Recensione del film "Le affinità elettive" (di Angela Laugier)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Principali interpreti: Isabelle Huppert, Fabrizio Bentivoglio, Jean-Hugues Anglade, Marie Gillain, Massimo Popolizio, Consuelo Ciatti, Stefania Fuggetta – 98 min. – Italia 1996.
La trasposizione cinematografica di uno dei romanzi più impegnativi della letteratura europea, fra classicismo e romanticismo, benché abbia richiesto a Paolo e Vittorio Taviani alcuni tagli spericolati, nonché il sacrificio di non pochi personaggi importanti dell’opera famosa, si è secondo me rivelata una operazione riuscita. L’impresa era molto difficile, ciò di cui bisogna tener conto nella valutazione complessiva dell’opera.
I due registi, infatti, hanno saputo restituirci, nel linguaggio del cinema, un romanzo molto letterario e filosofico, nel quadro naturale del paesaggio toscano, ambiente assai diverso da quello tedesco che è più scuro e contrastato, percorso da piogge frequenti e illuminato da bagliori improvvisi.
Il titolo, che rimane quello del romanzo, ci riporta all’interesse presente in Goethe per la cultura scientifica del suo tempo e alla convinzione che i rapporti d’amore che portano al formarsi della coppia non sfuggano alle leggi naturali dell’affinità chimica fra gli elementi composti, instabili per natura, e con tendenza a scindersi negli elementi primari, destinati a legarsi inevitabilmente con altri elementi da cui sono irresistibilmente e fatalmente attratti.
Un determinismo ineluttabile perciò percorre la vicenda di Edoardo (Jean-Hugues Anglade) e Carlotta (Isabelle Huppert) diventati marito e moglie dopo che, essendosi amati in gioventù, avevano separato le loro strade per ritrovarsi casualmente, non più giovanissimi, entrambi vedovi dei precedenti matrimoni. Diversi nel carattere e nelle aspirazioni, Carlotta ed Edoardo ora vivevano grazie alle rendite dei terreni di lui, presso i quali, in un grande cascinale di campagna, avevano stabilito la propria abitazione. Ai progetti di Carlotta, razionalista e intenzionata a migliorare la qualità delle coltivazioni, Edoardo prestava un ascolto distratto, più interessato a promuovere una rete di rapporti d’amicizia nei quali l’amore reciproco si sarebbe arricchito e consolidato. L’arrivo di Ottone,l’architetto (Fabrizio Bentivoglio), fortemente voluto da Edoardo, e, di lì a poco, quello di Ottilia (Marie Gillain), la giovane e graziosa figlioccia di Carlotta, avrebbe destabilizzato, invece, il loro precario equilibrio di coppia. Da questo momento il film, percorrendo rapidamente le vicende del romanzo e seguendo l’allentarsi del legame dei due sposi, descrive il nascere dell’amore che, per affinità elettiva, avrebbe legato profondamente Edoardo e Ottilia, nonché Ottone e Carlotta, di cui, presto si sarebbe visto il frutto-monstre, poiché da quello strano incrociarsi delle passioni e del sentire sarebbe nato il figlio di Carlotta e di Edoardo, che nei capelli e nel volto avrebbe avuto le sembianze di Ottone e di Ottilia, gli amanti desiderati.
Il film è preceduto dalla scena memorabile dell’emersione dalle acque profonde del lago dell’antica statua di Venere, da millenni sottratta alla vista degli uomini, avviluppata dalle alghe e attraversata dalle migrazioni di miriadi di pesci, in un ribollire vitalistico, senza apparente senso. Grazie a questo incipit, i Taviani mostrano di aver conosciuto e meditato le stratificate interpretazioni del romanzo nel corso dei secoli, proiettandole sull’intero film, che è perciò non solo rappresentazione delle discussioni filosofiche sull’amore e sul matrimonio, o della morale laica in opposizione a quella religiosa, ma riflessione storicamente plausibile sulla necessità di separare la natura dalla sua rappresentazione artistica, e sullo stesso concetto di mimesi sul quale si era fondata ogni teorizzazione del classicismo. Il compito davvero improbo dei registi era stato certamente reso possibile grazie anche alla “colta” interpretazione di tutti gli attori che avevano saputo rendere umanamente credibili i loro complessi e difficilissimi personaggi.
Ai lettori - Stiamo vivendo giorni terribili per la cultura, non solo cinematografica, in tutto il mondo. La morte di Philip Roth ha aggiunto dolore a dolore: in meno di un mese, abbiamo perso tre grandi registi, come Milos Forman, Vittorio Taviani ed Ermanno Olmi. Intendo, attraverso questo blog, rendere loro omaggio impegnandomi nella recensione di alcuni loro film meno noti. Tornerò, al più presto anche nelle sale, da cui mi ha tenuta lontana un fastidioso malanno (di stagione) agli occhi. A presto.
Angela Laugier
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