Recensione del film "Il sacrificio del cervo sacro" (di Angela Laugier)
Titolo originale: "The Killing of a Sacred Deer"
Regia: Yorgos Lanthimos
Principali interpreti: Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan, Raffey Cassidy, Sunny Suljic, Alicia Silverstone, Bill Camp, Denise Dal Vera – 109 min. – Gran Bretagna, USA 2017
In un attrezzatissimo e organizzatissimo ospedale dell’Ohio, a Cincinnati, lavora Stephen Murphy (Colin Farrell), stimato cardiochirurgo che porta con sé il segreto di un incidente occorsogli durante l’operazione a cuore aperto che era costata la vita a un uomo, forse per una sua leggerezza o forse per un suo involontario errore, ciò che lo aveva indotto a proteggere, almeno un po’ Martin, il figlio del defunto. Al momento del film Martin (Barry Keoghan) è un adolescente un po’ strano, che segue Stephen ovunque, in modo così insistente da diventare una presenza fastidiosa nella sua vita di rispettabile professionista: nel reparto tutti lo avevano notato, mentre chiedeva di lui e lo aspettava all’uscita. Ora, poi, si era fatto accogliere in casa, insinuando inquietudini oscure anche nella sua vita privata: si vedeva con Kim, la graziosa figlia adolescente, che come lui amava la musica, era diventato amico di Bob, l’ultimo nato, e anche di Anna, sua moglie (Nicole Kidman), oftalmologa di chiara fama. Aveva poi dovuto accontentarlo, andando a conoscere sua madre (Alicia Silverstone): visita imbarazzante, col seguito sgradevole di un’offerta d’amore per interposta persona…Una persecuzione, insomma, un incubo: nulla in confronto a ciò che sarebbe accaduto e che il regista greco Yorgos Lanthimos prepara accortamente, creando l’atmosfera di crescente tensione, in cui un po’ alla volta prende consistenza una trama da antica tragedia, annunciata per altro dall’allusione al cervo sacro del titolo, che nella versione originale è vittima di un assassinio (the Killing), mentre nel solito titolo italiano da spoiler è un sacrificio (e la differenza non è da poco). L’assassinio di Bob è infatti la vendetta a cui aspira il giovane Martin, il giusto contrappasso per la morte di suo padre, determinata dallo stato di ubriachezza del chirurgo, prontamente occultato dai documenti ospedalieri. Un “capro espiatorio” (l’innocente Bob!), avrebbe posto fine alle sciagure che stavano travolgendo l’intera famiglia e avrebbe riportato in equilibrio una situazione sulla quale gravava il peso dell’ingiustizia. Come Ifigenia in Aulide, o come Isacco, dunque? Non proprio così, secondo il regista, perché in un cielo senza dei, in una natura senza segrete corrispondenze e in un’umanità che fonda su basi utilitaristiche i propri riferimenti morali non può che affermarsi la barbarie più feroce, al di là della “politesse” formale dei nostri comportamenti, e al di là del razionalismo glaciale della nostra cultura che ignora ogni linea d’ombra.
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