Buona giornata a tutti con un brano "eterno". Ho iniziato ad amare il jazz tanto tempo fa. Primi anni di università (seconda metà degli anni '50), ed ho incontrato questo bellissimo brano, in una esecuzione incredibilmente bella del trio di Nat King Cole (piano e voce). Lo trovavo modernissimo nel testo, nella melodia, nel giro armonico... E' stato amore al primo ascolto.
Poi la tardiva scoperta: quello che giudicavo un brano modernissimo alla fine degli anni '50, aveva un anno più di me: composto nel 1936 da Edward Heyman, Abner Silver e Al Sherman, era stato registrato per la prima volta, al "fonografo", dalla grande orchestra di Tommy Dorsey. Nato e morto in un attimo, visto che l'anno dopo diventava obbligatorio l'uso della lingua italiana (ma spesso ridicolmente italianizzata). Al bando le parole straniere, e mentre "Buenos Aires" diventava "Buonaria", il jazz diventata "giazzo", e moriva in fasce, in Italia, sotto una slavina di ridicolo, mentre l'Italia iniziava a morire, tre anni dopo, sotto un mare di bombe e di lotte per la sopravvivenza.
Nel decennio successivo alla liberazione, abbiamo avuto urgenze più impellenti sia rispetto al jazz che rispetto al giazzo. Quando questo grandissimo pezzo musicale è riapparso sulla scena, da molti (e da me incluso) era stato erroneamente attribuito al genio di Nat King Cole, che invece aveva avuto un diverso merito: quello di dissotterrarlo dalle macerie del fascismo e di farlo uscire dal coma farmacologico durato vent'anni...
Da allora, sono trascorsi 65 anni. Ne abbiamo ascoltate decine di versioni, non sempre felicissime. A volte i brani troppo famosi inducono gli esecutori a tentare di schivare schemi ripetitivi, ma spesso cascano nel difetto opposto: quello di stravolgerli per amore di originalità.
Qualche mese fa, finalmente, sbatto contro quella che secondo me è la versione più bella che io abbia mai ascoltato di questo brano: uno dei tanti gruppi creati da Joan Chamorro, formato dal solito mix di jazzisti scafati e da talenti nascenti ma già di grande valore. Vorrei citarne due in particolare:
Ted Nash (sax tenore), una vita alla corte di Winton Marsalis, per anni deus ex machina della grande orchestra del Lincoln Center di New York), e Alba Esteban, diventata da qualche anno una stella delle grandi orchestre e dei piccoli gruppi che fanno capo alla catalana Sant Andreu Jazz Band, e una portentosa esecutrice al sax baritono (opinione personale: la metto tranquillamente fra le dieci più grandi al mondo, nonostante la giovanissima età (è ancora ben lontana dai trent'anni).
Ascoltare per credere
Tafanus
124 º video della serie THE JAZZ HOUSE SESSIONS
PLAYER'S LIST
Ted Nash, sax tenore
Joan Chamorro, basso e direzione
Koldo Munné , saz alto
Joan Marti, flauto
Marçal Perramon, clarinettto
Èlia Bastida, sax tenore
Lola Peñaranda, sax tenore
Marc Martín, piano
Arnau Julià, batteria
Steve Cardenas, chitarra
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