre 2016 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Ascoltare Jimmy Heath, 93 anni, di cui almeno settanta spesi a suonare jazz "main stream" coi più grandi jazzisti del mondo, suonare "alla pari" con la giovanissima cilena Melissa Aldana, 28 anni, è qualcosa di commovente. Vuol dire che l'arte ha la capacità di colmare anche abissi demografici. Di Jimmy Heath non devo dirvi niente. Un'autentica leggenda del jazz, sulle scene da tre quarti di secolo, ha suonato con tutti, e la sua musica ha ancora la freschezza, la creatività, la fluidità, l'entusiasmo di quando Jimmy aveva l'età che ha oggi Melissa. Eppure fra i due c'è una grandissima "complicità" nel fraseggio, e una corrente di stima e simpatia reciproca visibile ad occhio nudo.
E' il mio piccolo omaggio di Natale agli amanti della Musica.
Tafanus
Scritto il 23 dicembre 2016 alle 23:51 | Permalink | Commenti (0)
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Anche quest'anno voglio ricordare gli amici del Tafanus che hanno voluto interagire con me, in accordo o in disaccordo con le mie opinioni, negli ultimi mesi dell'anno, sul blog e sui social (e in particolare su facebook, twitter, google+). Solo in questi ultimi tre mesi circa 400 persone hanno attivamente interagito con commenti, condivisioni, segnalazioni dei nostri post su altri siti. Siete tanti, e mi scuso in anticipo di quasi certe omissioni involontarie ed errori di battitura, ai quali sono abbonato.
Molti di voi ho avuto il piacere di conoscerli personalmente, con altri c'è stato uno scambio di opinioni - non sempre facile ma sempre utile. A tutti voi voglio augurare di trascorrere serenamente le feste, e di affrontare un 2017 più felice (non dovrebbe essere difficile) dell'anno appena trascorso.
Antonio Crea, alias "tafanus"
Scritto il 23 dicembre 2016 alle 23:23 | Permalink | Commenti (10)
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...parlando dei guai giudiziari della famiglia Renzi, i giornali di regime sono pieni dell'assoluzione di quest'anno di Tiziano Renzi dall'accusa di bancarotta fraudolenta della Chil srl. Per trovare il cursus honorum più ampio delle imprese di famiglia, cercando in rete, bisogna finire su un articolo di Panorama di due anni fa. Evidentemente per "Renzubblica & C." le storie della famiglia Renzi fanno notizia solo quando c'è un'assoluzione... Tafanus
Tiziano, il padre del premier indagato a Genova, non è un caso isolato. Altre imprese della famiglia hanno subito processi e multe (di Antonio Rossitto e Daniele Tronci - panorama.it)
Ha riunito i devoti iscritti nell’angusta sede del Pd a Rignano sull’Arno, in piazza XXV Aprile. Sulle scrostate pareti alle sue spalle, occhieggiavano i poster di Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer, illustri antenati dell’amato figliolo alla guida della sinistra italiana. Poi Tiziano Renzi, il pomeriggio del 16 settembre 2014, ha spiegato al gruppetto di concittadini accorsi che altro non poteva fare: dimissioni irrevocabili da segretario locale del partito. Quella mattina, la Guardia di finanza di Genova aveva bussato alla sua villa di Torri, in cima a una collina non distante, per consegnargli un avviso di proroga delle indagini. L’accusa: la bancarotta fraudolenta della Chil Post, l’ex società di famiglia che si occupava di marketing e distribuzione di giornali. Il padre del premier, a ottobre del 2010, ne aveva ceduto una parte alla Eventi 6: azienda che appartiene alle figlie, Matilde e Benedetta, e alla moglie, Laura Bovoli. Mentre il ramo secco, pieno di debiti e guai, passava a Gianfranco Massone, 75 anni: suo figlio, Mariano, è in affari con Tiziano Renzi da anni. Anche la carica di amministratore della Chil Post finiva a una vecchia conoscenza: Antonello Gabelli. Ma a febbraio del 2013, l’ex gioiellino di casa Renzi falliva. Portandosi dietro 1 milione e 200 mila euro di debiti. E tanti interrogativi a cui i magistrati genovesi, Nicola Piacente e Marco Airoldi, stanno tentando di rispondere.
Tiziano Renzi, con la baldanza trasmessa al figlio, ci ha scherzato su: "Finalmente mi hanno beccato!". Ha poi vergato una nota: "Alla veneranda età di 63 anni e dopo 45 anni di attività professionale, ricevo per la prima volta un avviso di garanzia…".
In realtà non si è trattato di un battesimo giudiziario. Tre aziende di famiglia, dal 2000 a oggi, sono state condannate sette volte, tra cause di lavoro e civili. Contributi non pagati, lavoro irregolare, licenziamenti illegittimi, danni materiali. Il curriculum delle imprese dei Renzi non è immacolato come il giglio amato da Matteo. Nomi, persone e situazioni si rincorrono nel tempo. I Massone e Gabelli, Pier Giovanni Spiteri e Alberto Cappelli: i rodati partner d’affari di Tiziano sbucano fuori un processo dopo l’altro. Per intrecciarsi con l’attualità: l’accusa di bancarotta fraudolenta.
I primi guai cominciano alla fine degli anni Novanta, a Firenze. Oltre alla Chil, coinvolgono la Speedy, di cui Tiziano Renzi ha l’80 per cento. Le due ditte fanno strillonaggio per il quotidiano La Nazione. Nella Chil anche il figlio, appena neolaureato, ha un ruolo determinante. Per stessa ammissione dell’interessato. Il 15 giugno 2004, eletto alla guida della Provincia di Firenze, l’ufficio stampa distribuisce la biografia del neopresidente: "Matteo Renzi ha fondato la Chil, di cui poi ha ceduto le quote, dove si occupa di coordinamento e valorizzazione della rete, nella gestione di oltre duemila collaboratori occasionali in tutt’Italia". Ed è proprio questo il versante che da subito diventa il più limaccioso
Lo "storytelling" di Matteo fondatore di aziende a 19 anni era stata già demolita dal Tafanus all'epoca della prima "Leopolda", tanto che "qualcuno" aveva cambiato in corsa, su Wikipedia, quella esilarante storia che non stava né in cielo, né in terra. Chi volesse confrontare le due versioni dell fantastica - o fantasiosa? - storia di "Matteo Fondatore", può confrontare le due versioni della biografica Wikipedia dell'enfant prodige "prima e dopo la cura" del Tananus SU QUESTO POST
Le prime condanne a Firenze per i contributi non versati - Il 25 maggio 1998 l’Inps, dopo una serie di accertamenti, multa la Speedy per 955 mila lire e la Chil per quasi 35 milioni di lire: l’accusa è di non aver pagato i contributi agli strilloni. Il 5 febbraio 1999 la Speedy, "rappresentata dal liquidatore Tiziano Renzi", e la Chil, "nella persona dell’amministratore Laura Bovoli", cioè la moglie, ricorrono contro l’ente previdenziale. Il contenzioso finisce al Tribunale di Firenze. Il 16 ottobre 2000 vengono respinte le istanze. Renzi e Bovoli dovranno rimborsare 5 milioni di lire all’Inps per le spese processuali. Nella sentenza, il giudice Giovanni Bronzini, ricostruisce: "Le due società si sono avvalse di collaboratori addetti alla vendita ambulante del quotidiano La Nazione. Questi si presentavano al mattino, circa alle ore 7.00, e ritiravano il quantitativo di copie che ritenevano di riuscire a vendere e quindi andavano a collocarsi in una zona della città a loro assegnata". A quelle riunioni, racconta Giovanni Donzelli, all’epoca studente, oggi consigliere regionale in Toscana con Fratelli d’Italia, si palesava anche il futuro premier: "Arrivava sul furgoncino bianco, da solo o con il padre, per consegnare i giornali e coordinare noi strilloni. Era come adesso: svelto, cordiale e brillante".
Il verdetto spiega pure come venivano contrattualizzati i collaboratori: "Sottoscrivevano un modulo-contratto, nel quale la loro prestazione era definita di massima autonomia" dettaglia il giudice Bronzini. "Ma il contributo è sicuramente dovuto. I venditori ambulanti sono da considerarsi collaboratori coordinati e continuativi". I Renzi non la pensavano così: nessun contratto, contributo o tfr. Il parallelo con le polemiche di questi giorni sulla riforma del mercato del lavoro è inevitabile: pure da giovane imprenditore, Matteo Renzi sperimentava massima flessibilità occupazionale. E negli anni a cui si riferiscono le multe dell’Inps, già selezionava e gestiva i collaboratori.
Andrea Santoni, commerciante fiorentino, 36 anni, venne arruolato nell’estate del 1996: "Un’amica mi parlò della possibilità di fare qualche soldo" ricorda con Panorama. "Suggerì di chiamare Matteo. Così feci. Disse di raggiungerlo a Rignano, nella sede della ditta. Lì spiegò come funzionava il lavoro. I pagamenti erano in contanti, in base ai quotidiani venduti. Non mi fece firmare nulla. Né io chiesi niente, del resto". Il 5 febbraio 2002 la Corte d’appello di Firenze conferma la sentenza di primo grado: i contributi dovevano essere versati. Viene smontato anche l’ultimo baluardo difensivo in cui si sosteneva che i venditori non avevano diritto al contratto perché il loro lavoro non era costante. "La continuità dell’impegno dei circa 500 strilloni emerge indiscutibilmente" sottolinea invece il giudice. L’appello della Speedy e della Chil è dunque respinto. La parola definitiva la scrive la Cassazione il 28 settembre 2004: il ricorso dei Renzi è privo di fondamento.
Le grane genovesi - A dispetto però delle tre sentenze sfavorevoli, la gestione dei collaboratori non sembra variare. Agli inizi del 2000, ormai defunta la Speedy, la Chil aveva cominciato a occuparsi della consegna notturna del Secolo XIX a Genova. Ma anche le attività imprenditoriali sotto la Lanterna hanno riverberi processuali. Che sfoceranno il 19 giugno 2013 in una doppia condanna del Tribunale di Genova per due diverse cause intentate da ex portatori di giornali. Nella prima, il giudice Enrico Ravera obbliga la Chil post, nata nel frattempo dalle ceneri della Chil, a risarcire, in solido con la Eukos distribuzioni, a cui aveva affidato un subappalto, Maurizio L. M., impiegato tra il 2005 e il 2006.
Ed è qui che vecchie carte processuali cominciano a intersecarsi con l’inchiesta genovese. Tra i soci della Eukos, fallita a luglio del 2012, c’è pure Giovanna Gambino, compagna di Mariano Massone, oggi indagato assieme a Tiziano Renzi per bancarotta fraudolenta. La maggioranza delle quote è di Alberto Cappelli, 65 anni, di Acqui Terme. Tra le sue cariche c’è anche quella di amministratore della Mail service, fallita nell’ottobre del 2011. L’ennesima bancarotta della stessa compagnia di giro su cui stanno indagando i magistrati. Cappelli, infatti, aveva ereditato il timone della Mail service da Massone, tre anni addietro. Che a sua volta aveva sostituito Tiziano Renzi: amministratore per due anni, dal febbraio del 2004 allo stesso mese del 2006. Una catena che ricorda il fallimento della Chil post, ceduta da Renzi a suoi sodali in affari prima dello sfacelo.
I magistrati ipotizzano che i Massone, Gabelli e Cappelli siano delle teste di legno. Caronte che avrebbero traghettato queste imprese da un inferno finanziario all’altro. In cambio di cosa? E le controversie giudiziarie hanno contributo alla decisione di sbarazzarsi delle aziende? A Chil post ed Eukos l’ex collaboratore Maurizio L.M. aveva chiesto un sostanzioso risarcimento per "differenze retributive, ferie, permessi, mancati riposi e preavvisi". Assicurando "di aver reso le suddette prestazioni in regime di subordinazione, pur non regolarizzato". Tecnicismi a parte, un classico caso di lavoro nero. Perché, spiega il giudice, «l’attività svolta dal ricorrente deve considerarsi di lavoro subordinato». Chil post ed Eukos vengono dunque condannate.
Lo stesso giorno della sentenza, il 19 giugno 2013, il Tribunale di Genova affronta una causa analoga. Che si conclude con una nuova pena inflitta alla Chil post: il pagamento, sempre in solido con la Eukos, di 4.684 euro a Manuel S., in servizio dal 2001 al 2005 [...]
La causa per licenziamento illegittimo - La Chil e la Speedy non sono tra l’altro le uniche aziende di famiglia a essere rimaste invischiate in contenziosi. C’è un’altra srl, la Arturo, ad avere creato patemi processuali. Fondata all’inizio del 2003 da Tiziano Renzi, che detiene il 90 per cento delle quote. Oggetto sociale: produzione di pane e panetteria fresca. Eppure a Genova, all’inizio del 2007, la Arturo si occupa di retribuire chi distribuisce Il Secolo XIX. Come Omoigui E., un nigeriano, impiegato nelle consegne notturne dall’ottobre 2001 ad aprile 2007. Solo il 7 febbraio 2007 è però assunto come co.co.co. a progetto dalla Arturo, amministrata da Tiziano Renzi fino al 20 marzo dello stesso anno. Giorno in cui, al suo posto, entra in carica Pier Giovanni Spiteri, amico e sodale di una vita. Il 13 aprile 2007 Omoigui E. viene allontanato. A ottobre l’amministratore della Arturo diventa Antonello Gabelli, pure lui indagato per bancarotta fraudolenta della Chil post. La vita imprenditoriale della Arturo sarà ancora breve. Il 18 aprile 2008 finisce nelle mani del liquidatore: Tiziano Renzi.
L’azienda viene comunque denunciata da Omoigui E. Il 20 settembre 2011 è condannata dal Tribunale di Genova a pagare 85.862 euro per il suo licenziamento illegittimo: "Privo della forma scritta, intimato oralmente, comporta l’assoluta inefficacia dello stesso" scrive il giudice, Margherita Bossi. Al nigeriano sono riconosciuti anche 3.947 euro. Quasi 90 mila euro, in totale, che probabilmente non vedrà mai. Come del resto i suoi ex colleghi usciti vittoriosi dal tribunale. Una sequela di fallimenti ha spazzato via ogni pretesa risarcitoria. Un epilogo che non ha sorpreso né querelanti né tantomeno avvocati. Già il giudice Bossi aveva bacchettato il "comportamento processuale" della Arturo e della Eukos: "I cui legali rappresentanti neppure si sono presentati a rispondere all’interrogatorio formale, senza addurre alcuna giustificazione" sferza il giudice. Aggiunge il magistrato: "Arturo srl, rimanendo contumace, è rimasta inadempiente al proprio onere probatorio". Compito che sarebbe spettato al liquidatore della società: Tiziano Renzi.
Quel prestito da mezzo milione di euro - I nuvoloni di questi giorni sono però ben più densi. Il sospetto dei magistrati è che la Chil post, l’8 ottobre 2010, sia stata svuotata della polpa con la cessione di un ramo d’azienda alla Eventi 6, gestita dalla madre e dalle sorelle del premier. Valore della compravendita: appena 3.878 euro. Anche se il bilancio del 2009 era stato chiuso con 4,5 milioni di fatturato e quasi 36 mila euro di utili. Il 14 ottobre del 2010, sei giorni dopo la cessione, quel che resta della Chil post viene venduto a un eterodiretto ultrasettantenne, Gianfranco Massone, per 2 mila euro. E l’amministratore diventa Gabelli. La società finisce rapidamente nel camposanto dei fallimenti. È il febbraio del 2013. Un anno più tardi la Procura di Genova indaga Renzi, i Massone e Gabelli per bancarotta fraudolenta.
Tra i debiti mandati al macero spicca quello con la Banca di credito cooperativo di Pontassieve: quasi mezzo milione di euro. Presidente dell’istituto è Matteo Spanò, baldo quarantenne, fraterno amico del presidente del Consiglio. Un debito che la Chil post si portava dietro da anni. La nota integrativa al bilancio 2010 dettaglia: al 31 dicembre del 2009 era di quasi 191 mila euro. Nell’esercizio seguente sale a 259 mila euro. Poco più avanti, il 21 maggio del 2011, Spanò, dal 2008 nel cda della banca, diventa presidente. Qualche mese dopo, il debito finisce a Massone assieme alla Chil. Riappare a maggio del 2013, nell’elenco dei creditori stilato dal curatore fallimentare: 496.717 euro. Tiziano però assicura di essere sereno. La mattina di lunedì 22 settembre, passato qualche giorno dalla proroga delle indagini, il cielo di Pontassieve era terso. Intorno alle nove, davanti alla sede del Credito cooperativo in piazza Cairoli, Tiziano Renzi parlottava e rideva con Spanò e altri due dirigenti della banca. Lo sguardo era il solito: spavaldo e sicuro. Per ricordare a tutti chi è il padre di cotanto figlio.
(di Antonio Rossitto e Daniele Tronci)
Come è noto, il 30 luglio di quest'anno, mentre il figliolo di Tiziano sembra avviato verso "magnifiche sorti e progressive", l'accusa più grave - quella di "bancarotta fraudolenta" - viene archiviata (certamente una pura coincidenza, che però non convince tutti...) Resta una scia di danneggiati che, grazie ai giochini societari della famiglia, si vedono riconosciuti risarcimenti (a volte per 90.000 euro) sui quali possono mettere una croce sopra: non li vedranno MAI. Che sia nato anchde da questi episodi l'amore sfrenato del figliolo Matteo per le più orrende forme di precariato? La parola "vouchers" ricorda qualcosa? ricorda qualcuno?
Tafanus
Scritto il 23 dicembre 2016 alle 16:31 | Permalink | Commenti (0)
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Favoreggiamento e rivelazione di segreto contestati al braccio destro di Renzi. La caccia alle cimici ha allertato gli investigatori (di Marco Lillo - Il Fatto)
Luca Lotti è indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento nell’ambito dell’indagine avviata dalla Procura di Napoli sulla corruzione in Consip. Il fascicolo contenente le ipotesi di reato sulle fughe di notizie è stato stralciato dal filone principale sulla corruzione (che vede indagati Alfredo Romeo e il dirigente della Consip Marco Gasparri) ed è finito a Roma per competenza territoriale. A decidere il destino dell’uomo più vicino al segretario del Pd ora sarà il procuratore Giuseppe Pignatone.
Il braccio destro di Renzi, già sottosegretario alla Presidenza del consiglio, attuale ministro allo sport e aspirante alla delega sui servizi segreti con Gentiloni, è indagato a seguito delle dichiarazioni del suo amico Luigi Marroni. L’ex assessore alla sanità della Regione Toscana, promosso da Renzi a capo della Consip, nel suo esame come persona informata dei fatti, ha tirato in ballo anche il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, comandante della Legione Toscana, indagato per le stesse ipotesi di reato.
A far partire gli accertamenti che hanno portato a indagare tre persone, oltre a Lotti e Saltalamacchia c’è anche il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette, è stata una bonifica contro le microspie. L’amministratore della Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana, Luigi Marroni, poche settimane fa incarica una società di rimuovere eventuali cimici dai suoi uffici. La caccia va a segno. Le microspie vengono rimosse, Marroni e compagni azionano mentalmente il rewind, cercano di pensare a discorsi, incontri e parole dette.
Martedì i carabinieri del Noe e i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Napoli entrano in via Isonzo per acquisire i documenti in Consip per l’inchiesta relativa al più grande appalto in corso in Europa, il facility management 4, una torta enorme da 2,7 miliardi di euro divisa in lotti, tre dei quali prossimi a finire anche alle società di Alfredo Romeo. Lo stesso giorno i pm Henry John Woodcock, Celeste Carrano ed Enrica Parascandolo sentono a sommarie informazioni anche l’ad Marroni: all’inizio minimizza, ma quando intuisce che i pm potrebbero avere elementi precisi, grazie a pedinamenti e intercettazioni ambientali, fa i nomi.
Dice di avere saputo dell’indagine dal presidente di Consip Luigi Ferrara che a sua volta era stato informato dal comandante Tullio Del Sette. Poi aggiunge altri nomi. I più importanti sono Lotti e il generale Emanuele Saltalamacchia, suoi amici. Entrambi lo avrebbero messo in guardia dall’indagine che ora si scopre essere imbarazzante per Tiziano Renzi. Entrambi sono amici di Matteo Renzi. Entrambi sono indagati. Sembra difficile immaginare una corsa a chi avvertiva la Consip dell’indagine. Stiamo parlando del comandante e di uno dei generali più stimati del Corpo, oltre che del sottosegretario più vicino all’ex premier, l’uomo incaricato di tenere per lui i rapporti più delicati con le forze di polizia. Sembra davvero difficile immaginarli intenti a svelare il segreto di un’indagine. Però la bonifica c’è stata ed è andata a segno.
L’indagine richiederà alla Procura di Roma estrema cautela. Il ministro Luca Lotti alla specifica domanda: “Ha mai parlato dell’esistenza di un’indagine su Consip con Marroni?”, ci ha risposto con un secco: “No”. Il comandante della Legione Toscana Emanuele Saltalamacchia (già in corsa per diventare numero due dei Servizi segreti Aisi, stimato da Renzi che lo ha conosciuto da sindaco quando era comandante provinciale a Firenze), contattato dal Fatto, non rilascia commenti. Dando per scontata la medesima risposta (“nessuna soffiata”) si pone un bivio logico.
Marroni potrebbe anche avere travisato le frasi dei suoi interlocutori o potrebbe ricordare male. Come si spiega, però, il suo ritrovamento delle cimici dopo i colloqui con gli amici toscani? In questa storia le cose sono due: o Marroni ha capito male ed è stato molto “fortunato” a pescare le cimici o qualcuno mente.
In questa seconda ipotesi la domanda a cui dovrà rispondere il procuratore Pignatone è: perché tante persone così vicine a Renzi erano così allarmate per l’indagine sulla Consip? L’ipotizzato favoreggiamento di Lotti e dei carabinieri chi voleva favorire?
L’indagine che potrebbe essere stata danneggiata dalle presunte soffiate vede al centro Alfredo Romeo, imprenditore napoletano, finanziatore nel 2012, con contributi leciti, della Fondazione di Matteo Renzi. L’inchiesta però riguarda anche, in posizione molto più defilata, un imprenditore 33enne di Scandicci di nome Carlo Russo. Russo, secondo quanto risulta al Fatto, è in stretti rapporti con Romeo e ha incontrato sia l’amministratore di Consip Luigi Marroni sia Tiziano Renzi. Proprio il suo ottimo rapporto con il babbo dell’allora premier potrebbe avere indotto l’amministratore di Consip a incontrarlo.
Tiziano Renzi non è indagato. Luca Lotti e compagni sono innocenti fino a prova contraria. Però resta una domanda: Marroni è amico dei Renzi, padre e figlio; perché l’amministratore di una società nominato dal governo Renzi dovrebbe accusare gli amici di Matteo Renzi di avergli rivelato l’esistenza di un’indagine nelle cui carte potrebbero esserci elementi imbarazzanti su Tiziano Renzi? Anche a questa domanda dovranno rispondere i pm romani.
Scritto il 23 dicembre 2016 alle 15:22 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 23 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Dopo le frasi contro i giovani emigrati, richiesta di dimissioni presentata dal M5S, Si e Lega. Critici anche i giovani del Pd. Intanto Manuel si difende: "Sui fondi mio padre non c'entra" (Fonte: notizie.tiscali)
Una mozione di sfiducia contro il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, è stata presentata in Senato. A firmarla i senatori di Sinistra italiana, del M5S, della Lega e di alcuni senatori del Gruppo Misto. Il Ministro - si legge nella mozione - "ha nelle ultime settimane dato riprova di un comportamento totalmente inadeguato al suo ruolo, esprimendosi in più di un'occasione con un linguaggio discutibile e opinioni del tutto inaccettabili". Il figlio Manuel nella bufera
Una bella coppia: il Ministro Poletti e il figlio
In particolare a risultare piuttosto fastidioso è stato lo scivolone del ministro del Lavoro sui giovani italiani che emigrano. "Conosco gente che è bene non avere tra i piedi", aveva detto tirandosi dietro la censura collettiva. Polemica a cui hanno fatto da cassa di risonanza i social e che continua alla luce della vita lavorativa del figlio del ministro, Manuel. Il quale dirige il Sette Sere Qui, settimanale che copre i territori di Faenza, Lugo, Ravenna e Cervia. L'editore è una delle tante coop dell'Emilia Romagna la Cooperativa giornalisti "Media Romagna" che ha dieci soci e Manuel Poletti nel ruolo di presidente. Ebbene: nel 2015 il giornale diretto da Poletti Jr ha incassato ben 190 mila euro di fondi pubblici grazie ai finanziamewnti per l'editoria.
I social hanno fatto da perfetta cassa di risonanza per le vicende di un ministro che da una parte denigra chi è costretto a emigrare per cercare lavoro e dignità e dall'altra ha un figlio che conduce facile vita lavorativa. Accedendo ai fondi pubblici appunto.
Il contributo non rimane isolato. Perché in un triennio il periodico Sette Sere Qui ha intascato ben 521.598 euro versate dalle casse pubbliche. Manuel, come il padre, ha costruito la sua vita lavorativa all'interno di Lega Coop Romagna, di cui Giuliano, prima di diventare titolare di uno dei ministeri chiave (sua la riforma che cancella l'art. 18, chiamata Jobs Act) era presidente nazionale. Come evidenziato da Italia Oggi, Manuel Poletti oggi guida anche il network Treseiuno sostenuto da un'associazione di imprese nei settori della comunicazione e dell'informatica.
Poletti figlio si difende: "I soldi pubblici? Mio padre non c'entra" - In un'intervista al Fatto Quotidiano, Manuel difende suo padre. "Non l'avrei detto in questi termini - assicura Manuel riferendosi alle parole pronunciate dal padre sui giovani emigrati italiani -. (Condivido) il significato, sì. Le parole usate, no. Non è automatico considerare un cervello in fuga chi va all'estero e un mediocre chi decide di restare in Italia", spiega bocciando la sortita nei modi ma non nel merito. E spiega che i soldi pubblici incassati attraverso la legge sull'editoria sono arrivati "rispettando la legge", nonostante il sistema sia criticabile. Il governo, ha detto il 42enne, "ha gestito il fondo con tagli retroattivi, dopo che nel 2012 la riforma Peluffo aveva già ridotto giustamente le risorse cambiando i criteri". In relazione alla pubblicità che la sua società raccoglie, il giornalista professionista nega che i proventi siano facilitati dal fatto che il padre sia ministro. "Abbiamo 250 inserzionisti che comprano i servizi redazionali o la pubblicità tabellare", spiega. E aggiunge: "Non credo che mio padre abbia mai influenzato la mia attività" .
Anch'io voglio "non credere" che il milione di lire al giorno per tre anni incassati da Manuel Poletti per il suo giornaletto non abbia niente a che vedere col mestiere del padre. Non ci credo, e così anch'io posso sperare. Visto che secondo Alexa il Tafanus è posizionato, nel ranking nazionale e mondiale, molto meglio del giornaletto di Manuel Poletti (vedi screen-shots in calce), in rapporto alla miglior classifica, posso sperare di vedermi assegnare 2,5 milioni di lire al giorno per tre anni? E' questo, infatti, il rapporto fra Tafanus e Settesere. Quindi "presenterò istanza" (si dice così?) al Ministro Poletti affinchè anch'io possa "godere delle provvidenze".
Tafanus
Scritto il 22 dicembre 2016 alle 00:23 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 20 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Che Renzubblica stia rinsavendo? O che l'editore cominci seriamente a pensare che da Renzi-fine-corsa non può aspettarsi niente, e quindi può tornare a fare un giornale non sdraiato? Questa l'analisi di Stefano Folli, che a dire il vero anche nel periodo del più becero "sdraiamento" di Renzubblica si è spesso distinto per aver conservato un minimo di indipendenza di giudizio. Tafanus
Un leader, Renzi, che ha in mano una sola carta da giocare, se ci riesce: le elezioni entro cinque-sei mesi al massimo, con una legge ancora tutta da definire e da approvare in Parlamento. Si potrebbe continuare, nella cronaca di una giornata non proprio trionfale per l'ex presidente del Consiglio. Bisogna infatti distinguere fra gli applausi al capo carismatico e lo spessore del dibattito; fra il desiderio di voltare pagina nel dopo referendum e la difficoltà di analizzare quello che è realmente successo il 4 dicembre; fra la necessità per Renzi di coinvolgere Franceschini e altri nella gestione del partito («d'ora in poi convocherò la segreteria») e la fatica di deporre la stella dello sceriffo solitario. È dentro questa cornice che la platea ha ascoltato una specie di autocritica che tale era solo in minima parte. Certo, il tono del segretario-ex premier era diverso e più conciliante rispetto al passato. Tuttavia ciò era inevitabile date le circostanze e considerato l'accordo interno da cui è nato il governo Gentiloni. Quel governo in cui, sul piano del potere, Renzi è riuscito a ottenere quasi tutto quello che voleva, tranne la delega per i servizi di sicurezza. Almeno finora.
Se dunque si fa eccezione per lo stile del discorso, meno veemente del consueto, e per l'apertura a favore del Mattarellum — una mossa attesa e come previsto gradita alla minoranza — non si può dire che ieri sia nato un altro Renzi. È il medesimo personaggio ben conosciuto, con i suoi pregi e i suoi difetti, con la sua energia vitale e le sue astuzie. Semmai gli si può riconoscere un maggiore autocontrollo e un cambio di passo tattico di cui non tutti lo credevano capace. Ma la sua autocritica, a voler essere sintetici, si può riassumere così: ho sbagliato e ho perso, anzi "straperso", perché non mi sono fatto capire dagli italiani. Ovvero: perché la comunicazione del governo era carente rispetto all'aggressiva campagna degli altri, il fronte eterogeneo del "No". Per essere più precisi: abbiamo perso perché non abbiamo saputo usare il "web" e ci siamo arresi alle "bufale" diffuse via internet dagli avversari.
Non è tutta qui l'analisi renziana, ma nella sostanza non c'è molto di più. Si comprende allora che c'è molto da riflettere sulla sconfitta del 4 dicembre, sul perché il Sud e i giovani hanno detto no. Altro che "web". Del resto, il segretario è oscillante. Dice di aver perso, ma poi precisa: «Pensavo di prendere 13 milioni di voti, invece ne ho presi 13 milioni e mezzo»: purtroppo l'affluenza è stata talmente alta che l'onda anomala del "No" ha travolto gli argini. Qui lo sforzo autocritico del leader sembra davvero arenarsi. Perché si limita a chiosare: «non ho compreso la politicizzazione del voto». Come se la responsabilità fosse tutta dell'accozzaglia del "No" — secondo la celebre definizione — e non del tentativo di Palazzo Chigi di trasformare fin dall'inizio il referendum in un plebiscito: o con me o contro di me.
Ne deriva che l'autocritica di Renzi sarebbe stata molto più convincente se si fosse addentrata nella vera contraddizione di quei sette mesi di campagna elettorale: credere che l'Italia descritta sulla via della ripresa a tutti i livelli, socialmente coesa e ottimista sotto la guida del leader, fosse quella vera. Solo in quel caso avrebbe avuto un senso, sia pure assai discutibile, la logica del plebiscito. Ossia una mera verifica della straordinaria popolarità del capo. Viceversa l'epica renziana andava in una direzione mentre il paese arrancava in un'altra. Forse nemmeno il generale De Gaulle, uno che pure amava i plebisciti, si sarebbe azzardato a organizzarne uno in anni di "crescita zero". Il popolo, quando viene chiamato in causa, merita di essere ascoltato e non solo utilizzato. Altrimenti si finisce per dar ragione all'ironia di Brecht, quando ammoniva i dirigenti della Germania Est che «se il comunismo non va bene per il popolo, bisogna cambiare il popolo».
Stefano Folli - Repubblica del 19/12/2016
Scritto il 19 dicembre 2016 alle 23:03 | Permalink | Commenti (9)
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Il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti ha chiesto all’intera minoranza del PD di uscire dal Partito Democratico. Bersani, Cuperlo, Fassina e D’Attore, oltre al classico dissidente Civati, sono stati invitati dall’ex radicale, ex verde, ex rutelliano e ora renziano Giachetti a seguire logica e serietà e andarsene dal PD cercandosi un nuovo partito. ” Se la politica fosse ancora una cosa seria, nel momento in cui sei continuamente contro il tuo partito, logica e serietà vorrebbero che uscissi”. Giachetti, nell’intervista muscolare concessa a “La Stampa” di lunedì 2 marzo 2015, rimarca come le perplessità di Bersani sulla convocazione dei gruppi parlamentari di Matteo Renzi in sede al Nazareno siano una “cazzata sequispedale”.
Il vicepresidente della Camera accusa poi il segretario e presidente del Consiglio di concedere troppo alla minoranza del PD, con mediazioni che hanno sensibilmente peggiorato la legge elettorale così come le riforme costituzionali. Considerazioni svolte in base alla notoria e approfondita conoscenza di temi istituzionali che ha sempre caratterizzato il percorso politico di Giachetti. Il vicepresidente della Camera reitera poi la sua richiesta di tornare al voto, vista la mancanza di lealtà di un gruppo parlamentare che al momento ha sostenuto praticamente ogni iniziativa del governo Renzi, dopo aver incolpato Bersani e la passata maggioranza del PD per l’alleanza con formazioni del centrodestra.
Scritto il 19 dicembre 2016 alle 13:05 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 19 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "Sully" (di Angela Laugier)
Regia: Clint Eastwood
Principali interpreti: Tom Hanks, Aaron Eckhart, Laura Linney, Anna Gunn, Autumn Reeser, Sam Huntington, Jerry Ferrara, Holt McCallany, Lynn Marocola, Chris Bauer, Max Adler, Valerie Mahaffey, Denise Scilabra, Inder Kumar, Tracee Chimo – 95 min. – USA 2016
Non è facile a quanto pare andare in pensione negli States: dopo anni di onoratissima carriera non ci va Woody Allen né ci va Clint Eastwood; i due infaticabili registi, anzi, mettono fuori, più o meno ogni anno, il loro bravo film, quasi sempre di buona fattura e dignitoso. Ci vorrebbe andare, invece, il pilota Chesley Sullenberger, “Sully”per gli amici, che dopo 42 anni di onorato servizio alla guida dei caccia americani, era passato all’aviazione civile, avendo ancora bisogno di lavorare per pagare il mutuo dopo l’acquisto della casa. Sully, purtroppo, aveva rischiato seriamente di perdere quel lavoro e anche la pensione, perché la sua compagnia aerea stava mettendo in dubbio la correttezza del suo comportamento in volo quando, nel gennaio del 2009, egli aveva portato in salvo 155 persone che viaggiavano sull’aereo a lui affidato, dopo che lo scontro con uno stormo di oche aveva privato il velivolo dei due motori, durante la fase di decollo. Partito dall’aeroporto La Guardia (uno degli scali di NewYork) e diretto verso il North Carolina, Sully aveva presto constatato l’impossibilità di qualsiasi atterraggio d’emergenza tornando al La Guardia o puntando verso altri aeroporti, troppo lontani in quelle condizioni e aveva rapidamente deciso di tentare un ammaraggio disperato nelle acque gelate del fiume Hudson, che lambisce la costa occidentale di Manhattan, scommettendo sulla sua riuscita e sperando nella rapidità dei soccorsi.
Immediatamente esaltato come un eroe dalla stampa e dalla televisione dell’epoca, Sullenberger era diventato presto oggetto di dubbi e insinuazioni da parte della National Transportation Safety Board, che, anche su pressione delle compagnie di assicurazione, aveva immediatamente avviato un’indagine cercando di imputargli la perdita di un velivolo ormai inservibile e opponendo ai suoi argomenti le prove di simulazione con il computer. Lontano dagli affetti familiari, isolato dall’opinione pubblica dopo che molti giornali e reti televisive avevano deciso di cavalcare lo scandalo e il sospetto, Sully aveva dalla sua, oltre al co-pilota che aveva con lui vissuto lo stesso dramma, uno sbiadito sindacalista e l’avvocato difensore. Era stata però la sua accorata e lucida difesa delle ragioni umane contro le simulazioni che non ne avevano tenuto conto ad avere la meglio e a permettergli di ottenere il riconoscimento pieno dei suoi meriti.
Il film, ricostruendo un fatto di cronaca con fedeltà e asciuttezza giornalistica, riserva gli effetti speciali esclusivamente per lasciarci immaginare quali potessero essere gli incubi terribili che avevano accompagnato i giorni dell’inchiesta, nel lodevole intento di far parlare i fatti sufficientemente drammatici di per sé per aver bisogno di un racconto a tinte più forti e soprattutto più false. Il tormento del pilota, rimosso in quei drammatici minuti, ricompare in forma allucinatoria durante le notti insonni in cui i fantasmi dell’11 settembre sembravano rivivere, prospettando scenari di schianto contro i più famosi grattacieli della metropoli, con un utilizzo sobrio e appropriato degli effetti di simulazione, del tutto giustamente abbandonati nella narrazione “storica” degli eventi. Il risultato è quello di un racconto fluido e contenuto nei canoni classici e composti dei film di Eastwood, sdrammatizzati ulteriormente dall’ironia del co-pilota e dalle scene finali che accompagnano i titoli di coda e che, mostrandoci il vero Sully, circondato dalla famiglia sorridente, ci fa penetrare in quella normalità della middle-class americana per la quale eroismo significa senso del dovere e fiducia nella capacità della società americana di trovare nel momento del pericolo la massima solidarietà collettiva. Null’altro, quindi che la riproposizione della weltanschauung sottesa ai migliori (e anche ai meno convincenti) film di Eastwood: siamo pur sempre nel migliore dei mondi possibili! Splendide interpretazioni di Tom Hanks e di Aaron Eckhart, il co-pilota. Film da vedere.
QUI se volete approfondire, potete trovare tutte le notizie sui fatti del 2009 e sul coraggioso Sullenberger, oltre che qualche intervista e qualche divertente curiosità.
Angela Laugier
Scritto il 18 dicembre 2016 alle 13:51 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 18 dicembre 2016 alle 00:15 | Permalink | Commenti (0)
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PREMESSA - Come ho scritto ieri, ho trovato - e continuo a trovare - sconcertante il fatto che la SRU (Stampa Renzina Unificata), a cominciare da Renzubblica e "giù per li rami", stia dedicando le sue articolesse ai sindaci nella bufera della Capitale Politica e della Capitale Immorale in un rapporto di dieci a uno a Virginia Raggi e Giuseppe Sala.
Diciamola tutta: sono entrambi impresentabili, e dovrebbero dimettersi in mezz'ora (altro che "autosospensione"... istituto inesistente in natura). E completiamo il quadro con alcune considerazioni:
Quindi, PER PIACERE! continuiamo pure a distruggere la Raggi. Se lo merita. Ma non dimentichiamoci che qualora venissero accertati i fatti di cui è sospettato Sala, ci troveremmo di fronte ad una fattispecie ben più grave e devastante di quelle imputate alla Raggi: reati "in proprio", e non tolleranza incomprensibile di "reati altrui".
Diciamolo: a Milano l'errore iniziale è stato di tale Matteo Renzi, che non ha trovato niente di meglio da fare che candidare a Sindaco "'de sinistra" di Milano un emerito rappresentante della categoria "Franza o Spagna", che passa con bella disinvoltura da dipendente di Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti Viendalmare a dipendente di Matteo Renzi. Se Sala ha la coscienza a posto, la smetta con questa pagliacciata inesistente dell'"autosospensione", che a noi malpensanti suona molto di ricatto alla magistratura; se invece sa di avere qualche scheletro nell'armadio, si dimetta e basta. Non ci sono altre alternative praticabili.
...Franza o Spagna, purché se magna...
E ritorniamo alla domanda iniziale, alla quale tentiamo di rispondere con l'articolo di Govianni Barbacetto, che lodevolmente cerca di entrare - rara avis - nel merito delle faccende di Sala, anzichè attardarsi nell'analisi della filosofia dell'autosospensione...
Giuseppe Sala indagato, i fatti erano noti. Perché candidarlo sindaco? (di Gianni Barbacetto)
Dunque Giuseppe Sala è indagato. Per il più grosso degli appalti Expo, quello della “piastra” su cui è stata costruita tutta l’esposizione (base d’asta: 272 milioni di euro). Le accuse sono note da anni, erano già state formulate durante un’inchiesta della Procura di Milano del 2014. Per riuscire a ogni costo a finire in tempo i lavori, Sala non ha annullato la gara, vinta nel 2012 dalla Mantovani in modo anomalo, con un ribasso del 42 per cento, offrendo una cifra che “non era idonea neppure a coprire i costi”, annotavano i pm nella loro richiesta d’archiviazione, segnalando anche “numerose anomalie e irregolarità amministrative”, sia nella “scelta del contraente”, sia “nella fase esecutiva”.
Per non far saltare la gara, Sala avrebbe anche falsificato una data, retrodatandola. E poi avrebbe “aggiustato” con la Mantovani le cose: avevano vinto il 3 agosto 2012 offrendo soli 165,1 milioni. Il commissario si accorda concedendo alla Mantovani prezzi più alti per nuovi lavori aggiuntivi, in modo da compensare il mega-ribasso iniziale. Per esempio, i 6mila alberi di Expo, comprati in un vivaio a 266 euro l’uno, sono stati pagati da Sala alla Mantovani 716 euro l’uno. Con un contratto affidato nel luglio 2013, senza gara, all’impresa per un importo di 4,3 milioni; la Mantovani nel novembre successivo stipula un contratto di subfornitura con un’impresa vivaistica per 1,6 milioni.
L’inchiesta della Procura di Milano rileva tutte queste anomalie, ma è azzoppata dallo scontro tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. Bruti Liberati aveva avocato ogni inchiesta sull’Expo, costituendo una “Area omogenea Expo” di cui aveva assunto personalmente il coordinamento, esautorando Robledo. Quella struttura organizzativa era poi stata dichiarata non legittima.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, a cose fatte, ringrazierà Bruti per la sua “sensibilità istituzionale”. Ma quando nel 2016 la Procura chiude l’indagine e chiede l’archiviazione, prima il gip Andrea Ghinetti non l’accetta, poi la Procura generale avoca l’inchiesta e chiede altri sei mesi per indagare, iscrivendo anche Sala tra gli indagati.
Fatti minori, si difende Sala, compiuti “in buona fede” per finire i lavori in tempo per aprire Expo. Se anche fosse così, resta da spiegare perché il commissario Expo che aveva forzato le norme e aggirato le regole sia poi stato candidato sindaco: mettendo a rischio Milano e la sua amministrazione e provocando l’attuale crisi istituzionale.
(di Gianni Barbacetto)
Scritto il 17 dicembre 2016 alle 11:32 | Permalink | Commenti (51)
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Scritto il 16 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 15 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Il "sempreverde" Jimmy Heath, 90 anni e nessuna intenzione di smettere
Il DVD linkato riporta l'intera prima parte del concerto di quest'anno al Lincoln Center di New York, organizzato per celebrare i 90 anni di Jimmy Heath, una leggenda vivente del jazz, alla guida della sua Big Band, e con i preziosismi di alcuni suoi stupendi "solos" di sax. E chi ha voluto con lui Jimmy Heath per questa "celebration"?
WOMEN DO IT BETTER - Jimmy ha voluto con se un mito del jazz ormai consolidato (la nostra Roberta Gambarini, di cui ho già scritto molte volte, quindi non mi ripeterò) e un "mito nascente": la giovanissima sassofonista cilena Melissa Aldana, 28 anni, splendida jazzista sia per tecnica che per capacità improvvisative ed interpretative. Questo filmato è "cpme il porco": non si butta via niente...
Scritto il 14 dicembre 2016 alle 17:54 nella Musica | Permalink | Commenti (3)
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...a Gentiloni, che forse pensava di essere davvero un Presidente del Consiglio, ieri è arrivato il primo "cartellino giallo". Da Renzi, per "interposto @frondolino", sull'Unirenzità. Molto istruttivo...
Forse Gentiloni aveva capito che il "mandato pieno" ricevuto dal Capo dello Stato fosse davvero un mandato pieno. Ma se così fosse, allora deve assumersi in prima persona i "meriti" per le scandalose nomine dei ministri, e dovrebbe pur spiegarci le ragioni della promozione di Angelino Alfano, e della "conservazione in vita" della Madia, di Poletti, della Pinotti, della Lorenzin. E di Maria Etruria Boschi.
Ma ieri @frondolino ha provveduto, con un articolo scritto sotto dettatura di Renzi, a ricordargli che lui è li per nominare chi dice Renzi, per fare ciò che dice Renzi, e per restare finchè comoda a Renzi (cioè molto poco, visto che tutti i veri esperti di comunicazione - taliani, e non americani - gli stanno spiegando "aggratis" che ogni giorno che si perde prima di andare al voto, è un giorno in cui un altro pezzetto di consenso se ne va. Insomma, Renzi ricorda a Gentiloni, attraverso @frondolino, come deve comportarsi un vero, fedele avatar. Questo il "cartellino giallo":
E se il governo Mattarella-Gentiloni fosse un rischio? Se il buongiorno si vede dal mattino, potrebbe non essere una buona giornata (fonte: @frondolino - l'Unirenzità)
In questi primi giorni di Terza Repubblica il tema dominante è la data delle elezioni; nel giorno in cui il nuovo esecutivo presieduto da Paolo Gentiloni riceve la fiducia della Camera, l’argomento più dibattuto è la durata del governo; dopo sei mesi di campagna elettorale appena conclusa, il clima prevalente è quello di una campagna elettorale appena iniziata. Insomma, ce n’è abbastanza per parlare di disastro.
Cominciamo dalla domanda fondamentale: perché è nato il governo Gentiloni e a che cosa serve? Politici di opposizione e osservatori più o meno neutrali sostengono all’unisono, con toni e argomenti diversi, che questo è il governo Renzi senza Renzi: fotocopia, avatar, prestanome, segnaposto – la fantasia linguistica si spreca, ma la sostanza è una sola.
A ben vedere, però, questo non è il governo di Renzi: è il governo del Quirinale, proprio come lo fu – in un contesto senz’altro diverso – il governo Monti nel 2011 (...@frondolino, non dimentica qualcosa??? Solo il governo Monti? e quello Letta? e quello Renzi? tutti governi nati con un largo consenso popolare? NdR)
E’ cioè un governo nato su forte impulso del presidente della Repubblica per preparare le elezioni in un clima che si vorrebbe più sereno, più ordinato, più regolato. E’, nelle intenzioni di chi l’ha promosso, un governo di decantazione, di tregua, di distensione e di disarmo. Ed è in questo ritrovato clima di collaborazione che, sempre secondo il Quirinale, dovrebbe nascere una nuova legge elettorale condivisa.
Ma se così stanno le cose, la domanda da farsi è un’altra: Gentiloni è arrivato a palazzo Chigi per preparare le elezioni, o per rinviarle il più a lungo possibile? Oggi a Montecitorio quasi nessuno scommetteva sulle elezioni entro giugno, e molti scartavano anche il voto in ottobre.
Il neopresidente del Consiglio, del resto, non ha fatto nulla che potesse smentire questa previsione: il suo governo, ha detto stamattina, “intende concentrare tutte le sue energie sulle sfide dell’Italia e che attendono gli italiani”. E via con un dettagliato elenco delle cose da fare: l’emergenza terremoto e lo sviluppo del “programma a lungo termine chiamato Casa Italia”, la presidenza del G7 e l’ingresso dell’Italia nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, la trattativa con l’Unione europea su flessibilità e migranti e la revisione degli accordi di Dublino, la ripresa economica che va “accompagnata e rafforzata” e il Mezzogiorno con tanto di “ministero esplicitamente dedicato”… Insomma, per citare ancora il premier, “avremo un’agenda di lavoro molto fitta” (all'appello delle cose che Gentiloni dve portare a termine prima di mollare, mancano solo la chiusura del buco dell'ozono, l'arresto dello scioglimento della calotta artica, il ponte sullo stretto, la Torino-Lione, e poi potrà lasciare. NdR)
Quanto alla durata, “lascio il dibattito alla dialettica tra le forze politiche” perché, come dice la Costituzione, “un governo dura fin quando ha la fiducia del Parlamento”. E il Parlamento, aggiungiamo noi, non si può sciogliere finché non c’è una nuova legge elettorale. Che però, attenzione, il nuovo governo si rifiuta di promuovere: “Tocca al Parlamento – ha spiegato Gentiloni – l’iniziativa in materia di legge elettorale. Il governo non sarà attore protagonista: spetta a voi la responsabilità di promuovere e provare intese efficaci” (...ma come... Renzi non aveva trascinato quell'ingenuo sprovveduto di Cuperlo sul "fronte del si" promettendoil varo immediato di una nuova legge elettorale subito dopo il referendum? E adesso il PdR sub-specie gentiloniana, dice che dev'essere il Partlamento a d occuparsene? NdR).
Sul piano formale, Gentiloni (e Mattarella) hanno tutte le ragioni del mondo: la legge elettorale va discussa e approvata dalle Camere e il governo di norma si limita ad “accompagnarne” il percorso. Ma oggi non siamo affatto nell’ordinaria amministrazione, e le elezioni anticipate non sono una richiesta più o meno capricciosa, più o meno “avventurista”: votare al più presto è l’unica cosa sensata che una classe politica minacciata dalla crescente ondata populista può fare per provare a salvarsi la pelle. (...afferrato, Gentiloni^?? Tu sei li SOLO per eseguire gli ordini di Renzi: salvare il soldato Boschi, fare al posto di Renzi la figuraccia di non cambiare niente, fare una legge elettorale purchessia, e poi togliere il disturbo. E se non togli il disturbo tu, ti staccano la spina Renzi e i suoi cari. NdR)
La strada scelta dal governo Mattarella-Gentiloni, a giudicare almeno dai primissimi passi, sembra invece un’altra: business as usual, calma e gesso, e un ampio dibattito tra le forze politiche per trovare un accordo che già sappiamo non esserci. Già, perché il Movimento 5 Stelle e la Lega, dopo aver rifiutato di entrare in qualsiasi maggioranza, hanno già scelto l’Aventino e neppure si siederanno ad un tavolo comune sulla legge elettorale. Resta Berlusconi, la cui affidabilità in materia di accordi bipartisan è ben nota dai tempi della Bicamerale di D’Alema: troppo poco, dunque, per parlare di riforma elettorale condivisa, ma abbastanza per prolungare i tempi della legislatura. Se il buongiorno si vede dal mattino, potrebbe non essere una buona giornata.
@frondolino
Scritto il 14 dicembre 2016 alle 14:40 | Permalink | Commenti (13)
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Scritto il 13 dicembre 2016 alle 22:48 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 13 dicembre 2016 alle 22:33 | Permalink | Commenti (0)
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Foto funeraria: in morte del Partito Democratico
Conservate questa foto. Un giorno sarà una foto storica. Un monumento all'insipienza e alla mancanza di senso autocritico di una "classe digerente" che ha deciso di compiere un suicidio di massa. Una foto funeraria nella quale stonano un po' solo il materasso indossato dalla Finocchiaro, e il rosso-sangue della Lorenzin. Per il resto, è già perfetta per la lapide da mettere sulla fossa comune.
La controprova di questo suicidio di massa la si potrà avere appena inizieranno ad essere pubblicati i sondaggi effettuati nel mese successivo alla formazione del Governo Renziloni. Per ora, accontentiamoci della notiziona: la direzione di Renzubblica (nella persona del Direttore Calabresi), col sesto senso tipico di chi ha antenne e strumenti per capire, ha tempestivamente iniziato a fare una "strambata" di 180° su Renzi, dopo aver pubblicamente - e a pochi giorni dal voto - fatto "outing" in favore dell'Uomo del Fare. Di fronte alla foto funeraria con "tutti a bordo" (inclusi gli impresentabili... i Poletti, le Madie, Le Bosche, le Pinotte, le Lorenzine, gli Alfani), persino Calabresi non ha più avuto il coraggio di fare clappete clappete.
Ora aspettiamo con ansia l'articolessa di venerdì prossimo di Massimo Cacciari su l'Espresso, e dell'Intellettuale Vittorio Sgarbi nella qualunque. Si prevedono "retromarce con grattata". Ma ecco l'editoriale del "fu renzino" Mario Calabresi
Tafanus
Governo Gentiloni, troppo poco - A pagare gli errori del passato la sola ministra Giannini, senza che il governo abbia mai fatto un minimo di autocritica sulla riforma della scuola (Mario Calabresi - Repubblica)
Avevamo bisogno di un governo leggero, efficiente e dotato di senso pratico, capace di chiudere i dossier più urgenti mentre il Parlamento lavorerà a scrivere le regole per tornare al voto in tempi brevi.
Avevamo bisogno di un governo capace di affrontare l’emergenza bancaria, gestire il fenomeno migratorio e le sfide di politica estera in un quadro che sta cambiando radicalmente dopo l’elezione di Donald Trump.
Avevamo bisogno di un presidente del Consiglio serio e allergico ai protagonismi e di un ex premier capace di fare un passo indietro e provare a ricostruire il suo partito e il rapporto con i cittadini. Tutto ciò sembrava a portata di mano, ci si è mossi in tempi brevissimi, e Gentiloni è certamente la figura giusta. È riuscito anche a resistere alle pressioni di Verdini e tenendolo fuori ha evitato una macchia politica che sarebbe stata letale per il suo esecutivo.
Matteo Renzi ha fatto gli scatoloni, ha scritto la sua lettera d’addio al governo nel cuore della notte e promesso di dedicarsi solo al Pd. Sembrava un nuovo inizio.
Poi sono arrivati i dettagli, quelli in cui è solito nascondersi il diavolo: Maria Elena Boschi, la madre della riforma costituzionale bocciata dagli italiani, anziché fare un doveroso passo indietro ha chiesto e ottenuto una promozione. Per farle posto si sono resuscitati due vecchi ministeri, uno per il fedelissimo Lotti l’altro per De Vincenti.
Angelino Alfano si è spostato alla Farnesina, un passaggio incomprensibile in una fase così delicata dato che non si conoscono sue competenze in politica estera. Come non pensare ad una mossa dettata dalla voglia di allargare il curriculum? O dalla necessità di allontanarsi dalla patata bollente dell’immigrazione? Ma non era meglio restare e rivendicare il lavoro fatto?
Scelte evitabili che rafforzano diffidenze, gonfiano il qualunquismo e lasciano un retrogusto di furbizia e immaturità.
A pagare gli errori del passato la sola ministra Giannini, senza che il governo abbia mai fatto un minimo di autocritica sulla riforma della scuola. Troppo facile e troppo poco.
Mario Calabresi
P.S.: E noi, caro Calabresi, avremmo avuto bisogno di una stampa dotata di senso critico, e del coraggio necessario a manifestarlo. Invece abbiamo avuto la "stampa che conta" appecoronata sui bisogni di pochi ma potenti gruppi di potere. Purtroppo, questo nostro "BISOGNO" è stato tradito dai giornali come il suo, più attento ai diktat della proprietà che non al bisogno di voci critiche provenienti dal patrimonio - in via di delapidazione - di lettori ed ex lettori di Repubblica.
Se possi dare un consiglio ai miei 5 lettori - oltre che a Mario Calabresi - è quello di aprire l'articolessa sul giornale pnline (che ho messo all'inizio del post) e di leggere i commenti dei lettori. Il quadro, per Calabresi & C., dovrebbe essere sconfortante. Lettori incazzati, lettori delusi, ex lettori. Alcuni recuperabili (forse). Altri - la stragrande maggioranza - persi per sempre.
Caro Direttore, faccia tesoro di questa lezione. Lo zoccolo duro dei lettori di Repubblica vorrebbe meno "sponsorizzazione" della finta sinistra come la sua, Vorrebbe più Massmo Giannini (cacciato dalla RAI), più Sebastiano Messina (sempre più emarginato), più Fubini (lasciato colpevolmente andare al Corrierone), e meno articolesse pro renzismo sue, di Scalfari, di Goffredo De Marchis.
Ora forse è tardi, perchè un rientro di Renzubblica nella main-stream, da lettori come il sottoscritto, verrebbe vista come la prova di un atteggiamento gattopardesco. Rapidi a salire sul carro del vincitore, ancor più rapidi a saltar giù dalla barca che affonda... Ma chi pensavate che fosse, Matteo Renzi da Frignano sull'Arno? La nuova Stella Polare della sinistra? Andiamo... non ci crede nessuno...
Tafanus
Scritto il 13 dicembre 2016 alle 20:03 | Permalink | Commenti (1)
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Il modo migliore per dire quale sia stato complessivamente il valore di un governo, è quello di guardare ai nomi, e alle qualità dei componenti del governo stesso.
Ho voluto di proposito mettere a confronto il governo del più disprezzato Presidente del Consiglio da Renzi e dai Renzini, e il governo di Ciampi, giudicato quasi da tutti uno dei migliori governi della Repubblica. I governi di Renzi e di Gentiloni li ho messi insieme, sotto la voce "Governo Renziloni", perchè per trovare le differenze servono occhiali buoni e stomaci forti...
Fa una certa impressione, vedere Sergio Mattarella vice di D'Alema, o Maria Etruria Boschi su poltrone che furono di Franco Bassanini, Enrico Letta, Giuliano Amato, Antonio Maccanico, Livio Paladin, Leopoldo Elia... E che dire di Marianna Madia assisa sulla poltrona che fu di Sabino Cassese?
Anche Angelino Alfano sulle poltgrone che furono di Lamberto Dini, Beniamino Andreatta, Leopoldo Elia, lascia di stucco. Così come il confronto fra Andrea Orlando e personaggi (possono piavere o meno) come il docente universitario Oliviero Diliberto e il giurista Giovanni Conso.
E che dire di una come la Fedeli, che in vita sua fino al 2012 ha lavorato solo nel sindacato, e prende la poltrona che fu di Luigi Berlinguer? Il colpo finale è la rficonferma della Lorfenzin del #fertilityday al posto di Rosy Bindi e di Maria Pia Garavaglia.
"I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedir loro di nuocere"
(Dal "Corollario alle leggi di Murphy")
Tafanus
Scritto il 12 dicembre 2016 alle 23:32 | Permalink | Commenti (11)
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Nasce il Governo Renziloni. Le indiscrezioni che circolano sono maleodoranti. Pagherebbero il conto solo le badanti Marianna Madia & Maria Etruria Boschi. Ma l'avatar ci ha già fatto sapere (e ha fatto sapere alla "minoranza komunista") che il governo Renziloni nasce nel solco del precedente. Quindi dentro anche la figura più illustre del precedente Governo, la mitica ministressa della Sanità tale Lorenzin, meglio nota come la mammina del @fertilityday. Non solo dentro, ma addirittura promosso: dagli Interni agli esteri, così potremo innalzare il nostro prestigio dal livello locale a quello internazionale.
Mondo, aspettaci! Stiamo arrivando! Con Angelino Alfano
...sta per arrivare la rivoluzione, e non so cosa mettermi...
Scritto il 12 dicembre 2016 alle 12:22 | Permalink | Commenti (28)
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Cara Debora Senzacca, chiariamo un paio di punti...
-a) L'Italia non "rischia" il ritorno alle larghe intese. Le larghe intese le avete già fatte voi. Col pregiudicato Verdini, col pregiudicato Berlusconi, e con Angelino Alfano. Vi mancano solo i cuffariani (stanno arrivando...) poi siete al completo. Dite loro di portare i cannoli alla ricotta.
-b) Il governo che è caduto non era il "nostro", era solo il "vostro" e suo più che di altri, visto che fin quando non è stato chiaro, dopo la prima Leopolda, chi fosse il vincitore fra Renzi e Civati, lei giocava a "culo e camicia" a Firenze con Renzi, e a Bologna con Civati. Con giusta, misurata alternanza. Conosce il nome del giochino? "Franza o Spagna, purchè se magna".
-c) Mi fa piacere apprendere che avete convocato la direzione del partito per domani a mezzogiorno. Ma come, Debora senzacca... Quei birichini del Giglio Magico non hanno avuto neanche la buona creanza di informarla che dal 5 Dicembre "la Direzione è convocata in permanenza"? Mi tolga una curiosità: dicevano una cazzata il 5 dicembre coloro che hanno comunicato questa notizia, o dice una cazzata lei adesso? Tertium non datur.
Tafanus
Scritto il 11 dicembre 2016 alle 21:04 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 11 dicembre 2016 alle 13:53 | Permalink | Commenti (0)
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Le sue "lenzuolate" hanno aperto al mercato molti settori dell'economia. Farlo passare per un vecchio arnese della sinistra è ridicolo. Speravo che qualcuno, magari amico suo, lo dicesse. Che lo facesse presente lui stesso. Invece niente. Quindi tocca a me farlo e spero che Pierluigi Bersani non se ne abbia a male del fatto che sia io a doverlo difendere (Fonte: Marco Cobianchi - Panorama)
N.B.: Questo articolo è del primo semestre 2014, quando ministra dell'industria - qualcuno se ne ricorda ancora? - era tale Federica Guidi, "figlia di Confindustria", che ha passato i pochi mesi che è durato il suo incarico a far piaceri ai "diversamente poveri", e specialmente al suo fidanzato-imprenditore. Ma conserva tutto il suo valore, perchè se fosse un articolo scritto ieri, Marco Cobianchi avrebbe potuto scrivere anche delle mirabilia sul "Giobatta", su #labuonascuola che assume a patto di accettare transumanze da Racalmuto a Chivasso e spaccatura di famiglie e ménages, e dei meravigliosi risultati dei vouchers (150 milioni di ore di lavoro senza dignità comprate dal tabaccaio). Quindi Renzi ringrazi il cielo che questo articolo sia vecchio abbastanza da non aver inglobato le ultime prodezze del Grande Statista. Tafanus
In effetti solo un incredibile rovesciamento mediatico della realtà e una sua dozzinale schematizzazione può far passare l'immagine di un Renzi "liberale" contrapposto a un Bersani "conservatore", vecchio arnese di una sinistra-sinistra con sospetti (addirittura) di simpatie comuniste.
E' davvero qualche cosa di impressionante che Renzi sia riuscito ad accreditarsi presso l'opinione pubblica come un innovatore contrapponendosi al "frenatore" Bersani. E' il caso di rimettere le cose al loro posto. Pierluigi Bersani è stato ministro dell'Industria dei governi Prodi I e D'Alema I e Prodi II. (Ora sulla sua poltrona siede Federica Guidi, non pervenuta), realizzando una tale quantità di liberalizzazioni da fare impallidire il sedicente liberale che ora siede a Palazzo Chigi. Se, infatti, si ripercorre la bulimia oratoria di Renzi si può notare che l'unica parola che non ha mai pronunciato, o, se lo ha fatto è stato un imperdonabile errore, è "liberalizzazioni", quelle da sempre avversate da quei poteri forti dai quali Renzi, alla disperata ricerca di un nemico al quale addebitare la sua inconcludenza, dice di essere ostacolato.
Eppure è stato il "vecchio arnese" Bersani che ha permesso ai supermercati di vendere farmaci allargando la concorrenza, facendo scendere i prezzi, creano nuovi posti di lavoro e togliendo la terra sotto ai piedi alla casta dei farmacisti. E' Bersani che ha colpito la casta dei notai abolendo l'obbligo di avere una loro firma quando si vende un'auto o una moto. E' Bersani che ha iniziato ad abolire le tariffe minime per i professionisti (eliminate definitivamente da Monti), consentendo a un giovane avvocato di fare concorrenza al vecchio avvocato proponendo costi più bassi dei suoi consentendogli, per di più, di fare pubblicità al suo studio (prima era vietato).
E' Bersani che ha colpito il potere forte delle banche vietando le penali di estinzione dei mutui e l'addebito dei costi della chiusura di un conto corrente, facilitando enormemente il passaggio da un istituto all'altro aumentando così la concorrenza nel settore del credito. Ha provato a colpire la casta dei tassisti ed ha fallito, ma ha vinto contro il potere forte delle assicurazioni abolendo la figura dell'agente monomandatario. E' Bersani che ha imposto a quel potere fortissimo che si chiama Enel di scorporare e vendere una parte consistente di centrali elettriche (15mila Megawatt) in modo da creare il mercato dove prima c'era un semi-monopolio. E' Bersani che ha scorporato la rete di trasmissione elettrica (Terna) che ora è quotata in borsa. Se Renzi volesse continuare nell'opera potrebbe privatizzare il 29,8% di Terna ancora in mano alla Cassa Depositi e Prestiti oppure, a scelta, privatizzare la rete ferroviaria, ora ancora sotto il controllo pubblico, in modo che i nuovi entranti non debbano subìre gli ostacoli all'ingresso nel mercato ferroviario che ha dovuto subìre Ntv o, addirittura, fallire, come successe ad Arenaways.
Invece di liberalizzare e (orrore) privatizzare, Renzi ha nominato Emma Marcegaglia presidente dell'Eni nonostante il gruppo siderurgico di famiglia, nel quale ha ricoperto importanti incarichi, sia stato scoperto ad accumulare fondi neri su dei conti esteri alcuni dei quali intestati alla stessa Marcegaglia; i suoi dirigenti siano indagati a Ravenna per lo smaltimento di scorie di lavorazione in modo illegale; a Grosseto per smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e il fratello abbia patteggiato 11 mesi (pena sospesa) e una multa di 6 milioni per chiudere un processo su presunte mazzette pagate ai dirigenti di quella stessa società pubblica oggi presieduta dalla sorella, la quale, per di più, insieme al consigliere d'amministrazione dell'Enel, il finanziere Salvatore Mancuso (legato a triplo filo con l'unico potere forte rimasto, Banca Intesa), è diventata socia di Alitalia (poi finita sull'orlo del crack) mentre era presidente della Confindustria. E questi sarebbero i poteri forti che odiano Renzi?
Ma non è finita. E' Bersani che, con le sue "lenzuolate", ha consentito ai negozianti di fare sconti tutto l'anno su qualsiasi merce. E' Bersani che ha abolito i limiti quantitativi della produzione del pane e il limite al numero di panifici in ciascun comune. E' Bersani che ha abolito il costo della ricarica dei cellulari. E' Bersani che ha abolito la commissione comunale per aprire un esercizio commerciale e se Renzi avesse un centesimo dello spirito liberale che dice di avere potrebbe completare quella riforma del commercio abolendo la necessità di una autorizzazione del comune per aprire locali dove si somministra cibo sanzionando politicamente (commissariamento) gli enti locali che si oppongono alla piena, totale, assoluta liberalizzazione del commercio. Certamente, Bersani poteva fare di più, molto di più, peraltro, nelle sue esperienze da ministro, ha dovuto vedersela con Rifondazione Comunista e Partito dei Comunisti Italiani, altro che Corradino Mineo. Gli si può contestare, e io glielo contesto, che tutte le sue liberalizzazioni hanno colpito la constituency elettorale del centrodestra, ma cercare di farlo passare agli occhi dell'opinione pubblica come un vetero comunista che frena il cambiamento perché è contrario alla revisione di quello che è poco più di un simbolo della sinistra, l'articolo 18, è, oggettivamente, ridicolo.
Di fronte a questi risultati, Renzi, a quasi otto mesi dalla sua salita a Palazzo Chigi, che cosa può offrire? Per ora, oltre all'abolizione della causale per i contratti a termine, solo una serie interminabile di annunci compreso quello di assumere 150mila insegnanti, 80mila dei quali resteranno senza cattedra: manovra in pure stile di economia pianificata nella quale lo Stato assume chiunque anche se non ne ha bisogno. Con Renzi lo Stato, invece di dimagrire, ingrassa. Per questo c'è più liberalismo in uno dei pochi capelli che Bersani ha in testa che in tutta l'attuale segreteria del Pd. Per questo quando Renzi parla di Bersani deve, politicamente parlando, sciacquarsi la bocca.
Marco Cobianchi
P.S.: Questo articolo lo dedico a tutti coloro che in questi giorni ci hanno ammorbato spiegandoci che Renzi è il vero rottamatore-rinnovatore-liberale. Mica come quel dinosauro di Bersani, komunista trinariciuto e conservatore! E ho scelto di proposito un articolo di un giornalista il cui curriculum non rassomiglia per niente a quello di uno nato per fare il "difensore civico" di Pierluigi Bersani. Tafanus
Chi è Marco Cobianchi - Un giornalista - fra l'altro - di Panorama e Rai Due - quindi non sospettabile di essere un vetero-komunista, che così si presenta:
"...Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009), Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, "American Dream - Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat" (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia..."
Chi è Federica Guidi, la "Bersani" del renzismo
Federica Guidi, Antonio d'Amato, Giorgio Napolitano
Figlia di Guidalberto Guidi, già vicepresidente di Confindustria, e membro di numerosi consigli di amministrazione di importanti industrie italiane, tra cui FIAT e Ferrari, Federica Guidi si è laureata in giurisprudenza, lavorando successivamente per due anni come analista finanziaria.
Lasciata la carriera finanziaria, nel 1996 è entrata nell'azienda di famiglia, la Ducati Energia, della quale è diventata successivamente amministratore delegato. Dal 2002 al 2005, è stata presidente regionale dei Giovani Imprenditori dell'Emilia-Romagna e vicepresidente degli imprenditori della regione. Dal 2005 al 2008, ha affiancato Matteo Colaninno come vicepresidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, e al termine di questo periodo, sotto la presidenza di Emma Marcegaglia, ne è diventata presidente.
Tra i suoi vice vi era anche Gianluca Gemelli, poi divenuto suo compagno. Successivamente, seguendo le orme del padre, è diventata vicepresidente di Confindustria. Dal 22 febbraio 2014 al 5 aprile 2016 è stata Ministra dello sviluppo economico nel Governo Renzi.
Dopo la sua nomina, per evitare potenziali conflitti di interessi, ha rinunciato a tutti gli incarichi operativi nelle imprese controllate dalla famiglia, che partecipano ad appalti pubblici ed intrattengono importanti relazioni commerciali con le aziende di proprietà statale. Tuttavia i senatori del Movimento 5 Stelle presentano nei suoi confronti una mozione di sfiducia, ma l'aula del Senato ne respinge la calendarizzazione.
Il 31 marzo 2016 tra gli atti di una inchiesta della procura di Potenza sullo smaltimento di rifiuti nell'impianto Eni di Viggiano, in Val d'Agri (arrestate sei persone), sono inserite alcune intercettazioni telefoniche del dicembre 2014. In una di queste la ministra informava il compagno, Gianluca Gemelli, indagato nella stessa inchiesta, che nella legge di stabilità che sarebbe stata votata da lì a poco, sarebbe stato inserito un emendamento che avrebbe potuto favorire gli interessi imprenditoriali del fidanzato ottenendo sub appalti per oltre due milioni di euro e riferisce al compagno che anche la ministra Maria Elena Boschi era d'accordo sull'inserimento dell'emendamento.
Federica Guidi, travolta dallo scandalo, annuncia il giorno stesso le dimissioni dall'incarico di ministro, che sono accettate il 5 aprile. In seguito alle dimissioni, la guida del Ministero dello Sviluppo Economico è affidata ad interim al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi. Il 10 maggio è nominato ministro Carlo Calenda (...non pervenuto... NdR). Dopo le dimissioni lascia il Gemelli, con il quale la relazione non funzionava più (Fonte: Wikipedia)
Scritto il 11 dicembre 2016 alle 12:02 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 11 dicembre 2016 alle 08:01 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "IL CITTADINO ILLUSTRE" (di Angela Laugier)
Titolo originale: El ciudadano ilustre
Regia: Gastón Duprat, Mariano Cohn
Principali interpreti: Oscar Martínez, Dady Brieva, Andrea Frigerio, Belén Chavanne, Nora Navas, Iván Steinhardt, Marcelo D’Andrea, Manuel Vicente – 117′- Argentina/Spagna 2016
Gli avevano dato il Nobel per la letteratura, ma Daniel Mantovani (Oscar Martinez), scrittore argentino per nascita e spagnolo di Barcellona per elezione, non sembrava averlo molto gradito, stando, almeno, al discorso pronunciato col quale avrebbe dovuto ringraziare tutti, dai giurati al re di Svezia, che forse ci erano rimasti un po’ male! Aveva sostenuto, infatti, Daniel, con un accento di verità non privo di snobismo, che i premi, e il Nobel in modo particolare, sanciscono la fine della carriera di qualsiasi scrittore, poiché, suggellando meriti e pregi di un’opera ormai conclusa e gradita al pubblico e fissandone rigidamente i contorni, gli rendono molto difficile, se non impossibile, imboccare nuovi percorsi, per quanto promettenti. Era accaduto, infatti, che dopo quel premio Daniel non avesse più scritto alcunché: aveva perso l’ispirazione, assediato da inviti per incontri, conferenze, convegni in ogni parte del mondo. Aveva sempre rifiutato, però, in quanto detestava i riti della sovraesposizione mediatica, gli autografi sui libri, la mondanità presenzialista, gli incontri con le autorità. Aveva invece accettato, dopo cinque anni dal premio, la proposta di tornare a Salas, la piccola città argentina che gli aveva dato i natali e che ora intendeva festeggiarlo. Anche se di lì se n’era andato da quarant’anni, in fondo quella lontana località aveva ispirato i suoi racconti e, forse, ora gli avrebbe fatto ritrovare l’antica voglia di scrivere e raccontare.
Erano stati pochi giorni da dimenticare, invece, vissuti in un clima da incubo vieppiù angoscioso, durante i quali aveva chiarito prima di tutto a se stesso che non la realtà di quei luoghi, ma l’elaborazione mitica del suo ricordo lontano, che ne aveva trasformato paesaggio, case, e abitanti, era stata all’origine della sua narrazione e della sua arte. Ora, quella realtà gli appariva in tutta la sua brutalità violenta e gretta: le antiche baruffe da ragazzo esigevano risposte; le vecchie rivalità amorose erano conti da regolare; il suo successo era sfruttabile per gli scopi più diversi; il suo distacco rispetto ai problemi locali era vissuto come un vero tradimento.
I registi ci raccontano queste cose e molte altre alternando l’ironia e l’umorismo tagliente e spietato della descrizione di Salas, con la tensione crescente di alcune drammatiche scene, verso la fine, quando il film è ormai un noir teso poiché Daniel rischia di diventare la vittima dell’invidia, dell’ignoranza diffusa e delle contraddizioni di un piccolo paese e dei suoi meschini abitanti. Molto bella la riflessione finale, che compendia lo spirito del film, che è anche un piccolo racconto filosofico sull’arte, sui rapporti dell’arte con la verità, e sulla necessità per l’artista di far prevalere l’interpretazione sulla rappresentazione, negando ogni consistenza alla cosiddetta realtà. Oscar Martinez ha più che meritato la Coppa Volpi che quest’anno a Venezia gli è stata assegnata come miglior attore. Film bello e originale, molto sorprendente e consigliabile.
Angela Laugier
Scritto il 11 dicembre 2016 alle 07:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Dall'articolo citato di Tal Capizzi sull'Unirenzità (FONTE), ho voluto estrarre alcune perle nere. Insomma, una sorta di abstract del "meglio del peggio".
"...dopo una giovinezza passata ad assistere alle vittorie della Dc credevo di aver trovato con Matteo Renzi un leader concreto, ma evidentemente alla maggioranza degli italiani questo non piace..."
Indovinato
"...Il Popolo italiano pensa che possa fare il Presidente del Consiglio un giovanotto senza arte né parte, mediocre studente universitario, che oltre allo staff della comunicazione necessiterebbe di avere accanto una maestra che gli spieghi la coniugazione e l’uso del congiuntivo e la differenza tra verbi transitivi ed intransitivi? Va bene così e buon divertimento..."
Dopo questa critica ai "congiuntivi" altrui, il Signor Capizzi scrive:
"...Ma, vivaddio, ha le qualità del leader, di un leader che decide, che rifugge le mediazioni infinite..."
Coso, sappia che si rifugge DALLE mediazioni, non si rifugge LE mediazioni... Si conceda qualche annetto di CEPU.
"...Del resto, se non fosse uno che decide, si sarebbero, in mille giorni, approvate tutte le leggi e le riforme che il Parlamento ha approvato?..."
Coso, ma allora approvare una legge ogni 5 giorni si può, vero, nonostante lo storytelling dell'immobilismo a cui condannerebbe il bicameralismo??? Il problema, Coso, non è quello di approvare MOLTE leggi, ma di approvare BUONE leggi.
"...Mai visto che una parte del Partito facesse campagna contro la posizione ufficialmente espressa (e ancora non ho capito i motivi di dissenso sul merito della riforma)..."
Ancora non ha capito??? Ma allora, Coso, lei è davvero senza speranza...
"...Il Popolo italiano pensa che sia in grado di governare il Paese una banda di furbi incompetenti..."
E' proprio così, Coso. Ci mancherà la competenza politica ed economica del Renzino, i suoi tweet, le sue slides. E ci mancheranno moltissimo le competenze di Marianna Madia (La Madonna del Perugino, quella che sbaglia ministeri e porte alle quali bussare, e vede la sua magnifica riforma della PA "cremata" dal Consiglio di Stato), di Maria Etruria Boschi... Ci mancherà la competenza del Ministro Poletti nell'arte delle Acconciature, e le competenze della professoressa di lettere Pinotta nel campo degli Starfighter, dei Tornado e degli elicotteri da combattimento Apache.
"...Il Popolo italiano è così immaturo da farsi abbindolare dalla propaganda che vuole fare considerare establishement e casta uno che è appena arrivato e non è neanche parlamentare? Va bene così, evviva il Popolo sovrano..."
Coso, mi raccomando, ci parli anche dei 200.000 euri spesi da Renzi come sindachino in cene e cenette... Ci parli dell'Air Fonzie One, dell'appartamentino in comodato gratuito di tale Carrai, e ci parli di tutta la famigglia allargata di Maria Elena insediata a far danni in Banca Etruria... Mi raccomando: come definirebbe queste cosucce? Certo non "Casta". La Casta, per "Coso Capizzi", sono sempre e solo gli altri.
A't salut.
Tafanus
P.S.: Ma da dove li ha tirati fuori Renzi direttori come Lavia, e giornalisti come Tal Capizzi??? Poi non possiamo certamente meravigliarci se l'Unirenzità è piombata intorno alle 5.000 copie (poco più di un ciclostile)... Mi meraviglio che con queste eccellenze riesca ancora a restare in vita. Ma chi paga le perdite dell'Unirenzità? E a quanto ammontano?
Scritto il 10 dicembre 2016 alle 18:12 | Permalink | Commenti (15)
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Scritto il 10 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (3)
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L'articolo che segue è stato scritto proprio da quel Massimo Cacciari che tutti conosciamo? Quello col ciuffo ribelle, perennemente incazzato e moralizzatore, ex marxista-leninista, adesso Rettore dell'Università "Vita e Salute" fondata da quel galantuomo-buonanima don Verzè???
Posso rassicurarvi: nessuna omonimia; nessuno scambio di persona. Quello che fino a ieri andava in tutte le TV a spiegare che dovevamo votare SI (senza che nessun umano capisse il nesso fra le cose che diceva e le conclusioni che traeva a favore del SI), arriva su l'Espresso per spiegare che forse avremmo dovuto votare si, ma anche no, o solo forse...
Povera Italia, come ti abbiamo sconciata, a furia di dare più peso specifico di quanto non ne abbiano mai avuto a personaggi come questo, che il compianto giornalista e scrittore Edmondo Berselli, nel suo libro "Venerati Maestri" (che tutti dovrebbero leggere) prendeva per il culo senza astio, ma con grandissima ironia, che è persino più velenosa dell'astio... Ma ecco, in calce, l'articolessa di Cacciari. Fate un piccolo esperimento: fate leggere questa articolessa a qualcuno che ignorava l'endorsement di Cacciari a favore del SI, e poi chiedetegli: ma Cacciari era per il SI o per il NO?
Lo sfortunato vincitore - Chiunque prevalga, deve gestire un Paese in piena crisi di democrazia. Dimostrata proprio dalla gara referendaria: un derby deprimente, condotto da due capi con le loro tifoserie al seguito (di Massimo Cacciari - l'Espresso)
Si fosse desiderata una dimostrazione in corpore vili della crisi del Politico come principio ordinatore, non avremmo potuto auspicare prova migliore di questa campagna referendaria. La gara in questo senso tra No e Sì è apparsa rivelatrice, un'autentica "mini-apocalisse"(con le dovute eccezioni, naturalmente, ma relegate del tutto ai margini dell'agone) della perdita di ogni corrispondenza tra parole e cose, di propaganda politica precipitata a mera disinformazione, in cui il senso e il fine del confronto vanno totalmente perduti. Alle campane dei rischi autoritari (che esistono, eccome, ma su tutt'altri lidi, nel cuore stesso della crisi della democrazia rappresentativa) hanno risposto le trombe di un decisionismo strapaesano e l'inseguimento degli umori sui "costi della politica" (che sono in realtà quelli dell'inefficienza dell'intera macchina statale, della proliferazione legislativa, della sovrapposizione di competenze - tutte materie su cui l'ardua sentenza viene, come d'uso, rimandata ai posteri).
La finzione suprema, poi, che ha finito col disorientare completamente l'opinione pubblica, si è realizzata riducendo a involucro formale del tutto superfluo i contenuti della riforma rispetto all'autentica posta in palio, e cioè i destini del governo (e del partito) di Renzi. E poco importa sapere di chi la colpa, o, come dicono i fanciulli, chi ha cominciato (...eh no, caro Cacciari... importa e come, non dimenticare, "come dicono i fanciulli, chi ha cominciato"... Importa a noi, che abbiamo deciso del nostro voto non solo "sul merito" di una riforma che faceva letteralmente schifo, ma anche grazie alla minaccia - che per noi era quasi una promessa - di abbandono della politica in caso di sconfitta... NdR)
Una riforma voluta a colpi di risicate maggioranze (contro il famoso "messaggio" di Napolitano al momento della rielezione e contro il senso di tutte le sue iniziative, va detto) da un leader neppure eletto, non poteva che avere questo esito. Abbiamo perciò partecipato al deprimente spettacolo di un derby condotto sostanzialmente da due capi con tifoserie al seguito (più qualche comprimario che invano ha cercato di richiamare su di sé l'attenzione del pubblico). Capi onnipresenti, in tutti i formati e su tutte le reti (...e uno che ha surclassato tutti... Vero, Cacciari?...), che incarnano, magari inconsapevolmente, quella crisi della democrazia rappresentativa di cui ho tante volte parlato anche in questa sede, nella loro irresistibile pretesa di esprimere immediate lo spirito del popolo, di far coincidere in sé rappresentante e rappresentato, con le loro ideologie di "democrazia diretta", l'idolatria del web, l'idiosincrasia tipica di ogni Strapaese per ogni forma di pensiero critico.
Vinca il No o vinca il Sì, prevarrà poi nello sfortunato vincitore la ragionevolezza necessaria per riprendere il filo di un vero riformismo? Autonomia e responsabilità, nel loro nesso inscindibile, dovrebbero costituirne i principi. Autonomia fondata su assoluta chiarezza nelle proprie competenze e funzioni e sulla responsabilità nel reperimento delle risorse per adempierle. Ciò non sarà mai possibile con l'attuale assetto delle Regioni, con l'attuale sistema dei loro rapporti con lo Stato. Suona quasi risibile la solenne affermazione della Carta che la Repubblica è formata da Regioni, Comuni, Città metropolitane; la Repubblica è in realtà ancora lo Stato ministeriale, burocratico, romano-centrico; e questa riforma non lo muta pressoché in nulla.
Ancor più, un'autentica riforma dovrebbe svolgere, esplicitare il senso forse più profondo della Costituzione, quello che riguarda l'idea di popolo che vi si trova implicita: non multitudo, non turba di individui tutti uguali, da governare dall'alto attraverso frasi, promesse e soprattutto tasse (per chi le paga), ma pluralità di soggetti, che convengono autonomamente tra loro in organismi dotati di personalità giuridica e politica e ai quali perciò possono essere conferite funzioni rilevanti per il bene comune.
La nostra Costituzione auspicava il formarsi di un simile popolo; sessant'anni di centralismo, lo Stato-dei-partiti prima e la sua liquidazione senza alternativa poi, l'impotenza dimostrata da tutte le forme sindacali nel superare corporativismi e clientelismi, hanno finito col renderlo una vuota speranza? Sarà questo comunque il fronte su cui si decideranno, in un senso o nell'altro, le sorti della democrazia, e non solo in Italia.
(di Massimo Cacciari - l'Espresso)
Scritto il 09 dicembre 2016 alle 19:22 | Permalink | Commenti (0)
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L'esito del voto non chiude i giochi. Anzi inaugura una guerra suicida fino alle politiche
Abbiamo disegnato il referendum (e la brutta campagna elettorale che l'ha preceduto) in forma di cruciverba. Verticali, come le ragioni del sì e del no, discendenti dall'Alto del possedere la verità, senza dubbi, sfumature, dialogo. Orizzontali come la rabbia di un popolo stremato dai toni sempre alti, lirici, patetici, eroici, melodrammatici di un referendum, che ha finito per somigliare all'Italia che conosciamo e che vogliamo lasciarci alle spalle: parole. Parole crociate, che si intersecano ma non si comprendono. Perché in verità sono crociate fatte di parole. Incrociamole per l'ultima volta, dunque, in questo enigma che si scioglie dopo solo qualche istante di riflessione (così come sarebbe bastato a ognuno di noi per scegliere liberamente come votare). Un enigma che svela sulla copertina dell'Espresso l'unico titolo possibile: "Andiamo avanti".
Più che un titolo, un'invocazione democratica, laica, l'ultimo singulto da cittadini di un Paese che è rimasto in apnea per mesi in attesa del responso della sibilla referendaria. E che ha concentrato l'energia politica come fosse un laser puntato dritto e soltanto sull'avversario, energia dispersa, mentre milioni di italiani attendono scelte per la nostra vita di tutti i giorni e per il nostro futuro.
Il cruciverba a schema libero, come libero è il voto democratico, è dunque la metafora di questi bislacchi ultimi mesi. Con la stessa libido pantagruelica di verità assolute che ha animato il sì e il no, anziché discutere di Costituzione abbiamo costruito falsi applausi in Parlamento, bugie, enfasi, rabbia, sillogismi illogici alla faccia del popolo sovrano. Ci siamo ubriacati di referendum e ora ci troviamo affetti da una patologia cronica: il referendum interiore, il manicheismo rabbioso, la sindrome del copista, capace solo di ricalcare tesi di altri, riproponendo a ogni occasione un modello di scontro politico, un circo identico a se stesso che cambia soltanto città. Copiamo gli slogan del testimonial a noi più caro, demoliamo a insulti quelli dell'altro, per "asserire", e non per "riferire" una ragione che non è della democrazia. L'asserendum è la politica dei tempi nostri, il fare fuoco sulle idee altrui, nell'illusione che una soluzione chiavi in mano esista e contenga in sé non solo un punto di vista su cui aprire il confronto in Parlamento e nel Paese, bensì la ricetta finale. Siamo piccoli ciarlatani capaci di dare salute, soldi, sicurezza, futuro. Siamo i pifferai dell'eterna giovinezza democratica, che non è capace, in quanto nostalgica, di comprendere i tempi che guida, di mettere i piedi dentro la terra infuocata dell'Europa neonazionalista e del mondo globale in rivolta contro se stesso.
Macché finita. Magari. È solo cominciata. Ci aspetta un inverno fra grida truffaldine e falsa mitologia sul vecchio e il nuovo. Ci aspetta un "trumpismo" all'italiana, che si materializza nel momento in cui un Paese non si rende conto che la distanza di pensiero, la varietà di opinione è - essa stessa - radice di democrazia. Ciò che ci rende diversi dalle dittature, dove - lì sì - il pensiero è uniformante e proferisce verità assolute.
Non è il risultato del referendum ciò che mi spaventa, né ciò che intimorisce l'Italia o che mette a rischio il nostro futuro. Non è Bankitalia con le sue previsioni. Non l'Ocse o il giornale straniero di turno. È l'impressione che la difesa delle proprie idee, l'ideale massimo del dibattito politico, anche aspro, abbia lasciato il posto a uno scontro a fuoco fine a se stesso. Rumore di fondo che annienta il dibattito, lo sotterra. E che ci lascia udire solo alcune delle parole: l'ennesima miriade di promesse contrapposte, che dalle prossime ore non riguarderanno più la Carta, ma direttamente la campagna elettorale anticipata che sta per partire nel Paese dei 63 governi in 70 anni e delle urne sempre aperte.
Che dire? Risolviamo il cruciverba alla svelta perché questo climax drammaturgico ha stomacato il pubblico, che non si appassiona più. Questi toni da bar globale, senza la risata finale che almeno al bar si fa, sono lo specchio di ciò che siamo diventati. Burattini di un carrozzone politico buono per ogni occasione, forse questo sì - e non la riforma - l'insulto più grande che si poteva fare ai padri costituenti da parte di una generazione di figli e figliastri ricostituenti. Impegnati nella loro danza della pioggia. Ignari che sull'Italia piova ormai da anni. Senza bisogno di loro.
(di Tommaso Cerno - l'Espresso)
Scritto il 09 dicembre 2016 alle 17:49 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 09 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Dedico la riproduzione di questa "Amaca" di Michele Serra a "quelli che i mercati". E in calce posto l'andamento dei "mercati" nella settimana in cui dovevno esserci, tutte insieme, l'invasione delle cavallette, lo tsunami, un nuovo terremoto di Messina, e i bastioni di Orione avrebbero dovuto essere distrutti dalle fiamme...
Il Diluvio Universale
Scritto il 07 dicembre 2016 alle 18:03 | Permalink | Commenti (88)
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Ecco cosa i giornali avrebbero potuto apprendere (o lo hanno appreso e taciuto?) fin da lunedì, sui giudizi dell'Eurogruppo sulla Magnifica Legge di Stabilità dell'accoppiata "Renzi&Padoan". Ora - finalmente e forse - (la riserva è d'obbligo, cogli annunci del Serial Twitter) si dimetterà in giornata. Preghiamo caldamente il Presidente Mattarella, verso il quale nutriamo una "fiducia con riserva" di non affidare la formazione di un governo (breve e "di scopo") a qualche acritico cameriere di Renzi. Nessuno sembra vergognarsi, nel magnifico mondo renzino, dei nomi fatti circolare "per assaggio" (voglio sperare) di Graziano Delrio o di Padoan, che ha controfirmato tutte le scemenze finanziarie prodotte dal renzismo? Ma ecco la parte del rapporto - prodotto già da due giorni dall'Eurogruppo - che riguarda l'Italia:
Eurogroup Statement on the Draft Budgetary Plans for 2017 - Brussels, 5 December, 2016
[...] ITALY – We agree with the Commission's assessment that the budget is at risk of non-compliance with the requirements of the SGP. We note that according to the latest Commission assessment, Italy's structural fiscal effort in 2017 will be -0.5% of GDP, whereas +0.6% of GDP is required under the preventive arm. On that basis, significant additional measures would be needed.
We also note that an ex post assessment of overall budget execution, encompassing additional costs related to the refugee crisis, security measures and costs arising from recent earthquakes, may result in Italy being able to have a smaller though still significant deviation from the adjustment path towards its MTO.
We invite Italy to take the necessary steps to ensure that the 2017 budget will be compliant with the rules of the preventive arm of the SGP. The high debt level in Italy remains a matter of concern. We recall the commitment to use windfall revenues or unforeseen expenditure savings in 2017 and step up privatisation efforts to bring the debt ratio on a declining path. We take note that in light of prima facie non-compliance with the debt reduction benchmark, the Commission will issue a new report under article 126(3) TFEU.
...Paese avvisato, mezzo salvato... Non si può promettere a chiacchiere una riduzione del deficit strutturale di 0,6 punti di PIL, e poi, a furia di spargere mancette elettorali, arrivare ad avere un peggioramento di 0,5 punti. La somma algebrica fa peggiorare la situazione di bilancio italiana di 1,1 punti di PIL, pari ad oltre 16 miliardi di euro, il cui reperimento Renzi lascia in eredità a chi verrà dopo di lui.
Intanto apprendiamo che alle 19:00 Renzi presenterà le seconde "dimissioni irrevocabili" (speriamo che siano anche le ultime), e che nessuno gli chieda di "restare per spirito di servizio". Noi ci riteniamo soddisfatti ad abundantiam dei "servizi" che Renzi ha reso all'Italia, e che pagheremo - se ci va bene - per dieci anni.
Chi avesse voglia di leggere l'intero documento dell'Eurogruppo, può scaricarlo da QUESTO LINK
Tafanus
P.S.: Le Comiche Finali - In questi minuti l'aiuto capo-comico Gennaro Migliore (allievo di Maria Teresa Meli?) sta tessendo l'elogio delle dimissioni di Renzi, l'unico (sic!) che avrebbe avuto - secondo il Migliore e nei secoli - il coraggio di dare le dimissioni.
Possiamo educatamente ricordare a questo ragazzotto napoletano folgorato tardivamente sulla via di Frignano sull'Arno che le dimissioni "irrevocabili" e di fatto "irrevocate" le ha date, molto prima di lui, senza alcuna "revoca per spirito di servizio", e per una "colpa" molto più piccola, l'odiatissimo e disprezzatissimo "dinosauro e cacciatore di poltrone" Massimo D'Alema?
Scritto il 07 dicembre 2016 alle 16:05 | Permalink | Commenti (1)
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L'ultima idiozia che il renzismo, con sprezzo del ridicolo, sta cercando di propagandare, con uno zelo che susciterebbe l'invidia dei testimoni di Geova e dei venditori di Folletto, è questa: RIPARTIAMO DAL 40%. Lo ripetono tutti, e e Luca Lotti (uno dei migliori venditori di pentole del renzismo) si è spinto fino ad accollarsi la responsabilità di questa minchiata nero su bianco, su Twitter:
Luca Lotti è solo un esempio, ma questa minchiata la trovate diffusa a pioggia da tutti i centurioni televisivi di Renzi, e da tutti i giornali "embedded" al renzismo (anche se qualcuno di loro comincia ad avere qualche timido ripensamento (Vedi Galli della Loggia, che non è, per sua fortuna, assimilabile a Maria Teresa Meli, pur scrivendo sullo stesso Corrierone...)
Ma TUTTI gli apostoli compatti hanno trascurato un piccolo, insignificante fatterello: che per il SI non hanno votato solo quelli del PD, e che quindi l'intestarsi tutto il 40% dei SI da parte del PdR è l'ennesima truffa, l'ennesima menzogna nei confronti dell'elettorato. Volete la prova? Bene: facciamo riferimento alla solidissima (coma al solito) ricerca di Ilvo Diamanti (forse oggi il più solido ed onesto fra i ricercatori sociali). Guardiamo cosa ci dice sul voto al SI dei partiti diversi dal PdR:
SI NO
Questi dati, tratti dall'indagine sui flussi di voto della Demos di Ilvo Diamanti, incrociati con le intenzioni di voto tratte dal nostro database (media degli ultimi 10 sondaggi ufficilali), ci dice quanti punti percentuali - sui 40 punti per il "SI" - vengano da altri partiti. Per capirci con un esempio: se Forza Italia oggi vale il 10% nelle intenzioni di voto, e se il 34% degli autocertificati elettori di Forza Italia ha votato si, abbiamo che il 34% del 10% significa che 3,4 punti di quei 40 punti che Renzi (e a seguire Luca Lotti e tutti gli altri vassalli) hanno intestato al PdR, sono da sottrarre al "castelletto" che si è intestato il renzismo, perchè arrivano da elettori di Forza Italia.
Ripetendo il calcolo per tutti gli altri partiti, e sommando i relativi dati (voti per il SI di altri partiti), si ottiene che 11,4 punti dei 40 punti presi dal SI non appartengono al PdR, ma ad altri, sempre suoi avversari politici (tranne che per un misero 0,8% dell'alleato e ministro Angelino Alfano).
Fatta la differenza? 40,5 meno 11,4 uguale a 29,1, che è, quasi al secondo decimale, esattamente quanto gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto accreditano al PdR. Ripartiamo dal 40% sticazzi. Ma io temo che Renzi, nella sua infinita dabbenaggine (dimostrata per acta dalla sicumera con la quale si è espresso negli ultimi giorni sulle "magnifiche sorti" del referendum, creda anche a questo 40%, perchè questo lo spingerebbe ad anticipare al massimo le elezioni anticipate, e con la legge elettorale OGGI in vigore (anche se ancora sub judice presso la Corte Costituzionale), questo lo porterebbe a sbattere (e purtroppo a far sbattere anche noi) contro un ballottaggio col M5S, e qui, secondo TUTTI i sondaggi finora pubblicati sull'argomento, prenderebbe la seconda e definitiva facciata, consegnando i grandi poteri che aveva "progettato" per se stesso con l'Italicum, al comico bollito di Genova.
AVVISO AGLI APOSTOLI DEL RENZISMO: Se questo quadro dovesse realizzarsi, non accusate chi ha votato NO. Accusate Renzi, che non ha capito; che ha tentato di far passare una riforma utile solo a lui e non al Paese; che ha fatto a sportellate, con arroganza pari alla stupidità, con cani e porci, circondandosi da un'aura di antipatia difficilmente eguagliabile. Se un giorno questo disgraziato paese dovesse finire - dopo il cabarettista di Arcore - al comico di Genova, non accusate quel poco di sinistra che ancora resiste, in Italia, nonostante la vostra opera di evangelizzazione. Studiate, studiate... Forse qualcosa nel campo dei rapporti "cause/effetti" potrebbe alla fine perforare persino la calotta cranica dei pasdaran del renzismo.
SI e NO per stato professionale
Interessante, vero? il SI avrebbe dovuto essere il voto d'elezione delle classi più colte e impegnate... Ha finito con l'avere la maggioranza solo fra i pensionati; seguono le classi informate (studenti, liberi professionisti, impiegati, insegnanti, tecnici, professionisti. quindi gli incazzati: operai, casalinghe, disoccupati, autonomi, imprenditori. Insomma, sembra che ai disoccupati, che sono disoccupati nonostante le statistiche trionfali sull'occupazione del renzino (fatte coi 150 milioni di vouchers, e con la regoletta ISTAT secondo la quale è "occupato" anche chi abbia lavorato un giorno in un mese), sono piuttosto incazzati, perchè l'occupazione cresce, cresce, ma loro sono ancora a spasso...
SI e NO per classi d'età
Per chiudere in bellezza... questo è il dato più esilarante, ricordando la ferrea convinzione di alcuni miei ex amici, secondo i quali il no sarebbe stato il voto dei vecchi rincoglioniti conservatori (come me, per capirci...). Eccoli serviti, questi ggiovani virgulti rinnovatori, sempre pronti a fare rivoluzioni parolaie: i conservatori beceri del NO - udite, udite! - si annidano nelle classi "diversamente anziane": fra 1 18 e i 54 anni.
Tafanus
Scritto il 06 dicembre 2016 alle 14:05 | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 06 dicembre 2016 alle 08:00 | Permalink | Commenti (0)
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Questa era la tesi di tanti, ma sostenuta con molto spreco di bytes (e poco consumo di "informazioni"), da un mio "amico" facebook (mi correggo... "ex" amico, perchè ho come un'impressione che mi abbia tolto l'amicizia..) Cosa che mi ha gettato nella più profonda prostrazione... Ma cerco di farmi coraggio, e vi fornisco un'anticipazione di Ilvo Diamanti sulla ricerca Demos sulla segmentazione del voto (spero di potervi dare domani il servizio completo).
La diatriba se il voto per il SI dia quello dei ggiovani virgulti rinnovatori, e quello per il NO sia il voto dei vecchi rincoglioniti come me, è ben illustrato da questo "assaggio" della ricerca di Ilvo Diamanti; ma ci saranno sorprese anche sulla segmentazione per livello d'istruzione...
Voto per classi d'età
Dunque, dice Ilvo Diamanti (in contraddizione col mio ex-amico) che l'unica classe d'età nella quale c'è stata una leggera prevalenza del SI, è quella degli over 65. I "vecchi rincoglioniti", appunto. Quelli come me, conservatori e disinformati, che trascorrono le loro inutili vite a controllare gli operai della Telecom che lavorano nei tombini per la posa della fibra ottica.
E i ggiovani rivoluzionari tecnologici? Sembra che i ggiovani abbiano quasi tutti sbagliato a mettere la crocetta, anche se la scheda era di una semplicità estrema:
"Volete voi essere ggiovani, ma ricchi e belli, o vecchi, ma poveri e malati???" (copyright Catalano)
Due sole caselle per la risposta, ma sembra che la stragrande maggioranza dei ggiovani rinnovatori abbia sbagliato casella per la crocetta. Eppure c'erano solo due caselle... Una per il SI, una per il NO. E il no - certamente per errore e non per scelta - è stato plebiscitato soprattutto da quei "giovani adulti" fra 30 e 54 anni, e cioè al culmine della vita professionale. Ebbene, questi "aspiranti osservatori Telecom" hanno votato in massa per il NO: 68%, cioè due voti ogni tre elettori.
Peccato, caro ex-amico. Anche i migliori, a volte, sono travolti dall'ammmore, e le sparano a ruota libera. Prudenza, amici (ed ex-amici...) A volte è meglio "Viaggiare Informati" (copyright ANAS-ACI-Società Autostrade), che "Viaggiare nella note a fari spenti" (copyright Mogol)... Si evita di andare a sbattere contro un pilone di un cavalcavia...
Tafanus
Scritto il 05 dicembre 2016 alle 22:35 | Permalink | Commenti (7)
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Scritto il 05 dicembre 2016 alle 00:42 | Permalink | Commenti (57)
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Recensione del film "ANIMALI NOTTURNI" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Nocturnal Animals
Regia: Tom Ford
Principali interpreti: Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher – 115′ – USA 2016.
Gran Premio della Giuria a Venezia quest’anno, il film è un elegante racconto tratto da Tony and Susan, romanzo di Austin Wright, sceneggiato e diretto da Tom Ford, alla sua seconda opera da regista. Si tratta della storia del fallimento esistenziale di Susan (Amy Adams), proprietaria di una galleria d’arte a Los Angeles, dove erano esposte opere d’avanguardia, oltre che installazioni crudeli e molto disturbanti, come si può vedere all’inizio del film. Abbandonata dal suo compagno sempre altrove (anche nel weekend), che preferisce con ogni evidenza altre compagnie, Susan viene rappresentata nella solitudine della propria bellissima casa mentre legge la bozza del romanzo che Edward Sheffield (Jake Gyllenhaal), suo ex marito, le aveva inviato alla vigilia della pubblicazione. Si intitola Animali notturni quel romanzo, opera prima di un uomo che aveva sempre adorato scrivere e che ora, finalmente, aveva trovato un editore disposto a credere in lui.
Edward era stato un vecchio compagno di liceo, segretamente innamorato di lei, che Susan aveva casualmente rivisto a New York quando ancora era una studentessa della Columbia University: l’incontro inatteso aveva ravvivato l’attrazione reciproca, che ora si accompagnava ai sogni e ai progetti per il futuro: era stata lei a volere il matrimonio, nonostante i tentativi di dissuasione di sua madre, bella e cinica signora texana, molto scettica sulla possibilità che durasse nel tempo l’unione fra la giovane figlia, educata dalla sua nascita ai “valori” conservatori della famiglia che avrebbe presto riconosciuto come propri e un ragazzo senza storia, come tanti illuso che anche per lui sarebbe venuto il momento del successo, attraverso la scrittura.
La profezia era stata fin troppo facile: Edward non aveva condiviso la volontà di Susan di dedicarsi al mercato dell’arte aprendo la galleria di Los Angeles, cosicché fu, dopo solo due anni, abbandonato al proprio destino in modo duro e molto umiliante. La storia triste di quell’amore naufragato non viene raccontata nel modo diacronico col quale ho cercato di parlarne: emerge a poco a poco, sotto forma di flashback che riportano alla memoria dolorosamente i momenti irripetibili di un passato che Susan aveva stoltamente sprecato e che ora forse vorrebbe ricuperare. Questo è però solo un aspetto del film, che abilmente intreccia le immagini di quei ricordi con altre evocate dal romanzo di lui che ora Susan sta leggendo avidamente: si trattava di un thriller cupo e teso, del crudo racconto dell’orribile aggressione sfociata nel sangue, subita da una coppia di coniugi, in viaggio di notte con la figlia adolescente, su una deserta strada del Texas e della vendetta di lui, unico sopravvissuto, trasformatosi in killer (il riferimento più prossimo è Cane di Paglia di Sam Peckinpack). La prosa avvincente di Edward era stata capace di trasformare la notte insonne di Susan in un continuo incubo angoscioso.
Come si vede, la storia che il film ci presenta è complicata e richiede un’ottima sceneggiatura per tenere insieme i frammenti di memoria, la coscienza di un presente fallimentare, nonché il thriller contenuto nel romanzo. Miracolosamente il regista supera con eleganza la prova, dimostrandosi davvero un narratore di razza, come Edward. Mi permetto, però, di ribadire quanto avevo già espresso, a proposito del suo primo film, A single man, qualche anno fa: accuratissime le immagini, grande eleganza formale, ottima sceneggiatura, impeccabile direzione degli attori, ma quanta freddezza in tanta meticolosa e compiaciuta perfezione!
Angela Laugier
Scritto il 04 dicembre 2016 alle 19:59 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Folla "composta" di italiani all'estero in attesa di votare per il CNEL
L'Italia è il paese più divertente del mondo. Per gli altri. Non per noi che siamo condannati a viverci, governati da statisti come Renzi, Alfano, Verdini e Boschi...
Prendete il voto degli italiani all'estero... Alle precedenti elezioni politiche, hanno votato 837.000 italiani all'estero. Eppure si trattava del tipo di elezioni che ha sempre fatto registrare - sia in Italia che all'estero - le più alte percentuali di votanti. Domande chiare, effetti immediati... Chi deve governarci?
Oggi, su un'enciclopedoa di ben 49 articoli da cambiare - tema sul quale il 99% della popolazione non ha capito una mazza (provate a farvi dire da tutti i vostri amici cosa sia il CNEL... a voce, senza lasciar loro il tempo di andare su Wikipedia...) in Italia ci sarà un'affluenza del 60/65%. Invece dall'estero masse compatte di coscienziosi "elettori", magari nipoti di immigrati italiani, persone che non capiscono e non parlano l'italiano, hanno votato in massa per l'abolizione del CNEL o per la sua conservazione.
Bene, mentre - come dicevo, alle ultime politiche solo 836.000 elettori residenti all'estero hanno votato, per CNEL/SI - CNEL/NO si sono mobilitati, sembra, 1.600.000 elettori. Quasi il doppio che non alle elezioni politiche... Non è meraviglioso?
Ma, dato che noi siamo persone dalla memoria corta, ci pensano i tedeschi di "Der Spiegel" a ricordarci chi siamo. Il giornale tedesco ci ricorda la comica del voto "estero" al referendum del 1999:
"...Il loro voto sara` probabilmente decisivo", scrive lo Spiegel, ma poi ricorda che [...] "...nel 1999 si tenne un referendum abrogativo, quindi col quorum, per eliminare la quota proporzionale della legge elettorale detta Mattarellum, dal nome dei suo ideatore, oggi presidente della Repubblica. Mancarono 150.000 voti a raggiungere il quorum, nonostante la presenza di 349.000 elettori che erano morti..."
Curioso, vero? Ma questa volta non succederà! L'affluenza degli italiani alla terza generazione di emigrati è raddoppiata. Nessun pronipote di italiano emigrato nel 1850 vuole vuole rinunciare a contribuire all'eliminazione del CNEL.
E chi controlla la regolarità del voto? Le stesse strutture della Farnesina (ambasciate, consolati) controllate dall'esecutivo con la "mediazione" del renzino Gentiloni. E chi controllerà lo spoglio delle schede estere in Italia? In prevalenza militari, che rispondo al ministro degli interni, il renzino Angelino Alfano. Chissà se anche all'estero hanno votato con matite cancellabili, come in molta parte d'Italia... Qualcuno ricorda ancora gli scrutini delle politiche vinte da Prodi con solo 25.000 voti di scarto, dopo essere partito, al 10% degli scrutini, con due terzi dei voti a suo favore? Ricordate? le mitiche "chiavette USB" che raccoglievano e trasferivano i dati al Ministero degli Interni? Ministro era tale Pisanu, e la società che gestiva le chiavette apparteneva al figlio di Pisanu... Insomma... un'Italietta da "Scherzi a parte"...
Sarà un caso, ma in quasi tutte le elezioni precedenti (politiche o referendarie) all'estero sono state plebiscitate le tesi del partito che controllava pro-tempore la Farnesina e gli Interni. Oggi c'è il sovrappiù del voto ai morti, e delle matite "copiative & riscrivibili": un po' come i DVD +/- RW... E questo quasi-raddippio di votanti rispetto alle politiche del 2013? ...Ma, chissà... che sia triplicato il numero dei morti con diritto di voto?
Tafanus
Scritto il 04 dicembre 2016 alle 15:24 | Permalink | Commenti (3)
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