La stupidità è un patrimonio universale. Ogni città ha le sue disgrazie (si chiamino Navigli, o via Caracciolo, o Trastevere... cosa cambia? Non cambia niente neanche se ci si trovi in Italia, o in Spagna, o in Francia, o nella civilissima Danimarca). E allora avanti così, avanti tutta.
Guardando le immagini della folla riversata in strada e sui litorali e ovunque in questo fine settimana mi sono venuti in mente i cori e gli applausi alle finestre dell’anno scorso, durante il primo lockdown. È lo stesso popolo, quello degli assembramenti? Sì, ma stremato da un anno vissuto nella paura, nel dolore, nell’incertezza e in un clima di far west. Quell’unità nazionale che faceva cantare le persone dai balconi si è infranta in mille rivoli di colori diversi, dal giallo all’arancione rinforzato, sperando di non finire in rosso. Si è sciolta nelle dichiarazioni di leaderini che non hanno il coraggio di dire ai loro (potenziali) elettori la verità. E cioè che la pandemia non è finita e che bisogna remare tutti insieme nella stessa direzione, perché se ogni giorno un presidente di Regione si sveglia e dice tutto e il contrario di tutto per poi rimangiarselo il giorno dopo, si va a schiantarsi. Perché se a giorni alterni le stesse forze politiche che erano all’opposizione e che ora sono al governo si comportano come se fossero ancora all’opposizione e quindi sparano contro il governo, non se ne uscirà mai. Tutti vorremmo tornare a una vita normale. Ma non funziona così, purtroppo, con buona pace dei vari leaderini e dei presidenti di Regione.
D’altra parte bisogna capirli, quelli della movida. Di fronte alla babele di messaggi, di indicazioni, di controindicazioni e di distinguo, alla fine ognuno fa un po’ quello che gli pare. E noi italiani, in questa specialità, siamo dei campioni. Perché il messaggio in sé, da mesi, è chiarissimo: il Covid circola ancora, le varianti sono pericolose perché molto più infettive, l’unico rimedio in attesa della vaccinazione di massa è stare distanti e usare le protezioni. Punto. Non ci sarebbe da aggiungere altro. Dopo mesi e mesi di convivenza con il virus ogni persona capace di intendere e di volere dovrebbe averlo capito.
Allora perché siamo ancora a discutere di assembramenti, movida, aperitivi selvaggi? Perché la gente non ne può più, direte voi. Ed è sicuramente vero. Basta un raggio di sole, un accenno di primavera e la voglia di vivere esplode. Ma il problema non sono mai le persone prese singolarmente. Ognuno ha un suo personale motivo per uscire o per andarsi a bere un bicchiere in compagnia. E tutte le raccomandazioni, tutti i bei discorsi sull’etica, il rispetto degli altri, il fatto che la libertà mia (di assembrarmi) finisce dove inizia la tua (di non contagiare la nonna) si schiantano quando la gente non ci crede più. Perché anche in un’altra specialità siamo messi benissimo: l’interpretazione della legge. C’è sempre un però e un’eccezione e un distinguo. Ognuno di noi, in quanto italiano, succhia con il latte materno la capacità di piegare le regole a suo comodo e quindi non c’è legge che tenga, se non è condivisa e rispettata almeno da chi ci governa.
Ecco il punto, che i vari leaderini e presidenti eccetera dovrebbero capire: se ne esce tutti insieme, il messaggio deve essere uno e chiaro. E invece non si vede ancora all’orizzonte un piano, una visione di largo respiro, un percorso che porti una nazione intera a vedere la luce in fondo al tunnel.
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