Pensando alla scissione, io ho una sola paura: quella che non la si faccia. Non c'è NIENTE che potrà mai convincermi a stare nella stessa stanza con Matteo Renzi, o con Orfini, o con la Serracchiani. Da questo partito deve "scindersi" Renzi, portandosi dietro tutto il gallinaio. Da ciò che potrà residuare, FORSE potrà rinascere un partito di sinistra.
Tafanus
La platea del teatro Vittoria a Testaccio ribolle fin da prima delle 11 di mattina, alcune centinaia di militanti restano fuori e quasi si sfiora l’incidente all’ingresso per la calca. Ci sono anche compagni venuti dalla Toscana in treno e pullman a dire che la scissione non s‘ha da fare, ma il grosso applaude i tre tenori della sinistra dem (copyright del deputato Laforgia) quando i loro Do di petto si scagliano contro Renzi. Basta nominarlo che la platea rumoreggia, poi viene giù quando Michele Emiliano elogia il passo indietro di Bersani nel 2013. «Per superare un momento di difficoltà del Pd lui si è dimesso, mettendo la comunità davanti alla persona. E’ grazie a quel gesto se il partito è sopravvissuto e Matteo si è potuto candidare a segretario e poi arrivare a palazzo Chigi». Ora invece il Pd «è al capezzale di una sola persona», «Matteo si può ancora convincere che è meglio che non lo fa più il segretario, che i partiti non servono per prendersi a botte». Ovazione. «Non rinuncio al Pd per l’arroganza e la prepotenza di chi pensa di cancellare tutto per calcolo politico o perché non gli conviene. E pensate che allo scorso congresso io l’ho sostenuto. Scusatemi…», gigioneggia il governatore della Puglia. Altra ovazione.
Bersani: “Non possiamo lasciare la spada di Damocle su Gentiloni”
E’ proprio qui il succo di una mattinata tra le note Bandiera rossa, vessilli del Pd e video di Guerre Stellari che parlano della forza. La minoranza chiede che il congresso si faccia in autunno, ma il succo politico è il passo indietro del rottamatore. «Nessuno pretende che si ritiri come Cameron, ma deve saltare almeno un giro». L’afflato verso il governo Gentiloni, che poi è la fotocopia del precedente, significa questo: «Vogliamo una conferenza programmatica per ridisegnare il profilo del Pd e accorciare le distanze tra noi», incalza Emiliano. «E magari da quell’appuntamento viene fuori un nome unitario per la leadership…». Tutti tranne Renzi, naturalmente.
L’annuncio della scissione non c’è, ma la minoranza a partire da Bersani fa capire che «ora la palla è dall’altra parte». Che sia un gesto spontaneo di Renzi o un’opera di persuasione da parte dei colonnelli, poco importa. «Chi ha coraggio adesso lo impieghi per evitare una scissione che nessuno vuole», ribadisce Emiliano. Il vicesegretario Lorenzo Guerini e altri renziani doc respingono subito la proposta ai mittenti via twitter: «Non si accettano ultimatum». Resta un piccolo giallo l’annuncio mattutino di Emiliano su Facebook circa un presunto sì di Renzi a votare nel 2018. Ma comunque non sposta i termini della questione. Il presidente della Puglia è il più cauto sul divorzio: «E’ facilmente evitabile». Ma anche lui, come prima Rossi e Speranza, mostra i muscoli: «Non avremmo paura a farlo, non possiamo sacrificare i nostri ideali per rimanere». Gli ideali, in sintesi, sono quelli di una sinistra che «torna a occuparsi dei più deboli».
Una forza «partigiana che sta dalla parte dei lavoratori», sintetizza Rossi che delinea un programma con molta spesa pubblica, vicino ai precari e ai sindacati e non più a Marchionne, ostile a un «capitalismo immorale». «A un congresso come una conta per riconsegnare la guida a Renzi noi non ci stiamo. Non siamo disposti a partecipare ancora alla trasformazione del Pd in un partito personale», scandisce il presidente della Toscana tra gli applausi. «Ci serve un percorso normale». «No, ci serve un segretario normale», grida una signora dalla platea. «Se non ci saranno risposte dall’attuale leader, «daremo inizio a una nuova storia, senza rancore e senza patemi»
(Fonte: La Stampa)
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