(nella foto: Carlo Ratti, un pazzo geniale che guarda lontano) Stamattina la sveglia mi è stata data, per una volta, non da una notizia catastrofista e "gombloddisda" dei soliti "retroscemisti" alla Claudio Messora o alla Giulietto Chiesa, ma dall'articolo apparso su Repubblica, che riporta le idee semplici, e realizzabili in tempi brevissimi, di un gruppo di un centinaio di "pazzi geniali" sparsi per il mondo. Mi scuso con Repubblica per il furto dell'articolo senza autorizzazione preventiva, ma vorrei che - anche col mio modestissimo contributo - QUESTA notizia diventasse virale, e non le scemenze dei webeti, alle quali purtroppo ci stiamo abituando senza reagire adeguatamente.
PER PIACERE! Fate circolare questo articolo. Non necessariamente questo post, ma preferibilmente l'articolo originario, del quale troverete il link in calce. Facciamo si che le idee di quelli che pensano positivo, per una volta superino con distacco - già le avvisto! - quelle degli avvoltoi che sanno solo cercare col microscopio gli errori di chi è impegnato da settimane in prima linea, rischiando la loro vita per salvare la nostra.
(Credit: Riccardo Luna e Repubblica)
Grazie in anticipo. Tafanus
Quando il presidente del Consiglio Conte ha chiuso l'Italia, il 10 marzo, ho chiamato Carlo Ratti. E' stato un riflesso condizionato. Carlo Ratti è uno dei più brillanti inventori in circolazione: uso la parola inventore, e non architetto o ingegnere (le discipline che ha studiato) perché chi inventa non si limita a riprodurre e costruire. Chi inventa cambia il mondo. Da vari anni dirige uno dei più interessanti laboratori del MIT di Boston, il Senseable City, dove mette in scena visioni su come la nostra vita può migliorare con la tecnologia. Più di ogni altra cosa, Carlo Ratti è un ottimista. Un ottimista razionale.
Il giorno prima di sentirlo avevo intercettato il tweet di un famoso intellettuale che chiedeva con scherno: dove sono finiti gli ottimisti adesso con il coronavirus, eh? Sono scappati?, chiedeva con tono cattivo. Ratti non era scappato. Quando l'ho chiamato era a Boston, aveva appena finito una riunione con altri professori del MIT sul coronavirus. E stavolta non era ottimista. "Durerà a lungo", mi ha detto, "e arriverà negli Stati Uniti come da voi. Lo dice la matematica".
E l'ottimista non è colui che sfida la matematica; quello è il cretino. L'ottimista è quello che davanti a un problema, non te lo ripete e basta con aria afflitta: l'ottimista cerca una soluzione e di solito la trova. "La soluzione" mi ha detto "oltre alla quarantena, è costruire in fretta reparti volanti di terapia intensiva dove poter curare chi si ammala seriamente, e dare il tempo alla scienza di trovare un farmaco". Un ospedale da campo?, gli ho chiesto un po' deluso. Mi sembrava una roba da prima guerra mondiale. "No, non un ospedale. Un container, con due posti letto perfettamente attrezzati e pressione negativa, con una pompa che purifichi l'aria, in modo da evitare che il personale sanitario venga contagiato come avvenuto in Italia". Rispetto a riadattare un edificio esistente è più sicuro per chi ci lavora; rispetto a farne uno nuovo, ci vuole meno tempo e costa meno; e rispetto ad un ospedale da campo è più efficiente e lo puoi trasportare dove serve".
Sono passati una decina di giorni da quella telefonata e il progetto è pronto. Si chiama CuraPod, il primo prototipo stanno iniziando a costruirlo a Milano, con i soldi di Unicredit. Se funziona si può rifare ovunque nel mondo: è un progetto aperto, open source. Vai sul sito, lo scarichi e lo realizzi. Quando l'ho visto sul web, ho richiamato Carlo. Come avete fatto?, gli ho chiesto. "E' stato bellissimo, abbiamo lavorato in più cento tra ingegneri, architetti e medici; ciascuno a casa sua. Ci vedevamo su Zoom, ci scambiavamo i documenti su Dropbox, ci sentivamo su Skype...". Mentre parlava ho pensato che se vinceremo questa battaglia lo faremo perché gli scienziati in tutto il mondo stanno lavorando così: senza bandiere. Uniti. Usando la rete di Internet per quello che davvero è: un'arma di costruzione di massa. Mi è tornato in mente quello che disse Rita Levi Montalcini quando compì 100 anni, undici anni fa, nell'aprile 2009, e le chiesero quale fosse stata secondo lei la più grande invenzione del '900. E lei diede una risposta che a molti dovette sembrare stramba, eccentrica, e invece adesso capisci quanto avesse ragione. "La più grande invenzione?" disse, ripetendo la domanda, "e me lo chiede? Internet!".
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No, non saranno i webeti rumorosi e incolti a cambiare questo mondo. Saranno loro. I Carlo Ratti, e i cento tecnici e scienziati silenziosi e ignoti che hanno messo a punto - e sono già alla fase di concreta possibilità realizzativa, una cosa geniale e semplice. Grazie, silenziosi "uomini del fare".
Tafanus
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