Rubiamo ad Angela Mauro di Huffington Post la cronaca di una catastrofe annunciata, che ormai è nel campo visivo di tutti, tranne che dei due autorevoli quacquaraqua, del nostro Secondo Vince Ministro, e del Grande Tria che a chiacchiere avrebbe difeso la linea Maginot dell'1,9%, ma si è arreso ai suoi padroni senza combattere. Franza o Spagna, purchè se magna
Tafanus
Ci si mette anche l'Austria. Nemmeno Vienna spezza una lancia a favore dell'Italia, ormai nel mirino degli attacchi europei per una manovra economica con il deficit schizzato al 2,4 per cento del pil. Oggi all'Ecofin, il consiglio dei ministri dell'Economia dei paesi Ue riunito a Lussemburgo, sul governo di Roma si sono abbattute le critiche della maggioranza degli Stati membri, a partire proprio dal presidente di turno: l'austriaco Hartwig Loeger (nella fotina a destra), conservatore del Ppe. E pensare che il governo di Vienna, sostenuto dall'alleanza tra i conservatori del Cancelliere Sebastian Kurz e i nazionalisti di Heinz-Christian Strache, è sempre stato considerato un governo 'amico' dal vicepremier Matteo Salvini, alle prese con la costruzione dell'alleanza sovranista europea in vista delle elezioni di maggio. Sulla richiesta di maggiore flessibilità sui conti, gli 'amici' sovranisti non lo aiutano, così come non lo hanno aiutato sulla redistribuzione dei migranti.
"Abbiamo delle regole: abbiamo l'Ue, l'Eurogruppo e regole comuni. Quello che mi aspetto è che il ministro Giovanni Tria, dopo i bilaterali che abbiamo avuto con lui, sia pronto a rafforzare le discussioni anche a livello italiano", sono le parole del ministro delle Finanze austriaco Loeger al termine dell'Ecofin. Come si sa, Tria non c'era alla riunione: ieri sera è dovuto tornare di fretta a Roma per rivedere la manovra, dopo aver fatto il pieno delle critiche, avvertimenti, preoccupazioni e inviti a cambiare da parte dei colleghi dell'Eurogruppo, riunito ieri sempre a Lussemburgo. Oggi per l'Italia all'Ecofin c'era il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera. Ma la sostanza non cambia. L'Italia è invitata a rivedere al ribasso quella cifra: un deficit nominale al 2,4 in rapporto al pil per tre anni è incompatibile con l'obiettivo di ridurre il deficit strutturale.
In attesa di capire se a Roma rifaranno i conti, in attesa di dati e dettagli che ancora non hanno, in Europa meditano sul come reagire. E' lo stesso Loeger a lanciare un messaggio diretto agli "investitori": "Tenete a mente che il 14-15 ottobre sarà il momento giusto per decidere in quale forma reagiremo". Perché entro la fine della prossima settimana, il governo italiano deve presentare il documento programmatico di bilancio alla Commissione europea. Ed entro la fine del mese, l'organismo di Palazzo Berlaymont potrà chiedere informazioni aggiuntive, se restano perplessità serie sulla manovra economica. O addirittura chiedere che venga riscritta da capo: se succedesse, sarebbe la prima volta. Non è mai accaduto prima per nessun paese Ue.
Di certo, la settimana più calda sul fronte dello scontro tra Roma e Bruxelles potrebbe essere proprio quella del Consiglio europeo del 18 ottobre. Giuseppe Conte sarà lì, occasione per gli altri partner per presentargli direttamente il conto, se il governo non dovesse tornare indietro rispetto agli annunci.
"Le discussioni sul documento programmatico di bilancio italiano sembrano avviarsi in una direzione che va al di là della flessibilità" prevista per l'applicazione del patto di stabilità, "e in modo sostanziale", dice anche oggi Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Europea. "Per elaborare un po' su quello che il presidente Jean-Claude Juncker ha detto, ha detto che dobbiamo essere rigorosi, ma equi – continua Dombrovskis - E dobbiamo applicare equamente le regole: come Commissione Europea, abbiamo introdotto una comunicazione sul migliore uso della flessibilità all'interno del patto di stabilità. E l'Italia è stata il Paese che più ha beneficiato di questa flessibilità. Quello che il presidente Juncker ha sottolineato è che noi dobbiamo applicare le regole, dobbiamo applicare il patto di stabilità ed è quello che la Commissione è pronta a fare".
Ecco, Juncker, che ieri ha auspicato che l'Italia non crei un altro caso europeo come la Grecia. Oggi Salvini gli risponde così: "Parlo con persone sobrie, che non fanno paragoni che non stanno né in cielo né in terra. In una grande famiglia non ci sono figli di serie A e figli di serie B. Quindi, se qualcuno a Bruxelles straparla perché rimpiange un'Italia precaria e impaurita – aggiunge - magari per poter comprare sottocosto le aziende che sono rimaste in questo Paese, usando lo spread e i mercati per intimorire qualcuno, ha trovato il ministro sbagliato e il governo sbagliato".
Il punto è che in questa battaglia l'Italia è sola. Non solidarizza con la Grecia di Alexis Tsipras, che pure sta chiedendo ulteriore flessibilità all'Ue: troppe distanze politiche tra il governo gialloverde e il governo di Atene. Ma Salvini non trova nemmeno gli alleati sovranisti al suo fianco: come per i migranti, lo lasciano solo anche sulla flessibilità, argomento di certo non di successo per l'elettorato austriaco o di altri paesi a guida sovranista, dall'Ungheria di Orban agli altri dell'est. Né Strache, né Orban si sono fatti vivi al fianco della Lega in questa nuova battaglia con Bruxelles. Eppure l'alleanza sovranista continua ad essere evocata a dispetto degli interessi contrastanti dei contraenti, un paradosso che evidentemente non scandalizza i più.
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