Anche i migliori, a volte, sbagliano. O forse sono succubi più delle esigenze del personale ospedaliero che non delle esigenze – forse prioritarie – dei malati. Oppure i progettisti sono vittime dell’assenza personale di esperienze dirette sulle problematiche della ospedalizzazione.
ATTENZIONE! Non sto parlando di malasanità, ma di uno dei migliori ospedali della Lombardia. Eppure... Eppure, dopo due lunghe degenze in questo ospedale, credo di poter dire che basterebbe poco per evitare ai pazienti disagi e vere e piccole torture superflue.
Forse chiedo troppo, ma la progettazione degli ospedali dovrebbe essere limitata a progettisti che abbiano vissuto PERSONALMENTE, almeno una volta nella vita, di una ospedalizzazione abbastanza lunga. Solo così la progettazione potrebbe equilibrare meglio le esigenze di comodità/funzionalità del lavoro degli addetti (medici, infermiere, inservienti) con quelle – altrettanto e forse più importanti – della “riduzione del danno” a carico dei pazienti. Danno che a volte assume caratteristiche da involontarie “torture”, tanto più insopportabili, quanto più sarebbero evitabili o riducibili con piccolissimi sacrifici aggiuntivi da parte degli addetti. Ne parlo volentieri, perchè molte di queste piccole torture i pazienti possono fare in modo da evitarle.
Il Pronto Soccorso: croce e delizia - La “prima volta” è stata disastrosa. Arrivato al PS alle 10 di mattina, con sospetto di polmonite, ho avuto in un attimo prelievi del sangue, analisi, radiografie. Poi, TUTTO si è fermato. Fino alle 20, quando finalmente siamo riusciti a sapere che non c’era un responso (analisi non pronte? pneumologo non disponibile?) e che la situazione non sarebbe cambiata, fino ad ora indefinita. Siamo andati via, stanchi e incazzati.
Ma per completezza ed obiettività, devo dire che due anni prima mia moglie ha avuto (nello stesso ospedale e nello stesso Pronto Soccorso), una esperienza totalmente diversa e positiva. Polmonite diagnosticata alla prima radiografia, ricovero immediato, e pronta risposta alle terapie (Marisa aveva i polmoni a posto, e ha reagito alle cure, adeguate ed efficaci. In una settimana è tornata a casa.
Nel mio caso, il ritorno a casa dura solo qualche giorno. Poi l’esplodere della febbre. Sono costretto, controvoglia, a ritornare al pronto soccorso. Questa volta le cose vanno meglio. Forse perchè era il secondo accesso in pochi giorni, forse per il febbrone, forse perchè intanto c’erano già i risultati delle precedenti analisi, forse perchè la nuova radiografia era molto chiara (aggravata), mi è stata subito diagnosticata una polmonite abbastanza grave, e dopo circa un’ora ero sistemato in reparto pneumologia, dove sia lo staff medico (che non finirò mai di ringraziare per dedizione, competenza e cortesia) sia i paramedici, sono stati pronti, gentili, premurosi.
E’ iniziato così il mio primo soggiorno, durato 16 giorni. Cure da cavallo. Circa 900 cc. di flebo al giorno, di cui 600 cc. del più aggressivo antibiotico specifico ospadaliero. Miglioramenti di lentezza estenuante. Solo con una seconda broncoscopia, fatta alla ricerca di informazioni specifiche sui germi, ma con connesso “lavaggio” dei bronchi, ha segnato un punto di svolta, purtroppo provvisorio.
Mi dilungo in questi particolari, apparentemente ovvi, perchè queste notizie potrebbero tornare utili a chi dovesse trovarsi in situazioni analoghe. Dal “lavaggio” dei bronchi in avanti, i miglioramenti sembravano molto visibili. Due le ragioni:
-a) la diminuzione drastica della roba che avevo nei bronchi, ottimo terreno di coltura per germi di varia specie;
-b) l’antibiotico adesso arrivava per flebo più facilmente dove doveva arrivare.
Questa situazione è comune a tutti quelli che si sono preoccupati per tempo di rovinarsi i polmoni con le sigarette, procurandosi delle serie "BPCO" (meglio note come "broncopatie cronico-ostruttive", o anche come enfisema. Il messaggio (anche se non sarei la persona più adatta per dare consigli agli altri) è implicito, e voglio mutuare la "head-line" di una campagna educativa anti-fumo di qualche anno fa, per veicolare questo messaggio (chiaro, efficace, realistico, e forse per questo subito sparito dai giornali, forse con l'aiuto di qualche manina delle lobbies del tabacco...):
"Il fumo: il lento suicidio dei coglioni"
Non mi sono sentito offeso da questa campagna. La condividevo, pur continuando a fumare, perchè non riuscivo a smettere. Ho pagato e pago un prezzo, ma ho conservato la lucidità per non prendermela col destino cinico e baro, ma solo con me stesso.
Nella prossima puntata, parleremo dei rischi che si corrono durante prolungati soggiorni ospedalieri, di come tentare di ridurli, e di come tentare di ridurre le "inutili, piccole torture" della vita ospedaliera.
Tafanus
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