Fred Bongusto ha fatto parte di quella categoria di cantanti che ho sempre amato perchè hanno affidato il loro successo sempre e solo alla loro voce. Non hanno mai avvertito il bisogno di crearsi un "pack-shot". Niente bolerini da cretino, niente giacchette striminzite tempestate di strass e vetrini, niente capelli viola, niente di niente.
Il mio Fred Bongusto era un cantante in bianco e nero, anche se decollava già la TV a colori. Era spesso un cantante in giacca e cravatta, e non cercava testi intelligenti. Nelle sue canzoni spesso "cuore" faceva rima con "amore", ma la sua voce calda e "recitante" rendeva bello da ascoltare anche il banale.
Quando Bongusto esplodeva, io ero nell'età più piena e felice da "giovane adulto". Il '69 mi era passato addosso quasi senza che me ne accorgessi. Realizzato, con un grande presente e un promettentissimo futuro, trascorrevo per lavoro o vacanze molto del mio tempo all'estero, e alcune cose mi trovarono egoisticamente distratto. Un mondo bello e banale.
Ma banale non era il suo duetto di "Les feuilles mortes" in coppia con Juliette Greco, caposcuola insieme a Jean Paul Sarte dell'esistenzialismo. In quel duetto Bongusto, che non mancava certo di garbato senso dell'umorismo, lasciava la parte in francese a Juliette Greco, e interpretava la sua parte in napoletano verace (traduzione dello stesso Fred).
Ho sempre ritenuto Fred Bongusto uno dei più grandi "crooners" su piazza (scuola Tony Bennett, Nat King Cole, Nicola Arigliano, Bruno Martino... Non sgridatemi).
Voglio ricordarlo e ricordarvelo con altri due dei suoi pezzi più significativi, sperando che la TV di stato voglia dedicargli una o più serate commemorative.
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