Mentre – lo ripeto – non auguro a nessuno dei miei amici di aver bisogno di queste informazioni, credo che possano tornare di qualche utilità a coloro che finora sono riusciti a schivare lunghe degenze ospedaliere. A loro è riservato il mio sforzo, che a volte, a fini di maggior chiarezza, viola persino la mia stessa privacy.
PREMESSA – Fino alla tenera età di 82 anni, avevo conosciuto l’ospedale solo per brevi e volontari check-up, o per piccoli traumi. Da giovane ho praticato diversi sport: atletica leggera (salto in alto e 110 h a livello regionale, basket con la “Scalfaro” di Catanzaro e col CUS Napoli, tennis, vela). Sono uscito indenne da tutto, tranne che dal salto in alto.
Ai miei tempi il salto in alto non si praticava con la tecnica odierna (la Fosbury), che è quella che comporta lo scavalcamento dorsale dell’asticella, e l’atterraggio di schiena su morbide cataste di materassi, ma era lo stile “Fosbury”, che – lo dice la parola stessa – prevedeva lo scavalcamento dell’asticella sfiorata dal ventre, e l’atterraggio di petto verso il suolo con braccia ed avambraccia a fungere da “ammortizzatori” dell’atterraggio.
Ecco, una volta mi è capitato di “atterrare” poco dolcemente, da pirla distratto, col gomito destro ben dentro la linea del torace. L’atterraggio ha scaricato il peso del corpo in caduta sulle costole tramite il braccio destro. Regalino: incrinatura di più costole, e del braccio destro, finito a metà alquanto storto. Frattura non completa. Per raddrizzare il braccio, avrei dovuto sottopormi alla frattura volontaria completa del braccio, col rischio di procurare una frattura scomposta. Il mio primo “ospedale” (durato un paio d’ore) ha optato per una ingessatura rigida, gradualmente forzata ogni 3-4 giorni. Dottori bravi, delicati, pazienti. Mai un dolore vero. Il braccio è tornato quasi dritto.
Poi più niente, finchè non ho iniziato a tentare di suicidarmi - Fumando quantità industriali delle peggiori sigarette al mondo: dalle Stuyvesant alle Malboro, e poi alle Dunhill, alle Benson & Hedges: una scalata continua verso il peggio, in termini di contenuto in nicotina e catrame (il vero fattore cancerogeno). Sono iniziati – prima impercettibili, poi sempre più fastidiosi – i problemi respiratori. Fiatone, scarsa resistenza a sforzi prolungati, e quando gli altri prendevano un raffreddore, io prendevo una bronchite. Ho dovuto abbandonare lo sport competitivo, e dedicarmi solo al tennis amatoriale, ed alla vela. (Nella fotina: a bordo del 12 metri "Aliosha", alle prese con un mai preannunciato "fort coup de vent" forza 9 nel Golfo del Leone).
Col tennis ho resistito fin quasi ai 45-50 anni, con la vela fono ai 60-65, ma poi ho dovuto mollare anche quella. Ormai le “lievi” insufficienze respiratorie si erano trasformate nella malefica “BPCO” (Broncopatia cronico-ostruttiva). Se vi suona più facile: enfisema polmonare, bronchite cronica.
Ma io tento di trovare anche nelle cose peggiori un lato positivo. Se è vero che il mio tentativo di suicidio (quasi riuscito) mi ha tolto anni di sana vita sportiva, è altrettanto vero che la BPCO mi ha costretto a controlli periodici (semestrali), e che questi controlli periodici hanno consentito di scoprire precocemente l’insorgenza di un carcinoma polmonare – quattro anni fa – curato (e sembra “risolto”) con un solo ciclo di 15 sedute di tomoterapia (forma radicale e molto “mirata” di radioterapia).
Chiarimento a verbale: non vi racconto questo per amore delle “autobiografie alla lacrima”, ma perchè riterrei un meritevole successo personale se questi miei post riuscissero a far desistere ANCHE UNA SOLA PERSONA dal mettere in bocca la prima sigaretta, o una sola persona a smettere di fumare prima di raggiungere il punto di non ritorno
Tafanus
Fine 1° puntata (continua)
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