Dei morti è crudele parlar male (specie da parte di coloro che ne hanno parlato sempre e solo benissimo quando erano vivi e potenti), ma è ancor più seccante l'altra faccia della medaglia: quella per cui chi ne ha sempre detto e scritto malissimo in vita, un minuto dopo la sua morte aveva già pronto un bel "coccodrillo" apologetico" da inviare alle agenzie, al proprio giornale, o al primo talk-show raggiungibile.
Non dimenticherò mai un "musical" di Renato Rascel che - ad un certo punto - si mette a passeggiare per i vialetti di un cimitero, soffermandosi a leggere le lapidi in stile "Qui giace"... Un metro davanti a lui "giaceva" un padre indefesso, e via via giacevano una madre esmplare, un soldato morto per la Patria, un morto sul lavoro, un morto per il lavoro, un devoto alla Madonna dal Velo Azzurro...
Dopo decine di queste lapidi, si ferma, pensieroso, e riflettendo ad alta voce si chiede: "...ma se po' sapé dove li seppelliscono i fiji 'de na mignotta?...."
Olivetti, con la sua religione del "non più di dieci volte il salario minimo", era un sognatore? Può darsi: ma era un sogno bello, e in casa sua era una realtà realizzata. Solo chi non vuol vedere e non vuol sapere può ignorare il fatto che negli anni più bui del dopogierra Olivetti ha realizzato a Pozzuoli - allora miserrima cittadina del profondo sud, uno stabilimento per la produzione di macchine nda scrivere che sembrava una SPA svizzera...
E dopo aver ricordato il "lodo Olivetti", parliamo un po' di come sia stato retribuito Marchionne negli utlimi anni. E per evitare il sospetto di prendere le notizie fa "fonti faziosamente critiche", leggiamo cosa ha scritto un giornale non particolarmente nemico di Marchionne, repubblica/economia :
Bonus milionari, buonuscite d'oro, premi alla carriera e una pioggia di "azioni-omaggio" regalano un altro anno da incorniciare ai manager di Piazza Affari. Gli stipendi 2015 dei numeri uno delle società quotate, con buona pace di un Pil che stenta a decollare, hanno riaggiornato tutti i loro record: quattro super-Paperoni si sono messi in tasca un assegno superiore ai 10 milioni, in dieci hanno sfondato il muro dei cinque, oltre 50 fortunati - tra cui sei dirigenti di aziende pubbliche - sono entrati nel Club esclusivo dei billionaire, riservato a chi in busta paga ha più di due milioni l'anno.
Il re incontrastato di questa classifica - per il secondo anno consecutivo e per distacco - è Sergio Marchionne che si è messo in tasca in dodici mesi 54,5 milioni, qualcosa come 150mila euro al giorno. L'ad di Fca ha legato gran parte dei compensi, l'86% del totale nel 2015, a bonus proporzionali ai risultati di bilancio. Meglio va l'azienda, più lui guadagna. La strategia ha pagato: l'anno scorso ha ricevuto un compenso in contanti di 11,5 milioni (di cui 6,5 come premi) più 3,9 milioni di azioni Fca e 2,1 di Cnh - il produttore di mezzi per l'agricoltura controllato da Exor - assegnate gratuitamente per aver centrato i target di utile netto, reddito operativo e debito fissati negli anni precedenti. Il salvataggio della Fiat, la corsa dei titoli del Lingotto e il ruolo di gran cerimoniere nelle nozze con Chrysler hanno regalato a Marchionne dal 2004 ad oggi un piccolo tesoretto a otto zeri: in 11 anni ha incassato tra Exor, Fiat, Cnh, Sgs e Philip Morris stipendi per quasi 150 milioni. Non solo: in portafoglio, grazie a stock option e ad assegnazioni gratuite di titoli, si ritrova l'1,13% di Fca e 10 milioni di azioni Cnh, che ai prezzi attuali di mercato valgono circa 170 milioni.
Cinquantaquattromilioni e mezzo in un anno. Ipotizzando l'applicazione del "lodo Olivetti", pari al salario lordo annuale di circa 2100 dipendenti. Immaginate per un attimo l'uscita degli operai dallo stabilimento di Termini Imerese negli ultimi, comatosi anni della sua vita. Dai cancelli non uscivano più 3200 dipendenti, ma meno della metà: 1500. Marchionne avrebbe potuto, in teoria, pagarli tutti di tasca sua, e gli sarebbero rimasti in tasca, comunque, 15,6 milioni di euro all'anno, sufficienti a fargli condurre una vita dignitosissima da super manager.
Ma oggi, puntuale come la cometa, ecco pronto il "coccodrillo" de "ilpost.it, intitolato La Fiat prima e dopo Marchionne
Chiamarlo un inno al marchionnismo sarebbe riduttivo. Il Post dice delle cose vere e risapute. Ad esempio che la Fiat che ha preso in mano era sull'orlo del fallimento; che se la Fiat non fosse stata risanata ora non ci sarebbe più; che perdeva da 2 a 5 milioni al giorno.
L'articolo del Post è da bocciatura al primo anno di Giornalismo all'Università di Camerino. Il confronto non è, come presume il titolo, fra la Fiat del prima e del dopo Marchionne, ma un confronto fra arance e meloni. Il Post confronta i numeri della FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino), con un'altra cosa, che si chiama FCA (Fiat Chrysler Automobiles). Persino in terza elementare si capirebbe che non si possono comparare i 180.000 dipendenti della FIAT 2004 con i 300.000 della FCA d'oggi. La FCA non è la Fiat che ha cambiato nome, ma il frutto di una fusione fra due aspiranti cadaveri, fatta usando a larghe mani di uno strumento - il danaro pubblico - che tutti dicono di detestare.
Non è un mistero per nessuno che mentre Marchionne poneva fine alla richiesta di sovvenzioni pubbliche (non c'era più il consenso dell'Europa agli aiuti di stato, e comunque lo stato non aveva più una lira), è arcinoto che mentre Renzi è stato per l'anagrafe il padre del Job Act, Marchionne ne sia stato il padrino: colui: che ha chiesto (e ottenuto) questa fonte di finanziamento occulto.
Marchionne non perde occasione per dire quanto gli faccia schifo la politica, ma la rete è piena di foto di lui che gioca a "culo e camicia" coi politici (da Fassino, a Chiamparino, a Polletti, a Renzi, a Obama).. Altro che "rivoluzione industriale" e innovazione di prodotto! Parla di quanto sia sbagliato, in un paese a basso (e decrescente) reddito, produrre macchine a basso prezzo, che fra poco il numero crescente di "meno abbienti" non potrà comprare, ma la Fiat - con l'eccezione della Jeep prodotta in Italia essenzialmente per il mercato americano, "innova" mettendo fuori ogni due anni una "Nuova Panda". MAI la Fiat è riuscita a progettare e produrre una macchina di prestigio (con o senza Marchionne), e così il mercato redditizio - quello delle auto "alto-di-gamma" vendute a premium-price come simboli di prestigio, è rimasto appannaggio di marchi come Mercedes, Audi, BMW.
Rivendica orgogliosamente il suo rifiuto delle politiche di stato, ma per comprare la moribonda Chrysler va col cappello in mano da Obama a chiedere soldi, per non chiudere la Chrysler, e al tempo stesso impone ai dipendenti Chrysler (prendere o lasciare) l'accettazione di una drastica riduzione dei salari, e di un contestuale aumento dei tempi di lavoro e dei ritmi di produzione.
Ecco: tutto questo, per usare una frase mutuata da un mio amico genovese - non significa "fare innovazione", ma "cagare col culo degli altri"
Scrive Salvatore Cannavò sul Fatto Quotidiano del 22 luglio:
[...] Marchionne arriva in Fiat nel 2004 e trova una situazione bloccata, un mercato domestico stantio, una azienda arretrata. E capisce che la svolta deve essere mondiale. Si mette al passo con la globalizzazione e sa cogliere al volo – questa la sua vera mossa abile –, l’opportunità che gli offrirà Barack Obama cedendogli, a prezzo simbolico, la Chrysler. L’operazione porta la firma del presidente Usa e il supporto decisivo del sindacato americano, l’Uaw, che donerà il sangue con il suo fondo pensione. Marchionne si fa trovare al posto giusto nel momento giusto, agguanta l’offerta e inizia la sua era. Che è finanziaria e non industriale. Non c’è innovazione nella sua stagione. I due marchi simbolo della sua gestione, Jeep e 500, vengono da molto prima. Dal punto di vista industriale non crea nulla, ricicla vecchi progetti, resta indietro nel mercato delle auto elettriche, smantella impianti. Sul piano finanziario, invece, crea la Fca, porta la sede a Londra e quella fiscale ad Amsterdam, scinde Ferrari, riorganizza il reparto trattori e camion. La strategia globale finanziaria emerge quando si occuperà degli operai, riducendo le pause, riorganizzando i turni, dimezzando i diritti sindacali, ingaggiando lo scontro con la Fiom di Maurizio Landini. Il cuore di quella battaglia ruota sull’impresa che non vuole più mediazioni, lacci e pastoie sociali e nazionali. Per questo Marchionne rompe con Confindustria, portando fuori Fca e rivendicando il diritto di farsi il contratto che più le serve, con l’occhio a Detroit, Londra e Pechino, dove il mercato è destinato a crescere. Ecco perché la successione è affidata a Mike Manley.[...]
Ecco. Questo è quanto ci tenevo a dire. Si pregano amici e nemici, prima di scrivere idealmente sulla lapide di Marchionne "Qui Giace il Salvatore della Fiat", di aggiungere una breve nota a piè di lapide, in corpo 5, ricordando anche "a spese di chi" sia avvenuto il salvataggio. Solo un atto di rispetto dovuto alle vittime.
Tafanus
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