Se volessimo trovare un elemento positivo di questa pandemia dovremmo cercarlo nel fatto che ogni crisi evidenzia gli elementi specifici di tutti noi.
Da noi ha chiarito che la politica degli ultimi 30 anni, sia quella centrale che quella locale, è endemicamente incapace ed in situazioni di criticità pensa in primis a coprire le proprie azioni, come sta dimostrando la gestione Regionale della sanità, la confusione normativa centrale e l'incapacità Europea di trovare un sacrosanto compromesso per salvare l'unico progetto che ci può assicurare una rappresentatività mondiale.
Negli altri continenti ha dimostrato che le dittature generano disastri a livello mondiale (la Cina ha taciuto sulla gravità dell'epidemia fino a metà febbraio e diffonde anche oggi dati palesemente falsi, come hanno dimostrato le immagini delle urne cinerarie diffuse dai media Cinesi) e che gli USA sono gestiti in maniera incredibilmente dilettantesca che causa oggi il blocco totale della nazione e causerà una vera e propria ecatombe, già ampiamente nascosta come dimostrano le immagini delle fosse comuni a NY.
Spero oggi sia chiaro che l'unico modo che abbiamo per rimanere a galla sia quello di cambiare completamente la classe politica europea e di diventare finalmente davvero Europeisti.
Per evidenziare la catena infinita di comportamenti dilettanteschi analizziamo con estrema attenzione cosa è successo in Italia in questi giorni partendo dall’inizio: siamo a gennaio e dalla Cina arrivano notizie inizialmente frammentarie, poi giorno dopo giorno più dettagliate, di un’epidemia in corso originatasi nell’area della città di Wuhan.
Al di là delle facezie che abbiamo ricevuto tutti su whatsapp ufficialmente dalle autorità provengono messaggi relativamente tranquillizzanti, con Burioni che si augura a “Che tempo che fa” che non si debba ricorrere ad azioni di distanziamento sociale ma avverte che l’epidemia può diffondersi stante la capacità di trasmissione dimostrata dal virus.
A questo punto, con il governo Cinese, che dichiara numeri relativamente limitati di contagio a Wuhan (83.000 persone circa su un numero di abitanti di circa 11 milioni, cioè circa lo 0,73% della popolazione) si forma nell’opinione pubblica la convinzione che si tratti di una condizione mutata di una “normale” influenza: considerate che dal punto di vista medico l’influenza raggiunge in Italia dimensioni epidemiche molto maggiori, con circa 13 casi per 1000 assistiti (fonte ISS, https://www.epicentro.iss.it/influenza/flunews).
Ora, le autorità Cinesi hanno dichiarato una mortalità complessiva (sugli 82.809 casi dichiarati) pari a 3.337 decessi, che rappresentano il 4,02% degli ammalati: in Italia l’ISS stima la mortalità sui casi gravi di influenza attorno al 5% (vedi https://www.epicentro.iss.it/influenza/stagione-2019-2020-primo-bilancio).
In effetti su base statistica i dati appena presentati, (comunicati ufficialmente dal governo cinese e disponibili a fine gennaio) indicavano relativamente al COVID-19 una criticità minore e di tipo allineato alla normale influenza invernale, e del resto a dicembre vi erano già alcuni focolai influenzali in Italia (ed in particolare nel Lodigiano e nella bassa Cremasca) che avevano mietuto vittime in particolare negli anziani (vedi grafico che segue, che riferisce a metà febbraio 2020).
Siamo statisticamente nel campo di una situazione “standard” quindi nessuno si preoccupa di predisporre procedure di contenimento di una eventuale epidemia: al contrario, ampie aree di sanità privata (lo vedremo al momento dell’esplosione del contagio) si fregano le mani in attesa di disporre dei malati che la sanità pubblica non potrebbe gestire.
Cosa avreste fatto in una condizione come quella evidenziata ?
Immaginare di chiudere aree ed aziende Italiane in funzione di un rischio che anche gli epidemiologhi avevano valutato come relativo era un’azione a dir poco illogica: sarebbe diventato evidente solo successivamente quanto invece una scelta anticipata avrebbe permesso una soluzione molto meno critica dell’attuale situazione.
In altri termini, parliamo di decisioni che dimostrano in maniera inequivocabile l’incompetenza di chi le prende: a gennaio, quando a Wuhan già contano centinaia di morti e il nostro Paese è convinto che l'onda non arriverà (vedi la puntata del 26 gennaio di “Che Tempo che fa” in cui lo stesso Burioni rassicura Fazio): vi è una sostanziale tranquillità tanto che l’Italia il 28 gennaio invia in Cina un carico di circa 10 milioni di mascherine FFP2/3 tramite un volo dell’aeronautica militare.
Qui partono le circonvoluzioni normative: il 22 gennaio il ministero della Salute emette una circolare che definisce i criteri per considerare un paziente "caso sospetto", da sottoporre quindi a tampone: oltre a chi è stato in Cina, include qualsiasi persona "che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio".
In teoria questa circolare definirebbe in maniera dettagliata una good practice (peraltro molto simile a quella utilizzata in Germania) che avrebbe limitato i danni negli ospedali e nelle RSA: invece il 27 gennaio alle USL giunge una seconda circolare che quale autorizza il test solo su pazienti che devono avere “importanti sintomi”, "contatti stretti con un infetto" e "visitato o lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan"o "frequentato un reparto Covid".
Perché emettere una circolare del genere quando viste le dimensioni del problema effettuare tamponi non avrebbe causato grossi costi aggiuntivi ?
Con il senno del poi un errore gravissimo, ma questa comunicazione, in realtà, si adegua all'orientamento dell'Organizzazione mondiale della Sanità di quel periodo, almeno fino al 16 marzo, quando la stessa Oms (allineandosi alla decisione tedesca di effettuare tamponi diffusi) suggerirà di procedere con tamponi a tappeto.
Inutile dire che questa circolare (la trovate in gazzetta ufficiale, qui https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/01/27/21/sg/pdf) ha generato in buona sostanza tutto il disastro che stiamo verificando in questi giorni: se fosse stata in vigore la circolare del 20.01 anche a febbraio, quando a Codogno il paziente uno si rivolge al pronto soccorso e a Vo' si presenta quella che sarebbe diventata la prima vittima Italiana, le loro positività sarebbero emerse ben prima del famoso 21 febbraio, data di inizio della valanga di contagi italiani.
Pare incredibile, ma solo grazie a due medici che decidono il 20 febbraio 2020 di violare il protocollo deciso da ISS non riuscendo a capire perché i due pazienti peggiorassero ed effettuano il tampone ai due pazienti che nel frattempo erano stati posti in terapia intensiva abbiamo la prima indicazione della presenza di COVID-19 in Italia: il risultato positivo conferma le peggiori paure e certificano il fatto che nel frattempo gli ospedali sono diventati devastanti focolai infettivi.
A questo punto il 21 febbraio il ministro della Salute ha diramato un'ordinanza che prevedeva la quarantena obbligatoria per chi fosse stato a contatto con persone positive per l'infezione virale, e sorveglianza attiva e permanenza domiciliare per chi fosse stato nelle aree a rischio nei 14 giorni precedenti, con obbligo di segnalazione alle autorità sanitarie locali.
Il giorno successivo, il Consiglio dei ministri annuncia un decreto-legge per contenere la pandemia, che prevede la quarantena di oltre 50 000 persone provenienti da 11 comuni diversi del Nord Italia, attuato dal 23 febbraio, impone l'isolamento dei dieci comuni del lodigiano già interessati dalla pandemia, e del comune di Vo' in provincia di Padova.
L'onda è arrivata, ma si dispone di armi spuntate a causa della classica incapacità di gestione di procedure Italica: i governi Italiani ed i nostri rappresentanti (quelli attuali, ma anche in toto quelli che li hanno preceduti) NON hanno ritenuto utile deliberare una procedura d’emergenza che permettesse di disporre di scorte dei famigerati DPI, cioè mascherine tipo FFp2-FFp3 per medici e infermieri, di cui l'Italia è sprovvista.
A differenza di quanto successo in Germania, nessuno ha attuato i piani pandemici (che prevedevano di farne scorta non appena si fosse avuta notizia di un contagio uomo-uomo, circostanza verificatasi il 31 dicembre), e anzi, una buona parte dello stock è stata mandata a Wuhan.
Le prime 42 mila FFp2 saranno consegnate dalla Protezione civile solo il 3 marzo, e così, il 9 marzo si decide di equiparare le mascherine chirurgiche a quelle professionali.
Tecnicamente una decisione inaccettabile e figlia di incapacità e mancanza di sviluppo di piani di sicurezza tipicamente italiani: ricordate i presunti “tecnici” del governo pressati dalla politica che li aveva nominati avevano tranquillizzato la popolazione Aquilana appena prima del devastante terremoto del 2009 ?
Qui si è verificata la stessa problematica: a fronte dell’impossibilità di disporre di Dpi (Dispositivi di protezione individuale) si è deciso di utilizare le mascherine chirurgiche perché era quello di cui si disponeva, ma va sottolineato che sia l’ISS che il ministero della Salute erano perfettamente a conoscenza del fatto che queste non proteggono chi le indossa, ma filtrano solo in uscita.
Gli operatori sanitari, per decreto, possono andare nei reparti Covid indossando solo mascherine chirurgiche: indovinate come mai si è assistito ad una vera e propria mattanza di medici.
Nel panico più completo, per evitare di lasciare sguarniti i reparti, il governo in data 9 marzo 2020 emette il decreto numero 14, che dispone che "la quarantena obbligatoria non si applica agli operatori sanitari", i quali si fermano solo nel caso di sintomi manifesti o esito positivo di test: in un orgia di dilettantismo la regione Lombardia va oltre, e pubblica il 10 marzo una direttiva che nega il test all'operatore asintomatico "che ha assistito a un caso confermato Covid senza adeguati Dpi".
Repubblica riporta le affermazioni di Andrea Filippi, segretario della Cgil-medici "La confusione sulle norme e quei decreti folli sono i motivi principali per cui gli operatori sanitari si sono ammalati. L'Oms ha sbagliato a dare linee guida che, evidentemente, erano pensate per Paesi del Terzo mondo che hanno zero possibilità di reperire Dpi".
Ci permettiamo di dire che il comportamento degli esperti iperpagati dell’OMS andrebbe verificato.
A metà marzo, nel pieno della crisi, anche l’OMS indica la via di effettuare tamponi a tappeto soprattutto fra medici ed operatori sanitari, e del resto tre circolari del ministero della Salute (del 20 marzo, 25 marzo, 3 aprile) lo imporrebbero.
L'assessore alla sanità Lombarda Giulio Gallera sostiene di aver disposto tamponi per tutti a partire dal 3 aprile, ma non risulta nessun documento specifico: in realtà la, consigliera regionale Pd Carmela Rozza denuncia "I tamponi vengono effettuati solo a medici e infermieri che hanno temperatura maggiore a 37 e mezzo".
Immaginate cosa sia avvenuto negli ospedali: professionisti allo stremo delle forze assistevano pazienti e contemporaneamente erano perfettamente consapevoli di poter diffondere lo stesso virus che stavano combattendo.
Non parliamo poi delle RSA Lombarde ed in particolare del Pio albergo Trivulzio: la magistratura accerterà cosa sia successo all’interno delle residenze per anziani, ma pare oggi assodato che sia arrivato l’ordine di non indossare DPI almeno fino a metà marzo “per non allarmare gli ospiti”.
Fosse confermato questo fatto saremmo davanti a comportamenti di un incapacità devastante o di un cinismo inarrivabile.
Ma vogliamo parlare del disastro INPS?
Al buco dei suoi sistemi informatici, l’Inps mette una pezza che fa discutere, chiedendo agli utenti i cui dati anagrafici sono stati esposti illecitamente di informare l’ente, “allegando eventuali evidenze documentali”.
L’avviso è comparso il 3 aprile sul sito del principale istituto previdenziale italiano, che nella notte tra il 31 marzo e il 1 aprile ha mostrato per errore, a molte tra le partite Iva entrare per richiedere il bonus di 600 euro, i dati di altri utenti.
Appare chiaro che la qualità della gestione informatica INPS appare alquanto scadente: una dimostrazione di ciò è lo screeenshot che segue: l’uso della variabile “pippo” è da scuola media inferiore, e leggere sulle chat degli specialisti i commenti relativi ai bug di programmazione del sito INPS è davvero interessante.
Guardate anche questa perla: se aveste necessità di richiedere il cosiddetto bonus babysitting e per caso aveste un cellulare con prefisso 35x o 320 non sareste autorizzati a caricare la domanda.
Fra l’altro la lettura delle righe di programmazione è possibile in maniera trasparente senza difficoltà: immaginate che per questa bella esibizione di “efficienza” INPS ha speso circa 80 milioni di euro.
Ma la comunicazione non soddisfa gli esperti di privacy, che ne individuano le mancanze ai sensi del Regolamento generale per la protezione dei dati (Gdpr) dell’Unione europea. Innanzitutto per la mancanza del nome e del contatto del data protection officer (dpo), ovvero della figura incaricata di organizzare e vigilare il corretto trattamento dei dati.
Non si tratta però di un errore tecnico, quanto di una mera constatazione: al momento dell’incidente informatico l’Inps non aveva un responsabile per la protezione dei dati in carica: in effetti
L’ultimo a ricoprire questo ruolo, nominato il 21 marzo del 2018, è andato in pensione il 30 marzo 2020, alla vigilia della debacle digitale, lasciando così scoperta la trincea e anche la scrivania, sulla quale qualcuno avrebbe dovuto compilare la segnalazione all’Autorità per la protezione dei dati personali.
Giusto per chiarire, nella comunicazione non viene fatta alcuna menzione alle possibili conseguenze derivanti dall’incidente informatico e alle misure concrete poste in essere per mitigarne l’effetto: anche solo per questo un’eventuale certificazione esterna (banalmente un sistema ISO9001) dovrebbe essere annullata ad INPS.
Certamente la parte che fa più discutere è quella relativa all’istituzione della casella di posta elettronica [email protected] in cui si raggiunge la vetta di affermare“utilizzabile, esclusivamente dai soggetti i cui dati siano stati interessati dalla violazione, per le segnalazioni all’INPS, allegando evidenze documentali”.
“Sembra quasi che la creazione della casella di posta elettronica sia essa stessa la misura adottata per risolvere il problema”, ha spiegato a Wired Enrico Ferraris, avvocato specializzato in tutela della privacy e primo ad aver segnalato le incongruenze della comunicazione dell’Inps dal suo profilo Twitter: “Di fatto mancano tutti i contenuti previsti dal Gdpr, che prescrive chiaramente l’identificazione del Dpo e le soluzioni proposte per la risoluzione dell’incidente”, precisa Ferraris. E aggiunge: “Ma ancora di più qua si inverte l’onere dell’identificazione degli interessati coinvolti nella violazione: sarebbero infatti questi ultimi a dover ricevere un avviso nel quale si informa che i loro dati personali sono stati visibili a una quantità imprecisata di persone”.
Spetterebbe all’authority guidata da Antonello Soro (il cui mandato, come nel caso del responsabile della protezione dati dell’Inps, è scaduto da tempo senza che i geni seduti nel Parlamento italiano provvedessero per tempo causa spoil system) la responsabilità di misurare, provvedere ed eventualmente sanzionare INPS.
Il problema naturalmente non è quello di sanzionare INPS (o i dirigenti preposti, cosa che rappresenterebbe una corretta azione disciplinare) ma di ottenere il mero rispetto delle norme che lo stesso stato (minuscola che non è un errore) pretende di applicare ai suoi cittadini senza pretendere lo stesso dai puoi dipendenti o fornitori.
Il festival del dilettantismo, con l’aggravante che è tutto sulla nostra pelle.
Axel
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