Credit: Lucia Annunziata - Huffington Post
Confesso, sono una deficiente. Pur avendo questo giornale scoperto il piano B del primo accordo di governo, l'ho poi lasciato da parte, cullata lentamente in uno stato di semicosciente ottimismo, perché poi, alla fine, chi mai davvero potrebbe esporre il paese alla destabilizzazione politica? Una cosa sono le idee altro è la responsabilità di governo, mi sono ripetuta. In fondo quale politico accetterebbe mai di giocare a carte con il Destino del Popolo in nome del Popolo?
Non lo avevo messo in conto. Questo azzardo non l'ho visto arrivare perché era sempre stato lì, nello stesso atto fondativo della coalizione di governo.
Il Def, presentato ieri da Luigi Di Maio (con tutti i mezzucci comunicativi di un partito che della comunicazione ha fatto il suo unico Dio), e definito come l'abolizione della povertà, è solo una povera misura elettorale. L'asticella del deficit al 2.4, per i prossimi tre anni, non è infatti una manovra e nemmeno una proposta di manovra. E' solo una sbruffonata, inaccettabile non tanto dall'Europa e dai mercati quanto, e innanzitutto, dai portafogli degli Italiani. E' la bizzarra proposta di indebitare ulteriormente una famiglia che non riesce a liberarsi dei debiti. Difficilmente il modo per combattere la povertà.
Sono tutte cose queste di cui gli economisti discutono da tempo, e che lo stesso Di Maio (che deficiente non è) conosce bene. Il suo Def è in realtà un mezzo per intraprendere un altro percorso, in base al quale l'Italia starà meglio solo se viene esposta oggi a un grande scontro: lo scontro frontale con l'Europa per ottenerne o le proprie condizioni (il 2.4) o lasciarla. E' il piano B, appunto, che era in quella prima versione del contratto di governo, che, scoperto, fu cancellato. L'idea dello scontro per liberarsi dai lacci europei venne attribuita allora soprattutto all'anima sovranista della Lega. Lo scossa che si avvertì mise in dubbio persino la formazione del governo, e il professor Savona non divenne Ministro del Tesoro. Di Maio in quelle ore si presentò invece come il paladino della continuità, l'interlocutore delle istituzioni, il contro bilanciamento di Salvini. E siccome tutti crediamo solo alle cose in cui vogliamo credere, tutti gli credemmo, dimenticando l'originaria piattaforma dei Pentastellati a favore dell'uscita dall'Euro.
L'obiettivo, invece, è rimasto lì – la rottura con la Ue come elemento palingenetico di una sovranità nazionale, di una nuova economia, e di un nuovo popolo. Il Def presentato, con i suoi numeri gonfiati, è l'avvio di questa rottura, anzi il mezzo scelto per "creare" in vitro il Cigno nero, l'evento imprevisto con cui giustificare l'avvio del conflitto.
Il discorso di ieri di Luigi di Maio davanti a Palazzo Chigi è dunque una dichiarazione di guerra, nemmeno tanto mascherata. Che apre per il paese due scenari.
Il primo punta sull'effetto too big to fail : l'Italia è un paese troppo grande per potere essere davvero punita. In particolare da una Unione Europea molto indebolita ridotta a una collezione di Stati mai così disuniti. Il cosiddetto motore dell'Europa è imballato; Macron e Merkel per diverse ragioni avvitati in una spirale discendente, l'Inghilterra fuori, e buona parte dell'Europa dell'Est in ribellione. La disaffezione e il sovranismo sono galoppanti. Insomma l'Europa è in condizioni tali da poter essere sfidata, con una possibilità di vittoria – e in questo caso forse lo sfondamento del livello di deficit potrebbe accontentarsi di una messa a cuccia dei poteri deboli europei.
Il secondo scenario ci porta invece alla esposizione "senza se e senza ma" alla reazione dura dell'Europa, e dei mercati che, a differenza della politica, vivono e ingrassano nelle crisi. Nel qual caso, si tratterà di una "vera guerra" come avrebbe detto oggi il Professor Savona a un think tank, "ll nodo di Gordio".
In entrambi i casi siamo entrati ieri in una nuova fase in cui nessuna opzione sarà indolore. Il valore dei nostri risparmi, delle nostre case e delle nostre pensioni si abbasseranno. La manovra di Luigi di Maio si rivelerà una specie di commedia dell'arte con un Pantalone che con una mano dà e con l'altra toglie.
Ma c'è terzo scenario, peggiore.
Qualcun infatti dovrebbe ricordare a Palazzo Chigi che il discorso sulla debolezza dell'Europa ha fatto il suo tempo. Nelle istituzioni europee da tempo la fragilità del sistema ha convinto molti leader a cominciare a pensare a un modello nuovo, fondato sulla accettazione della fine di una Europa unita e paritaria. C'è già al lavoro nei fatti lo sviluppo di doppie e triple velocità istituzionali, e persino abbandoni. Basta osservare la Brexit e alle delusioni di quella Gran Bretagna che ha guardato con sufficienza alla debolezza europea e ha sopravvalutato la propria forza negoziale. Salvo trovarsi poi davanti a un conto miliardario da pagare presentatogli dalla Ue che si è impuntata contro ogni mediazione, ribaltando la sua crisi in una crisi interna degli stessi Tory. O pensa la coalizione gialloverde che alla fine della guerra saranno capaci anche di non pagare nessun prezzo all'addio dell'Europa?
Se dobbiamo misurare dai festeggiamenti in piazza ieri sera, Palazzo Chigi non ha nessuna paura. E perché averla dopotutto? Nell'attesa della guerra, la decisione presa è per la coalizione comunque win- win.
Qualunque sarà lo scenario Luigi di Maio potrà tessere nei prossimi mesi la narrazione che già da tempo è diventata la colla che tiene insieme questa fragile coalizione. Potrà sempre dire, "Vedete, noi siamo con voi, vi abbiamo dato tutto, vi abbiamo liberato dalla povertà. Ma i poteri forti, il grande capitale, quei burocrati dei ministeri, quei giornalisti venduti, quei giudici che si sono messi a servire la politica invece di affiancare il popolo, ci hanno fermato". Una narrativa perfetta per sostenere la prossima campagna per le europee, alimentando il risentimento del Popolo e fare il pieno di voti alle prossime europee. Una soluzione perfetta.
Sempre che Salvini, che per ora segue lo schema, non metta in campo i suoi, di interessi. E sempre ammesso che le fake news dei 5 stelle, le caleidoscopiche balle create per fomentare questa narrazione, non vengano erose dalla realtà.
Perché dopotutto io sono una deficiente, ma il popolo italiano ha sempre dato prova di non esserlo.
Lucia Annunziata
Cara Lucia,
concordo con le sue catastrofiche previsioni sul futuro prossimo che possiamo attenderci da questa fantastica non-coalizione di governo guidata dal Vice Secondo Ministro Conte, che l'auto-rottamazione della sinistra ha imposto al paese. Ora "hanno avuto i voti", e ce li teniamo. Se Caligola decise di nominare Senatore il suo cavallo, e la Costituzione non vietava esplicitamente questa possibilità, i romani si tenevano il cavallo Senatore senza fiatare.
Noi non siamo al livello del cavallo di Caligola, ma forse siamo messi addirittura peggio.Il cavallo di Caligola non ha mai saputo/capito di non essere più un cavallo ma un Senatore, e quindi non si è montato la testa, non ha capito di essere diventato altro da un cavallo, non ha mai emesso editti anzichè nitriti.
Qui siamo in presenza di un caso più grave per molti aspetti:
-1) Il cavallo di Caligola è stato un colpo di genio di Caligola per dire ai suoi senatori che "io sono IO, e voi non contate un cazzo";
-2) I nostri due "equini di lotta e di governo" fanno invece i ministri pro-tempore non per meriti loro, ma per l'insipienza di un elettorato italiano che in grande maggioranza non è in grado si distinguere un ministro degli Interni o un ministro dell'Economia da un equino. Un equino (pardon... un Ministro) che si è formato attraverso la lettura delle sue felpe e i cori in osteria sui napoletani che puzzano, un altro finalmente conscio del fatto che Matera non è in Puglia ma in Basilicata, anche se questo non servirà a mettere i congiuntivi al posto giusto, e tanto meno a far capire ad uno che come massima espressone lavorativa può vantare la posizione di steward allo Stadio "Juve Merda" che lo spread non è "solo un numerino", ma è QUEL numerino che non è la causa, ma la conseguenza delle variazioni di fiducia che i biechi "mercati" (naturalmente guidati dalla Spectre) hanno sulla valuta di un paese, e quindi di quanto vogliano essere pagati in interessi per acquistarne le emissioni in titoli di stato.
Ma per lo steward - in linea con la sua profonda "qultura" economica, lo spread resta un "numerino". E numerino sia. Ma applichiamo al numerino il famoso problema della vasca da bagno, di cui tutti siamo stati vittime da ragazzini: lo 0,5% di sforamento del deficit sul PIL vale oggi circa 7,5 miliardi. Di maggiori entrare fresche? Macchè! solo di autorizzazioni e maggior indebitamento, che i nostri figli dovranno restituire. Di maggior indebitamento che viene seduta stante azzerato dall'aumentato costo del debito su un suo accresciuto volume di debito
Ecco dove entra in ballo "il numerino dell'equino": da quando i nostri "cavalli di razza asinina" hanno iniziato a dire, con la mascella dura e prominente di attori che fanno la caricatura di Mussolini, che "CE NE FREGHIAMO DI CIO' CHE DICE L'EUROPA"; "TIREREMO DIRITTO", "VINCERE! E VINCEREMO", il fatidico "numerino dello steward" è passato da 130 a 280.
Traduciamo? I Due-Due si sono concessi l'autorizzazione a spendere 7,5 miliardi in più del pattuito (non di risorse fresche, ma prese in prestito), ma sulle future emissioni dovranno offrire (ammesso che la crescita del "numerino" si fermi qui), almeno 1,5 punti percentuali in più in interessi, su una montagna del debito incrementata di 7,5 miliardi.
In questa ottimistica situazione, potremo spendere in teoria - in parzialissimi mantenimenti di Grandi Promesse Elettorali - 7,5 miliardi, ma avremo un incremento del costo del debito che nella migliore delle ipotesi passerà da 46 miliardi annuali a 80,7 miliardi. Un affarone.
Qualcuno mi avverta quando si potrà presentare la richiesta per i 780 euro mensili. A me non spettano, ma al mio nipotino si. Io sono più interessato a sapere quando potrò godere della flat-tax al 15% sulla mia già dignitosa pensione da dirigente d'azienda. Euro più, euro meno, dovrei prendere circa 11.000 euro in più all'anno sul netto. Non diventerei certamente un Novello Marchionne, ma - insomma! - una ventina di settimane all'anno in più nell'amata Provenza potrei farle saltar fuori!
Grazie a tutti, anche al Secondo Vice Ministro Conte, che non appena ha sentore di qualche sia pur lieve divergenza d'opinione fra l'Uomo-Felpa e l'Uomo-Pettorina si rifugia alla Sagra del Tarallo Pugliese. E grazie all'eroico Tria, che sembrava pronto a dimettersi per difendere la pur scalcinata "linea Maginot" dell'1,9%. Ma appena gli è stato comunicato da Felpa&Pettorina che la nuova Maginot era stata innalzata a 2,4, il Ministro "Tutto d'un Prezzo" ha detto si.
Intanto a Roma il PD non ha ancora né fatto né annunciato un Congresso Speciale, preceduto dallo scioglimento di tutti gli organismi dirigenti. Spiccavano i toni bellicosi e urlati del perito agrario. Le truppe cammellate urlavano in coro "Unità, Unità", sul ritmo del coro "Onestà. Onestà" sul pratone di Pontida. E l'invocata "Unità" era rappresentata dalla presenza compatta di "tutti quelli del 4 Marzo. C'era persino il Bischero di Frignano, Il Conte Mascetti in Gentiloni, Maria Etruria Boschi, Grazzzie Grazzziano... Non UN SOLO rappresentate della sinistra secessionista invitato, se non altro per dare un segnane di possibile inizio di un discorso di unificazione. Spiccava indecorosamente il protagonismo vecchio stile del responsabile dello sfascio della sinistra: quello che "se vince il no esco dalla politica"
Indecorosi pagliacci che hanno consegnato il Paese al duo delle meravigli "Felpa & Pettorina"
Tafanus
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