Benvenuti siano i demografi che lanciano nel 2020 l'allarme sul calo demografico. Operazione meritevole, ma - diciamolo - non nuovissima. Meritevole comunque sia il fatto che Luciana Matarese dello Huffington Post abbia intervistato uno dei più noti demografi italiani sulle cause ed effetti del calo demografico, ma le illuminazioni datate 2020 del demografo in questione sono la registrazione di fenomeni in atto da mezzo secolo (e lo dimostrerò in coda alla pubblicazione di stralci dell'intervista.
Meno abitata, più vecchia, più povera. Intervista al demografo Livi Bacci sui dati dell'Istat sulle culle vuote - Credit: Huffington Post, Luciana Matarese
Meno abitata, più vecchia e con buona approssimazione, pure più povera. Certamente meno dinamica “perché una popolazione che invecchia perde anche dinamismo”. È la fotografia dell’Italia in cui tra venti, trent’anni si ritroveranno, da adulti, i bambini di oggi, “che vivranno più a lungo, ma saranno circondati da anziani”, spiega Massimo Livi Bacci. Per il demografo più ascoltato d’Europa i segnali di quel che il Paese sarà domani sono nei dati diffusi oggi dall’Istat: 116 mila italiani in meno, poche nascite, il “ricambio naturale” più basso dal 1918, l’età media innalzata a 45,7 anni, la speranza di vita allungata fino a quasi 81 anni per gli uomini e a 85,3 per le donne. E per invertire la tendenza di quella che definisce “una situazione di grave depressione demografica” serve anche “una maggiore parità di genere nella gestione delle famiglie”.
La situazione, commenta il docente e studioso fiorentino, “non è esclusiva dell’Italia, perché un tale stato di cose si verifica anche in Giappone, Spagna, Corea del Sud, e tuttavia è preoccupante”. Lui, tiene a precisare, non è “più preoccupato di quanto non lo fossi già cinque o sei anni fa”. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha definito l’ennesima contrazione della popolazione registrata dall’Istat “un problema che riguarda l’esistenza del nostro Paese”. “Di certo, l’Italia non scomparirà - fa notare Livi Bacci - Può avvenire che nei prossimi venti, trent’anni la popolazione continui a diminuire, a meno che non aumenti fortemente l’immigrazione, fenomeno per il quale, però, nel Paese non c’è di certo un grande consenso”. Il trend è negativo: “con questa tendenza, che già è in corso, l’Italia si rimpicciolirà, come d’altra parte è avvenuto negli ultimi anni”, prosegue il demografo.
La popolazione italiana, insomma, continuerà a diminuire “e di per sé non è un fenomeno tragico, se non fosse che è il risultato di un continuo accrescimento dei molto anziani e una diminuzione dei giovani”. Anche sul fronte della denatalità il nostro si conferma un Paese diseguale, a doppia velocità, con la popolazione del Nord che cresce e quella del Centro e del Sud che diminuisce. Inevitabile evocare la correlazione tra intenzioni riproduttive e potenzialità garantite dal maggiore sviluppo economico e sociale dei territori e delle varie zone. “In realtà la natalità è bassissima anche al Nord - sospira Livi Bacci - il Sud, per anni più prolifico, lo è sempre meno. La disparità economica tra Settentrione e Meridione persiste tuttora. A 160 anni dall’Unita d’Italia, il Sud è lontano dal Nord come lo era ai tempi di Cavour. Quanto alla correlazione tra denatalità e crisi economica è evidente che in una fase di crisi economica, le coppie sono più caute nel mettere al mondo un figlio. Mi pare anche una questione di buon senso”.
Di fatto, stando le cose come ha mostrato l’Istat - per ogni 100 persone che muoiono ne nascono solo 67 - oggi il rimpiazzo generazionale non è garantito: un figlio non è sufficiente per sostituire i due genitori che l’hanno generato [...]
[...] “Ci saranno sicuramente più immigrati, il Paese diventerà più piccolo dal punto di vista demografico, i giovani saranno pochi e camperanno più a lungo. Poi bisogna vedere se ci sarà una ripresa economica”. Le previsioni sul Pil non sono confortanti. “La stagnazione economica è anche conseguenza della nostra debolezza demografica perché anche la popolazione attiva invecchia, prova ne è che oggi nella forza lavoro ci sono molte più persone over 50 rispetto a trenta anni fa. E una forza lavoro che comprende pochi giovani, a parità di condizioni, è meno produttiva. Le start up si creano a 25-30 anni, non a 70”. Una situazione, quella del calo delle nascite e del sostegno alle famiglie e per il ricambio della forza lavoro, cui negli anni vari Governi hanno provato a far fronte con altrettante varie misure: e quindi, per citarne tre tra le più vicine nel tempo, bonus bebè, reddito di cittadinanza, quota 100. “Tutto questo va benissimo - spiega Livi Bacci - purché non sia fatto in modo estemporaneo e in maniera disordinata. Le famiglie che decidono di avere figli devono sapere di poter contare su provvedimenti che valgono nel tempo e non siano temporanei. Perché questo genera sfiducia e non serve a raggiungere l’obiettivo”.
E qui arriva la strigliata. “I Paesi che hanno buone politiche nel campo della famiglia - scandisce il demografo - se le tengono, non le cambiano a ogni cambio di Governo o ad ogni elezione”. Il che, visti i precedenti, sembra rendere più difficile un’effettiva inversione di tendenza. Quest’ultima, a volerla effettivamente avviare, secondo Livi Bacci, dovrebbe passare attraverso tre step: una maggiore presenza di donne al lavoro, più autonomia ai giovani - che ancora oggi finiscono gli studi tardi, cominciano a lavorare da “relativamente vecchi” e dunque ritardano la scelta di avere un figlio - incrementata anche dalle famiglie e una maggiore parità di genere nella gestione familiare. “L’Italia è un Paese in cui c’è ancora troppa disparità di genere sul fronte della gestione della famiglia che, purtroppo troppo spesso, ricade sulle spalle delle donne”, sottolinea il demografo. La bassa natalità è dunque una delle emergenze italiane? Livi Bacci sospira di nuovo. Poi risponde: “Il nostro è il Paese delle emergenze. Certo, la denatalità è un grande problema che non si risolve dall’oggi al domani. Per affrontare veramente la questione occorrerebbero, come ho detto, non provvedimenti una tantum, ma un paio di decenni di buone politiche familiari, attuate con concordia tra le forze politiche e, ripeto, senza cambi di rotta al cambio di un Governo o a una tornata elettorale”.
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Non ho assolutamente niente - e lo dico senza ironia - contro le teorie enunciate dal Prof. Livi Bacci. Elenca lucidamente il quadro attuale, drammatico. Ma apprendo (fonte Wikipedia) che il Prof. Livi Bacci [...] "Nel 2003 è stato eletto senatore della Repubblica nelle file del centro-sinistra. Successivamente ha aderito al PD, divenendo nuovamente senatore nel 2008 (al 2013 - ndr)" [...]
Dunque, il prof. Livi Bacci è stato senatore con il governo Berlusconi 3° (ministro del lavoro Roberto Maroni), poi col governo Prodi 2° (ministro del lavoro Cesare Damiano), poi col governo Berlusconi 4° (ministro Maurizio Sacconi, e infine col governo Monti (ministro del lavoro Elsa Fornero).
Ebbene, mentre questi governi (con la parziale assoluzione della coppia Prodi/Damiano) si sono impegnati, con zelo degno di miglior causa, ad abbattere ciò che restava dello stato sociale, della stabilità del posto di lavoro (lotta contro l'art. 18 e trionfo del precariato), della sanità pubblica, dei fondi alla ricerca, e via elencando, non ricordo nessun intervento in aula del prof. Livi Bacci, né di un suo emendamento a favore di una forma di società più equa, più stabile, più attenta ai bisogni di chi lavora o vorrebbe lavorare. Un esempio per tutti: nella vicina Francia le donne possono lavorare a tempo pieno, perchè ci sono gli asili-nido per quasi tutti. L'Italia brilla per l'assenza di questo asset fondamentale per migliorare l'occupazione delle donne, il Professore lo sa e lo spiega bene, ma a questo punto la domanda sorge spontanea: ci racconta, il professore, cosa ha fatto di preciso - come Senatore - per cambiare il quadro?
Ma torniamo a bomba. PREVEDERE. Lemma composto: PRE-VEDERE. Vedere prima. Altrimenti, se di un fenomeno che ha dato chiari segnali già mezzo secolo fa, ci accorgiamo solo da una decina d'anni scarsa, non pre-vediamo, ma vediamo con quasi mezzo secolo di ritardo ciò che era chiarissimo già negli anni settanta. Cerchiamo di capirci.
Nei primi anni settanta, giovanissimo dirigente d'azienda, lavoravo come Marketing Manager per la più grande azienda italiana di prodotti dietetici per la prima infanzia, nella sua fase di passaggio da azienda familiare italiana ad azienda incorporata in una grande multinazionale americana. Le "vacche grasse" della società erano gli omogeneizzati, le pastine, i biscotti... Tutti prodotti che macinavano utili. Nascevano, per capirci, intorno ad un milione di bambini nati all'anno. E nell'azienda, nel frattempo, scoppiava in background il conflitto di fatto fra un management che in gran parte proveniva da un'azienda italiana, e i nuovi metodi di lavoro e valutazione dei nuovi padroni americani. Gli americani, se comprano un'azienda, si aspettano dal management utili crescenti, sufficienti ad ammortizzare l'acquisto, e sono poco propensi ad ascoltare ragioni.
Il calo demografico non era conclamato, ma i dati incidenti su un eventuale calo demografico e un invecchiamento della popolazione c'erano - a volerli vedere - già tutti. Quali erano questi dati? Tanti e concordanti verso un'unica destinazione: il quadro attuale.
-a) L'allungamento della vita media (con correlato invecchiamento della popolazione) era in atto già dal dopoguerra.
-b) I matrimoni erano in calo, lento ma costante. Più per il cambiamento sociologico nei comportamenti, che non per fattori economici.
-c) Aumentava l'età delle donne al primo parto
-d) Diminuiva il numero medio di figli
-e) Si faceva strada una filosofia pediatrica che tendeva a sconsigliare le mamme dal dare troppi prodotti dietetici industriali ai bambini, e di affrettare invece lo svezzamento, ed il passaggio a prodotti a-specifici.
Tutto qui?
Si. Tutto qui. Tutte variazioni piccole. Ma provate a valutare il combinato-disposto di cinque tendenze tutte negative, anche se di poco. Il risultato è stato prevedibilissimo (e lo avevo scritto nel "Five Years Business Plan"): un disastro epocale. Il combinato del calo del numero di potenziali consumatori, il calo di consumi giornalieri pro-capite, la riduzione dei mesi d'uso dei prodotti dietetici, portavano da una sola parte: il dimezzamento dei consumi in vent'anni.
PRE-VEDERE non sempre paga. Il CdA dell'azienda aveva promesso cinque anni di profitti crescenti ai padroni americani. Io non ero disposto a cambiare le mie previsioni. Guerra inevitabile. Sono andato via dopo un paio di mesi, destinazione una delle 5 più grandi aziende alimentari italiane, come Direttore Marketing. Ecco, Professore. PRE-VEDERE. Che non è esattamente il prendere atto con una quarantina d'anni di ritardo di un fenomeno conclamato. Dal contesto della sua intervista, mi sembra di poter dedurre che lei limiti la "visibilità" del fenomeno a sei/sette anni fa. Ottima strategia, così se per caso da Senatore non avesse mosso un dito per attenuare i fattori determinanti del calo demografico, nessuno potrebbe accusarla di non aver voluto disturbare i manovratori. E prima del 2003, non si era accorto di niente? Perchè vede, nel 2003 il calo demografico era ormai una malattia conclamata e visibilissima.
Tafanus
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