Evitando di aggiungere dati ulteriori pare che in questi giorni si attenda ogni giorno il bollettino della protezione civile come un dato univoco sulla situazione pandemica in Italia: ebbene, la realtà è che i dati che ci vengono comunicati hanno enormi zone grigie, a volte implicite ed a volte nascoste, che dovrebbero in realtà venire analizzate in maniera differente.
In questo pezzo quindi eviteremo di discutere di comportamenti più o meno virtuosi e ci concentreremo sulle curve di diffusione del virus, dette curve epidemiche.
Una delle più comuni forme di visualizzazione dell'andamento nel tempo di una malattia in una popolazione è rappresentazione attraverso un grafico, in cui il numero di nuovi casi (incidenza) si pone in ordinata e il tempo in ascissa:
Il grafico che si ottiene dai dati raccolti durante una epidemia genera una «curva epidemica» (che essendo un’espressione discreta – cioè a dati aggregati – dovrebbe essere più correttamente rappresentata da un diagramma a barre). La curva epidemica fornisce indicazioni preziose riguardo all'andamento di una epidemia, e può contribuire a rispondere a importanti domande quali: qual è stata la via di diffusione della malattia? quando si è verificata l'esposizione all'agente della malattia? quale è stato il periodo di incubazione? si sono verificati dei casi secondari?
L'andamento nel tempo della malattia, riprodotto dalle barre o dalla forma della curva, può essere utile anche per sviluppare ipotesi riguardo alla causa della malattia e alle sue caratteristiche epidemiologiche, e per fare previsioni sull'andamento futuro.
Nella figura che segue è rappresentato un esempio di andamento tipico di una curva epidemica di una malattia trasmissibile: sottolineo, questa immagine rappresenta esclusivamente una tipizzazione di un comportamento standard di un’epidemia.
Si può notare un andamento bi-modale, infatti la curva ha due «picchi» che testimoniano che la malattia è diffusiva: i primi casi formano la curva più piccola (detta curva primaria); successivamente essi contagiano altri individui della popolazione, che vanno a formare la curva secondaria.
Benché si tratti di una rappresentazione schematica, e non sempre in natura può essere evidenziato un andamento simile a questo, è esattamente quello che sta avvenendo con il cosiddetto Coronavirus: vedremo più tardi come la distribuzione dei contagi stia seguendo esattamente questa curva sia in Cina che in Italia, con il lasso di tempo che separa la curva primaria dalla secondaria corrisponde approssimativamente al periodo di incubazione della malattia.
Sia chiaro fin d'ora, tuttavia, che una epidemia può verificarsi ed estendersi soltanto in presenza di una determinata densità minima di soggetti recettivi nel territorio: questa densità minima è detta «livello di soglia» ed è stata definita matematicamente nel «Teorema della Soglia di Kendall».
Nella figura è illustrato il teorema con un esempio che si riferisce alla rabbia in una popolazione di volpi. Al di sopra una certa densità di animali recettivi, una volpe ammalata può infettare, in media, più di una volpe recettiva. Ciò provoca un aumento progressivo del numero di volpi colpite dalla malattia, e quindi ha origine una epidemia.
Più elevata è la densità dei soggetti e maggiore è la probabilità, per un soggetto ammalato, di riuscire ad infettarne altri; quindi, più ripida sarà la fase di progressione della curva epidemica: al contrario, nel caso in cui ogni soggetto infetto riesca a contagiare, in media, meno di 1 soggetto ricettivo, si assisterà all'estinzione spontanea dell'epidemia.
In uno scenario di questo tipo, il numero di nuovi casi decresce col passare del tempo; inoltre, i soggetti colpiti vengono a morire, e quindi la malattia si esaurirà in un tempo più o meno lungo.
Vediamo ora ciò che è stato dichiarato in Cina : a partire dal 23 gennaio è stato riportato un numero di casi di COVID-19 che segue la curva illustrata in seguito (la fonte è quella della John Hopking university JHU: https://developer.here.com/coronavirus/ ) sulla base dei dati forniti dal governo Cinese (abbastanza inattendibili, va detto).
ANDAMENTO GIORNALIERI POSITIVI CINA
Come si vede dopo un picco relativo verificatosi in data 28.01 un secondo massimo di delta positivi si è avuto in data 13.02, cioè circa 14 giorni dopo il primo massimo della funzione.
Se osserviamo la stessa analisi svolta in Italia si osserva che dopo un picco relativo in data primo marzo la funzione si replica sostanzialmente nella stessa forma, per cui ragionevolmente dovremmo attenderci una sorta di replica della funzione cinese, pur considerando che la decisione di chiudere le cosiddette “zone rosse” è stata ampiamente ritardata (circa 4-5 giorni) e che a differenza della Cina le logiche di segregazione pubbliche in Italia sono state meno efficaci avendo concesso nella data del 10.03 un rientro di massa dal nord al sud ed all’interno della stessa Lombardia.
Come abbiamo detto prima, al 31 marzo 2020 abbiamo assistito ad un massimo di circa 5000 persone trovate positive al giorno, sostanzialmente comparabili ai valori cinesi.
Ora, analizziamo meglio quale sia il significato di “trovate positive”: sostanzialmente questo significa che, dopo che un soggetto si trova a provare sintomatologie da contagio, e dopo aver passato alcuni giorni a casa come indicato nei protocolli dettati dall’ISS con peggioramenti decide (obtorto collo, considerata la situazione degli ospedali) di recarsi presso un presidio ospedaliero dichiarandosi portatore potenziale di una patologia altamente infettiva.
Nel corso di un’epidemia, l’unico modo che abbiamo per capire chi sia contagiato è sottoporre una persona a un test, ed di fatto impossibile effettuare tamponi sull’intera popolazione e tenuto conto della diffusione enorme di questo virus non risulta nemmeno possibile realizzare test sul totale delle persone contagiate in quanto il numero di casi cresce in maniera talmente rapida che può risultare impossibile sottoporre a tampone persino il sottoinsieme di persone sintomatiche e che vorrebbero fare il test: si procede dunque per gravità, limitando i test ai casi via via più critici..
Certamente troveremo una quota di popolazione sostanzialmente asintomatica: in questo caso essa non chiede di sottoporsi a test perché non si accorge di essere malata o non ipotizza di aver contratto proprio COVID-19.
Quanti saranno i positivi che davanti ad una situazione “gestibile” decideranno di non recarsi presso ospedali COVID anche per non rischiare che a fronte di un tampone negativo (buona notizia) ci si rechi presso zone altamente a rischio ?
Stimiamo che su 100 persone con sintomi circa il 7-10% (i casi più gravi) decideranno di andare in ospedale, anche perché i media stanno lavorando pesantemente su questa comunicazione.
Quindi, come detto poche righe fa noi abbiamo dei valori di POSITIVI al tampone che non rappresentano il valore effettivo ma solo un coefficiente su un determinato numero di tamponi, effettuato ESCLUSIVAMENTE su persone con sintomi espliciti che in generale hanno poca disponibilità a recarsi presso un nosocomio.
A questi andranno aggiunti i soggetti asintomatici, che secondo le indicazioni dell’'Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresentano circal'80% delle infezioni da COVID-19
Va considerato che solo il 15% comporta sintomi seri che richiedono la somministrazione di ossigeno e il 5% raggiunge stadi critici, bisognosi di ventilazione polmonare: se considerassimo validi questi valori dovremmo ipotizzare che il totale dei positivi sia almeno 5 volte il numero di coloro i quali si sono recati in ospedale, che potrebbero rappresentare a loro volta il 20% degli effettivamente positivi.
In altri termini ci aspetteremmo che il vero numero di infetti sia oggi circa 25 volte i casi dichiarati, cioè ci aspetteremmo oggi circa 2,5 milioni di contagi in tutta Italia.
In altri termini ho il sospetto che se moltiplicate per un fattore variabile fra 15 e 25 ogni valore di positivi in una regione (dati ufficiali) avreste un valore ragionevole di persone infettate nell’area di vostro interesse.
Peraltro se si analizza la situazione di mortalità non da fine febbraio ma da dicembre, scopriremmo cose interessanti.
Innanzitutto è importante non confondere letalità e mortalità: la letalità di COVID-19 rappresenta quante persone muoiano sul totale delle persone contagiate (o, meglio, positive), mentre la mortalità di COVID-19 rappresenta il numero di persone morte sul totale della popolazione.
Sappiate che il giorno 9 marzo su un totale di 53.826 tamponi effettuati i contagi misurati erano 24.560 (45,63% di positivi) mentre il 29 marzo su 361.060 tamponi effettuati i positivi sono 80.539, cioè circa il 22%.
Attenzione: i tamponi indicati sono TUTTI quelli realizzati, quindi ad oggi sui 67 milioni circa di abitanti in Italia sono risultati positivi 80.539 persone, per una incidenza complessiva percentuale di positivi pari allo 0,12%.
A questo punto lo statistico comincia a fare delle ipotesi, che possono essere più o meno affidabili in funzione della tipologia di modello che si decide di utilizzare.
Il valore della cosiddetta “letalità apparente” (CFR) viene calcolato dividendo il numero di morti confermate per il numero di casi confermati, mentre quello della “letalità plausibile” (IFR) tenta di stimare anche il numero di contagiati totale, per poi dividere il numero delle morti confermate per il valore teorico dei contagiati complessivi.
Com’è ovvio il calcolo della letalità apparente è immediato, perché sia il numero delle morti confermate che quello dei casi confermati è conosciuto e nel caso specifico al 25 marzo vale circa il 10,13% (cioè 8.165 deceduti su 80.539 positivi).
Questo non significa che il rischio di perdere la vita per questo virus è del 10%, ma calcolare in maniera predittiva il valore di IFR ci può dare un’idea realistica di quante persone contagiate potranno effettivamente morire.
Diciamo inoltre che i valori dichiarati dai vari stati (Italia inclusa) non sembrano affidabili: in effetti dovremmo stilare delle analisi che tengano conto della mortalità media standard, che andrebbe detratta da quella odierna.
Per la cronaca, il valore medio del 2018 dell’indice di mortalità (che tiene conto di TUTTI i morti del 2018) vale circa l’1,027% della popolazione, che sta a dire che abbiamo in media circa 617.000 morti l’anno per le più disparate ragioni.
Ora, se si osserva il tendenziale (trovate i dati grezzi -con una certa difficoltà - sul sito dell’ISTAT) si osserva che nel periodo dicembre 2019-marzo 2020 i tendenziali sono incrementati di circa il 33,45%: sulla base di questi valori complessivi e splittati sulla presunta durata della pandemia in Italia (circa 6 mesi) otteniamo un valore teorico di circa 103.000 decessi causati da COVID-19.
Ovviamente va detto che la maggior parte (circa l’86%) dei decessi si localizza in età superiori agli 80 anni, per cui al coefficiente 1,3345 andrebbe detratto un valore che tenga conto del fatto che:
- statisticamente anche in condizioni normali le persone più anziane hanno maggiori probabilità di morire rispetto ai giovani;
- In mancanza di traffico automobilistico la probabilità di morire in un incidente stradale è molto più bassa;
Senza annoiarvi con analisi statistiche complesse si ottiene un valore ragionevole pari a circa 48.650 morti ulteriori direttamente o indirettamente legate al COVID-19: ci attendiamo pertanto un indice di mortalità 2020 circa all’1,13%, con un incremento annuale attorno allo 0,1% che andrà a smorzarsi negli anni seguenti.
Detto questo diciamo anche che fin dall’inizio i morti in Cina sembravano decisamente sottostimati: al di là della scoperta delle 3500 urne funerarie al giorno per 12 giorni (42.000 urne, non 2000 circa) pare assodato che la stragrande maggioranza di cittadini della Repubblica di Cina positivi non abbiano in effetti avuto accesso a cure mediche, in particolare nella zona esterna a Wuhan, ma questo fa solo il paio con i decessi tedeschi, che rientrano in statistiche basate su logiche totalmente differenti e soprattutto su tamponi di tipo casuale e non legati all’ospedalizzazione.
Va infatti considerato il fatto che all’inizio dell’epidemia in Italia erano in molti a chiedersi come mai nella settimana successiva al 21 febbraio (il giorno della “scoperta” del paziente 1) i casi positivi in Italia stessero crescendo in maniera esponenziale rispetto agli altri paesi europei
Considerate che fino al 28 febbraio diverse Regioni avevano cominciato a effettuare tamponi su un campione relativamente vasto di popolazione, testando anche molte persone asintomatiche (per esempio i contatti diretti delle persone positive), quindi i contagi emergevano prima di quanto accadesse in altri paesi.
Dal 28 febbraio in avanti invece le Regioni hanno iniziato ad adeguarsi alle richieste del Governo, che ha considerato critici i carichi di lavoro sui 31 laboratori autorizzati ad analizzare i risultati dei tamponi in una fase di crescita esponenziale dei contagi.
L’inversione di tendenza nella letalità apparente è avvenuta dopo un paio di giorni, mano a mano che i test già effettuati venivano analizzati ed esitati dai laboratori e che il cambio di policy prendeva corpo.
Da allora la letalità apparente ha imboccato un trend chiaro, lineare e in salita, passando da una situazione in cui ci chiedevamo perché l’Italia avesse più casi conclamati degli altri a una in cui ci interroghiamo sul perché in Italia la letalità apparente sia così alta.
Scorporando la letalità nazionale a livello regionale si scopre infatti che questa varia da un massimo del 13,6% in Lombardia a un minimo dell’1,1% in Basilicata, ed è alquanto difficile immaginare che il virus muti in maniera così repentina in maniera tale da uccidere un contagiato ogni 7 in Lombardia e solo un contagiato su 91 in Basilicata.
E’ ovvio che il tasso di letalità apparente dipende dalle politiche di test delle singole Regioni, e che se una Regione decide di effettuare test limitati sottoponendo a tampone solo le persone sintomatiche o persino solo quelle gravi, è lecito attendersi elevate percentuali di positivi, mentre se una Regione sottopone a tampone una parte più consistente di potenziali contagiati, il risultato sarà una percentuale di casi positivi per tampone nettamente più bassa
La dimostrazione è lampante in quanto il Veneto, con le sue politiche di test diffuso, presenta un rapporto di positivi per tampone del 10%, mentre al contrario la Lombardia o le Marche hanno tassi vicini al 40%
La controprova viene dall’approccio Inglese: il 27 marzo il totale dei tamponi eseguiti in UK vale 113.777, di cui 99,234 negativi e 14.543 positivi.
Dunque meno positivi in UK ? Assolutamente no, in quanto il lockdown è stato realizzato compiutamente solo il 22 marzo ed i test (effettuati a campione RST) indicano tendenzialmente un’incidenza complessiva di positivi pari a circa il 12,78%: in altri termini poiché siamo all’inizio della diffusione del virus in UK abbiamo un valore preoccupante di casi, in attesa che passino i 14 giorni di incubazione media che dovrebbero fissare il primo picco attorno al 5 aprile.
In un recente lavoro, Verity et al. (2020) calcolano che la letalità plausibile per persone positive a COVID-19 in Cina sia dello 0,66% (con un intervallo di confidenza del 95% compreso tra 0,38% e 1,33%), e sulla base di questo modello, Ferguson et al. (2020) stimano per il Regno Unito una letalità plausibile dello 0,90% (intervallo di confidenza: 0,40% – 1,40%), mentre il valore di letalità plausibile in Italia dovrebbe aggirarsi intorno all’1,14% (intervallo di confidenza del 95%: 0,51% – 1,78%).
La letalità plausibile stimata è più alta di quella cinese perché la popolazione britannica tende a essere più anziana, e come è noto COVID-19 presenta rischi molto maggiori per le fasce di popolazione più anziane.
Quindi in Italia non sembra essere presente un ceppo molto più letale di coronavirus rispetto al resto del mondo.
La letalità plausibile del virus varia con la struttura delle età e la sua diffusione nella popolazione ed a parità di contagiati, è naturale attendersi un numero di morti più alto in Italia che in Cina perché la popolazione italiana è nettamente più anziana di quella cinese e il virus colpisce in maniera più grave proprio le classi d’età più avanzata.
Una seconda buona notizia è che confrontando letalità apparente e letalità plausibile è possibile stimare il numero delle persone contagiate e, allo stesso tempo, osservare in maniera più corretta l’andamento dell’epidemia. I casi ufficiali non offrono infatti una buona indicazione di ciò che stia realmente accadendo, mentre la nostra stima dei casi attivi permette di farlo (e di tenere conto dell’incertezza intorno alla cifra centrale).
ANDAMENTO POSITIVI GIORNALIERI ITALIA
In effetti l’analisi dei dati USA in termini di incremento giornaliero mette i brividi: analizzando le curve emerge chiaramente che il primo picco di contagiati non è ancora stato raggiunto, e che se dovessimo analizzare i tendenziali relativi i numeri sono da pandemia totale.
ANDAMENTO POSITIVI GIORNALIERI USA
Nella giornata di ieri 30 marzo i contagiati emersi sono circa 21.400: con una curva traslata di 14 giorni post lockdown (avvenuto di fatto una settimana fa) il picco sarebbe raggiunto il 17 aprile, e se adottassimo la stessa curva esponenziale di contagi applicata in Cina ed in Italia avremmo un valore di picco di contagiati in una giornata nell’ordine dei 27.000.
Va detto che i sintomi della SARS-COV2 sono spessissimo molto lievi, anche in funzione dell’età media dei contagiati: una valutazione corretta in funzione della distribuzione di fatto impossibile dei tamponi in termini di mass test (tamponi che in primiS dovrebbero essere fatti più volte a tutta la popolazione, portando il totale in Italia al rispettabile numero di circa 180 milioni) fa stimare l’effettivo numero dei contagiati in circa 12-15 volte il numero degli attuali positivi.
Spostando quindi logica negli USA otteniamo un prospettivo fra 260.000 e 520.000 positivi espliciti, che sposterebbero la forchetta di positivi americani fra 2.340.000 e 5.700.00: riportando analiticamente le considerazioni italiane si otterrebbe una forchetta variabile fra circa 38.000 e 72.000 possibili deceduti a fine pandemia.
Tutto ciò ovviamente ammettendo che si possa traslare il servizio di una sanità come quella americana alla nostra, che (finalmente) ha dimostrato in maniera indiscutibile di essere fra le migliori al mondo: siccome in USA se non hai accesso al servizio sanitario a pagamento hai ben poche speranze di salvarti, purtroppo il numero stimato temo sarà molto più alto.
Un disastro, e causato esclusivamente dalla valutazione criminale di Trump che ha anteposto l’economia alla salute pubblica, sperando che non si tratti di mero calcolo economico, verosimile sia per il governo USA che per quello inglese, che non è ancora arrivato al primo picco: ci aspettiamo in effetti grossi problemi alla sanità Inglese, molto peggiori anche rispetto a quella Spagnola, oggi allo stremo.
ANDAMENTO POSITIVI GIORNALIERI UK
ANDAMENTO POSITIVI GIORNALIERI FRANCIA
ANDAMENTO POSITIVI GIORNALIERI GERMANIA
Axel
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