Quale poteva essere Reichlin, se non il Primo in Alto a Sinistra? (Gappisti, 1944)
Nato nel 1925 a Barletta, entra nelle formazioni partigiane romane, con le Brigate Garibaldi. Dirigente del Pci, direttore dell'Unità: è morto a 92 anni Alfredo Reichlin. Fu fra i gappisti romani catturati nel 1944 dai fascisti. Nel 1946 si iscrisse al Partito Comunista Italiano, di cui fu uno dei dirigenti più importanti per circa trent'anni. Allievo di Palmiro Togliatti, fu vicesegretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana e nel 1955 entrò all'Unità, di cui dopo un anno diventò vice-direttore. Promosso a direttore nel 1958, negli anni sessanta si avvicina alle posizioni di Pietro Ingrao, le più a sinistra nel partito. Quando l'attrito tra Togliatti e la corrente di Ingrao diventa inconciliabile, Reichlin è allontanato dai quadri de l'Unità per far spazio alla direzione di Mario Alicata.
Da Segretario regionale del PCI in Puglia fu molto attento alla questione meridionale, alla quale dedicò anche alcune sue opere. Deputato nazionale fin dal 1968, durante gli anni Settanta entrò nella direzione nazionale del partito e collaborò con Enrico Berlinguer. Successivamente fu favorevole alle trasformazioni del partito da PCI in Partito Democratico della Sinistra prima, da PDS in Democratici di Sinistra poi, ed infine da DS in Partito Democratico. Dal 1989 al 1992 fu "Ministro dell'Economia" del governo ombra del Partito Comunista Italiano. Sposato in prime nozze con la militante comunista Luciana Castellina (espulsa nel 1969 per aver aderito al gruppo de Il manifesto), ha avuto due figli: Lucrezia e Pietro, entrambi economisti.
Gentiloni lo ricorda così: "...Reichlin punto di riferimento per generazioni. Lo ricordo grande dirigente della sinistra. Una vita esemplare di impegno verso i più deboli e di responsabilità nazionale..."
Sarà per questo che adesso Paolo Gentiloni, discendente della famiglia dei Conti Gentiloni Silveri, nobili di Filottrano, Cingoli e Macerata, ha accettato di fare lo "scaldasedia" a tale Matteo Renzi da Frignano sull'Arno, sorretto e a volte finanziato dai Farinetti, dai Carrai, dai Marchionne, dai De Benedetti, dai Verdini, dagli Alfano, dai finanzieri con sede alle Isole Cayman...
Già... altri tempi, altri ideali, altri capi... C'era chi da teenager rischiava la vita nelle Brigate Garibaldi, e c'è chi rischiava il ridicolo guidando manipoli di Boy Scouts intenti nella improbabile operazione di accendere dei fuochi strofinando due legnetti (...c'è mai riuscito qualcuno?...), nonostante fossero stati inventati da decenni accendini e zolfanelli...
Alfredo Reichlin, hombre vertical, un uomo che ha speso la vita per la sinistra. Un uomo che mi è sempre stato caro per aspetti politici e non. Cominciamo da questi ultimi. Reichlin è nato a Barletta, la cittadina di nascita o d'adozione di molti personaggi illustri:
# Mia moglie Marisa, che a Barletta è nata ed ha frequentato le scuole fino al diploma di scuola secondaria, prima di trasferirsi a Napoli per frequentare la Scuola Interpreti. Mia moglie è diventata "personaggio illustre" per avermi sposato... :-)))
# Eraclio: Il Gigante Bronzeo di Barletta, alto 5 metri, del quale si sa solo che è approdato a Barletta nel 1202 (o almeno nel XIII secolo) sulla cui identità e sulle modalità dell'arrivo a Barletta si sono scatenate leggende e teorie a gogò).
# Pietro Mennea (forse non simpaticissimo, ma certamente velocissimo). Un "uomo sghembo" diventato un grandissimo atleta grazie ad un lavoro duro, testardo, costante, e ad un carattere estremamente competitivo.
# Giuseppe De Nittis, il grandissimo pittore morto giovanissimo a Parigi, e lasciando in eredità alla città tre sorelle zitelle, e al mondo delle stupende opere. La mia preferita? Il "Passaggio invernale degli Appennini". Ma la verità (che nessuno ha il coraggio di dire) è che De Nittis è diventato famoso solo perchè nella omonima Via De Nittis è nata e cresciuta mia moglie Marisa.
# Barlettano d'adozione lo scrittore Elio Vittorini, che ha lasciato in eredità alla città una bellissima libreria in Piazza dei Martiri: la piazza si chiama così perchè sul palazzo della Posta sono lasciati al loro posto i fori dei proiettili delle mitragliatrici che erano servite ai tedeschi per una "esecuzione esemplare" di "resistenti".
# Barlettano purosangue Vincenzo Desario, Direttore Generale di Bankitalia dopo Lamberto Dini, e rimasto in carica per 12 anni (dal 1994 al 2006). Noto in tutto il mondo principalmente per essere stato compagno di scuola della sorella maggiore di mia moglie, e in secondo luogo per avere, da Capo della Vigilanza di Bankitalia, demolito l'impero criminale di Michele Sindona.
# Non ho informazioni dettagliate sul matto proprietario della locanda messa a disposizione per l'evento noto come "Disfida di Barletta" (attore principale: Ettore Fieramosca).
Ma torniamo seri... Alfredo Reichlin. Non mi riesce di fingere dolore quando scompare un Uomo di 92 anni che ha speso la vita inseguendo ideali di giustizia sociale, di pulizia nelle istituzioni, di politica come servizio e non come summa di privilegi. Alfredo Reichlin è vissuto, ed è morto, come molti di noi sognerebbero di vivere e di morire. Per la morte di Reichlin non provo dolore, ma solo invidia.
Non mi riesce di ingoiare il "coccodrillo" del margherito Paolo Gentiloni su Reichlin. No, l'avatar e scaldasedia di Matteo Renzi, il "portavoce" der Cicoria Rutelli non può ammirare in quel modo, in quella misura, uno come Reichlin. Un "komunista trinariciuto" ammirato dal Conte Gentiloni? Per piacere...
Fra le tante cose che ha fatto Reichlin in vita sua, ci sono anche due "direzioni" de l'Unità: dal '57 al '62, e dal '77 all'81 (quando questo era ancora "il giornale fondato da Antonio Gramsci", e non da Matteo Renzi, dai fratelli Pessina e da Erasmo d'Angelis. Lontani mille anni luce dai tempi in cui l'Unità, giornale distrutto dal renzismo, decapitato da 100.000 copie e ridotto a foglietto ciclostilato da 5.000 copie "diretto" da un vignettista convertito alla destra, e da un "Franza o Spagna, purchè se magna", come Andrea Romano, carta da parati de La7.
Non "L'Uomo Qualunque", ma "L'Uomo Dovunque": dai salesiani a Massimo D'Alema, a Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo, a "Scelta Cinica" di Mario Monti, per approdare al PdR di Matteo Renzi...
No... quando ragazzetto di 22 anni a Berlino ogni giorno prendevo il metrò per approdare in Friederich Strasse, andavo a comprare l'Unità diretta da Alfredo Reichlin... Chissà se quell'edicola esiste ancora... Chissà se esiste ancora al mondo qualcuno che prende il metrò per andare a comprare l'Unirenzità di Staino & Romano, finanziato dai palazzinari Pessina...
P.S.: Mi piace immaginare che sentendo avvicinarsi il momento della morte, Alfredo Reichlin sia stato felicissimo di allontanarsi da questa epoca ignobile di trasformisti a cottimo, per conservare ciò che gli restava della sua intensa vita: dei ricordi puliti...
Tafanus
Alfredo Reichlin nel ricordo dell'amico Beppe Vacca
Beppe Vacca fa un tiro di sigaretta, quasi a trattenere l’emozione, come nello stile dei vecchi comunisti: “Ricordo che a uno dei primi incontri Alfredo mi chiese: quante ore al giorno lavori? Io risposi: sei, sette… e lui: così poco? Per fare grandi cose devi lavorare almeno dieci ore al giorno. Iniziò in quei tempi un grande sodalizio intellettuale e anche una grande amicizia”. È la fase della cosiddetta “ecole bariesienne”, il fecondo incontro tra il Pci e gli intellettuali in Puglia. Ricorda Beppe Vacca, storico direttore dell’Istituto Gramsci: “Alla fine del ’62 in preparazione del decimo congresso, Alfredo assume la segreteria regionale. Il partito comunista dell’epoca è un partito insediato nelle campagne, tranne Taranto città operaia, e nel quale la forza urbana è molto modesta e la presenza del ceto medio intellettuale è sparuta”. Reichlin è un giovane dirigente comunista, sguardo esigente e asciutto, cresciuto nel Pci togliattiano, quello di Gramsci del suo “rovello” della storia d’Italia, che interpreta il marxismo come storicismo assoluto, la “politica come storia in atto”, come ricorderà lo stesso Reichlin commemorando Ingrao: “Io – prosegue Vacca – avevo scoperto Togliatti, e in Reichlin vidi un dirigente esemplare, per più ragioni”.
Quali?
Innanzitutto per come interpretava il centralismo democratico. Tornando dalle riunioni di direzione a Roma, non è che dava la linea, spiegava il processo di formazione della linea. Metteva i dirigenti nelle condizioni di poter ragionare nei termini della discussione per come si sviluppava ai vertici. In secondo luogo, per la grande attenzione ai processi urbani.
La politica delle alleanze.
Alleanze e gruppi intellettuali. Anche perché questo tipo di esercizio di nutrire culturalmente il perché la linea era quella e non un’altra stabilisce un allargamento della comunicazione tra i gruppi stretti e una base più larga. Il terzo elemento è che lui inizia subito a dare un nuovo orientamento al movimento operaio della Puglia. Lavorando sui braccianti, sul sindacato, li colloca sul terreno più avanzato della lotta per la modernizzazione dell’agricoltura pugliese. È un approccio sviluppistico, non semplicemente rivendicativo. E infatti inizia allora il dibattito se il Mezzogiorno sia questione agraria o questione urbana. Sentendolo parlare avverto una nostalgia per un’epoca in cui la politica è anche esercizio intellettuale?
Per me è la politica è sempre questa e non può essere alta. Allora in determinate condizioni, oggi in altre.
Torniamo ai Dieci anni di politica meridionale, come si intitola suo il libro (Editori Riuniti, 1974).
Il punto di arrivo di questa linea, quando lascia la Puglia, per andare a dirigere la commissione meridionale, è che il Mezzogiorno non venga tagliato fuori, anzi è l’idea di un nuovo modello di sviluppo del Mezzogiorno. È un lavoro molto importante, che culmina con la conferenza di Crotone, basato sulla saldatura tra il ciclo contrattuale delle lotte operaie, i fenomeni moderni delle città e quello che si può muovere dalle campagne e dai fenomeni moderni delle città.
È la grande scuola togliattiana: l’analisi sociale, il campo, la politica delle alleanze, l’idea di una battaglia che porta all’approdo di una democrazia che distribuisce ricchezza e potere. Più avanzata.
La lezione di Alfredo è la lezione di Togliatti. Il fondamento della politica è l’analisi storica. La politica una grande chiave interpretativa della modernità, la politica organizzata.
In questa lezione c’è anche un partito non leaderistico. Reichlin è in segreteria con Berlinguer, il leader più popolare che ha avuto la sinistra, ma ha attorno una classe dirigente viva a critica, basti pensare alla vicenda della scala mobile.
Nella politica come è stata negli anni Settanta, il grande partito era un complesso insediamento sociale e il grande partito aveva grandi leader. Poi, cambia la società e il mondo. E quindi cambiano i partiti e la natura della leadership.
Negli ultimi anni, lei e Reichlin, due togliattiani, avete fatto scelte diverse. Molto diverse. Vi ha diviso il giudizio su Renzi.
Io ho guardato al Pd nel suo farsi senza essere influenzato dall’alternarsi delle sue leadership. E ho riconosciuto Renzi come leader legittimo.
Però, scusi professore. C’è una differenza non da poco tra il partito della Nazione di cui ha parlato Reichlin, che è un partito incardinato su una parte della società e si fa carico della funzione nazionale, e un magma senza confini. È la differenza tra un partito che allarga il campo della sinistra e quello che esce dal campo e rompe i confini.
Per me il Pd è un partito della nazione, già per il fatto che ha accumulato dieci anni di esistenza per una parte fondamentale di un pezzo dell’Italia, della nazione. Se io parlo della sinistra in Germania parlo della Spd, in Francia del Pse, in Italia del Pd. E il Pd, anche questo Pd, è più moderno delle socialdemocrazie. Non è, come dice lei, un contenitore indistinto, ma un campo di forze.
Nell’ultimo editoriale Reichlin sull’Unità usa toni pessimisti sul futuro della sinistra: “Non lasciamo la sinistra sotto le macerie”.
Ha il merito di parlare a tutti. Ognuno mediti e si faccia l’esame di coscienza.
Scrive Reichlin: “Anche io avverto il rischio Weimar. Crisi sociale e crisi democratica si alimentano a vicenda e sono le fratture della società italiana a delegittimare le istituzioni rappresentative”.
È dal 1975 che in Italia è aperta la questione Weimar. Uscì allora il libro la crisi di Weimer di Gian Enrico Rusconi, pubblicato da Einaudi. Ripubblicato oggi sarebbe attualissimo.
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