Avrei voluto e dovuto scrivere di Franco Cerri un minuto dopo aver appreso della sua scomparsa, ma ci ho messo tanto tempo a trovare il coraggio di farlo. Non è facile scrivere di una persona che hai stimato per sessant'anni come musicista e come uomo.
Franco ha iniziato a passare accanto alla mia vita molto tempo fa, quando - studente all'Università di Napoli - avevo avuto il piacere di tenere la rubrica di jazz su un bellissimo mensile culturale napoletano, morto insieme al suo editore. Con una decina d'anni d'anticipo rispetto alla popolarità di massa che aveva guadagnato col suo spot dell'uomo in ammollo, avevo osato scrivere che Franco Cerri stava costruendo su solide basi la sua posizione di numero uno della chitarra-jazz in Europa. Qualcuno mi ha invitato alla cautela, ma questi inviti sono cessati quando Franco Cerri col suo quartetto si è prodotto, insieme a Stephane Grappelli (insieme a Joe Venuti, il più grande violinista jazz di tutti i tempi). Per capire di chi stiamo parlando, ascoltate questa fantastica esecuzione di Franco Cerri e di Stehane Grappelli in un classicissimo standard del jazz: Pennies from heaven. Una esecuzione jazzistica vicina alla perfezione.
Con Franco ci siamo sfiorati più volte, nella vita, per una serie di circostanze fortuite, che ci hanno condotto spesso negli stessi ambienti fisici. Inizialmente il catalizzatore si è presentato sotto forma del mitico "Derby Club". Per i non milanesi, e per tutti i non "diversamente giovani" come me", il "Derby" è stato non solo la sala-parto, universalmente riconosciuta come tale, del moderno cabaret, ma anche il primo luogo in Italia in cui finito lo spettacolo ufficiale, iniziava un "after-hours" tutto in chiave jazzistica, con accompagnamento di spaghettata di massa, offerta "dalla casa".
A proposito... Se vi dovesse capitare di fare quattro chiacchiere con Enrico Intra, non commettete l'errore che ho fatto io, di chiamarlo "Derby Club". Il nome completo (e dovuto all'inventore e realizzatore della formula) è "Intra's Derby Club". Io e mi moglie abbiamo frequentato spessissimo il Derby, complice il fatto che abitavamo in via Pagliano, che era vicinissima (ci andavamo a piedi) a quel pezzetto di Via Monte Bianco dove era posizionato il Derby.
Una delle presenze più assidue a questi "after-hours" era quella di Franco Cerri. Qualche volta è capitato di scambiare quattro chiacchiere, ma qualche tempo dopo l'ho incontrato in tutt'altro contesto: l'agenzia di pubblicità "Lintas", che allora era la "house-agency" di tutti i rami della Unilever in Italia. Io frequentavo la Lintas perchè nella struttura di marketing della Unilever in quegli anni seguivo anche la linea "Atkinsons". Franco era li perchè era stato convinto a girare lo spot, che sarebbe poi diventato mitico, dell'uomo in ammollo, che in termini di notorietà in quegli anni gli ha reso certamente di più che non le performances jazzistiche con stelle di prima grandezza.
Poi ci siamo persi di vista. Finchè un brutto giorno...
Faccio una premessa. Dopo l'epoca d'oro del jazz a Milano, erano spariti in rapida successione il mitico "Capolinea" (dopo il secondo, distruttivo incendio doloso appiccato - si presume - dal racket delle estorsioni); chiuso il "Jazz Power" (casa d'elezione del quintetto di Basso- Valdambrini, dove spesso si esibiva Guido Manusardi, grandissimo pianista famoso persino nell'est europeo e nei paesi baltici, ma sconosciuto o quasi in Italia; chiuso il "Due" in Piazza Madonnina a Brera, casa di Paolo Tomelleri e del suo quintetto (prima trasformato da un gestore con tendenze suicide in locale da karaoke, poi chiuso definitivamente. A Paolo credo abbiano fatto un piacere, perchè costretto a fare altro è riuscito a creare una grandissima orchestra jazz, che spesso ospita jazzisti stranieri di grande valore. E di recente ho avuto il piacere di scoprire che Paolo ha una nipotina molto giovane che è già una notevole solista jazz (alto-sax). Per il suo esordio come solista nella grande orchestra di Tomelleri, ha deciso di giocare "sul duro", scegliendo uno dei più difficili standards del jazz: "Take Five".
Chiude anche "bottega" il caveau dove era di casa il grande Enrico Rava: il Santa Tecla (dove adesso c'è uno "scarparo"). . Mi resta un ultimo salvagente: il "Ponte" di Brera. Mitico bar "anarchico", aveva il bar a piano terra su via Brera, e nello stesso isolato, sul retro, al primo piano c'era la "chiesetta", di grande qualità, di Renato Sellani, che frequentavo spessissimo. Con Renato si era stabilita una vera, grande amicizia.
Una sera vado al Ponte, e con Renato Sellani, anzichè il bassista abituale (Roberto Blegi) trovo un giovanotto che non conoscevo. Renato me lo presenta: "Antoine, ti presento Stefano: Stefano Cerri". Si, era il figlio, molto talentuoso, di Franco Cerri. Aveva seguito in parte le orme del padre. Chitarra, ma chitarra-basso. Talentuoso nel suo genere come il padre, educato e gentile nella stessa misura. E' stato il primo e unico incontro con Stefano.
Qualche tempo dopo, all'uscita da un concerto al Dal Verme. mi sento toccare una spalla e apostrofare... "Antoine!". Non poteva che essere Renato Sellani. Solo lui mi chiamava Antoine, forse per vendicarsi del fatto che io lo chiamavo "René"... Mi giro. E' lui, e accanto a lui c'è un bel pezzo della mia personale "scatola delle scarpe" dove si conservano vecchie foto-ricordo inevitabilmente virate al color seppia... Franco Cerri, ed Enrico Intra.
La mia domanda inopportuna a Franco parte prima che Renato abbia il tempo di darmi un calcio negli stinchi... Franco, cosa sta facendo tuo figlio Stefano? Un attimo di gelo, poi con la signorilità - che faceva parte del suo patrimonio umano - mi dice che "Stefano non c'è più". Mi scuso. Cerca di mettermi a mio agio, dicendomi che non ero tenuto a saperlo. Vero, ma non meno doloroso. Franco è morto a 95 anni, suo figlio Stefano ha vissuto fino a 46: un capello in più della metà della vita di suo padre. E a me è venuto in mente un aforisma di cui non ricordo l'autore: "...Nessun padre merita di essere condannato a sopravvivere alla morte di un figlio..."
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Lasciatemi aggiungere una amara riflessione personale... Quando è morta Raffella Carrà la RAI a reti unificate non ha fatto altro che mandare per giorni e giorni, a qualsiasi ora, filmati e opinionisti che illustravano la grandezza di Raffaella Carrà. Benissimo. Niente da obiettare (anche se non credo che il "Tuca Tuca" meriti di passare alla storia della musica, nonostante abbia avuto un enorme successo in Spagna". Bene ha fatto la Rai a premiare il Tuca Tuca, ma forse - con le ricchissime teche di cui la Rai dispone - avrebbe potuto dedicare qualche puntata - magari di notte e su Rai5, a qualche filmato in più delle perle musicali prodotte in tre quarti di secolo da Franco Cerri. Ma forse c'è un problema di disponibilità di tempi di programmazione. Se ci mettiamo a dedicare ore di trasmissione persino al jazz, cosa ci resterà per il minacciato ritorno di Panariello, che ci farà tanto ridere vestendosi da donna? Anche "René" se n'è andato, e la mia "scatola delle scarpe" contiene un numero crescente di ricordi non più bellissimi...
Tafanus
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