Erano anni, che speravo di incontrare, un giorno, Licia Pinelli, questa giovane donna di 89 anni, una bellissima faccia che ha avuto ragione del trascorrere del tempo, e che riesce ancora ad incidere sulle nostre coscienze con la sua sobrietà, il suo sguardo vivace ed ironico, la sua assenza di invettive. Ascolta molto, Licia, e parla poco. Ti risponde con un si, con un no, con un lampo del vivacissimo sguardo, e spesso con un rumoroso silenzio. E io mi sono sdebitato evitando di porle la classica domanda cretina da talk-show televisivo pomeridiano... "Licia, cos'hai provato quando hai appreso quella terribile notizia"? Credo che mi avrebbe fulminato con un sorriso di compatimento...
Devo molto "al Pinelli"... Nei "favolosi anni sessanta" mi affacciavo nel mondo del lavoro, in un irripetibile periodo storico in cui l'Italia cresceva a ritmi da "tigre asiatica", e qualsiasi giovane uomo dotato di un minimo di cultura, di cervello e di spirito d'iniziativa, vedeva spalancarsi tutte le porte verso un futuro brillante, o almeno tranquillo. E noi giovani "rampanti" eravamo abbastanza stupidamente orgogliosi di noi stessi, confondendo con meriti nostri ciò che era solo il frutto della fortunata circostanza di essere cresciuti negli anni giusti. Anni nei quali cambiare azienda ogni tre anni raddoppiando lo stipendio non era un miracolo, ma una situazione di normalità.
Ma era fatale che in quel contesto si diventasse molto concentrati sui nostri successi, e poco attenti al mondo che di li a poco ci sarebbe crollato addosso. In fondo del '68 mi sono accorto solo anni dopo... In fondo il famoso "maggio francese" l'ho vissuto come una specie di evento "live"... Andavo spessissimo a Parigi per lavoro, e dal mio comodo albergo nel quartiere latino guardavo come un film d'azione gli scontri (reali, non virtuali) fra movimenti e polizia, senza capirne il senso, e senza - colpevolmente - farmi delle domande scomode, che avrebbero forse potuto turbare la soddisfazione per il mio status...
In quel contesto, noi "rampanti" non eravamo di sinistra. Alle mie prime elezioni, ero tutto "meritocrazia e liberismo". Pensate... alle prime elezioni avevo votato PLI. A mia discolpa, devo ricordare che si trattava del PLI dei Malagodi (scuola Comit, Mattioli, Einaudi), e non per quello, caricaturale, di Renato Altissimo... Poi per qualche anno ho votato per il noiosissimo Ugo La Malfa. All'epoca, forse non conoscevo neppure la parola "carisma", e comunque non lo giudicavo un elemento importante nella classificazione dei valori politici.
POI ARRIVO' QUEL MALEDETTO DICEMBRE 1969 - Era iniziato bene, per me, quel mese. L'azienda per la quale lavoravo (la più grande azienda italiana di prodotti dietetici) mi aveva appena comunicato che dal 1° Gennaio sarei stato nominato "Dirigente" (parola piena di fascino e di "benefits"). Avrebbero approfittato della chiusura natalizia per allargarmi l'ufficio da due a tre moduli, avrei avuto anch'io una scrivania grande di mogano e non una piccola di formica, una segretaria personale, e avrei goduto del "MIP" (Management Incentive Plan), che di fatto aumentava di colpo il mio stipendio reale del 40%. E avevo 32 anni e mezzo. WOW! Insomma, in quelle condizioni la Cina non era Vicina, e non era vicina neanche Via delle Botteghe Oscure...
Poi arrivò il maledetto 12 Dicembre - Il fato volle che io stessi tornando in taxi da Linate, e che prima del Palazzo di Giustizia tutto fosse bloccato. Scesi dal taxi, mi avviai a piedi verso Piazza Duomo, e - arrivato in Piazza Fontana - transennata in tutto il suo perimetro - mi accorsi che la mia vita, e quella del mio Paese, era giunto ad una svolta. La bomba. La maledetta bomba era esplosa solo pochi minuti prima. Notizie confuse, viavai di auto della polizia, dei vigili del fuoco, delle ambulanze, i furgoni della RAI... Dall'atrio della Banca Nazionale dell'Agricoltura usciva ancora del fumo. Un fumo dall'odore acre, di plastica e carne bruciata. Non lo avrei mai più dimenticato.
Notizie confuse, contraddittorie, ma per fortuna nessun Bruno Vespa fra le scatole a chiedere con toni infastiditi. "...ma si può sapere quanti sono questi benedetti morti?..."
Ma non è stato l'odore della morte, a cambiare la mia vita (lo avevo già "assaggiato" da bambino, quando in un paesino della Calabria, dove eravamo sfollati durante la ritirata dei tedeschi, e dove nella chiesa era stato allestito un ospedale (si fa per dire), per i feriti e i moribondi che arrivavano in comitive. Gente di tutti i colori, Tutti sparavano a tutti. Ma i feriti che entravano in quella chiesa (non c'erano letti per tutti, quindi la norma era stare su un giaciglio di paglia) non avevano più "insegne". Non divise italiane, non svastiche, non fazzoletti rossi al collo... Mia madre prestava volontariato in quel macello, e qualche volta mi portò con se, perchè imparassi fin da piccolo cosa fosse la sofferenza. E cosa fosse la tolleranza. I moribondi non portano distintivi, non sono né amici, né nemici. Erano solo poveri ragazzi, spesso "condannati" ad una vita che non avevano scelto, curati (si fa per dire) da personale generoso ed inesperto, in condizioni igieniche inesistenti, e spesso senza medicine giuste e sufficienti.
Non rientrai in ufficio. Andai a casa, davanti alla TV, a cercare di capire cosa fosse successo. il COSA era stato chiaro abbastanza presto. Sul CHI, invece, era subito iniziata una riffa oscena. Non avevo una ostilità pregiudiziale, nei confronti di inquisitori e forze dell'ordine. Come avrei potuto, io figlio di un comandante dell'Arma dei Carabinieri? Ma una cosa, da mio padre, l'avevo imparata: se dopo un delitto hai le idee chiare e indizi concreti, vai a colpo sicuro a fermare due/tre persone. Se fermi 85 persone, le cose sono due: o brancoli nel buio, o stai cercando un colpevole purchessia, da dare in pasto all'opinione pubblica.
IL PINELLI VA IN QUESTURA COL SUO MOTORINO - Proprio così. Quando lo fermano, è così convinto di riuscire a dimostrare in 5 minuti che lui con Piazza Fontana non c'entra nulla (e forse ne erano convinti anche i poliziotti) che va in questura col suo motorino. E sotto sotto dovevano esserne convinti anche i poliziotti, altrimenti lo avrebbero portato con una loro macchina. In casa Pinelli nessuna sopresa. Il Pinelli era un candidato naturale all'inserimento nella lista dei sospetti: ex partigiano, animatore di un circolo anarchico... quasi perfetto.
(La famiglia Pinelli: Licia, Pino, e le due figlie Claudia e Silvia - FONTE ) Non rifaremo la storia della morte del Pinelli. Tutti possono trovare migliaia di pagine online. Libri, inchieste giornalistiche... Qui vogliamo solo ricordare che Pinelli "è stato suicidato" tre giorni dopo il fermo, quando per legge il fermo non poteva durare più di 48 ore; more solito, ci sono state innumerevoli e contraddittorie "letture" delle autopsie, della meccanica dei fatti, e persino sulla presenza o meno del Commissario Calabresi nella stanza da cui il Pinelli ha spiccato il volo.
La ricerca di "un colpevole qualsiasi" diventa chiara quando a finire sotto il "ventilatore spargimerda" finisce il povero Valpreda, riconosciuto dal misterioso "tassista Rolandi" (al quale era stata prima mostrata la foto della persona da riconoscere).
E mentre si cerca ad ogni costo un colpevole di sinistra, il potere ignora totalmente segnalazioni e indizi che piovono da destra (dal gruppo fascista di Freda, Ventura e soci). Il Pinelli e Valpreda saranno totalmente scagionati (troppo tardi...); e i terroristi neri, riconosciuti come autori della strage, se la caveranno. Alcuni per sopravvenuta prescrizione (...ma come... anche il reato di strage può essere "prescritto"?); altri perchè erano stati assolti in un precedente processo a Bari per le stesse accuse. Per i morti di Piazza Fontana non ci saranno colpevoli. E, in assenza di colpevoli, le spese processuali saranno addebitate ai parenti dei morti ammazzati.
Sullo stesso sito da cui abbiamo preso la foto di famiglia, leggiamo:
"...Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, dopo tre giorni di fermo illegale, Giuseppe Pinelli muore, precipitando dalla finestra di una stanza al quarto piano della Questura, dove subiva l’ennesimo interrogatorio.
A questa morte orrenda, si aggiungono le dichiarazioni infamanti del questore di Milano che afferma la tesi del suicidio a dimostrazione della sua colpevolezza. Pur nel dolore immenso della perdita Licia, con pochi amici, trova la forza e il coraggio di affrontare tutto questo, di ribellarsi alle verità ufficiali e con dignità inizia la sua battaglia per sapere non solo la verità sulla morte del marito, ma per difenderne la memoria così crudelmente distorta.
Chiede giustizia, ma quella giudiziaria non l’ottiene, scontrandosi contro un muro di gomma che le impedisce di entrare in un’aula di tribunale, di sapere quello che è avvenuto in quella stanza, quella notte,.quando in uno Stato che si definisce Democratico, di Diritto, un cittadino innocente, entrato vivo nella questura di Milano precipita da una finestra e muore, dopo tre giorni di fermo illegale.
L’unica inchiesta che venne istruita, in seguito alla denuncia di Licia, affidata al giudice D’Ambrosio, si concluderà nel 1977 archiviando la morte come un “malore attivo”.
A 40 anni da quel 16 dicembre, Licia viene invitata al Quirinale e il 9 maggio 2009, può sentire le parole che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, pronuncia in occasione della Giornata della Memoria per le vittime del terrorismo e delle stragi, in cui Giuseppe Pinelli viene indicato come vittima..."
(...peccato... questo mi fa mettere in forse la fiducia che ho sempre avuto nel magistrato D'Ambrosio... "Malore Attivo"??? Ne ho cercato una descrizione su siti medici. Ho trovato solo descrizioni caricaturali di questa rarissima malattia: un riferimento a Pinelli, un altro a Cucchi. Entrambi ammazzati. Che il Malore Attivo sia la nuova malattia della quale soffrono i morti ammazzati dal potere? NdR)
Napolitano e le vedove incolpevoli Pinelli e Calabresi - Nel 2009 il Presidente Napolitano invita al Quirinale Licia Pinelli e Gemma Calabresi, due vittime della stessa violenza. Per la prima volta le due donne si guardano negli occhi, e si stringono la mano. Napolitano fa una delle poche cose di cui gli sono grato: definisce senza mezzi termini il Pinelli VITTIMA di un atto di incomprensibile violenza. E' un chiaro atto di accusa alle istituzioni che non hanno saputo proteggere la vita di una persona che si era affidata alla loro custodia, o addirittura potrebbero aver contribuito attivamente a quella morte (col permesso di D'Ambrosio e della sua teoria sul "Malore Attivo")... Sei anni dopo, alla fine del suo mandato, Napolitano conferirà alle due donne il titolo di "Commendatore".
Il ruolo ambiguo del sindaco italoforzuto Albertini - In Piazza Fontana c'era da anni una lapide in memoria di Pinelli. La lapide è "in memoria di Giuseppe Pinelli, ucciso nella questura di Milano il 16 Dicembre 1969. Uno dei primi atti del Sindaco Albertini, è quello di far togliere nottetempo quella lapide, e di sostituirla con un'altra, nella quale Albertini, in nome della sua natura di uomo di destra, fa cambiare alcuni piccoli dettagli: il Pinelli non è stato UCCISO, ma è "morto tragicamente" (come, non è dato sapere); e poi "accorcia" la vita di Pinelli di un giorno. Nella lapide versione Albertini la morte non risale al 16, ma al 15 di dicembre. Un osceno trucchetto per far rientrare la presenza di Pinelli in questura nelle 48 ore di fermo consentite. Un trucchetto tanto scoperto e patetico da diventare ridicolo.
Le due lapidi a confronto
La lapide a sinistra riporta il testo originario (quello che dice la verità storica). E' stata rifatta a cura degli Studenti e Democratici Milanesi, e piazzata accanto a quella menzognera del Sig. Albertini. Le due lapidi, con le loro contraddizioni, sono un inno alla volgare, ignorante insipienza del Sindaco Albertini (braccia rubate alla "fabbrichetta), e alla "furbizia cretina" di certa destra. Spero che nessuno voglia rimuovere la "Lapide Albertini"...
Il nostro incontro - Devo questo incontro, al quale tenevo moltissimo, alla squisita gentilezza di tre donne: la signora Licia Pinelli, che ci ha ospitati nella sua bella casa in Porta Romana. Ci ha ricevuti - credo per metterci a nostro agio e togliere qualsiasi parvenza di formalismo all'incontro - in cucina, tutti seduti a tavola, a mangiare la sua torta, e a bere succhi di frutta e caffé d'orzo. Lo devo alla gentilezza di sua figlia Claudia, che all'età della perdita del padre aveva solo 8 anni. E lo devo alla intermediazione di una cara amica del "Tafanus" (Enrica A.), legata a Licia dalla militanza molto attiva nell'ANPI e in altre attività di attivismo politico in favore di quel poco che ci resta di sinistra. Tre donne meravigliose.
Un'ultima cosa: non ho fatto molte domande, perchè i fatti li conoscevo bene, e le sensazioni sono fatti privati. Una sola cosa voglio riferire. Ho fatto a Claudia una domanda secca: "Qualcuno si è ricordato, in quasi mezzo secolo, di scusarsi con voi"?
Altrettanto secca e significativa la sconcertante risposta. "NO".
Claudia e Licia Pinelli, Tafanus, Enrica A.
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