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Scritto il 29 ottobre 2017 alle 03:01 | Permalink | Commenti (1)
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Recensione del film "GOOD TIME" (di Angela Laugier)
Regia: Ben Safdie, Joshua Safdie
Principali interpreti: Robert Pattinson, Ben Safdie, Jennifer Jason Leigh, Barkhad Abdi, Buddy Duress, Taliah Webster, Peter Verby, Gladys Mathon, Marcos A. Gonzalez, Cliff Moylan, Rose Gregorio, Shaun Rey, Souleymane Sy Savane – 99 min. – USA 2017
Presentato in concorso a Cannes, questo film è firmato dai fratelli Safdie: Ben (che del film è anche sceneggiatore e protagonista) e Joshua, cineasti indipendenti newyorchesi, poco conosciuti in Europa e quasi sconosciuti in Italia. Nonostante la scarsa notorietà dei due registi e nonostante questo loro lavoro (a basso budget) si confrontasse con opere di autori ben più noti e blasonati, il film non è passato inosservato, ottenendo anche la gratificazione di una Palma per la funzionale colonna sonora (di Oneohtrix Point Never). Significativo il sostegno convinto dei Cahiers du Cinema che a quest’opera dedica un’ampia recensione di Joachim Lepastier nonché due interviste (dalla pagina 20 alla pagina 29 del numero di settembre).
Il film potrebbe sembrare un noir costruito intorno al progetto di una rapina in banca, finita malamente, dopo essere stata ideata e studiata in modo grossolano e ingenuo da Connie (Robert Pattinson), giovane balordo, senz’arte né parte, che viveva di espedienti e di spaccio nella sterminata periferia del Queens a est di Manhattan. Egli era convinto che quella rapina sarebbe stata il colpo grosso della sua vita, quello che gli avrebbe permesso di costruire il futuro senza problemi (Good Time) che aveva sempre sognato per sé e per il fratello Nick (Ben Safdie), ritardato mentale, cui era necessario il suo affetto protettivo. Le prime scene del film ci avevano presentato proprio Nick, che, con ostinato mutismo e con dolorosa inquietudine seguiva il test a cui un anziano psicologo lo stava sottoponendo. Si era messo a piangere, il povero Nick, silenziosamente. Era difficile capire che cosa lo avesse turbato (forse qualche associazione mentale dolorosa) durante quel colloquio in apparenza amichevole. Con una irruzione improvvisa, allora, Connie era entrato nell’ufficio dello psicologo e, sbraitando e minacciando, aveva portato via quel fratello disgraziato: mai avrebbe permesso di lasciarlo nelle mani di un uomo che lo stava torturando tanto da farlo piangere.
In realtà Connie era riuscito a fare di Nick il proprio inconsapevole complice nella rapina fallimentare che ho detto. La polizia, che ora li stava inseguendo, sarebbe riuscita ad acciuffare solo lui, il più fragile, il più lento a correre, il meno capace di difendersi: era infatti stato portato all’ufficio di polizia, pestato a sangue per farlo parlare e presto ricoverato all’ospedale dove era attentamente sorvegliato. Molteplici e imprevisti erano diventati però i guai per Connie; senza soldi, attivamente ricercato e intenzionato a procurarsi l’ingente somma necessaria per dare modo al fratello di tornare libero su cauzione, prima che l’interrogatorio davanti al giudice compromettesse del tutto la possibilità di fuggire, e di riprendere il sogno americano inopinatamente interrotto.. È la parte centrale del film, che, seguendo le rocambolesche avventure di Connie in fuga, fa scorrere davanti ai nostri occhi le immagini sicuramente non turistiche del mondo sotterraneo newyorkese, oscuro “doppio” dei luminosi e scintillanti grattacieli, metafora potente dell’amore fraterno che connota, nel segno della doppiezza, l’intero film, e che, nel finale a sorpresa, Nick, a modo suo, renderà chiaro.
In quella New York notturna, verità e menzogna perdono i loro contorni; il sogno si fa incubo; la dignità umana cede all’abiezione dei disperati che non hanno nulla da perdere, mentre le sorprese si susseguono, dando vita a un racconto avventuroso e teso, talvolta persino comico, per la concatenazione degli equivoci grotteschi che riportano alla memoria alcuni “notturni” scorsesiani, le disavventure di Paul Hackett, l’impiegato di After Hours , o gli incerti buoni propositi di Tommy de Vito, il “bravo ragazzo” di Goodfellas, legato al volto giovane di Robert De Niro.
I due registi, in meno di cento minuti, hanno dato vita a un film sorprendente e avvincente, dimostrando sicurezza nella direzione degli attori, tutti molto bravi e credibili, compresi quelli trovati sulla loro strada: infermieri, guardie carcerarie e uomini della Security che hanno interpretato, talvolta con riluttanza, se stessi. Da vedere!
Angela Laugier
Scritto il 29 ottobre 2017 alle 01:45 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Questo è quanto ho scritto io su facebook: "...Location da prete, vestitino castigato (quasi un "clergyman"), voce dolce e suadente da predica del parroco alla messa di mezzogiorno...Verrebbe quasi da tirargli in testa una pesante acquasantiera in granito di Baveno, o almeno da gridargli:
...VIENI AVANTI, PRETINO !...
Ma torniamo alla satira vera, di qualità, e cioè a quella di Massimo Gramellini (che nessuna persona dotata di due sinapsi può definire come "komunista trinariciuto", "hater" e minchiate di questo genere). La sua satira ferisce perchè è dolce, quasi sempre inattaccabile, sempre di qualità. E allora affidiamoci al suo "caffè" di ieri sul Corriere, e poi diamo spazio anche ad un breve filmato che mostra il pretino di Frignano sull'Arno all'opera dal pulpito, affinchè nessuno sia tentato di accusarci di "esagerare".
"Don Matteo" - (dal "Caffé" di Msssimo Gramellini)
Chi avrà suggerito a un omino riservato come Renzi di tenere un comizio dentro una chiesa, all’insaputa del parroco e del Padreterno, l’unico candidato che il Pd avrebbe qualche probabilità di fare eleggere nei collegi a nord di Bologna con la nuova legge elettorale?
Sceso dal treno con cui sta battendo l’Italia alla ricerca dei voti perduti, don Matteo è apparso sull’altare della basilica di Paestum, teoricamente riservata a un evento di turismo archeologico. E, indossando giacca e maglioncino da monsignore in trasferta, ha commentato con i fedeli alcuni passi del vangelo secondo De Luca, il governatore simbolo di temperanza che sedeva nella prima fila di banchi, di solito riservata alle vecchine.
Lo avesse fatto l’Unto del Signore, suo futuro alleato, non si sarebbe parlato d’altro per tre giorni, fino a resurrezione avvenuta. Ma neppure i democristiani della Prima Repubblica si erano spinti a tanto. Quella era gente che in chiesa ci andava nel tempo libero per parlare con Dio e, sotto elezioni, col prete.
Massimo Gramellini
Scritto il 27 ottobre 2017 alle 21:13 | Permalink | Commenti (0)
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Oggi è il mio giorno fortunato. Nel momento in cui il "ggiovane rottamatore" si accinge a porre quattro voti di fiducia al Senato sulla ignobile legge elettorale che lo porterà alla rovina politica, un ex accanito commentatore del Tafanus si ripresenta non con un commento, ma con una letterina di insulti (che vi risparmio), con la quale ironizza iscrivendomi d'ufficio fra "quelli del senno di poi", per essermi accorto solo ora, quando ormai è ufficiale il sostegno sulla fiducia a Renzi dei pregiudicati Berlusconi e Verdini, e dei giganti della politica Salvini, Alfano e fascisti vari.
Mi spiace. Cretini si nasce, e questo ex frequentatore lo nacque. Oppure è così idiota da ignorare che non devo neanche scrivere un faticoso post per giustificarmi (di cosa?), ma, grazie al mio funzionalissimo archivio, ci ho messo cinque minuti a recuperare uno dei primi post che ho scritto sull'argomento della inarrestabile ed inequivoca marcia di avvicinamento del Rottamatore, al più vecchio arnese della "politica politicante (prima attraverso i servigi del fido Bettino, e poi in proprio). Lo ripropongo, sottolineando che il mio era talmente poco "senno di poi", che il post in calce risale alle prime settimane della prima Leopolda. Addirittura al brevissimo lasso di tempo che ha preceduto il divorzio di Renzi da Civati. Fra alcune settimane saranno trascorsi esattamente sette anni.
Se questo idiota dovesse avere, nella sua idiozia, un breve momento di distrazione, dovrebbe venire qui, e scrivere un commento di scuse, perchè è uno che a quell'epoca scriveva fiumi di commenti sul Tafanus, quindi non può non sapere che la mia lotta al Berluscon-Renzismo è datata da PRIMA della PRIMA Leopolda. Prima della "cenetta", avevo già varato un certo cartello...
Infine, dato che mi piace documentare ciò che dico, metto il calce il frontespizio del post in questione, datato 7 Dicembre 2010, e il link dal quale è possibile aprire il post originale, e controllare che questo "copia&incolla" non abbia subito maquillages di alcun tipo:
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So che questo post scatenerà polemiche, ma non rinuncio a scriverlo. Narrano le gazzette che ieri sera il ggiovane "rottamatore" Matteo Renzi, meglio noto come il "Berluschino", si sia recato in pellegrinaggio ad Arcore. Si, proprio lui, quello che se non sei un trentenne, e in più osi avere più di due legislature alle spalle, sei da buttare nel cesso, e via con lo sciacquone; quello che i boy-scouts, l'Azione Cattolica, Dio-Patria-Famiglia, ad otto giorni da un cruciale voto su una mozione di sfiducia al suo "simpatizzante", il puttaniere, ne rilegittima credibilità e ruolo andando a rendergli visita (una visita lungamente pietita).
Che pena, ggiovane Renzi! recarsi in pellegrinaggio dal 74enne satrapo, scaricato da tutte le diplomazie del mondo occidentale, dalla Chiesa (la sua), dalla Confindustria, ma persino da molte casalinghe di Voghera, proprio nella settimana clou del "calciomercato"! Si, Renzi, non tema: abbiamo letto (ma solo stamattina, a posteriori) le motivazioni della sua deferente visita al Priapo. Ne parleremo, non tema. E di queste motivazioni ex-post faremo coriandoli. Non ci frega niente delle sue motivazioni ufficiali, che non stanno né in piedi, né coricate. Ci interessa capire perchè, mentre spara a palle incatenate sul "vecchio" 59enne Bersani, offre un salvagente d'immagine al ggionave satrapo di Arcore.
Stamattina ad "Omnibus" un inguardabile Francesco Boccia (anche lui, guarda caso, PD coté Margherita), ha tentato la "mission impossible" di difendere questa "stronzata" (mi scusi per il francesismo, il ggiovane Renzai, ma preferisco chiamare le cose col loro nome, senza girarci troppo intorno), prima biascicando qualcosa circa la "etichetta istituzionale", poi ipotizzando che Berlusconi abbia voluto invitare Berluschino per ringraziarlo per l'aiuto che la Toscana ha accettato di offrire a Napoli per il problema monnezza. No, caro Boccia, La cosa non sta in piedi, per molte ragioni:
# Non è stato Berlusconi ad invitare Berluschino, ma viceversa. E' stato Berluschino a pietire l'invito;
# Firenze NULLA ha a che vedere con la monnezza di Napoli, che non sarà portata né in Piazzale Michelangelo, né in qualche inesistente discarica in comune di Firenze, e addirittura in nessun luogo della Provincia di Firenze;
# Le 4.500 tonnellate che LA REGIONE avrebbe accettato di ricevere da Napoli saranno distribuite fra le discariche di Peccioli (Pisa), Rosignano (Livorno), e San Giovanni Valdarno (Arezzo)
# Per queste discariche, ricevere 1500 tonnellate a testa "una tantum" non sarà un enorme sacrificio. Ad esempio nella discarica di Peccioli arrivano in media 1500 tonnellate AL GIORNO. Non sarà catastrofe ecologica se per una volta si aggiunge una giornata di "arrivi". Inoltre, sembra che queste discariche non faranno un pessimo affare. Due anni fa hanno incassato per la monnezza napoletana 45 € a tonnellata. Ma adesso, visto che Napoli spendeva 180 € a tonnellata per quella che mandava in Germania, hanno alzato il prezzo: "chiederemo certamente più di 100 € a tonnellata"
# Quindi, esimio BB (Boccia il Bocconiano) togliamo di mezzo la monnezza, per la quale andrebbero eventualmente ringraziati non il ggiovane Renzi, ma il rottamando Enrico Rossi, Presidente della Regione Toscana, i presidenti delle province di Pisa, Livorno, Arezzo, e i sindaci dei comuni sede delle discariche. Cosa c'entra Renzi? E' vero, il generoso Renzi ha offerto a Berlusaconi di inviare a Napoli 6 camion, ma perchè comunicare questa grande notizia ad un super-impegnato statista internazionale, e non, ad esempio, al Presidente della Provincia di Napoli, responsabile del problema? E poi... il problema di Napoli non sono i camions (per questo, basterebbero i camions inutilizzati di Gnazzzio La Russa). Il problema, come tutti, tranne Renzi, sanno, è DOVE mandare i camions.
La cena "CLANDESTINA" e le motivazioni ex-post del ggiovane Renzi
Stupisce il fatto che Matteo Renzi, sul suo non frequentatissimo blog, scriva tutto ma proprio tutto ciò che fa: chi ha visto, chi sta vedendo, chi vedrà, ma abbia invece tenuto ben nascosto, fino alle 10,11 di stamattina, la cenetta di Arcore. Un brevissimo, seminascosto richiamo di 25 parole, che rinvia ad una nota su facebook.
Ben altro rilievo, sul blog di Renzi, al "Premio Villa Vogel" 2010, assegnato nientemeno che "...alla velocista Audrey Alloh, alla canoista Susanna Cicali, al ballerino Mirko Gozzoli, al podista Luca Baroncini..."
Matteo Renzi, che in genere ci informa anche se va a fare la pipì o la popò, ci informa di questo incontro solo dopo che è da ore sulla stampa nazionale. Non è fantastico? E non è legittimo ironizzare sugli "amorosi sensi" fra Berlusconi e Berluschino? Ecco come Francesco Bei, su [Repubblica] (che, come tutti sanno è un dorso regionale della Pravda) ironizza sui rapporti fra i due:
Renzi-Berlusconi ad Arcore - Il Cavaliere: "Tu mi somigli" - I due si annusano a distanza da tempo. C'è una curiosità reciproca e, almeno da parte del Cavaliere, anche una corrente di schietta simpatia per quel giovane così "diverso dai soliti parrucconi della sinistra". "Un po' mi somiglia, è fuori dagli schemi", ha confidato a un amico. Insomma, alla fine forse era inevitabile che accadesse e infatti è accaduto: Matteo Renzi, il sindaco della rossa Firenze e leader dei "rottamatori" del Pd, ha varcato ieri il cancello di Arcore.
Per carità, ci saranno state ottime ragioni "istituzionali", come usa dire, a giustificare quel faccia a faccia così poco istituzionale e così tanto politico. Renzi, come ogni sindaco d'Italia, è alla canna del gas, ha un disperato bisogno di fondi per chiudere un bilancio altrimenti "lacrime e sangue". E l'ultimo vagone che si può agganciare è quel decreto "Milleproroghe" che il Consiglio dei ministri si appresta a varare alla fine della settimana. Renzi sperava in una legge speciale per la città di Dante, contava di riuscire a portare a casa qualche norma di vantaggio. Quando ha compreso che non sarebbe stato possibile, è andato a bussare direttamente al portone di Arcore. Soldi chiede, ma non se li aspetta dal governo.
Vorrebbe farseli dare dai milioni di turisti che si fermano a visitare gli Uffizi o le altre meraviglie fiorentine, imponendo a ciascuno un piccolo "contributo", una tassa di soggiorno. Pochi euro per il singolo turista, molti per la città: 17 milioni all'anno, calcolano i tecnici del comune. Ma per imporre la tassa serve il via libera del governo. Da qui la visita di ieri ad Arcore (...sarebbe divertente sapere se questa richiesta dovrebbe, nella testa del ggiovane Renzi, riguardare solo Firenze, o entrare in una legge generale che riguarda tutti i comuni d'Italia - o almeno le città d'arte... Caro Renzi, posso svelarle che in Italia non c'è solo Firenze, ma anche Roma, Venezia, Torino, Pisa, Palmanova, Lucca, Napoli, Stilo, Palermo, San Gimignano, Noto, Ravello? NdR)
Eppure non è solo questo, almeno non da parte del Cavaliere. Il premier è infatti davvero intrigato da questo giovane amministratore del Pd. "Ce ne avessimo come lui", sospira. Renzi gli ha toccato il cuore la scorsa settimana, quando Berlusconi annaspava senza trovare una soluzione al problema dei rifiuti a Napoli. I leghisti non ne volevano sapere di dare una mano ai "terroni" e Berlusconi, disperato, ha fatto chiamare Renzi al telefono. "Salve sindaco, mi consente di darle del tu? Dammi del tu anche tu" (...fantastico... solo Berlusconi poteva non dare per scontato che darsi del tu non possa che essere un fatto reciproco... forse troppo abituato ad Agostino Saccà? NdR) Un approccio subito confidenziale, che sortisce l'effetto desiderato. Al termine di una telefonata molto amichevole, il sindaco di Firenze tende al Cavaliere una mano preziosa: "Presidente, ti possiamo mandare a Napoli sei camion compattatori per raccogliere l'immondizia dalle strade". "Grazie Matteo, affare fatto. Grazie a Firenze".
[...] non è da oggi che il Cavaliere tiene d'occhio quel ragazzo (classe 1975) così "promettente" e di successo, come piacciono a lui. La prima volta che s'incontrarono fu nel 2005, in occasione del flop di Maurizio Scelli, quando l'allora commissario della Croce Rossa tentò di organizzare il suo movimento politico. Berlusconi aspettò due ore (invano) in prefettura che il palazzetto dello sport si riempisse con gli Scelli-boys e, nel frattempo, si intrattenne con quel trentenne presidente della provincia di Firenze che era andato a salutarlo per "cortesia istituzionale". Al termine del colloquio, il premier si congedò a modo suo, lasciando di stucco gli esponenti locali di Forza Italia: "Caro Renzi, ma come fa uno bravo come lei a stare con i comunisti?".
Da allora i due hanno continuato a seguirsi a distanza. Nel frattempo Renzi ha traslocato dalla provincia al comune, mentre Berlusconi ha fatto in tempo a perdere (2006) e rivincere (2008) le elezioni. Renzi è anche il dirigente che ha proposto di "rottamare" gli attuali capi del Pd, a partire da D'Alema, Veltroni e Bersani. Un "coraggio" che, in privato, Berlusconi non ha mancato di lodare. Così come non sono sfuggite al premier quelle dichiarazioni contro la proposta di "Union Sacrée" per scacciare il tiranno da palazzo Chigi: "La sinistra non può mettere insieme la solita ammucchiata selvaggia anti-Berlusconi".
Insomma, da una parte c'è un leader in cerca di giovani, che non vuole lasciare la sua eredità a quei "signori attempati", "professionisti della politica che a cinquant'anni dovrebbero solo dedicarsi ai libri di memorie". Dall'altra c'è un sindaco molto ambizioso che vuole fare politica rompendo gli schemi. E poi l'incontro di ieri ad Arcore, dove nemmeno i sindaci Pdl di Roma e Milano riescono più a farsi ricevere...
Insomma, mettiamola così... il ggiovane Berluschino, tanto amato dal meno ggiovane Berlusconi, ha avuto la sua cena ed il suo "momento di boria". Ha chiesto dei soldi la cui assegnazione richiede un passaggio parlamentare, a camere chiuse. Ha pietito un appuntamento per settimane, lo ha avuto solo ieri, ad una settimana dal voto di fiducia, in pieno calciomercato, e non è stato sfiorato dal dubbio di dare ossigeno al moribondo, e alibi ai tentennanti calciatori oggetto del calcio-mercato. Il tutto mentre il "vecchio Bersani" sta coraggiosamente insultando Berlusconi su tutti i media, e sta coraggiosamente mettendosi in gioco per la formazione di un'alleanza provvisoria "con chi ci sta" per mandareb a casa Berlusconi. Qualcuno vuole che gli ricordi la frase esatta di Berluschino? Eccola... "...la sinistra non può mettere insieme la solita ammucchiata selvaggia anti-Berlusconi..."
E perchè mai, caro Berluschino? Io pur di mandare a casa questo emerito st... atista che mi sta facendo vergognare da 17 anni di essere italiano, mi ammucchierei anche con Pacciani, con Lutring, con Gavrilo Princip, e persino con la Binetti e con la Roccella, se ci stessero.
Sull'incontro di Arcore, il ggiovane Berluschino si esibisce in un magnifico pezzo a posteriori, del genere "excusatio non petita" (nota pubblicata da Matteo Renzi martedì 7 dicembre alle ore 10,11)
Ieri ho incontrato Silvio Berlusconi, che mi ha gentilmente fissato l'appuntamento che gli avevo chiesto qualche settimana fa. Ho chiesto al Presidente del Consiglio di mantenere gli impegni per Firenze che il PDL si era preso in campagna elettorale, a partire dalla legge speciale. Per me un impegno in campagna elettorale va rispettato, sempre. Dieci giorni fa ho corso persino una Maratona per dimostrarlo (e ancora mi fanno male le gambe, ma avevo dato la mia parola) (...caspita... l'eroe dei 42 chilometri...)
Se il Governo vuole mantenere gli impegni, l'occasione più logica è il decreto mille proroghe che va in votazione a stretto giro. (a stretto giro quando? prima del voto sulla mozione di safiducia? NdR) Non sarà una legge speciale, ma potrebbe esserci un gesto di attenzione per Firenze. Nulla ci è dovuto, ma in tutte le campagne elettorali (politiche 2008, comunali 2009, regionali 2010) il centrodestra ha speso parole e promesse, davanti ai fiorentini e a tutti i media locali. Io non mi fermo all'ideologia, io voglio vedere se mantiene la parola. Se il Governo non vuole mantenere gli impegni potrò dire ai fiorentini che ci ho provato davvero, fino alla fine, senza guerre ideologiche e con la concretezza di un amministratore che si occupa dei suoi asili e dei suoi centri anziani.
Giusto o sbagliato, questo è il mio Paese (...caspita... siamo all'appropriazione indebita di frasi celebri... Stephen Decatur, 1820... Niente di più fresco?). Lotterò fino all'ultimo giorno di campagna elettorale perché il centrosinistra torni a vincere, torni a sperare, torni a sorridere. Perché il Governo cambi. E lo farò giocandomi fino in fondo. Ma non sarò mai tra quelli che vivono di nemici e che gridano ai complotti. Finché il Governo è guidato da Berlusconi, io parlo con lui e con i suoi ministri. Anche quelli con cui faccio una fatica terribile... (...come s'offre...)
Le ricostruzioni dei giornali sono molto divertenti: Berlusconi non mi ha detto che gli assomiglio né abbiamo parlato di rottamazione, come è ovvio. Abbiamo discusso delle questioni concrete che riguardano Firenze (...e ne discuti con uno che non sai se lunedì prossimo conterà ancora un cazzo???).
Qualcuno mi ha detto che non dovevo andare ad Arcore. Io gli incontri istituzionali del Comune li faccio in Palazzo Vecchio. Se il premier invece riceve nella sua abitazione, io vado nella sua abitazione e alla fine ringrazio dell'ospitalità (...io invece, caro rottamatore, giudico gli incontri istituzionali in case private un cascame della aborrita prima repubblica. Vedo che lei "abbozza". Complimenti vivissimi. NdR). Vorrei essere chiaro: per Firenze, che è la mia città, quella per la quale ho giurato sulla Costituzione di fare bene il mio lavoro, io vado ad Arcore anche tutti i giorni se serve.
Buona giornata a tutti - Matteo Renzi
Buona giornata anche a Lei, Matteo Renzi, e... mi raccomando... ci faccia sapere come andrà a finire questa richiesta col piattino in mano. Perchè vede, credo che ci siano circa 8.000 comuni che sono bisognosi di soldi quanto e forse più di Firenze. Forse almeno 800 sindaci avranno chiesto soccorso allo Statista di Arcore; solo lei ha avuto l'onore di essere ricevuto a Palazzo. Prendiamo atto che è disposto ad andare ad Arcore anche tutti i giorni, se serve. Posso darle un consiglio amichevole? Un altro toscano illustre ha da poco liberato il casotto del portinaio che gli era stato offerto in comodato a Palazzo: tale Sandro Bondi. Si affretti a chiedere il casotto in comodato. So che c'è una lunga lista d'attesa. Sfrutti questo idem-sentire, come direbbe il colto Bossi. Chissà che non la spunti lei...
matteoflorens, o della modestia
Ipse dixit
Il vincitore delle primarie e candidato a sindaco del Pd a Firenze, Matteo Renzi, non sembra apprezzare molto il nuovo segretario del Partito Democratico, Dario Franceschini. In una intervista rilasciata alla Stampa di Torino, Renzi manifesta senza riserve la sua scarsa fiducia nelle potenzialità del Franceschini: “Sabato è stata un’occasione persa. Non avrei votato Dario: se Veltroni è stato un disastro, non si elegge il vicedisastro per gestire la transizione. In questi anni Franceschini è stato una delusione, percepito come il guardiano di Quarta Fase, l’associazione degli ex popolari: basta con questa storia degli ex!”. (...ipse dixit l'ex DC Matteo Renzi, professione "rottamatore"...)
Insomma Franceschini si è già beccato il soprannome che lo perseguiterà fino (e temo anche oltre) l’Election Day di giugno: Vice-Disastro. Non sembra decisamente un buon inizio, per il Dario democratico. “Se l’unica alternativa a Franceschini è Parisi (il rappresentante dell’ala nostalgica, quello che accende il cero a San Romano) - insiste Renzi - è normale che Dario prenda oltre mille voti” (...mi permetto di dare un consiglio al ggiovane Renzi: alle prossime primarie nazionali del PD - ammesso che nel frattempo non sia passato a Forza Italia - si candidi. Ci metta la faccia. Ma lo avvero che nelle pre-primarie svolte sul Tafanus, non è entrato neanche nella short-list dei dieci votabili...)
Matteo Renzi (classe 1975) mentre prepara la campagna elettorale per le elezioni comunali, sembra già pensare alla successione di Franceschini: “Sogno un movimento non solo di giovani, anche di amministratori, che chiedano ai dirigenti di essere meno autoreferenziali. In politica ci vuole coraggio”. (La Stampa - 23/02/2009)
Caro Berluschino, siamo d'accordo con lei. In politica ci vuole coraggio. E anche coerenza. Si candidi. Alla prossima direzione del PD, presenti una mozione di sfiducia verso Bersani. Lo sfidi nelle sedi proprie, non sul suo blogghino o nelle interviste. L'autoreferenzialità è una brutta bestia. Divora personaggi più grandi di lei. Cerchi di sopravvivere, se non ad altri, almeno a se stesso. Tafanus
(...a proposito di autoreferenzialità...)
Sembra che secondo l'autorevole [Monocle.com], citato da Matteo Renzi, il ggiovane sia fra i "Venti Eroi" del nostro tempo. Ho provato a sapere chi fossero gli altri 19, ma in questo sito americano da meno di 10.000 accessi al giorno si entra solo se ci si abbona... Ho rinunciato a sapere.
Scritto il 24 ottobre 2017 alle 23:22 | Permalink | Commenti (4)
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A volte i miracoli avvengono anche nella c.d. "musica leggera", quando si mettono insieme un grande "crooner" come Michael Buble, e una specialissima Laura Pausini... Il luogo è New York, la canzone è "You'll never find", e i due sono in stato di grazia... Non capita spesso, in calce ad un brano pubblicato su you tube, di trovare oltre 3.300 commenti...
Scritto il 24 ottobre 2017 alle 00:01 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 22 ottobre 2017 alle 00:18 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "Una donna fantastica" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Una mujer fantástica
Regia: Sebastian Lelio
Principali interpreti: Daniela Vega, Francisco Reyes, Luis Gnecco, Aline Küppenheim, Amparo Noguera, Néstor Cantillana, Alejandro Goic, Sergio Hernández. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 104 min. – Cile, Germania 2017.
Con questo bel film, prodotto da Pablo Larrain e premiato con l’Orso d’argento a Berlino quest’anno, ritorna il regista cileno Sebastian Lelio e conferma le sue qualità non comuni di narratore già dimostrate nel 2013 col bellissimo Gloria, insolito e poetico ritratto femminile.
Ancora una volta, un ritratto insolito di donna, una donna speciale, Marina Vidal (Daniela Vega), giovane transessuale, dotata di una singolare bellezza, dolce e vagamente androgina, che faceva la cameriera per mantenersi, ma che aveva una bella voce e una grande passione per il canto. Talvolta qualche locale notturno le dava spazio, ma il suo sogno era di interpretare quel repertorio antico della lirica che sembrava particolarmente adatto alla sua voce duttile e profonda: un maestro l’aveva indirizzata accompagnandola col pianoforte, ma delle sue lezioni non era assidua frequentatrice. Marina viveva a Santiago del Cile con Orlando (Francisco Reyes), un imprenditore, più vecchio di vent’anni, tenero e innamorato, tanto che per amor suo aveva abbandonato la precedente famiglia. Li vediamo insieme, al ristorante, per festeggiare, davanti a una bella torta, il compleanno di lei, alla vigilia della partenza alla volta delle cascate dell’Iguazú, il viaggio che Orlando le aveva promesso e che ora finalmente avrebbero fatto. Siamo all’inizio del racconto: di lì a poco, un malore improvviso, un aneurisma, seguito da una rovinosa caduta sulle scale di casa, avrebbe posto fine alla vita di lui, lasciandola nella solitudine disperata che la morte improvvisa di chi si ama suscita in chi rimane, a cui si era aggiunto, nel suo caso, il violento e brutale disprezzo di quella società che non aveva mai accettato il loro rapporto. Non doveva essere stata facile la loro vita di coppia: Santiago del Cile, la bella città che ora presenta un volto moderno e limpido, con le vetrate luccicanti della sua bellissima architettura, quasi cercando di cancellare agli occhi del mondo il ricordo degli orrori oscuri della dittatura, non è il migliore dei mondi possibili. La percorrono sottotraccia i veleni di una cultura retriva e bigotta, i meschini desideri di vendetta, gli inconfessabili intenti persecutori nei confronti dei “mostri” che devono essere lasciati fuori dalla convivenza “civile”, muro eretto per proteggere la sacralità della famiglia, l’innocenza dei bambini e per giustificare la totale mancanza di umanità. Il dolore in quel mondo gelido e spietato è privilegio solo delle persone normali, gli altri, i diversi come Marina, sicuramente non lo provano: la loro ricerca d’amore è solo perversione; la loro imperfezione fisica ne fa “chimere”, indegne di qualsiasi forma di rispetto. La polizia e il medico legale avevano sentito il dovere di sottoporla a un’umiliante ispezione corporale e a un interrogatorio (lungo quelle scale potrebbe averlo spinto lei); la famiglia di lui le aveva impedito persino di dare a Orlando l’ultimo saluto durante la messa funebre e l’aveva privata di Diabla, il bellissimo cane che Orlando le aveva regalato. Non si sarebbe lasciata piegare da quel vento rabbioso, perché insieme all’innata dignità grazie alla quale Marina era riuscita a difendersi sempre, la memoria di lui l’avrebbe aiutata a ritrovare se stessa, a salutarlo sulla soglia del crematorio, toccandogli la mano per l’ultima volta (quanta umanità negli umili necrofori che avevano capito la sua tragedia!) e a riprendersi Diabla e le lezioni di canto. A lui avrebbe dedicato il suo primo concerto, aperto con la bellissima aria iniziale del Serse di Händel: Ombra mai fu, in cui Marina dispiegando tutta la dolce sensibilità della sua voce da contro-tenore aveva mostrato quanto la diversità possa diventare il valore aggiunto anche in una società manichea incapace di distinguere e di capire.
Film molto bello, denuncia limpidissima di un’intolleranza sempre più insopportabile per tutte le coscienze civili, interpretato da Daniela Vega, attrice trans, che ha reso con grandissima sensibilità un ruolo non facile. Il regista, cercando di coinvolgere un pubblico molto vasto, si è tenuto lontano dal mondo LGBT, un po’ troppo chiuso per orientare le simpatie di un numero alto di spettatori, necessario affinché si formi il consenso più vasto possibile intorno al tema dei diritti di ogni persona, in nome della comune umanità.
Angela Laugier
Scritto il 22 ottobre 2017 alle 00:04 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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...l dato PD, letto da destra verso sinistra (come nella scrittura araba) mostra una storia di crescita inarrestabile (Sempre più in alto, come la Grappa Bocchino)...
Se però mettiamo (come avviene normalmente) i dati del PdR in grafico, da leggere da sinistra verso destra, allora il quadro cambia, e ci mostra un partito "rottamato" da Renzi, che corre come un treno impazzito verso il precipizio:
Su un aspetto - dobbiamo ammetterlo - Renzi ha vinto: è riuscito a fare andar via (dal #fassinachi in poi) tutta l'ala sinistra del partito. Una grande botta d'intelligenza, quella di segare una gamba della poltrona sulla quale si era incollato col SuperAttak. Una fettina che varia fra l'8% e il 10% dell'elettorato. Poco per vincere, abbastanza per far perdere Renzi.
Tafanus
...CHI ESCE PER ULTIMO, SPENGA LA LUCE...
Sono passati dieci anni – era il 14 ottobre 2007 – da quel bagno di folla alle Primarie (tre milioni e mezzo di votanti) che incoronarono segretario Walter Veltroni con il 75% delle preferenze. Dieci anni in cui il Partito Democratico ha “consumato” cinque segretari e quattro presidenti del Consiglio. Veltroni, quel giorno di dieci anni fa, aveva come sfidanti ai gazebo Enrico Letta (11%), Rosy Bindi (12%), Mario Adinolfi (0,17%) e Pier Giorgio Gawronski (0,17%). Per arrivare a quello storico appuntamento – che archiviava in soffitta Ds e Margherita – il Partito Democratico qualche mese prima aveva dato vita al Comitato promotore “14 ottobre”. Quarantacinque erano i suoi componenti: di questi in sedici sono rimasti a fare politica all’interno del perimetro dei “dem”. Evidentemente qualcosa è mutato, nel corso degli anni, dentro il centrosinistra italiano: solo un terzo del comitato costituente condivide ancora questo percorso.
Sono ancora nel Pd il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il ministro Dario Franceschini: entrambi provenienti dalla “Margherita”, sono due punti di riferimento nel partito anche alle prossime Politiche. Con loro, seppur con un ruolo marginale, anche Rosy Bindi, Piero Fassino, Anna Finocchiaro, Giuseppe Fioroni, il docente universitario Enrico Letta, lo scrittore e regista Walter Veltroni, il viceministro Enrico Morando, l’europarlamentare Patrizia Toia, Renato Soru e Barbara Pollastrini. Appartengono ancora a quest’area, pur dedicandosi ad altro, anche Lella Massari, Marina Magistrelli, Donata Gottardi e Vittoria Franco.
Tra i fondatori del Pd troviamo i suoi più feroci critici di oggi, riuniti in “Mdp-Articolo Uno”: Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Vasco Errani e Maurizio Migliavacca. Antonio Bassolino sta meditando proprio in questi giorni di aderire, insieme a un altro leader dell’Unione che nel 2006 portò alla vittoria del centrosinistra: Antonio Di Pietro. Si è spostato ancora più a sinistra Sergio Cofferati: ha trovato casa in Sinistra Italiana. Vilma Mazzocco ha invece seguito Bruno Tabacci nel “Centro Democratico”.
I peones Mario Barbi, Paola Caporossi, Letizia De Torre se ne sono andati. Carlo Petrini la tessera non l’ha mai fatta. Sono usciti anche Agazio Loiero, Linda Lanzillotta (ha fatto “dentro e fuori” dal partito più di una volta).
Lamberto Dini addirittura uscì dal partito prima ancora di quel 14 ottobre, contestando la mancanza di spazio al di fuori della dicotomia tra Ds e Margherita. C’era, ovviamente, l’allora premier Romano Prodi: non si è ancora capito dove abbia piantato la sua tenda. Antonello Soro è presidente dell’autorità garante per la privacy. Giuliano Amato, giudice della Consulta, è sempre pronto in caso di una crisi istituzionale, ma da tempo è lontano dal Pd. Marco Follini ha abbandonato la tessera nel 2013, non riconoscendosi nel socialismo europeo abbracciato a Bruxelles dal partito. Sofferta l’uscita di Francesco Rutelli, così come il distacco di uno dei padri nobili dell’Ulivo: Arturo Parisi. Non fanno più parte dei dem anche la repubblicana Luciana Sbarbati, l’ex presidente dell’Abruzzo Ottaviano Del Turco, l’ex sindaco di Firenze Leonardo Domenici e l’ex sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino. Gad Lerner ha preso poche settimane fa le distanze dal Pd sullo Ius Soli, criticando anche la rincorsa alla destra sulla politica dell’accoglienza.
Il Pd taglia un traguardo di vita importante, ma a soffiare sulle candeline non ci saranno gran parte di quelli che contribuirono a farlo nascere solo dieci anni fa.
Scritto il 16 ottobre 2017 alle 12:40 | Permalink | Commenti (7)
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Recensione del film "120 battiti al minuto" (di Angela Laugier)
Titolo originale: 120 battements par minute
Regia: Robin Campillo
Principali interpreti: Nahuel Pérez Biscayart, Arnaud Valois, Adèle Haenel, Antoine Reinartz, Félix Maritaud, Ariel Borenstein, Aloïse Sauvage, Yves Heck, Emmanuel Ménard, François Rabette – 135 min. – Francia 2017
Quando leggo sullo schermo che sto vedendo “una storia vera“, vorrei uscire dalla sala. L’offerta di “storie vere” non è mai stata così ricca: in Tv, su Internet, sui giornali e sui rotocalchi non si parla che di “storie vere”. Chi ama il cinema, però, si aspetta una verità diversa da quella dell’informazione e delle cronache e ricorda, con Magritte, che l’immagine di una pipa n’est pas une pipe!
Anche questa, dunque, è “una storia vera”, ma l’espressione abusata non basta a spiegare il caloroso consenso seguito alla proiezione di Cannes, la commozione di Almodovar e il prestigioso Gran Premio della Giuria, ottenuto dal regista, il franco-marocchino Robin Campillo alla sua terza opera. Si tratta di un film che evoca una realtà filtrata dalla memoria: quella degli anni ’90 a Parigi, quando Mitterand, socialista ma non troppo, era al governo e si muoveva fra le mille ipocrisie di chi vorrebbe non scontentare nessuno, mentre cresceva la delusione e il dissenso di ampie fasce della popolazione. L’AIDS, che aveva cominciato a diffondersi in Europa negli anni ’80, era ancora una malattia sconosciuta e “maledetta”, e minacciava anche a Parigi la vita di migliaia di giovani, mentre le case farmaceutiche francesi speculavano sulla loro pelle, tenendosi lontane dalla ricerca e dalla sperimentazione, ma continuando a produrre inutili farmaci sintomatici o palliativi.
In questo contesto avevano vissuto la loro tragica storia d’amore Sean e Nathan, due giovani gay interpretati, rispettivamente, da Nahuel Pérez Biscayart e da Arnaud Valois.
Sean aveva solo ventotto anni, era sieropositivo e si distingueva per il coraggio lucido attraverso il quale manifestava la propria volontà di vivere. Era fra i più ascoltati e anche discussi esponenti dell’Act Up-Paris*, l’associazione di sieropositivi attraverso la quale egli riusciva a promuovere alcune clamorose e provocatorie iniziative per informare, con la massima visibilità. l’opinione pubblica della possibilità di prevenire l’AIDS: la distribuzione di preservativi nelle scuole, la sistemazione di un gigantesco profilattico sull’Obelisco di Place Concorde, la colorazione della Senna con finto sangue…
Nathan, da poco a Parigi, era entrato nell’Act-Up per trovare amici e gli si era avvicinato, attratto dalla sua vitalità appassionata e dalle sue posizioni di radicale intransigenza. Così era iniziata la loro storia, senza prospettive, poiché si facevano sempre più precarie le condizioni di salute di Sean. Nonostante ciò il loro rapporto era stato gioiosamente passionale e profondamente tenero: Sean era attento a proteggerlo dal contagio e Nathan si sarebbe prodigato per rendergli meno dure le sofferenze nei momenti difficili della malattia e dello sconforto, fino all’estremo aiuto, per permettergli di morire con dignità e dolcezza, risparmiandogli ogni altro inutile strazio.
Il mélò, che parrebbe dietro l’angolo, è evitato grazie alla prodigiosa capacità evocativa del regista, a cui riesce quasi miracolosamente di prendere le giuste distanze dalle emozioni che avevano un tempo coinvolto anche lui, colorando di ironia dolce e indulgente, e persino di gioia, quella storia lontana su cui si è ormai posata la polvere del tempo, evocata a sua volta dalla bellissima e durissima metafora delle ceneri di Sean che avvolgono in una nuvola bianca i dirigenti delle case farmaceutiche e il loro sontuoso banchetto offerto ai ragazzi del Act Up-Paris in segno di conciliazione. Da vedere, tenendo presente che il film è durissimo ed è stato vietato, in Italia, ai minori di 14 anni.
L’associazione era simile a quelle sorte in numerose città negli Stati Uniti: si proponeva di diventare il più importante punto di riferimento dei malati siero-positivi e delle loro famiglie, L’Act Up-Paris era nato come strumento di lotta contro l’ inaccettabile disinformazione, tollerata dalle autorità politiche e assecondata dalle industrie dei farmaci, a parole solidali con le richieste dei malati.
Angela Laugier
Scritto il 15 ottobre 2017 alle 13:20 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 11 ottobre 2017 alle 17:18 | Permalink | Commenti (12)
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(di Bruno Manfellotto - l'Espresso)
Lui dice che è stato il Grand Tour di quest'estate a rincuorarlo dopo la poco felice prova amministrativa di giugno. E a cambiarlo. È possibile Anche perché, per la prima volta, Matteo Renzi ha battuto paesi e città dal Veneto alla Sicilia, ascoltato fan, sopportato critiche, firmato copie del suo "Avanti", best seller ricco di sogni, vendette e voglia di rivincita. E magari ha capito che era necessario fermarsi a riflettere, smussare spigolosità, cambiare atteggiamento
Insomma, davvero il teorico della rottamazione ha inaugurato quella che Federico Geremicca ha chiamato sulla "Stampa" la «fase zen»? Indaghiamo. Senza pregiudizi, certo, ma con quel tanto
di necessario scetticismo.
Segnali che facciano pensare a una vera svolta si vedono, e pure numerosi. Renzi, per esempio, comincia a pronunciare anche dei "sì" dopo aver teorizzato l'autosufficienza del "no"; la parola "disponibilità" è finalmente entrata nel suo vocabolario; i toni si sono ammorbiditi, a volte non pare manco lui. Da un po' ascolta Dario Franceschini, vero azionista di riferimento del Pd, con il quale la convivenza non è sempre stata idilliaca: infatti non ha osteggiato, anzi, la proposta di legge elettorale lanciata da Ettore Rosato (il Rosatellum); di conseguenza, ha mollato la strategia dell'uomo solo allo scontro e accettato la prospettiva di coalizioni, che quella legge premierebbe, addirittura guardando a sinistra del Pd; con Giuliano Pisapia, in effetti, si intravede un abbozzo di dialogo e con lui ha discusso pure di primarie di coalizione. In quanto a Gentiloni e ai suoi ministri l'atteggiamento non è più aspro
come all'inizio.
Anche con i sindacati è cambiata l'aria, o almeno così pare: non siamo ancora al dialogo, ma i toni accesi di una volta non si sentono più. Ricordate? Tre anni fa le obiezioni della Cgil alla manovra d'autunno venivano bollate così: «Questa è la nostra manovra, se avete considerazioni da fare, vi ascoltiamo; se vi viene più comodo mandateci una mail, ma è ora di finirla di pensare che si alza uno e blocca gli altri». Susanna Camusso replicava con un secco «Renzi è espressione dei poteri forti». Amen.
E ancora. A guidare la commissione parlamentare d'inchiesta sui crac bancari (anche sulla cara Banca Etruria), da lui stesso sollecitata, Renzi non ha designato un suo fedelissimo, ma ha accettato l'inossidabile Pier Ferdinando Casini, morbida garanzia di pacatezza delle indagini.
Pare che abbia ceduto anche sulla riconferma di Ignazio Visco, il governatore della Banca d'Italia contro il quale per settimane aveva fatto fuoco e fiamme deciso a sostituirlo. E a proposito di poteri (quasi) forti, spicca la sua recente incursione in divisa da tennis al Circolo Canottieri Aniene, tempio romano del generone e della nomenklatura edile e professionale. Un altro Renzi. Duttile e accomodante. Dicono.
Eppure solo poche settimane fa Matteo era Matteo. In una riunione di direzione del Pd, ai primi di luglio, reduce dalle trionfali primarie di aprile che lo avevano confermato leader del partito, Renzi aveva accusato Andrea Orlando di tifare per Pisapia e non per il Pd, insomma di tradimento, e Franceschini di scorrettezza e slealtà solo perché aveva detto la sua in un'intervista e non nelle sedi deputate. Subito dopo, però, la gioiosa macchina da guerra dell'opposizione interna si era messa in moto processando l'isolamento del capo, ripescando
sogni di Ulivo e martellando perché accettasse l'idea di allearsi con altri: «Quale che sia il sistema elettorale, vincere è già difficile per una coalizione, figuriamoci per un partito da solo», premeva Franceschini, direttamente o indirettamente coadiuvato da nuovi e vecchi attori del centrosinistra allargato: Prodi, Letta, Grasso, Boldrini, Pisapia…
E dunque? È probabile che alla fine Renzi si sia solo piegato a un bagno di realismo. I sondaggi - non li consulta solo Berlusconi - gli dicono che il Pd da solo non vincerà mai, e che la strada della coalizione è la sola praticabile: di qui le aperture a Pisapia; e basta il buon senso, oltre alla storia della Prima Repubblica proporzionale e non maggioritaria, per sapere che in caso di alleanze le sue possibilità di tornare a fare il premier dopo il voto di marzo sarebbero quasi inesistenti. E certo peserebbero divisioni, veti, egoismi: allora, «fase zen». La tregua con la Cgil potrebbe invece essere figlia della più consumata delle tattiche politico-elettorali: se Di Maio attacca il sindacato, lui lo difende; e così il rapporto di buon vicinato con il governo: Marco Minniti lo copre su un versante (sicurezza, immigrazione); Graziano Delrio su quello opposto (ius soli). Intanto Paolo Gentiloni governa senza scossoni sostenuto da Sergio Mattarella, che certo non vorrebbe vedere la Banca d'Italia terremotata da una guerra di successione…
Insomma, sembrerebbe solo che l'ex Rottamatore si sia adattato alle mutate circostanze politiche. E già questo sarebbe un "cambio di passo", anche se nel fondo lui fosse rimasto quello che è sempre stato. A metà luglio, presentando il suo libro a Roma, per un attimo Renzi era scivolato
sul personale confessandosi: «Il mio carattere è un problema enorme». E dal pubblico qualcuno aveva gridato: «Appunto, Matte', cambialo». Fatto? Prima o poi lo sapremo.
Bruno Manfellotto
Scritto il 10 ottobre 2017 alle 19:37 | Permalink | Commenti (2)
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Caro Pisapia,
in quello che sto per dirle non c'è nulla di preconcetto. Le basti verificare che nel 2011 ho fatto parte del gruppo "Oltre il 51%", nato su iniziativa di Piero Bassetti a sostegno della sua candidatura a Sindaco di Milano, in contrapposizione a quella di Letizia Dolcizia Brichetto Arnaboldi Moratti Viendalmare. Il Gruppo Bassetti era nato su inviti di Bassetti alla prima cinquantina di aderenti, poi si è sviluppato (quando sono entrato a farne parte eravamo in circa 150). In verità non ho chiesto io di aderire, in primo luogo perchè si entrava per cooptazione dei membri fondatori, e in secondo luogo perchè mai avrei osato chiedere io di entrare in cotanto consesso... Ma mi è stato chiesto da alcuni membri, ed ho accolto l'invito con orgoglio, ma anche con un certo senso di "inadeguatezza".
Ho messo il mio blog al servizio del gruppo, per comunicati, discussioni e quant'altro. Solo per ricordare: a quell'epoca i blog non erano stati ancora gravemente attaccati dai "social media", e il modesto Tafanus aveva una media di visitatori unici giornalieri - per chi ha memoria - superiore a 2.000.
Era un bel gruppo, con dentro delle belle teste, e diversi amici personali. Solo per ricordarne alcuni, che potete trovare nell'elenco del post linkato in calce: Fiorello Cortiana, Nando Dalla Chiesa, Alessandra Kusterman, Luigi Lunari, Mario Martinelli, Annamaria Testa... NEL POST c'è l'elenco completo degli aderenti in maggio 2011.
Nessuna voglia di presenzialismo, Signor #Pisapiachi, ma solo voglia di dare una mano, con discrezione, perchè detestavo la Signora Viendalmare, e perchè avevo grande rispetto per Piero Bassetti, e discreto fiducia nel suo possibile operato. In effetti, al netto dell'incomprensibile supporto che lei non ha fatto mancare a Sala per l'affaire Expo, non mi sono mai pentito del mio appoggio.
Il suo iniziale finto appoggio agli "scissionisti" del PD era stato quindi accolto da me con piacere e fiducia. Piacere e fiducia di breve, brevissima durata.
Innanzitutto per il suo fare reticente, in stile vecchia DC. Mai scoprirsi, lasciarsi aperte tutte le porte, far finta di voler federare la sinistra vera (ciò che resta della sinistra purgata da Renzi e dai suoi cari), e poi... E poi iniziare a buttare sabbia nel motore... Il Tale si, invece il Talaltro no... Un aspirante "Federatore" che anzichè unire, divide. Anzi, frantuma. Messaggi in codice morse lanciati al berlu-renzismo, e veti a pezzi della sinistra, che non ha bisogno di escludere nessuno, anzi...
Caro Pisapia, lei ha rotto le scatole in maniera così ambigua, che alla fine ha fatto sbottare persino un moderato come Speranza che - afferrata l'antifona del finto federatore mandato li da qualcuno per impedire la federazione e per mandare in corto circuito qualsiasi tentativo in quella direzione - con educazione ma con fermezza ha spiegato che non c'è più il tempo di aspettare nessuno, e che il progetto di una entità - piccola o grande che sia - alla sinistra del PdR sarebbe partita - pena il superamento della dead-line, con o senza di lei.
Speranza è un ragazzo educato, ma sveglio e determinato, ed ha capito prima di altri quali fossero i suoi obiettivi: polverizzare tutto ciò che c'è a sinistra di Renzi, e costringere nei fatti ad andare verso l'unica maggioranza verso la quale si sta marciando senza più neanche un qualche tentativo formale di fare un maquillage alla cosa: una bella accozzaglia "Renzi+Berlusconi+Alfano+Varie ed Eventuali". Una cosa da vergogna. E se io dovessi ipotizzare di essere governato da questa puteolente accozzaglia, non farei mancare il mio appoggio alla sinistra vera. La sinistra non ha i numeri per vincere, ma ha i numeri per non consentire a Renzi, verso il quale lei sta correndo a lunghe falcate, di vincere senza il supporto di questi squallidi e squalificati personaggi trinariciuti. In particolare, su tutti lei non vuole quelli di "SI", eredi di quel "SeL" che è stato l'artefice della sua ascesa alla sindacatura di Milano
Aggiungo che la sua risposta strafottente alle sollecitazioni di Speranza distrugge in un minuto l'immagine che lei si era costruito in sei anni.
Vede, Avvocato Pisapia... ironizzare sui numeri da "prefisso telefonico" della sinistra residuale, è stato il peggior autogoal che potesse fare. E sa perché? Perchè i numeri residuali sui quali lei ha ironizzato sono situabili in un intervallo fra il 7% e il 9%. Con una soglia di sbarramento al 3%, mi creda, neanche la sinistra estrema sarà così cretina da non fare aggregazioni - magari tacitamente strumentali e a termine, fatte solo per superare la soglia e poi dirsi addio.
Il suo è un grande autogoal, perchè il suo disprezzare con tanta acredine i numeri altrui, ha spinto me ed altre realtà della rete ad indagare sui SUOI numeri. Ebbene, il suo "Campo Progressista" non è che sia messo molto meglio rispetto ai "partitini" che lei ha irriso (me lo lasci dire, con grande stupidità politica). Non è che sul suo "Campo Progressista" siano piovuti consensi a raffica...
Ho cercato a lungo dei sondaggi recenti dove il "Campo Progressista" fosse misurato separatamente dal pot-pourri degli "Altri Partiti". Poi, assistito dalla mia caparbietà, ho trovato... Il primo a "misurare " il Grande Consenso del suo partitino sembra essere stato Piepoli. Ecco, per la sua felicità, cosa ho trovato (Istituto Piepoli. Trova i dati sul sito sondaggipoliticoelettorali.com):
Ora, mi consenta: qualsiasi bignamino di strategia militare spiega che un tizio che conta un 1,0%, già passato in pochi giorni prima a 0,9% e in ultimo a 0,7%, commette una enorme castroneria (aritmetica e politica) quando si mette a "dettare le tavole" ad un mucchietto di partitini nato intorno al 4%, e con tendenza attuale in direzione del 7/9%. Perchè allora si che diventa lecito porsi la fatal domanda: #pisapiachi? Vede, #pisapiachi, lo 0,7-0,9% vale esattamente la decima parte del 7/9% dei "partitini" ai quali ha indirizzato un ironico "Buon Viaggio". Buon viaggio anche a lei.
Pisapia, il suo tentativo di frantumare ciò che resta a sinistra di Renzusconi - ne prenda atto - è fallito. Sono ragazzi svegli, e la lasceranno andare verso Renzi, senza rimpianti. Chi sta male coi suoi numeri, non starebbe meglio con uno 0,7% in più. Se ne faccia una ragione: la sinistra non ha i numeri per vincere, ma ha i numeri per fare perdere l'accozzaglia Renzi-Berlusconi-Alfano-Pisapia. E non si disturbi a farmi le somme, e a spiegarmi che l'accozzaglia potrebbe valere intorno al 40%, sommandone le varie componenti. Prima di tutto col 40% e con una legge proporzionale non si governa. In secondo luogo, quando saranno espliciti i componenti dell'accozzaglia, TUTTI perderete dei pezzi. Lei ha ben poco da perdere (al massimo lo 0,7%); di Alfano e del suo 2% chi se ne frega... Ma il PdR e FI perderanno pezzi di brutto, perchè nel PdR c'è gente che si farebbe uccidere prima di votare per Berlusconi, e - simmetricamente - in FI c'è gente che si farebbe spellare viva pur di non votare per i "komunisti trinariciuti" che vedono dappertutto, persino nel renzismo post-democristiano. Quindi ipotizzi che gli unici che trarranno beneficio da questa porcheria saranno i partiti populisti, le destre più o meno estreme, e il Partito dell'Astensione, che diventerà il primo partito italiano. A questo punto penso che il minore di tutti i mali sia uno tsunami politico che spazzi via l'accozzaglia e i suoi membri.
Con quasi 5 milioni di poveri assoluti, 97% di assunzioni precarie, 12 milioni di italiani che non possono più curarsi perchè non possono più pagare le cure, né i ticket, né aspettare due anni per una mammografia, una "metastasi politica" vi distruggerà.
Mi permetta di salutarla ricambiando l'augurio da lei fatto ai "partitini" di sinistra: Buon viaggio anche a lei. Prossima fermata: Arcore!
Intenzioni di voto (ultimi 12 mesi)
Tafanus
Scritto il 10 ottobre 2017 alle 01:11 | Permalink | Commenti (6)
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Scritto il 08 ottobre 2017 alle 01:19 | Permalink | Commenti (0)
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Recensione del film "MADRE!" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Mother!
Regia: Darren Aronofsky
Principali interpreti: Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Michelle Pfeiffer, Ed Harris, Domhnall Gleeson, Jovan Adepo – 120 min. – USA 2017
Una grossa e bellissima gemma preziosa, esposta nel cuore di una stanza alla quale nessuno può accedere al di fuori di Lei (Jennifer Lawrence) e di Lui (Javier Bardem) è la pietra pura e misteriosa a cui è legata l’ispirazione di Lui, un artista, uno scrittore già molto amato e celebre, ora in crisi creativa. Lei, che è bellissima e molto giovane, è la donna che ora Lui ama e che si occupa della ricostruzione della Casa, andata misteriosamente a fuoco dopo la creazione di un suo romanzo, forse destinato a essere l’ultimo. L’amore che li lega è alquanto insolito: di totale abnegazione, fino all’annullamento di sé, è quello di Lei; di dolcezza paziente quello di Lui, che sembra si lasci beatamente servire da Lei, apparentemente contenta di farlo. La Casa, fondamentale elemento del drammatico film che stiamo vedendo, è una grande villa nella campagna erbosa e aperta, a sua volta resa poco accessibile dai fitti boschi che la circondano, oltre al corso d’acqua: il locus amoenus, si direbbe, il paradiso perduto di cui Lui ha assoluto bisogno per ritrovare la pace smarrita dopo il romanzo e il rogo della casa precedente.
A turbare l’idillio dei due sposi molto innamorati era stato l’arrivo improvviso di un Uomo (Ed Harris), cui era seguito, il giorno dopo, quello della moglie (Michelle Pfeiffer) e, ancora successivamente, quello dei due figli, adulti e nemici: queste inopinate presenze erano state sufficienti a rendere del tutto vane le regole ferree che la coppia si era data, più o meno tacitamente. La realtà esterna, da cui vanamente Lei aveva voluto proteggere Lui e la Casa, si era introdotta nel loro mondo, portandovi la vita con tutte le sue contraddizioni: la malattia, il dolore, e infine l’estremo e indicibile scandalo della morte. I bellissimi tappeti della casa si erano macchiati di sangue, nei muri apparentemente solidi si erano aperte crepe sanguinanti, segnali sinistri, insieme a molti altri, della presenza ineliminabile del male, che resistevano tanto più, quanto più Lei si affannava a cancellarli e a eliminarli.
Quasi miracolosamente, però, l’amore passionale era rinato fra loro e, insieme all’amore, Lui aveva ritrovato anche l’ispirazione e ripreso a scrivere il suo nuovo capolavoro, più bello dell’antico e presto pubblicato. Lei, che adesso aspettava il loro bambino, si accingeva, intanto, a ricostruire la Casa, cancellando, un po’ alla volta e con crescente fatica, i segni dell’oltraggio del sangue e della distruzione: nessun ospite esterno l’avrebbe di nuovo violata perché, ora, oltre al marito, Lei si sarebbe apprestata a difendere, in ogni modo possibile, la stanza del bebè prossimo a nascere.
Nessuno, infatti, avrebbe bussato alla loro porta per conoscere più da vicino la vita del grande scrittore, poiché, travolto dall’industria culturale e dalle necessità del mercato, nella Casa, perfettamente ricostruita e pulita, senza permesso sarebbero entrati, con modi violenti e invasivi, operatori televisivi, giornalisti, ammiratori, fanatici e persino santoni. A nessuno interessava conoscerlo per ascoltarlo: tutti volevano un “selfie” con Lui, tutti desideravano impadronirsi di qualcosa che gli appartenesse: oggetti, pezzi della Casa, Lei e il bambino, nonché la gemma misteriosa ridotta in frantumi, reliquie del nuovo idolo, da sacrificare sull’altare dei Like e dell’effimero…fino al prossimo romanzo!
Nell’analizzare velocemente questo film, ne ho delineato un’interpretazione plausibile, almeno per me, trattandosi di un’opera molto stratificata e complessa, che si presta perciò anche ad altre letture, alcune delle quali suggerite, per altro, dallo stesso regista (le sue affermazioni in proposito mi hanno convinta sempre di più che l’opera creativa abbia una vita propria, indipendente dalla volontà esplicitata dal suo creatore, cui non tocca interpretare la propria opera, come suggeriva saggiamente Roland Barthes nel suo sempre attuale The Death of the Author).
Il film mi ha ricordato la riflessione sui rapporti fra arte e realtà dell’argentino Il cittadino illustre, poiché possono sembrare assai simili, nei due film, l’egocentrismo e l’autoreferenzialtà dello scrittore e la sua sostanziale estraneità al mondo così com’è. Il tema del dolore, qui è soprattutto, però, angoscia e incubo visionario, e si manifesta attraverso il personaggio di lei che, con la propria sofferenza, sembra farsi mediatrice di un aspetto tragico della realtà che non riesce tuttavia a ispirarlo, non diventando mai, ai suoi occhi, altro da sé, essendo, anche in questo caso, l’estraneità dal proprio mondo emotivo la condizione fondamentale della scrittura. Non per nulla, erano stati la Donna e l’Uomo sconosciuti, che l’avevano cercato per parlargli, al fine di meglio comprenderlo, a offrirgli, nel momento del dolore più profondo e terribile, le emozioni necessarie all’ispirazione da troppo tempo inaridita. Peculiare del regista, poi, è il modo enfatico del racconto, il gusto per le immagini ripugnanti e sanguinose, che rasentano il kitsch e che, perciò, possono diventare, con la loro ricorsività, manieristiche, così come gli appartiene l’indagine insistita per gli aspetti oscuri di noi, che spesso nascondiamo dietro le nostre “maschere” quotidiane. Questi aspetti rendono il film simile almeno un po’ al precedente Il cigno nero, che alla sua uscita, sei anni fa, divise critica e spettatori, ciò che sta accadendo puntualmente anche oggi per quest’opera. Mentre è perfettamente comprensibile che non tutti gradiscano il modo con cui il regista racconta, è meno comprensibile l’astio feroce che si è creato a Venezia, durante la proiezione dedicata alla stampa, intorno a un’opera che, al di là dei gusti personali, non è né banale, né meritevole di una visione poco attenta, sia per l’innegabile potenza narrativa, che si manifesta dalla prima all’ultima scena, sia per l’importanza dei temi trattati, sia per l’impegno degli attori, fra i più grandi del cinema di oggi, da Bardem alla Pfeiffer alla bravissima Jennifer Lawrence, davvero sorprendente, sensibilissima e dolorosissima immagine dello strazio e dell’angoscia. Da vedere sicuramente.
Angela Laugier
Scritto il 08 ottobre 2017 alle 00:47 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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La fetida "accozzaglia": Renzi, Berlusconi, Salvini, Alfano
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 3 Ott. 2017
Il primo voto sul Rosatellum bis è la dichiarazione di come i partiti vorranno la prossima legge elettorale: la commissione Affari costituzionali della Camera, infatti, ha respinto l’introduzione delle preferenze. Resteranno, cioè, le liste bloccate, sia pure molto brevi, cioè composte tra 2 e 4 nomi. Detto ancora più facilmente: resteranno i parlamentari “nominati“, nel senso che il posizionamento dei loro nomi in lista sarà deciso dai vertici dei partiti. Il Rosatellum – è bene ricordarlo – prevede che il Parlamento venga composto per i due terzi circa (64 per cento) con il sistema proporzionale con mini-liste bloccate. Il resto dei seggi viene assegnato invece con il maggioritario uninominale, cioè con il confronto tra candidati di coalizione. Proprio contro i “nominati” e a favore di un meccanismo di scelta diretta dei parlamentari da parte degli elettori è rivolto l’appello del Coordinamento democrazia costituzionale che il Fatto ha fatto proprio anche con una petizione su Change.org.
L’emendamento respinto, per l’esattezza, proponeva la doppia preferenza di genere per il listino proporzionale. Era stato presentato da Alfredo D’Attore, di Mdp. Il relatore della legge Emanuele Fiano (Pd) aveva espresso parere negativo e la maggioranza che sostiene la legge ha bocciato la proposta di modifica. A sostenere il Rosatellum sono Pd, Forza Italia, Lega Nord, Alternativa Popolare e altro pulviscolo parlamentare tra i centristi di governo. Contro la legge sono schierati il Movimento Cinque Stelle, Sinistra Italiana, Fratelli d’Italia, ma anche un pezzo di maggioranza, cioè Mdp-Articolo 1.
Un secondo no tra l’altro ha respinto un altro emendamento che proponeva il ritorno alla legge elettorale di giugno (il primo Rosatellum), frutto dell’accordo tra i 4 “Grandi” Pd, Forza Italia, M5s e Lega Nord e poi franata dopo i primi voti a scrutinio segreto. In questo caso si trattava di un sistema proporzionale misto
tra maggioritario e proporzionale (era paragonato al tedesco, anche se c’entrava ben poco). Anche questa proposta di modifica era firmata da Mdp ma altri analoghi sono stati presentati da M5s, Sinistra Italiana e dallo stesso Articolo 1, con leggere variazioni l’uno dall’altro. L’effetto è che sale la tensione tra Pd e Mdp: “Si è formata a sostegno del Rosatellum una maggioranza che spacca la maggioranza di governo e che non è nemmeno istituzionale – dice D’Attorre – perché viene approvata una legge fatta apposta per colpire e isolare Mdp e per escludere il confronto con la principale forza di opposizione”. Alla domanda se Mdp voterà contro il governo sul Def e la legge di bilancio, D’Attorre ha replicato: “Non risponderemo con irresponsabilità alla loro irresponsabilità. Sul Def e sulla legge di bilancio la nostra valutazione sarà esclusivamente nel merito“.
In particolare sul voto disgiunto potrebbe muoversi qualcosa. A chiedere una riflessione è stato proprio uno dei leader della minoranza interna democratica, Gianni Cuperlo, a chiedere a Fiano di accantonare gli emendamenti sul punto, in modo da discuterne nell’assemblea dei deputati del Pd in programma domani sera. Su questo si tenta un’intesa con Mdp, che ha presentato emendamenti in questo senso. Bisogna dire che approfondimento non significa che buona disposizione ad accettare il disgiunto e si capisce già dalle parole dello stesso Fiano: “Io sono sempre favorevole ad accogliere le richieste di approfondimento e domani all’Assemblea del gruppo ce ne sarà la possibilità. Io sono contrario ma è giusto accogliere ogni richiesta di approfondimento”.
A cosa serve il voto disgiunto? In sostanza rende più libero il voto dell’elettore. Ad oggi infatti, senza voto disgiunto, nonostante il Rosatellum preveda una scelta per la parte proporzionale e una per quella maggioritaria, la scheda è una sola: il nome del candidato nel collegio sarà affiancato dai simboli dei partiti che lo sostengono. Barrando sul simbolo del partito il voto andrà al candidato del collegio e al partito per la parte proporzionale. Il massimo della libertà dell’elettore sarà barrare solo il candidato del collegio senza segnare il partito. Al contrario, non essendoci le preferenze, scegliendo il simbolo, l’elettore sarà costretto a prendersi tutto: candidato di collegio e listino con tutti i nomi bloccati. La differenza con il Mattarellum è lampante: all’epoca c’erano due schede, con una si votava il candidato del collegio (sostenuto da partiti e coalizioni), con l’altra si sceglieva il partito in cui ci si identificava di più. Il disgiunto è un meccanismo già previsto per il sistema delle Comunali: si possono scegliere candidato e partito non collegati tra loro.
Fiano ha espresso parere negativo anche sugli emendamenti alle norme sul Trentino Alto Adige e sulle minoranze linguistiche in Friuli Venezia Giulia. Nel frattempo è stato ribadito l’approdo della legge nell’aula di Montecitorio a partire da martedì prossimo, il 10 ottobre. Proprio per consentire l’esame del provvedimento, i capigruppo hanno concordato di non convocare la seduta alla Camera di giovedì per lasciare spazio ai lavori sulla riforma elettorale in commissione.
Per il M5s la legge è incostituzionale. “Come lo era il Porcellum, come lo era l’Italicum, anche questa legge elettorale qua, togliendovi la possibilità di voto è incostituzionale e va abbattuta” scrive il deputato Danilo Toninelli. “Il Rosatellum bis è un sistema elettorale che vi toglie la possibilità di scelta, il vostro voto non conta nulla“. Spiega Toninelli:
“Ipotizziamo che voi vogliate votare Mario Rossi, che produce l’assegnazione di un seggio ad una persona, ma non volete assolutamente votare uno dei partiti che appoggia, in questa ammucchiata di convenienza, Mario Rossi. Non lo potete fare. Votando Mario Rossi il vostro voto si spalma proporzionalmente su tutti i partiti, anche quelli che odiate, che appoggiano Mario Rossi. Al contrario se volete andare a votare questo partito ma non volete assolutamente votare Mario Rossi perché ha un programma che non vi piace, votando questo partito automaticamente votate Mario Rossi. La vostra scelta, la vostra ‘X’ non conta assolutamente nulla”.
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Chi sosteneva ( e formalmente aveva persino ragione) che una legge elettorale c'era già, è servito. Si, la legge c'era già, ma finalmente anche coloro che l'avevano malamente scopiazzata da quella che sarebbe dovuta emergere "per sottrazione" dopo la bocciatura dell'Italicum da parte della Corte Costituzionale, come previsto da noi già in tempi non sospetti, non soddisfaceva gli appetiti di "poltrone scelte" da parte dell'accozzaglia che piace al renzismo, e quindi oggi sono tutti affannati a ridurre al minimo i tempi da dedicare alla legge di bilancio, in modo da potersi concentrare meglio e più a lungo sulla legge elettorale che c'è ma non c'è.
Vogliono rifarla al peggio, impedendoci di scegliere un partito senza beccarci anche i candidati "nominati da Renzi e dai suoi cari", e vogliono vietarci di scegliere un candidato che ci piace, senza prenderci insieme anche un partito che ci fa schifo.
Ricordate il film "Amici Miei"??? A un certo punto nasce un amore fra la moglie del chirurgo e l'architetto. Il chirurgo scoppia dalla gioia, perchè è da un pezzo che della sua famiglia non ne può più. Quindi autorizza l'architetto a prendersi sua moglie, ma gli impone anche di prendersi il "kit" completo: la moglie, le figlie, l'istitutrice tedesca, il cane, e persino le maledette "sottocoppe" di peltro...
Bene: se vi piace un candidato e volete votarlo, vi beccate anche il partito di appartenenza. Niente voto disgiunto.
Per memoria futura: l'accozzaglia politicamente maleodorante che vuole questa porcheria (peggiore persino del già bocciato Italicum) è costituita dai seguenti signori (si fa per dire):
Piuttosto che votare per questa porcheria di accozzaglia, chiederò la cittadinanza alla Libia, o a Cuba, o alla Bulgaria.
Tafanus
Scritto il 03 ottobre 2017 alle 18:15 | Permalink | Commenti (5)
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Recensione del film "L'inganno" (di Angela Laugier)
Titolo originale: The Beguiled
Regia: Sofia Coppola
Principali interpreti: Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning, Oona Laurence, Angourie Rice, Addison Riecke, Emma Howard, Wayne Pére – 91 min. – USA 2017
Credo che sia bene precisare che questo film ha diviso la critica, e a quanto ne so anche il pubblico, soprattutto perché è difficile darne una valutazione autonoma rispetto all’onnipresente e molto (giustamente) ingombrante La notte brava del soldato Jonathan, il capolavoro di Don Siegel, ispirato, come questo, al romanzo di Thomas Cullinan A painted Devil.
Lo scenario è, anche in questo caso, la guerra civile americana nell’anno 1864, a tre anni dal suo inizio, così come viene vissuta in Virginia all’interno di un collegio femminile che ospita poche studentesse, alcune delle quali molto piccole, e un’insegnante di francese, Edwina (Kirsten Dunst). La piccola comunità è diretta dall’austera e matura Miss Martha (Nicole Kidman), severa ma religiosamente caritatevole. La vita del collegio è scandita dall’organizzazione meticolosa del tempo: lo studio, il lavoro (il cucito, la preparazione dei cibi…) e la preghiera si alternano con soffocante ripetitività, cosicché il collegio è nella realtà il carcere soffocante delle giovani ospiti, l’emblema stesso di una clausura destinata a durare almeno fino alla conclusione della guerra. La dimensione esterna, storico- politica, che aveva avuto una parte considerevole nel film del 1971, avendo conferito ai diversi protagonisti spessore e profondità, qui è solo accennata: i soldati sudisti bussano alla porta, ma non si vedono: è molto lontana la voce di Miss Martha che parla con loro. La rimozione del mondo esterno è significativa poiché rende riconoscibile la regista che, come ha più volte dichiarato, e come sappiamo dai suoi film precedenti, è anche qui interessata all’esplorazione del mondo delle giovani donne che per educazione o per necessità sono costrette a misurarsi, nell’età delicata dell’adolescenza, con la realtà di adulti che hanno deciso per loro, condannandole in questo modo all’infelicità per il resto della vita. Il riferimento che sembra più immediato, perciò, non è al film di Siegel: è piuttosto al bellissimo The Virgin Suicides, la terribile storia delle malinconiche sorelle Lisbon, che avevano studiato e organizzato meticolosamente il suicidio quale risposta all’assenza di ogni credibile prospettiva di felicità futura. Né mi sembra trascurabile l’accostamento a un’altra delle memorabili adolescenti di Sofia Coppola, Marie Antoinette, film in cui lo scenario storico è solo apparentemente ignorato, essendo la sua assenza compensata dalla simpatetica condivisione delle umiliazioni dolorose che le regole soffocanti di Versailles imponevano anche a lei, la vivace giovinetta diventata regina di Francia (la memorabile scena del parto pubblico, davanti a un’impressionante massa di persone che si accalcavano per assistervi, non è solo storicamente verissima, è soprattutto umanamente struggente per la sensazione claustrofobica e insieme pietosa che suscita in noi).
L’inganno, perciò, può agevolmente collocarsi all’interno di questo aspetto dell’ispirazione creativa di Sofia Coppola, e ha il pregio notevole di una fotografia elegantemente attenta agli accostamenti cromatici, alle ombre e alle tenui luci delle candele suggestivamente kubrickiane. Lascia, invece, a desiderare l’analisi psicologica, che non spiega né il troppo veloce mutare del soldato John (un Colin Farrell da dimenticare, altro che Clint!), né quello di Martha, qui del tutto priva delle inconfessabili e inquietanti colpe che nel film del ’71 ne facevano il personaggio forse più complesso e interessante, per non parlare della studentessa Alicia (Elle Fanning), così deliziosamente seducente nel vecchio film e così priva di charme e incolore in questo. Tutte queste considerazioni mi portano a esprimere molte perplessità sulla riuscita di questo film: si può vedere, ma se lo si perde, non ci si rimette troppo. Da vedere sicuramente, invece, tutti i film che ho citato nel corso di questo articolo!
Angela Laugier
Scritto il 01 ottobre 2017 alle 12:36 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink | Commenti (0)
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