Questo resoconto, come promesso tempo fa, non vuole essere un atto d'accusa rivolto all'Ospedale di Vimercate, che mi ha ospitato per ben 36 giorni (uno dei migliori della Lombardia), ma una serie di "wornings" agli amici che dovessero sperimentare in futuro una lunga degenza (spero ardentemente NESSUNO), e una serie di consigli a chi in futuro progetterà ospedali senza averli conosciuti dal vivo, a chi li gestirà, a chi stabilirà protocolli dissennati di terapia.
Ma questo scritto vuole principalmente spiegare che alcune disfunzioni (nessuna gravissima, ma la cui sommatoria può diventare grave) a coloro che dovessero avere la sfortuna di trascorrere molti giorni in un ospedale. In QUALSIASI ospedale.
Ripeto per l'ennesima volta che lo staff è di prim'ordine, a tutti i livelli: medici, infermieri, inservienti, tecnici... Farei una eccezione per il servizio di catering: per essere gentile, lo definirei "rivedibile". Ma veniamo alle cose sbagliate, non per lanciare atti d'accusa indiscriminati, ma per consigliare degli aggiustamenti "a futura memoria". Mi rendo conto che organizzare in maniera perfetta la vita di 450 degenti non sia facile, ma qualcosa si può fare.
Le c.d. "infezioni nosocomiali" - Sono quelle infezioni (anche multiple, ma spesso inevitabili) che si prendono per il semplice motivo di essere in ospedale: un ambiente dove i pazienti sono soggetti a respirare un'aria, a toccare degli oggetti, ad essere toccati da persone (medici, infermiere, inservienti) che diventano spesso - inevitabilmente - strumenti inevitabili di veicolazione di infezioni.
Piccoli esempi? Prendiamo il cambio delle lenzuola. Inutile vietare alle addette qualsiasi contatto fisico col paziente. Hanno il divieto assoluto di toccare il paziente anche con una canna da pesca, ed è loro vietato di aiutarlo persino a spostarsi dal letto alla poltrona per il tempo necessario a rifare il letto (in genere due/tre minuti). Donne gentilissime, abituate a vedere/toccare/gestire "la qualunque". Ma a cosa serve il divieto di aiutare il paziente nello spostamento letto/sedia, se le stesse persone, quasi sempre con gli stessi guanti, nello stesso turno di servizio toccano non i pazienti, ma le lenzuola, i cuscini di decine di malati? Forse non c'è soluzione praticabile, ma allora se ne prenda atto, e si elimini il divieto di cui ho parlato. Non serve a molto.
Altro esempio: i bagni. Le camere sono molto grandi e ben attrezzate, sono normalmente a due letti, con un bagno per due persone. Tutto regolare, il bagno prevede anche una doccia che si può usare sia in piedi che da seduti, ma... Ma ad esempio ho provato un certo senso di disagio a non trovare i servizi idraulici sdoppiati. Un solo WC, un solo bidet, un solo lavandino. Persino una sola posizione per gli asciugamani grandi, e per quelli vicini al bidet. Il contatto fra gli asciugamani dei due pazienti è inevitabile, e non molto prudente. L'ospedale non sarebbe andato in fallimento per due attaccapanni in più. Ho rinunciato ad usarli.
Un'altra "perla" del bagno è il bidet. E' piaciuto all'architetto, ma dubito che abbia mai provato a sedercisi sopra. Scusate se scendo nei dettagli: voi vi sedete sul bidet fronte al muro o spalle al muro? I bidet adottati sono carini, ma sono degli strumenti di tortura. Io mi siedo faccia al muro. Per riuscirci, devo non solo poggiare il coccige contro la porcellana del bidet (non propriamente un cuscino di piume) e tenere le gambe divaricate fino al limite del dolore fisico. E io non sono un gigante... m.1,78 fuori tutto. E mettersi spalle al muro? Peggio che andar di notte. Questa volta il dolce contatto col coccige non è fra coccige e ceramica, ma fra coccige e un duro rubinetto sporgente in solido acciaio inox! Chi ha scelto questo modello di bidet che tortura 450 persone dovrebbe essere condannato ad installare quel modello (e solo quello) in tutti i bagni di casa sua.
La privacy - Come ho detto, le stanze sono a due letti. Sono grandi, rettangolari, con uno dei lati corti formato da un finestrone a tutta parete, e il lato corto opposto con la porta sul corridoio della corsia. La privacy fra i due pazienti dovrebbe essere garantita da una bella tenda scorrevole su un sostegno telescopico. Ottimo. Mi basterebbe. Ma non mi abituerò MAI all'idea di non avere questo minimo sindacale di privacy. Invece le infermiere tendono (è una lotta all'ultimo gesto) a fare il contrario: tenere la tenda aperta, in modo che passando in corridoio possono con un colpo d'occhio vedere entrambi i letti, senza dover entrare in camera. Capisco la loro esigenza, ma non riesco a giudicare rinunciabile un minimo di privacy per oltre in mese.
Oggi la diatriba si presenta irrisolvibile, ma - a futura memoria - tenderei a spiegare ai futuri progettisti di ospedali mai stati pazienti in ospedale, una soluzione che accontenterebbe tutti: stanze disposte col lato lungo parallelo al corridoio. I due letti sarebbero entrambi visibile dal corridoio, i due pazienti avrebbero la loro privacy. Le corsie sarebbero più lunghe o più numerose, ma in compenso la superficie edificata sarebbe quasi identica.
La tortura della luce - Come detto, la parete corta esterna è una vetrata a tutta parete, suddivisa in tre segmenti. Molto belle le vetrate. Specie se viste da fuori. Qual è il problema? I segmenti sono formati da un doppio vetro, con delle veneziane ad elementi molto sottili ed eleganti all'interno dei due vetri. Scordatevi dell'uso delle veneziane. Eleganti, ma con un meccanismo per la regolazione delle stesse molto "unusual". Fragile, usato da mani inesperte. In media in due segmenti su tre il meccanismo è scassato. Siete fottuti. All'alba, la stanza è inondata dalla luce. Peggio per voi se la vostra vetrata è orientata ad Est. In questo caso, vi entra proprio la luce del sole dentro le lenzuola.
E se provate a girarvi sull'altro fianco, dando le spalle al finestrine? Beh! allora vi beccate la luce che entra a tutta dal corridoio, illuminatissimo, che serve le camere dei ricoverati. Oddio... non è che le camere non abbiano delle porte... Ma queste, per favorire il lavoro delle infermiere (ma non il riposo dei pazienti, che dovrebbe essere prioritario) devono restare spalancate, in modo che le infermiere, per qualsiasi ragione percorrano il corridoio, possono dare uno sguardo all'interno, senza perdere un secondo nel socchiudere la porta. Ma, a pensarci bene - e con la testa girata in favore del paziente - ho pensato che una soluzione ci sarebbe. Ad esempio mettere su ogni porta una sorta di oblò, in modo che la porta resti chiusa al 95% alla luce. In fondo, uno sguardo lo si può gettare anche attraverso un oblò...
La tortura del rumore - E' complice della tortura della porta aperta. La notte in ospedale non esiste. C'è un andirivieni di infermieri - con relativi carrelli - che somministrano le terapie. Ci sono i fuori di testa che ad orario quasi fisso iniziano ad urlare che "vogliono morire", e c'è la tipologia di coloro che chiedo aiuto perchè qualcuno vuole assassinarli. C'è chi invoca la mamma, e chi la maledice. Già... le idee semplici... La terapia anti-luce risolverebbe contestualmente, in gran parte, la tortura del rumore.. Ma nessuno ci ha pensato...
Ma io in particolare ho potuto godere di un trattamento particolare. Per pochi giorni (perchè poi ho PRETESO che la mia porta restasse chiusa) sono rimasto in una bellissima camera singola, video-sorvegliata. Porta aperta, nonostante la videosorveglianza. Ho PRETESO ed OTTENUTO che la mia porta restasse chiusa. Non solo per quanto detto prima, ma anche perchè il progettista (o la direzione dell'ospedale?) ha avuto la brillante idea di mettere all'interno di una corsia con decine di camere, la sala di controllo a distanza di TUTTE le camere. Una sala che sembra quella della NASA, con decine di video, e 450 collegamenti acustici con TUTTE le stanze dell'ospedale. Qualunque cosa accada in una di queste 450 stanze, la sala di controllo emette cicalini assordanti e spesso interminabili. Basta una chiamata di un paziente, o un tubo di ossigeno staccato, o un paziente che si è alzato dal letto senza assistenza, e parte la Piedigrotta "Sons e Lumière". Ma non sarebbe bastato un segnale luminoso in sala controllo? O un segnale acustico bassissimo, e comunque udibilissimo da chi lavora in quella sala, e non in tutte le camere della corsia? Oppure (elementare, Mr. Watson!) la separazione con un doppio vetro della sala controlli dalle corsie??? Ho risolto il problema grazie ad un medico ragionevole, che ha ordinato che la mia porta restasse chiusa, vista la contiguità con la discoteca dei rumori, e visto che comunque era una stanza videosorvegliata.
La tortura della gestione delle terapie - Secondo la Scuola Medica Salernitana (ma anche secondo i miei medici) parte fondamentale per qualsiasi terapia è il riposo. Ed ecco com'era programmata la mia "notte di riposo".
Ore 24:00 - C'è in programma la prima flebo di giornata. La giornata, infatti, inizia alle 00:00... Peccato che dopo 40 minuti non si sia - salvo rare notti eccezionali - ancora visto nessuno. Ogni infermiera di notte ha in carico 15 pazienti. E se sulla strada trova un caso complicato, i tempi si allungano a dismisura. Se tutto va bene, la flebo entra in vena alle 0:45, dura un'ora, e quindi si chiama perchè qualcuno stacchi la flebo. Se si è fortunati, verso le due di notte si può iniziare a provare a dormire, fra luci e rumori. Ci si accinge al riposo del giusto, ma alle 6:00 - dopo meno di quattro ore di sonno - arriva una gentile fanciulla che ti ficca un termometro in un orecchio per misurare la temperatura. Ma misurarla alle 2:00 e poi alle 8:00, cambierebbe prognosi e terapia?
Ma in ospedale sembra un "must" che tutto debba avvenire di mattina, possibilmente presto. Poi, per quasi tutto il pomeriggio, ci si annoia con dignità, perchè non c'è quasi niente da fare. Alle 6:00 sveglia per la temperatura; alle 7:00 somministrazione delle terapie per via orale, ed eventuali, frequentissimi prelievi di sangue; alle 8:00 in vena una flebo da 300 cc. e due piccole da 100 cc. in lista d'attesa. Contemporaneamente c'è l'arrivo della colazione, delle donne dei letti, della donna delle pulizie, dello staff medico... Siete inchiodati al letto dalla flebo e dal tubo dell'ossigeno? Beh! Se proprio vi scappa "quella grossa", potete staccarvi dall'ossigeno, e trascinarvi in bagno con la vostra bella flebo, montata su trespolo a rotelle, al seguito.
Poi, una volta che tutto (o quasi) è stato fatto, arriva improvvisa la calma. L'attesa dell'immangiabile catering. Il tentativo di dormire qualche minuto... Ma è già l'ora ufficiale delle visite, e a volte arrivano fino ad otto persone (contro le due consentite) spesso garrule e rumorose. Riposare??? estikatzi! Ma un problema che non risolverò mai è quello dell'inizio (teorico) delle terapie a mezzanotte. E se cominciassero prima, cambierebbe qualcosa?
Il caldo e il freddo - Molto bella - esteticamente - l'idea dell'architetto Botta di disporre i vari padiglioni coi reparti come petali di fiori. Ovviamente ogni "petalo" è esposto ai punti cardinali in maniera diversa, sicchè ci sono dei padiglioni perennemente esposti al sole, ed altri che il sole non lo vedono mai. E cosa succede con riscaldamento/condizionamento? Succede di tutto. Confessato da un mio metodo curante che non citerò (potrebbe essere fucilato in sala operatoria): il sistema di condizionamento non solo non ha la possibilità di regolazione camera per camera, ma neanche "petalo" per "petalo". Stessi getti di aria fresca o calda sia nei padiglioni strutturalmente roventi che in quelli strutturalmente gelati.
Ecco cosa succede (ero in quel momento in un "petalo" freddo) in una notte con un calo brusco ma prevedibile della temperatura esterna. Sfebbrato da circa tre/quattro giorni, mi ritrovo all'improvviso, alle tre di notte, con quasi 39 di febbre, e un mal di gola feroce. Chiamo l'infermiera per avere qualcosa per la gola e per la febbre, ma l'infermiera - non essendovi esplicita autorizzazione - nella mia terapia - né alla somministrazione di antipiretici, né di analgesici topici - non può darmi niente. Le chiedo di far venire il medico di guardia, ma questo era solo, e quella notte super-impegnato. Rimedio con "terapia auto-improvvisata". Mi sono portato da casa la mia Tachipirina e il mio Benagol. Ne faccio l'uso che credo, e al mattino sono sfebbrato, e con poco mal di gola. Un crollo della temperatura a 35,8°.
Ed ecco arrivare le prime flebo del mattino. Insieme ai 300 cc. di antibiotico e ai 100 di cortisone in lista d'attesa sul trespoli, vedo comparire una terza boccia mai vista prima. Chiedo cosa sia, e mi dicono che è Tachipirina da 2000 in flebo. Molto efficace. Spiego all'infermiera che deve solo togliere quella boccia dal trespolo. Se alle tre di notte non mi date una pillolina di Tachipirina 500, alle 8:00, con la temperatura così bassa, volete farmi una pera in vena di Tachipirina da 2000? "Siete tutti pazzi! togliete subito quella roba. Troppa, e troppo tardi! Ma volete che io abbia un collasso?" La geniale e scrupolosa infermiera mi spiega che ormai quella flebo "l'ha segnata" sulla terapia, e non poteva non darmela. Le ho spiegato che poteva cancellarla dalla terapia come "rifiutata dal paziente", perchè dei problemi burocratici dell'ospedale, e di certe folli regole, me ne sbattevo le palle. Mi sono poi pentito dei miei modi. Era la prima volta (e sarebbe stata anche l'ultima) che maltrattavo una infermiera.
I rischi dell'uso prolungato di flebo e di antibiotici - Le flebo abbondanti di antibiotici mi hanno forse salvato dal guaio principale (la famosa "polmonitona", come da definizione di una pneumologa dello staff), ma non dai malefici effetti collaterali che 36 giorni di antibiotici a fiumi possono produrre. Gli antibiotici - specie quelli più forti - sono molto aggressivi sulle "valvoline" che a nostra insaputa abbiamo in tutte le vene, a poca distanza una dall'altra. Tendono a "bruciarle", a chiuderle. Dopo un mese di questo trattamento, hanno dovuto rinunciare a qualsiasi flebo di qualsiasi farmaco, perchè non c'era più una sola vena che funzionasse e accettasse di ricevere qualcosa. Ma ancor peggiore è il rischio derivante dal fatto che terapie antibiotiche prolungate ed intense non solo producono disturbi intestinali (affrontabili), ma - quel che è peggio - ammazzano tutte le difese immunitarie. Vivere senza difese immunitarie a contatto con l'aria dell'ospedale non è il migliore dei modi, ma è l'unico fin qui collaudato per curare le polmonitone. In effetti, grazie al "combinato-disposto" di questi elementi, mi sono preso tutte o quasi le malattie elencate in medicina. Per dirla col famoso personaggio di "Tre uomini in barca... per non dire del cane", credo di essermi preso "tutte le malattie conosciute, con la sola eccezione del "ginocchio della lavandaia".
Ora concludo - sembra e/o spero - con un ciclo - e lo faccio criticando e suggerendo su cose negative ma accessorie da me sperimentate, ma rendendo ancora merito all'ospedale, che mi ha forse procurato qualche incazzatura superflua, ma mi ha salvato dal problema principale.
Auguro ancora un felice e "sano" 2020 a voi tutti e ai vostri cari, e a quella straordinaria maggioranza bulgara di staff ospedaliero che mi ha dedicato parte del suo lavoro, della sua competenza, e della sua gentilezza. Non è vero che in Italia tutto va male. Ancora un piccolo sforzo...
Tafanus
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