A farci del male non sarà solo il coronavirus, ma anche i de-cretini
Infezioni per milione di abitanti
Sinceramente non se ne può più. Ogni giorno ci tocca svegliarci e cercare di capire cosa possiamo o non possiamo fare nelle prossime sei ore. Ad ogni rialzino o ribassino dei nuovi casi di infezione, e i soliti cretini di turno - fiancheggiati dalle più strane lobbies - impugnano il microfono per darci la ricetta del giorno: chiudiamo-tutto-anzi-no-riapriamo-tutto-anzi-forse.
Ad una nazione che per settimane è stato predicato di non attraversare neanche la strada deserta, ora si dice che possono accompagnare il bambino a fare la passeggiatina purchè "in prossimità" di casa. Ma non ci dicono fove finisce "la prossimità": a 100 metri da casa? o a 1000 metri? Non è dato sapere, quindi il tutto è affidato all'umore o al metro di giudizio del carabiniere o del vigile nel quale dovessimo incappare. E fissare una cazza di distanza certa e nota, no?
Poi spunta dal nulla un altro genio, e ti dice che dobbiamo fissare un limite orario: un'ora. E se mi dovesse fermare il carabiniere e mi dovesse chiedere da quanto tempo sono fuori, cosa dico, che sono fuori da 65 minuti? E se sono fuori da tre ore e dico di esser fuori da 5 minuti cosa fa, mi arresta sul posto, o mi crede, e mi consente di star fuori altri 55 minuti?
Un altro "genio della Lampada" propone di fare una turnazione per fascia oraria. E se tutti volessero uscire nella tarda mattinata o nel primo pomeriggio perchè fa più caldo, chi deciderebbe e su quali basi chi può uscire col caldo e chi col freddo?
Poi arriva il Grande Genio Toscano Incompreso e grida in ogni microfono che gli passa accanto che lui ha la ricetta: dobbiamo "riaprire tutto-ma-proprio-tutto". Un idiota a tutto tonto.
Intanto il governo è impegnato ad inseguire tutte le belinate, purchè diano le ultime proposte. Ha ragione chi parla per ultimo, o chi grida più forte.
E così accade che (non sparo date ad cazzum ma cito dati reali e controllabili) fra de-cretini, modifiche ai de-cretini, circolari esplicative, circolari che spiegano le precedenti circolari esplicative, siamo in un frullatore dal cui interno è difficilissimo capire a quale de-cretino dobbiamo obbedire.
Da “è tutto tranquillo” all’accorato “state a casa”: le tante giravolte dei politici in un mese di pandemia da coronavirus
Dal sindaco di Milano Sala al segretario dem Zingaretti, da Salvini alla Meloni, quanti hanno cambiato idea sul virus
FRANCESCO GRIGNETTI- La Stampa
ROMA. Quante giravolte, sotto le botte del Coronavirus. I social sono ricchi di sarcasmo verso il governo che emette decreti e ordinanze a getto continuo. La battuta più bella:
«Colleziona anche tu i moduli per l’autocertificazione. E con la quarta uscita, in regalo il pratico raccoglitore».
Tutto verissimo. Eppure, come scrive Mattia Feltri nel suo «Buongiorno», degli altri vogliamo parlarne? Su Matteo Salvini ci sono i fari puntati di amici e nemici. C’è chi ha messo in fila tutti i suoi repentini cambi di linea:
21 febbraio, diceva il Capitano: chiudere tutto, «controlli ferrei» alle frontiere, specie sui temuti barconi (che non sarebbero arrivati più: il virus fa paura anche dall’altra sponda del Mediterraneo). Ci fece un tweet perché un virologo effettivamente segnalava un rischio e lui: «Ma quando lo dicevamo noi eravamo “sciacalli” e “allarmisti”».
Il 24 febbraio insisteva: «Non è il momento delle mezze misure. Controlli ferrei alle frontiere».
Passa qualche giorno, però, e il 27 febbraio dedicava la sua diretta Facebook alla ripartenza: «L’Italia riparte. Alla faccia di chi se la prende con medici, infermieri, governatori e sindaci, saranno ancora una volta cittadini famiglie e imprese a salvare questo splendido Paese. Chiediamo al governo di accelerare, riaprire, aiutare, sostenere. La Lega ha presentato decine di proposte. Accelerare, riaprire, ripartire».
Seguiva invito a «comprare italiano» e «stare in vacanza in Italia». Ne faceva uno spot rivolto all’estero: «E’ il Paese più bello. Venite in Italia».
Giusto per ricordare: il 27 febbraio ormai il virus dilagava in Europa, una settimana prima, il 19, a Bergamo si era tenuta Atalanta-Valencia che forse è stato un trampolino formidabile per trasmettere il virus dal Nord Italia a tutta la Spagna. (oppure, caro articolista, è stato un trampolino per trasmettere il virus dalla Spagna all'Italia. Chi può dirlo? NdR)
L’intervento di Salvini, in evidente polemica con il governo, si concludeva con un «Vorremmo che riaprissero musei, negozi, discoteche, bar».
Ancora il 29 febbraio diceva a Bruno Vespa: «Il mondo deve sapere che venire in Italia è sicuro, perché siamo un Paese bello, sano, e accogliente, altro che “Lazzaretto d’Europa” come qualcuno sta cercando di farci passare».
Competition is competition. Succedeva infatti nelle stesse ore che il Pd lanciava la campagna «Milano non si ferma». Cominciava il sindaco Beppe Sala (che due giorni fa ha cautamente ammesso: «Forse ho sbagliato, nessuno aveva compreso la veemenza del virus»), seguiva Zingaretti. Peraltro proprio a Milano, scuole e università erano state chiuse dal 23 febbraio. Eppure. «In questo momento Milano non può fermarsi – disse il sindaco su Facebook il 25 febbraio - . Dobbiamo lavorare affinché questo virus non si diffonda, ma non si deve nemmeno diffondere il virus della sfiducia: Milano deve andare avanti». Due giorni dopo, iniziava la campagna «Milano non si ferma». Il sindaco si faceva riprendere assieme al conduttore tv Alessandro Cattelan mentre i due si prendevano un aperitivo a un tavolino di bar. Con commento: «Dopo una dura giornata di lavoro. Finalmente un aperitivo». Le cose però andarono come sappiamo. E il 5 marzo era tutto cambiato: «Dobbiamo cambiare le nostre abitudini».
Lo stesso Nicola Zingaretti era stato in prima linea nella campagna del sindaco dem. Il 27 febbraio era anche lui a Milano per un aperitivo anti-panico e postava una foto con alcuni ragazzi del Pd milanese. «Ho raccolto l’appello del sindaco Sala. Non perdiamo le nostre abitudini, non possiamo fermare Milano e l’Italia. Usciamo a bere un aperitivo, un caffè, o per mangiare una pizza». Ecco. Zingaretti il 7 marzo annunciava di essere positivo al Covid-19. Nei giorni precedenti non soltanto a Milano aveva incontrato e a sua volta infettato un sacco di gente.
Come si vede, alla faccia degli scienziati, i politici si marcavano a uomo e l’errore di uno portava l’errore dell’altro. Giorgia Meloni, per dire, il 2 marzo era davanti al Colosseo anche lei a magnificare le bellezze dell’Italia per il turista straniero. In inglese fluente spiegava che non era vero che gli italiani fossero «impauriti» e tantomeno «barricati in casa». Anzi. «La realtà è un’altra… ci sono turisti ovunque, ristoranti, bar e negozi sono tutti aperti, le persone sono felici e il tempo è fantastico. Una normale situazione».
Ma la sottovalutazione si è vista a tutti i livelli. Vogliamo ricordare la festa con 60 persone per festeggiare la vittoria del centrodestra in Umbria? Era l’8 marzo, la deputata leghista Barbara Saltamartini postava orgogliosa la foto. E c’era già il divieto di avvicinarsi a meno di un metro. Nel frattempo gli epidemiologi si dannavano a spiegare che era una pazzia, che il virus ormai era tra noi e che sarebbe bastato aspettare i tempi dell’incubazione per vederne gli effetti. Ci sono voluti i morti, perché i politici capissero.
(credit: La Stampa)
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A farci del male non sarà solo il coronavirus, ma anche i de-cretini
Infezioni per milione di abitanti
Sinceramente non se ne può più. Ogni giorno ci tocca svegliarci e cercare di capire cosa possiamo o non possiamo fare nelle prossime sei ore. Ad ogni rialzino o ribassino dei nuovi casi di infezione, e i soliti cretini di turno - fiancheggiati dalle più strane lobbies - impugnano il microfono per darci la ricetta del giorno: chiudiamo-tutto-anzi-no-riapriamo-tutto-anzi-forse.
Ad una nazione che per settimane è stato predicato di non attraversare neanche la strada deserta, ora si dice che possono accompagnare il bambino a fare la passeggiatina purchè "in prossimità" di casa. Ma non ci dicono fove finisce "la prossimità": a 100 metri da casa? o a 1000 metri? Non è dato sapere, quindi il tutto è affidato all'umore o al metro di giudizio del carabiniere o del vigile nel quale dovessimo incappare. E fissare una cazza di distanza certa e nota, no?
Poi spunta dal nulla un altro genio, e ti dice che dobbiamo fissare un limite orario: un'ora. E se mi dovesse fermare il carabiniere e mi dovesse chiedere da quanto tempo sono fuori, cosa dico, che sono fuori da 65 minuti? E se sono fuori da tre ore e dico di esser fuori da 5 minuti cosa fa, mi arresta sul posto, o mi crede, e mi consente di star fuori altri 55 minuti?
Un altro "genio della Lampada" propone di fare una turnazione per fascia oraria. E se tutti volessero uscire nella tarda mattinata o nel primo pomeriggio perchè fa più caldo, chi deciderebbe e su quali basi chi può uscire col caldo e chi col freddo?
Poi arriva il Grande Genio Toscano Incompreso e grida in ogni microfono che gli passa accanto che lui ha la ricetta: dobbiamo "riaprire tutto-ma-proprio-tutto". Un idiota a tutto tonto.
Intanto il governo è impegnato ad inseguire tutte le belinate, purchè diano le ultime proposte. Ha ragione chi parla per ultimo, o chi grida più forte.
E così accade che (non sparo date ad cazzum ma cito dati reali e controllabili) fra de-cretini, modifiche ai de-cretini, circolari esplicative, circolari che spiegano le precedenti circolari esplicative, siamo in un frullatore dal cui interno è difficilissimo capire a quale de-cretino dobbiamo obbedire.
Da “è tutto tranquillo” all’accorato “state a casa”: le tante giravolte dei politici in un mese di pandemia da coronavirus
Dal sindaco di Milano Sala al segretario dem Zingaretti, da Salvini alla Meloni, quanti hanno cambiato idea sul virus
FRANCESCO GRIGNETTI- La Stampa
ROMA. Quante giravolte, sotto le botte del Coronavirus. I social sono ricchi di sarcasmo verso il governo che emette decreti e ordinanze a getto continuo. La battuta più bella:
«Colleziona anche tu i moduli per l’autocertificazione. E con la quarta uscita, in regalo il pratico raccoglitore».
Tutto verissimo. Eppure, come scrive Mattia Feltri nel suo «Buongiorno», degli altri vogliamo parlarne? Su Matteo Salvini ci sono i fari puntati di amici e nemici. C’è chi ha messo in fila tutti i suoi repentini cambi di linea:
21 febbraio, diceva il Capitano: chiudere tutto, «controlli ferrei» alle frontiere, specie sui temuti barconi (che non sarebbero arrivati più: il virus fa paura anche dall’altra sponda del Mediterraneo). Ci fece un tweet perché un virologo effettivamente segnalava un rischio e lui: «Ma quando lo dicevamo noi eravamo “sciacalli” e “allarmisti”».
Il 24 febbraio insisteva: «Non è il momento delle mezze misure. Controlli ferrei alle frontiere».
Passa qualche giorno, però, e il 27 febbraio dedicava la sua diretta Facebook alla ripartenza: «L’Italia riparte. Alla faccia di chi se la prende con medici, infermieri, governatori e sindaci, saranno ancora una volta cittadini famiglie e imprese a salvare questo splendido Paese. Chiediamo al governo di accelerare, riaprire, aiutare, sostenere. La Lega ha presentato decine di proposte. Accelerare, riaprire, ripartire».
Seguiva invito a «comprare italiano» e «stare in vacanza in Italia». Ne faceva uno spot rivolto all’estero: «E’ il Paese più bello. Venite in Italia».
Giusto per ricordare: il 27 febbraio ormai il virus dilagava in Europa, una settimana prima, il 19, a Bergamo si era tenuta Atalanta-Valencia che forse è stato un trampolino formidabile per trasmettere il virus dal Nord Italia a tutta la Spagna. (oppure, caro articolista, è stato un trampolino per trasmettere il virus dalla Spagna all'Italia. Chi può dirlo? NdR)
L’intervento di Salvini, in evidente polemica con il governo, si concludeva con un «Vorremmo che riaprissero musei, negozi, discoteche, bar».
Ancora il 29 febbraio diceva a Bruno Vespa: «Il mondo deve sapere che venire in Italia è sicuro, perché siamo un Paese bello, sano, e accogliente, altro che “Lazzaretto d’Europa” come qualcuno sta cercando di farci passare».
Competition is competition. Succedeva infatti nelle stesse ore che il Pd lanciava la campagna «Milano non si ferma». Cominciava il sindaco Beppe Sala (che due giorni fa ha cautamente ammesso: «Forse ho sbagliato, nessuno aveva compreso la veemenza del virus»), seguiva Zingaretti. Peraltro proprio a Milano, scuole e università erano state chiuse dal 23 febbraio. Eppure. «In questo momento Milano non può fermarsi – disse il sindaco su Facebook il 25 febbraio - . Dobbiamo lavorare affinché questo virus non si diffonda, ma non si deve nemmeno diffondere il virus della sfiducia: Milano deve andare avanti». Due giorni dopo, iniziava la campagna «Milano non si ferma». Il sindaco si faceva riprendere assieme al conduttore tv Alessandro Cattelan mentre i due si prendevano un aperitivo a un tavolino di bar. Con commento: «Dopo una dura giornata di lavoro. Finalmente un aperitivo». Le cose però andarono come sappiamo. E il 5 marzo era tutto cambiato: «Dobbiamo cambiare le nostre abitudini».
Lo stesso Nicola Zingaretti era stato in prima linea nella campagna del sindaco dem. Il 27 febbraio era anche lui a Milano per un aperitivo anti-panico e postava una foto con alcuni ragazzi del Pd milanese. «Ho raccolto l’appello del sindaco Sala. Non perdiamo le nostre abitudini, non possiamo fermare Milano e l’Italia. Usciamo a bere un aperitivo, un caffè, o per mangiare una pizza». Ecco. Zingaretti il 7 marzo annunciava di essere positivo al Covid-19. Nei giorni precedenti non soltanto a Milano aveva incontrato e a sua volta infettato un sacco di gente.
Come si vede, alla faccia degli scienziati, i politici si marcavano a uomo e l’errore di uno portava l’errore dell’altro. Giorgia Meloni, per dire, il 2 marzo era davanti al Colosseo anche lei a magnificare le bellezze dell’Italia per il turista straniero. In inglese fluente spiegava che non era vero che gli italiani fossero «impauriti» e tantomeno «barricati in casa». Anzi. «La realtà è un’altra… ci sono turisti ovunque, ristoranti, bar e negozi sono tutti aperti, le persone sono felici e il tempo è fantastico. Una normale situazione».
Ma la sottovalutazione si è vista a tutti i livelli. Vogliamo ricordare la festa con 60 persone per festeggiare la vittoria del centrodestra in Umbria? Era l’8 marzo, la deputata leghista Barbara Saltamartini postava orgogliosa la foto. E c’era già il divieto di avvicinarsi a meno di un metro. Nel frattempo gli epidemiologi si dannavano a spiegare che era una pazzia, che il virus ormai era tra noi e che sarebbe bastato aspettare i tempi dell’incubazione per vederne gli effetti. Ci sono voluti i morti, perché i politici capissero.
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