È dal tempo del dieselgate, nel 2015, che è cominciata l’operazione “ammazzadiesel” con lo scopo formale di salvaguardare la salute dei cittadini.
Immediatamente Volvo annuncia che produrrà solo auto elettriche o ibride, BMW costruirà una Mini elettrica in Gran Bretagna, i giornali titolano “Mercedes sfida Tesla: dieci modelli elettrici dal 2022” ed Elon Musk, ha già costruito la Tesla Gigafactory 3, “la più grande fabbrica del mondo”, che “dal 2018 potrà fornire celle al litio per 500.000 vetture all’anno”: l’azienda si trova a Shenzhen in Cina…
Di più: vieteremo l’entrata delle auto a Londra entro il 2040, a Berlino entro il 2020, “Parigi ed Oslo dichiarano la guerra al Diesel”, i sindaci di diverse capitali stanno seguendo: solo auto elettriche nei centri cittadini, ed il governo Usa elargirà a ElonMusk 1,3 miliardi di sussidi pubblici, in spregio agli aiuti di stato che il Governo USA ha già utilizzato contro la UE grazie alla bella storia Airbus-Boeing dove solo il timing permette agli USA di imporre dazi che sono giustificati da azioni che oltreoceano hanno fatto prima e ancora peggio.
Mettetevelo bene in testa: vi toccherà comprare un’auto elettrica, ed ostinarsi a tenere un diesel sarà segno di rozzezza e insensibilità, e di scarsa attenzione ecologica.
Di punto in bianco, l’ecologia: ed anche i governi si sono schieratiin massa per l’ecologico “a segnale convenuto”, al mio segnale scatenate l’inferno. E’ difficile dire chi abbia dato lo squillo di tromba convenuto a cui tutti i leader e le Case obbediscono, ma oggettivamente d’improvviso vengono attuate simultaneamente, comunicazioni dove qualunque TG in giro per il mondo utilizza gli stessi stilemi comunicativi. Tutto ciò con una testimonial francamente abbastanza improbabile: nessuno di voi si è domandato come possa fare una sedicenne sostanzialmente sconosciuta a finire per parlare alle Nazioni Unite nel giro di un anno ? Un caso oppure una strategia concertata di marketing?
Diciamo che certamente l’economia dell’intero mondo, dal 2008 in stagnazione nonostante i trilioni di dollari iniettati dalle banche centrali nel sistema, e nell’ultimo biennio in regressione anche in Cina, non offre grandi soluzioni di sviluppo: che si sia in un periodi di stagnazione non è un mistero per nessuno.
In effetti, nonostante il denaro a costo sottozero, le banche non lo offrono, le imprese non lo chiedono ed i privati se possono li tengono in deposito; la velocità di circolazione di moneta cala invece di salire, e di inflazione non si vede l’ombra. Un ipotetico sviluppo esponenziale del mercato delle auto elettriche e del “green” con la riconversione di tutta la rete di rifornimento da carburanti ad elettrico potrebbe certamente innescare l’auspicata ripresa e la fiammata inflazionista di cui tutti i governi (in particolare quello Italiano, Americano e Giapponese, titolari dei debiti pubblici percentuali più elevati al mondo) avrebbero tanto bisogno.
Quindi la scelta ecologista è spiegata da un vantaggio riflesso sull’economia globale ? Ovviamente no, i motivi sono anche altri, e sono legati sostanzialmente alla disponibilità di gasolio per i trasporti marittimi oltre che ad uno step ulteriore nello sviluppo della globalizzazione dei prodotti.
Ci sono motivi molto pratici che spingono verso l’eliminazione del diesel per i veicoli privati e hanno a che vedere con il mercato internazionale del petrolio, come esplicitato da uno studio recente di Antonio Turiel, a sua volta basato sui dati della Joint Oil Data Initiative (Jodi).
Negli anni 70 noi “diversamente giovani” abbiamo fatto le famose domeniche a piedi a causa della guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur (6-25 ottobre) che portò all'embargo petrolifero decretato dall'OPEC (ottobre 1973). Tra il 16 e il 20 ottobre 1973 Arabia Saudita, Iran, Iraq, Abu Dhabi, Kuwait e Qatar, assieme alla Libia decisero, come risposta alle forniture militari Usa agli israeliani durante la guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur, un aumento unilaterale del 70% del prezzo del barile di petrolio seguito dal taglio della produzione e dall'embargo contro gli Stati Uniti e le nazioni alleate che sostenevano Israele. Questa decisione ebbe l'effetto di far salire il costo del petrolio da 3 a 12 dollari per barile, costringendo i Paesi consumatori - comprese Europa e Giappone - a varare misure drastiche di riduzione dei consumi, inclusi quelli per la produzione di energia elettrica.
In Italia, a novembre del 1973, il Governo Rumor varò un decreto sull'austerity, che imponeva assieme ai rincari per i carburanti e per il gasolio da riscaldamento, anche un vero e proprio 'coprifuoco' per limitare i consumi di energia (taglio dell'illuminazione pubblica, riduzione degli orari dei negozi, chiusura anticipata per cinema, bar e ristoranti, sospensione alle 23 dei programmi televisivi). Ed il 2 dicembre del 1973 arrivò la prima domenica di stop alle auto private e agli altri veicoli a motore non autorizzati (misura che in seguito sarebbe stata usata anche per limitare lo smog), con un risparmio per ogni giornata 'a piedi' (ma più frequentemente in bicicletta) di 50 milioni di litri di carburanti.
Le 'domeniche a piedi', insieme con gli altri provvedimenti presi dal Governo Rumor in tema di circolazione, come il rincaro dei carburanti e l'abbassamento a 120 km/h della velocità consentita in autostrada furono la reazione alla crisi del petrolio e portarono ad una progressiva disaffezione degli italiani nei confronti delle quattro ruote, determinando una situazione di crisi del mercato automobilistico superata solo da quella attuale. Dal consuntivo 1973 con 1,449 milioni di immatricolazioni (in linea con il 1971 e il 1972 e, incredibilmente, sopra al totale mercato del 2012) si scese a 1,281 milioni nel 1974 e a 1,051 nel 1975: in aggiunta cominciò a circolare lo storytelling del petrolio che, inesorabilmente, dovrà terminare lasciando la terra senza sistemi per la trazione.
Bufala ? In effetti quella che per anni è stata considerata una verità assoluta, e successivamente una storiella utile ad incrementare regolarmente i costi dei carburanti in realtà non è così peregrina, ma per motivi diversi da quelli che credete.
Il petrolio ha caratteristiche estremamente differenti a seconda di come lo si produce, o meglio da quale tipo di materia prima lo si distilla: negli Stati Uniti le compagnie petrolifere dispongono di amplissimi giacimenti di petrolio da scisto (shale oil), che al momento è abbondante, mentre ci sono evidenti problemi a mantenere la produzione di petrolio “convenzionale” che è in declino in molti Paesi produttori.
Ora, il petrolio da scisto è un petrolio “leggero”, a bassa densità, e con elevate tracce di zolfo: perfetto per la produzione di benzina tramite piroscissione, che genera quali residui di produzione oli pesanti ad alto tenore di zolfo. La produzione di gasolio per motori diesel a basso tenore di zolfo (inferiore allo 0,5%) risulta per questo tipo di petrolio antieconomica, e questo quando la disponibilità di olio combustibile (petrolio pesante) è in calo dal 2007, da quando oltre il 30% della produzione mondiale si è liquefatto.
Va inoltre detto che a fronte della difficoltà di produzione del gasolio per autotrazione con lo stesso petrolio la possibilità di produrre con lo stesso sistema olio combustibile per navi (tenori di zolfo superiori spesso al 7%) diviene altamente vantaggioso.
Appare quindi evidente che le raffinerie abbiano in passato dato priorità alla produzione di gasolio, un prodotto più richiesto sul mercato, a spese della produzione di olio pesante, mentre oggi la tendenza è opposta. Questo anche perché l’olio pesante è spesso contaminato con zolfo che porta a problemi di inquinamento spaventosi, tali che se ne cerchi l’eliminazione con provvedimenti legislativi sul parco autovetture.
Il risultato è che le navi da trasporto potrebbero trovarsi a dover abbandonare l’olio pesante come combustibile, spostandosi sul gasolio, anche se più caro: in altri termini per un combustibile che non basta per tutti abbiamo competizione fra tre settori, il trasporto navale, il trasporto su strada e altri usi industriali, le auto private.
Come risolvere il problema ? Come detto sopra, demonizzare il diesel è facile e vantaggioso per tutti: partiamo con una campagna di stampa che dimostra che le vetture Diesel sono inquinanti (ed in parte ciò corrisponde a realtà, benché aziende come Bosch abbiano dimostrato che un upgrade tecnologico le porterebbe ad emettere particolato in maniera inferiore alle vetture elettriche in overall): in questa maniera gli automobilisti stanno abbandonando il diesel, gli ultimi dati parlano di una flessione del 27% del volume di vendite di auto diesel in Italia a ottobre.
La cosa che rende basiti è che la stragrande maggioranza dei “verdi” de noantri combatte una guerra contro vetture diesel che possono facilmente abbattere le loro emissioni in particolato ma nel contempo emettono già oggi livelli di ossidi di azoto ridicolise comparati con le vetture a benzina, ma anche rispetto alle vetture elettriche se non alimentate con energie rinnovabili (vedi http://www.ansa.it/canale_motori/notizie/eco_mobilita/2019/07/11/emissioni-nox-nuovi-diesel-bosch-10-volte-sotto-ai-limiti_3a29d7d8-54eb-4542-b632-ee088c71eca0.html ).
Sorvolando su tutto ciò, va detto che anche se eliminassimo completamente le vetture diesel non avremmo risolto un granché: sappiate infatti che a fronte dell’eliminazione delle emissioni relative alle autovetture abbiamo dei mostri alimentati a olio combustibile pesante ad alto carico di zolfo che viaggiano tranquillamente nei nostri mari, e che inquinano almeno sei volte più di tutti gli automezzi circolanti nel mondo. Sono cargo colossali, lunghi trecento metri – Maersk ne ha di 400 metri, quattro volte un campo di calcio – perché più sono colossali, più peso e containers possono trasportare, e quindi più il costo del trasporto diminuisce, e se si inquina si inquina per una questione di costi: i carburanti puliti costano almeno il 48% in più rispetto ai combustibili tradizionali e, come detto prima, sono meno disponibili.
Il punto dolente è che i cargo in circolazione sarebbero un numero enorme: si dice siano 60 mila le portacontainer che stanno navigando gli oceani, traversano gli stretti di Malacca, fanno la fila per entrare nel canale di Suez, superano Gibilterra e dirigono alle Americhe. I loro titanici motori, onnivori, bruciano ovviamente tonnellate di carburanti, i meno costosi sul mercato, residui della distillazione catramosi, financo “fanghi di carbone”, con altissime percentuali di zolfo che alle auto, semplicemente, sono vietate. I gas di scarico delle navi sono ritenuti un'importante fonte di inquinamento atmosferico, con una contaminazione che va dal 18% al 30% di ossido di azoto e del 49% di ossido di zolfo: si è calcolato che dal 2010 (fonte NRDC/EPA) più del 40% dell'inquinamento atmosferico sulla terraferma proviene dalle navi.
Ovviamente il carburante utilizzato nelle petroliere e nelle navi portacontainer contiene molto zolfo, ma è più economico rispetto a quello usato sul territorio nazionale e va considerato che una nave, a causa della scarsissima qualità dei carburanti utilizzati ed alla sostanziale mancanza di qualunque sistema di abbattimento dei fumi di scarico, emette circa 50 volte più zolfo e 250 volte particolato rispetto ad un camion per tonnellata di carico trasportato: potete leggere qui alcuni dati statistici sulle emissioni navali:
https://it.wikipedia.org/wiki/Impatto_ambientale_della_navigazione#cite_note-Harrabin-14
Quasi il 4% del fenomeno noto come riscaldamento globale nel 2000 era causato dalle navi, come certificato da fonti EPA (Environmental Protecion Agency): la stessa EPA stima che i grandi motori Diesel delle navi rappresentavano circa l'1,6% delle emissioni di ossido di azoto di origine mobile e il 2,8% delle emissioni di polveri sottili di origine mobile negli Stati Uniti d'America nel 2000, e da allora il rapporto fra quantità di emissioni delle vetture si è sostanzialmente diviso per quattro mentre i trasporti via mare sono quintuplicati.
Linearizzando questi valori dovremmo ipotizzare che circa il 32% delle emissioni di ossido di azoto ed il 48% delle emissioni di polveri sottili di origine mobile negli Stati Uniti d'America siano originate dal traffico marittimo: questo significa che al momento il fenomeno del surriscaldamento globale causato dal trasporto marittimo potrebbe pesare complessivamente per il 25% del complessivo.
Guarda caso un report rilasciato negli scorsi giorni dal National Resources Defense Council lancia l’allarme in merito all’inquinamento da ossido di zolfo (SOx) nei porti cinesi, considerato il fatto che una nave commerciale può arrivare a inquinare più di mezzo milione di camion cinesi di ultima generazione, l’elevato numero di cargo (migliaia) che ogni giorno prendono il largo dalle coste della Cina per raggiungere i mercati dei cinque continenti ha effetti devastanti sulla qualità dell’aria dell’intero far east. La situazione maggiormente critica è a Hong Kong, avamposto occidentale del Dragone sui mercati internazionale: qui gli esperti hanno stimato che l’attività marittima sia responsabile del 50% delle emissioni di ossido di zolfo e di circa un terzo di quelle di ossido di azoto, mentre per quanto riguarda l’ossido di zolfo, la situazione è peggiore a Shenzen, dove l’industria marittima produce i due terzi delle emissioni di ossido di zolfo (SOx, dichiarato certamente cancerogeno dalla OMS).
Mentre il Governo cinese, specialmente nell’ultimo anno, ha dimostrato di volere invertire la rotta, pochi porti hanno messo in atto politiche volte a mitigare le emissioni inquinanti, e ben 7 fra i più grandi porti commerciali del mondo sono in Cina.
Se la consapevolezza della questione ambientali nei grandi centri urbani come Pechino è stata tardiva, ancor di più lo è quella sull’inquinamento delle città portuali.
A Hong Kong si sta pensando di imporre alle navi transoceaniche di passare all’utilizzo di combustibile pulito quando attraccano in porto: pensate che la deregulation attuale consente alle navi di bruciare carburanti con livelli di zolfo fra le 100 e le 3500 volte più elevati di quelli consentiti ai veicoli gommati.
Se improvvisamente governi e lobbies ecologiste sono così preoccupati per l’inquinamento dei mari e il riscaldamento globale, tanto da aver deciso di limitare progressivamente le auto a motore a scoppio del pianeta per sostituirle con motori elettrici puliti e più efficienti… perché non pongono qualche limite ai mega-cargo e alle mega-petroliere, considerato che le navi portacontainer inquinano come la totalità degli automezzi, basterebbe ridurre dello 0,35 per cento il traffico navale per ottenere lo stesso risultato di disinquinamento della riconversione globale all’auto elettrica? Domanda sbagliata: sappiate che il Protocollo di Kyoto non copre il trasporto marittimo, e questo sarebbe interessante poterlo spiegare alle Nazioni Unite, che invece invitano una sedicenne come Greta che li bacchetta in diretta TV senza sapere cosa sta dietro a questa bella messa in scena.
O sapendolo perfettamente.
Come spiega l’economista Mark Levinson, autore dello studio più approfondito sui containers, The Box: How the Shipping Container Made the World Smaller and the World Economy Bigger, (Princeton University Press), “la gente crede che la globalizzazione sia dovuta alla disparità dei salari, che provoca la delocalizzazione della produzione in Asia o dovunque la manodopera risulti meno cara. Errore: la disparità di salari esisteva anche prima della mondializzazione. Quello che permette lo sfruttamento della manodopera a basso costo per fare prodotti da vendere poi sui mercati di alto reddito, è l’abbassamento tremendo dei costi di trasporto navale. Questo è il fattore cruciale, reso possibile dai containers e dalle mega-cargo, che riducono il costo all’osso… conviene spedire i merluzzi pescati nel mar di Scozia in Cina in container refrigerati per essere sfilettati e ridotti a bastoncini e poi rimandati ai supermercati e ristoranti di Scozia, piuttosto che retribuire sfilettatori scozzesi”.
Ovvio: la cosa più facile da fare è indicare il nemico e proporsi come l’unico baluardo.
Rose George, giovane giornalista britannica, che dopo 10 mila chilometri fino a Singapore a bordo della Mersk Kendal (portacontainer da 300 metri, manovrata da solo 20 uomini) ha scritto un libro chiamato “Novanta per cento di tutto – Dentro l’industria invisibile che ti porta i vestiti che indossi, la benzina nella tua auto e il cibo nel tuo piatto”. (Ninety Percent of Everything: Inside Shipping, the Invisible Industry That Puts Clothes on Your Back, Gas in Your Car, and Food on Your Plate).
In altri termini nella nostra società post-industriale, dove non produciamo più ma compriamo, il 90 per cento di ciò che ci occorre e che acquistiamo viene trasportato dalle portacontainers, questi parallelepipedi di quattro misure standard, intermodali, ossia concepiti come caricabili su pianali di treno o di camion, non consentono soste, e permette di eliminare sostanzialmente la costosa fase di stivaggio. Una sola di queste porta-containers può caricare 800 milioni di banane (abbastanza per dare una banana ad ogni abitante d’Europa e Nordamerica), scaricarle in 24 ore, e poi via, perché il tempo è denaro.
Giusto per aggiungere la ciliegina sulla torta, sappiate che quando i grandi cargo ripartono sono in parte scarichi, avendo lasciato sulla banchina parte dei containers e per stabilizzare l’equilibrio pompano nei cassoni decine di tonnellate di acqua di mare: perché mai pensate che nel mediterraneo si ritrovino oggi pesci tropicali?
Quest’industria senza regole, del tutto extraterritoriale, si stima renda alle compagnie di trasporto circa 1200 miliardi di giro d’affari annuo: in una inchiesta di France 5, “Cargos, la face cachée du Fret” (Cargo, la faccia nascosta del trasporto marittimo) dimostra come i colossi di questo settore battano bandiere di comodo, dalla Liberia alle Isole Marshall, da Tonga a Vanuatu, e persino della Mongolia, che non ha sbocco a nessun mare, ma offre condizioni di favore agli armatori globali.
Vedremo quando qualche governo imporrà dazi legati alle emissioni ed alla certificazione di prodotto energetica… nel frattempo gli strali a favore di telecamera rappresentano al solito fumo negli occhi: nel frattempo come diceva qualcuno “a pensar male si fa peccato ma di solito ci si azzecca”…
Axel
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