Se al culmine di questa bella storia tutta italiana nota come “Radiotelevisione Italiana” vi chiederete quale possa essere il motivo per cui una legge dello stato (il famoso tetto ai cachet dei conduttori RAI fissato a 240.00 euro all’interno delle nuove norme sull’editoria) non valga per i Fazio ed i Fede, leggetevi prima chi sono i consiglieri di amministrazione e poi quale sia il commento di Carlo Freccero.
Guelfo Guelfi: classe 1945, pisano di nascita, professionista della comunicazione, considerato molto vicino al premier Matteo Renzi (ma soprattutto al padre del premier, Tiziano). Guelfi viene accreditato come spin-doctor di numerose campagne elettorali, tra cui quella che portò Renzi alla poltrona di sindaco di Firenze.
Paolo Messa: nato a Bari nel 1976, editore, docente, scrittore e comunicatore politico, è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Bari. Ha curato la campagna elettorale del 2000 di Raffaele Fitto e successivamente ha svolto dal 2001 al 2006 il ruolo di capo ufficio stampa e capo della comunicazione dell’Udc.
Giancarlo Mazzuca: classe 1948, originario di Forlì. Giornalista, scrittore, alla guida de Il Resto del Carlino dal 2002 al 2008, e de Il Giorno. Candidato nel 2008 tra le file de il Popolo delle Libertà, viene eletto alla Camera nella circoscrizione XI dell’Emilia Romagna.
Rita Borioni: classe 1965, è l’attuale assistente del presidente della VII Commissione del Senato, carica che ricopre dal giugno 2013. Per 11 anni ha lavorato come collaboratrice parlamentare in Commissione Cultura alla Camera dei Deputati per il Gruppo parlamentare dei Ds, mentre per cinque è stata collaboratrice della Commissione Cultura del Senato, sempre per il Gruppo dei Ds.
Arturo Diaconale: nato in provincia di Teramo nel 1945. Inizia nel 1973 l’attività giornalistica nella redazione romana de Il Giornale di Sicilia. Giornalista parlamentare nel 1976, capo della redazione romana all’inizio degli anni ‘80, passa nel 1985 a Il Giornale. Nel 1992 lascia Il Giornale e diventa redattore capo del quotidiano televisivo della Fininvest Studio Aperto. Candidato al Senato per il Polo delle Libertà nelle elezioni politiche del 1996 nel Collegio 14 della Regione Lazio, senza essere eletto.
Carlo Freccero: nato a Savona nel 1947, negli anni ’80 responsabile dei palinsesti di Canale 5 e Italia 1, poi curatore della programmazione di Rete4, responsabile dei programmi di La Cinque direttore di Italia 1, nel 1996 diventa direttore di Rai2. Nel 2007 viene nominato presidente di Rai Sat, incarico che mantiene fino al 2010. Intanto nel 2008 diventa direttore di Rai4: la lascerà nell’agosto 2013, andando in pensione dalla Rai.
Franco Siddi: nato in provincia di Sassari il 25 novembre del 1953, ha iniziato la sua carriera di giornalista come collaboratore dell’‘Unione sarda’ e poi del Gazzettino Sardo della Rai. Poi dopo un periodo nell’ufficio stampa del Comune di Cagliari, torna a scrivere per La Nuova Sardegna , impegno che lascerà per occuparsi a tempo pieno della carriera sindacale.
Fabio Fazio era pronto a trasferirsi a La7: per questo, il direttore generale della Rai Mario Orfeo ha sollecitato il Cda di Viale Mazzini a votare la conferma del presentatore in palinsesto: "Altrimenti - dice ora il consigliere Rai Arturo Diaconale - qualcuno ci avrebbe chiamato a rispondere per il danno alla televisione di Stato. Noi siamo stati costretti, in un certo senso, a sottoscrivere la conferma di Fazio. Non con la pistola, ma con la forza del Codice civile".
Cioè, il danno non è pagare 11,8 milioni di euro in quattro anni Fazio, ma rischiare di abbassare lo share, ammesso che scegliere un altro presentatore lo faccia davvero abbassare…
La presidente della Rai Monica Maggioni, davanti ai parlamentari della Commissione di Vigilanza, ha inoltre alzato il tiro: "Non abbiamo visto il contratto che Fazio si preparava sembra a sottoscrivere con la concorrenza. In fondo, chi ti fa vedere una cosa del genere ? Ma non ho dubbi che il contratto esistesse. Come sono certa che la perdita di Fazio avrebbe portato uno scossone ai nostri ascolti, con effetti seri e sistemici che non ci siamo sentiti di affrontare avendo 13 mila dipendenti".
Fatemi capire, il consiglio di amministrazione RAI dietro la terribile minaccia da parte di Fazio di andarsene a La7 (rete che occhio e croce ha uno share pari ad un quinto di Rai tre) cala le brache in spregio ad una legge dello stato e lo omaggia di 2,8 milioni di euro l’anno.
Tanto il budget lo si paga con il canone rai, no ?
Ricorderei che Fazio, oltretutto, ha imposto la produzione esterna di Endemol di un programma già finito nell’occhio del ciclone per i compensi a Madonna per 15 minuti di comparsata: come se fra i 12.000 dipendenti RAI non vi fossero le professionalità necessarie alla produzione interna.
Precisa ancora Maggioni: "Fazio fa parte della storia della televisione di Stato: vedere transitare quel marchio, quel volto, quel format su un altra emittente avrebbe comportato uno scossone".
Quindi un invito ai parlamentari: "Uno spot sulla Terza Rete, dove Fazio ha lavorato finora, pesa meno di uno spot sulla Prima dove noi lo spostiamo. Vi invito a ragionare su questo e sull'impatto positivo che il suo trasloco su RaiUno produrrà per i nostri conti".
"Non so - aggiunge la presidente - se la conferma di Fazio sia stata la scelta migliore. Certo, avere addosso il mirino per piccioni come capita a noi non è la condizione migliore per lavorare".
Già: perché buttare i soldi dei contribuenti in periodi come questo è in effetti una raffinata dimostrazione di intelligenza politica, considerato il fatto che anche i parlamentari continuano a contestare l'accordo con Fazio.
In particolare Renato Brunetta (Forza Italia) e Fabrizio Anzaldi (PD) considerano l'intesa contraria alla legge perché viola il tetto ai compensi fissato a 240 mila euro lordi annui dalla nuova normativa sull'editoria.
Del resto basterebbe leggere cosa afferma Carlo Freccero sul “Fatto Quotidiano”:“Il nuovo direttore generale Mario Orfeo non capisce nulla di palinsesti e la tv di Stato è manipolata dall’ex premier Matteo Renzi”.
Sul Fatto Quotidiano, riguardo al nuovo compenso del conduttore Fabio Fazio, l’ex direttore generale Campo Dall’Orto aveva spiegato: «Quegli stessi membri del cda, uno fra tutti Marco Fortis, nominato dal Tesoro, che erano contrari a rimuovere il tetto con Campo Dall’Orto, si sono improvvisamente convinti del contrario con Orfeo.
Pare non interessi tanto la legge, in quanto tale, ma appoggiare o rimuovere un manager più o meno gradito a quella politica che fa le nomine. Il vero problema che stava dietro al teatrino dei compensi alle star era l’esito del referendum».
«È dopo il 4 dicembre - aveva continuato Freccero - che Renzi decide di togliere la spina ad Antonio Campo Dall’Orto, ritenendo che la Rai avrebbe dovuto fare di più per il `Sì´. (NdR: e questo ha dell’incredibile… ricordate quanto la RAI ha spinto in maniera assolutamente indecente per il sì referendario ?) In altri termini Renzi manipola la Rai: dalla nomina di Campo Dall’Orto a oggi, ci siamo dovuti misurare, noi consiglieri, con la natura ambigua della Rai divisa tra servizio pubblico e televisione commerciale. Io volevo che fosse salvata sia la dimensione culturale del servizio pubblico che la sua redditività di grande azienda statale. Ora è emersa, però, una nuova dimensione della Rai che Renzi si era proposto di rimuovere: la dimensione politica, se non governativa. In breve, è la politica a dettare l’agenda al cda, in base alla presenza di persone più o meno gradite».
Sulla cancellazione dell’Arena di Giletti, Freccero afferma: «Certo, un contenitore dove potevano succedere `incidenti´, quindi meglio non avere nessun problema: ho addirittura proposto Vespa per la domenica pomeriggio, ma niente. Questi palinsesti sono disorganici: Orfeo è un giornalista competente, ma non può applicare le sue strategie dell’informazione alla programmazione, perché dimostra di non capire nulla di palinsesti. Il suo modello è il `panino´ dell’informazione unica, sadico con le opposizioni che disturbano la maggioranza».
Vedete, come è chiaro a molti il potere dei partiti sulla Rai si è progressivamente trasferito sulla nomenclatura aziendale che, sommandosi allo strapotere sindacale, ha permesso ad un manipolo di eminenze grigie di fare il bello e il cattivo tempo nella TV di Stato che deve sopravvivere, ma non cambiare.
Sbaglierebbe chi ritenesse che questa situazione sia modificabile (come succede in qualsiasi società per azioni di qualunque paese ad economia di mercato) dall'azione del presidente e dell'amministratore delegato o dal cda: i sette personaggi hanno solo formalmente la possibilità di fare scelte ma in realtà sono costretti a rispondere a chi li ha messi in quel posto, e del resto non rischiano nulla, se non di offendere i loro padroni, che evidentemente non sono gli Italiani che li pagano ma i politici che li hanno messi in quel posto..
Immaginate se sia possibile una cosa come questa: la Rai è l'unica azienda editoriale italiana che non applica il contratto di lavoro giornalistico, quello che prevede la possibilità del licenziamento con (lauto) indennizzo automatico di ogni direttore e vicedirettore di testata per autonoma (e non appellabile) decisione dell'editore.
Nei contratti Rai invece si prevede una clausola che prevede specificamente l'illicenziabilità anche nelle posizioni dirigenziali: questo significa che, se un direttore viene sostituito, l'azienda deve trovargli un altro posto di suo gradimento (che spesso è farlocco) e il rimosso conserva la retribuzione e i benefici direttoriali precedenti.
E questo anche se il direttore rimosso non viene ritenuto più all'altezza dei suoi compiti oppure è stato promosso grazie a poco edificanti rapporti con la politica.
Recentemente, in piena gestione Campo Dall'Orto (ancora forte perché sostenuto da Renzi prima del referendum che lo ha disarcionato) è stata fatta in Rai una infornata di vicedirettori, tutti promossi con la clausola aggiuntiva della illicenziabilità che, ripeto, non è prevista dal contratto nazionale di lavoro giornalistico.
Ora, pazienza con le posizioni in essere (a costoro, avendo ottenuto il beneficio extra-contrattuale, esso non può essere tolto se non con una specifica e difficile ricontrattazione) ma insistere attribuendo l'assurdo beneficio anche con le nuove nomine (avvenute sul finire del 2016!) è uno dei tanti fatti che dimostrano che la Rai non solo astrae dai costi, ma è anche irriformabile se non tramite la mera (e ormai irrinunciabile) privatizzazione che la riporti entro un logico alveo di naturale concorrenza.
In queste condizioni la Rai (in barba alla tante eccellenti professionalità che in essa operano quando vengono lasciate operare) è sempre più una società autoreferenziale che si bea della propria impunità, protetta da un oggettivo balzello antistorico quale il canone obbligatorio.
Ed, incredibilmente, anche i politici si sono lasciati avviluppare dalle lusinghe dei vertici RAI fino a perdere la loro referenzialità: il potersi permettere (attraverso il pagamento degli 11,8 milioni a Fazio) lo schiaffo finale al parlamento indica in maniera chiara come i boiardi, autoinstallati nelle aziende di Stato, siano incredibilmente in grado di farsi beffe del parlamento.
Complimenti ai presidenti del consiglio che si sono succeduti negli ultimi anni.”
Axel
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