Anche oggi avrei voluto ricordare, come ogni anno, il 25 Aprile, data sacra per tutti i democratici italiani. Avrei voluto farlo, senza dire cose già sentite mille volte. Avrei voluto farlo senza retorica e senza banalità. Mi sono venuti in soccorso il più vecchio dei nostri giovani (o il più giovane dei nostri "vecchi"), il Partigiano Umberto, e la nostra Pasionaria, con questa bellissima lettera aperta, che è una splendida rievocazione di quei giorni.
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Nel '45 io ero troppo piccolo per capire quale immane tragedia avesse vissuto il mondo, ma abbastanza grande per percepire l'immenso dolore che in quegli anni aveva attraversato, in un modo o nell'altro, tutte le famiglie italiane. Umberto e Pasionaria, con questa bellissima lettera aperta, ci aiutano a non dimenticare, e ci aiutano a stare lontani da pericolose tentazioni revisionistiche, che in questi anni hanno pericolosamente sfiorato anche la nostra parte politica. Grazie, Umberto, grazie, Pasionaria.
Tafanus
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Caro Taf, ogni anno è sempre lo stesso nodo in gola, se penso a quel 25 aprile: due prozii e tanti amici di famiglia caduti - tra cui quel Giuliano Suppini, ventenne, che partì per “la montagna” confessando a mio zio che se e quando fosse tornato avrebbe chiesto a mia madre 18enne di sposarlo, e che poi non tornò, e che ha una piazza intitolata qui a Genova… La commozione vola... e come si fa a non ripensare a quei giorni?
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Non e retorica, Taf, è Storia: da una parte un’odiosa dittatura fascista, xenofoba e delirante; dall’altra un popolo umiliato che vuole riscattare la propria dignità di fronte a se stesso, ai propri figli ed al mondo intero, di fatto, la logica perversa della prevaricazione e del non-diritto, opposta allo slancio schietto, corale dei valori condivisi, l’oscurantismo contro la luce… insomma, il sonno della Coscienza e la coscienza del letargo.
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Per questo la parte sana degli Italiani, - mai come in questo caso con la “I” maiuscola - si dispera ma si interroga, cerca alternative. Sfidando il pericolo, quegli italiani si trovano, discutono, confrontano diverse ideologie e convogliano rabbia e voglia di fare su valori comuni di libertà, giustizia e rispetto.
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Si organizzano: dalla città alla campagna, nelle fabbriche, nelle università, nelle chiese e nelle case comincia a prendere forma, discreto eppure forte, un disegno di riscatto civile. Uomini, donne, bambini perfino, sacerdoti, intellettuali, artisti, semplici operai e operaie, e, più tardi, i soldati sbandati dell’otto settembre, nessuno si tira indietro, nessuno cede alla paura; il movimento cresce, si organizza, si struttura, cerca alleanze segrete con le forze alleate che spingono da tutto il mondo per abbattere il nazifascismo; dapprima sussurrato, si fa via via voce nascosta ma corrente fino a diventare urlo, coro di consapevolezza ed abnegazione, scende lungo le strade delle città, percorre i vicoli di paese, sale sulle montagne, serpeggia nelle scuole, nelle fabbriche, ovunque.
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Si formano i S.A.P. ed i G.A.P., le Brigate Partigiane che agiscono sabotando i mezzi nazifascisti, minando i gangli vitali del terrore, fino a quel momento ritenuto intoccabile, e, con l’aiuto degli operai in sciopero, rincuorati dalle nobili voci che si levano dalle università, recidono sistematicamente, uno dopo l’altro i fili del potere oscuro e la sua arrogante sicurezza che inizia a vacillare...ma a che prezzo!
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Si muore, dappertutto: per rappresaglia, nelle tristi sedi di tortura, in azione: per strada, sui monti e non sono solo i “patrioti” attivi a cadere, muoiono anche e soprattutto gli innocenti: i bambini, gli ebrei, colpevoli solo di esserlo, i vecchi, tutti trucidati, senza appello, senza pietà. Ma il popolo risponde con coraggio: eroi anonimi, terrorizzati eppure determinati, giovani e anziani, tutti giocano a passaparola con la morte: a volte è solo la data di un appuntamento bisbigliato a mezza voce in un bar, o un fagotto di pane e vino lasciato a una fonte, un sacco di munizioni nascosto in balle di fieno: così il popolo sovrano costruisce il proprio riscatto e vince, mettendo in ginocchio con le nude mani chi voleva mettere in ginocchio il mondo intero con gli eserciti ed il terrore.
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Anni di impegno e di sangue ma nulla può contro la tenacia di chi è nel Giusto: è vittoria, finalmente, si può tornare allo scoperto per il tempo della gioia e dell’orgoglio. Sfilano nelle città festose pur tra le macerie, tornano – chi torna…-, quei ragazzi, quegli uomini, quelle donne, stanchi ed ancora increduli, scortano le livide schiere di invasori e fascisti a braccia alzate, le mani intrecciate sulla testa, prigionieri, a loro volta increduli della sconfitta per sottoporli alla pubblica vergogna.
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Cantano, baciano le ragazze che portano nei capelli i fiori di quell’aprile; ballano i ritmi degli americani che li hanno aiutati, per qualche notte di legittima spensieratezza, per una pausa, ma nella consapevolezza che la contingenza incombe e che prima di ogni altra cosa, subito dopo la festa, ci sarà il momento del silenzio, nel ricordo dei compagni caduti, vittime necessarie e preziose, comunque presenti nei cuori di chi è sopravvissuto. Poi, la vita: il riorganizzarsi, il dare regole a quella libertà ritrovata che senza, sarebbe solo caos. Nuovamente si riuniscono con già nella mente e nel cuore, l’idea di una nuova Italia civile e democratica.
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E finalmente il 22 dicembre 1947 il presidente dell’Assemblea Costituente, Umberto Terracini può annunciare l’approvazione del testo definitivo della Costituzione, naturale, felice epilogo di tanto sacrificio, ecco le sue parole:
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“…l’assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo Italiano cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore…con Voi mi inchino reverente alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico ed il generoso prezzo di sangue per la nostra libertà e la nostra indipendenza (vivissimi generali applausi); con Voi inneggio ai tempi nuovi cui col nostro voto, abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi.
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Viva la Repubblica Democratica Italiana libera, pacifica ed indipendente! (vivissimi generali prolungati applausi – Si grida Viva la Repubblica! Viva il Presidente Terracini! – Nuovi vivissimi, generali applausi).”
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Ecco, ricordare la guerra di liberazione così, come una scorsa al volo di un esaltante romanzo, ancora oggi mi commuove ed inorgoglisce se solo provo a dirmi: “ Siamo stati noi! Siamo stati capaci di farlo!”. E’ da qui che veniamo, tutti, anche chi ultimamente tenta di negare la sacralità di quei fatti, ma poi usa quella Democrazia Conquistata per tentare di distruggerla. Noi, figli di un altro Dio, a noi fortunati per aver trovato il corso del vivere democratico già segnato ed avviato dal sacrificio dei nostri padri, rimane quindi l’alto compito della Memoria.
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Mai dimenticare chi ha umiliato l’Italia! Nessun revisionismo che neghi gli orrori del nazifascismo! Mai dimenticare chi ha lottato duro per la libertà, quella vera fatta di regole condivise e non di arbitrii personali…Mai dimenticare il prezzo di sangue pagato! Mai cessare di insegnarlo ai nostri figli, perché mai più si ripeta la tragedia di una guerra civile, ed essere veramente, a dirla con Pietro Calamandrei, nella famosa "Epigrafe dell'Ignominio":
Perché non è retorica, ma è Storia: la nostra.
Nota: Processato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue "gravissime" condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi, di cui per altri 8 anni fu attivo sostenitore. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l'impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che - anzi - gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli... un monumento.
A tale affermazione rispose Piero Calamandrei, con una famosa epigrafe (recante la data del 4.12.1952), dettata per una lapide "ad ignominia", collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l'avvenuta scarcerazione del criminale nazista.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
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