"Scontro fra Titanic", come titola l'editoriale di Luca Bottura su lastampa.it, di cui riportiamo alcuni passaggi in calce, o altro? Quando Calenda ha rotto entro 48 ore l'alleanza col PD di Enrico Letta per costruire l'ennesimo Nuovo Centro, avevano scritto un post profetico, dicendo che questi due galli in un pollaio si sarebbero beccati in una manciata di nanosecondi.
Calenda è quello che rompe con Letta in un paio di giorni. Renzi è quello che cinque minuti dopo la prima fatal "Leopolda", condotta in tandem col Civati (col quale avevano lanciato - si fa per dire - il sito prossimaitalia.it), ripudia Civati, reo di aver detto, a proposito della cenetta carbonara ad Arcore di Renzi con Silvio e Barbara Berlusconi, che lui non c i sarabbe andato.
Di fatto, Renzi può convivere solo con l'ancella Maria Etruria Boschi. La rottura con Calenda era nelle cose certe fin dal primo giorno. Requiescant in pace
Tafanus
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La rottura tra Renzi e Calenda, scontro tra Titanic

Come abbiano fatto a fidarsi reciprocamente resta, a ben guardare, il solo mistero. Da una parte, l’uomo che scaricò Enrico Letta subito dopo il matrimonio, disconoscendo il patto elettorale che aveva solennemente vergato solo poche ore prima. Dall’altra, il seduttore che lo convinse a farlo, persuadendolo che le reciproche astuzie potessero sommarsi. Uno che in politica, peraltro, manco doveva esserci, se solo avesse dato seguito alla promessa altrettanto solenne di eclissarsi dopo la batosta referendaria.
I moderati che non si moderano sono una tipicità italiana. Come il pistacchio di Bronte, le ciliegie di Pecetto, il parcheggio sugli incroci. E come i partiti personalistici in assenza di elezione diretta. Un bel nome nel simbolo non si nega a nessuno e forse, al netto delle beghe economiche, della presunta competizione interna, della macropolitica dei piccoli numeri, o delle poche poltrone per troppi posteriori, l’implosione del cosiddetto Terzo Polo si spiega così: uno scontro tra Titanic. Tra due personalità debordanti, istrioniche, del tutto identiche al gruppo con due cantanti di un celebre brano degli Elio e le Storie Tese: alla fine il microfono è uno. Qualcuno vola giù dal palco. Qualcuno va a dirigere un giornale, a incassare un’altra consulenza da chi sega giornalisti, a decidere qualche coalizione. O a farla saltare: ché una volta qui era tutta Grande Bellezza.
Ieri, mentre le seconde file dei due partitini lanciavano coriandoli di disprezzo sul fronte improvvisamente ostile, colpiva la natura prepolitica del dibattito. Nominativa. Fideistica. Tutto un fiorire di lealtà per Carlo, o per Matteo. Tutto un concentrarsi sulla ridotta da trovare nel caso dovesse piovere. Tutto un restituire, plasticamente, la sovrapponibilità tra i cosiddetti liberali, spesso più populisti dei populisti che dicono di combattere, e le loro classi di riferimento: i dirigenti, politici e non, che hanno accompagnato il Paese al torpore attuale. Sempre spiegando agli altri, come una sorta di Montale minore, cosa non si doveva fare, cosa non volevano.
Dividersi è l’unica cosa di sinistra che Calenda e Renzi potessero fare, e ci sono riusciti. Benché, forse primi nella Storia patria, avessero trovato un moltiplicatore di voti nella loro fragile unione. Non alle Amministrative, ovviamente: lì, se non esisti, paghi dazio. Ma alle Politiche, dove ormai si vota con la stessa garrula incoscienza che un tempo si riservava alle Europee. A furia di raccontarsi come argine agli estremismi altrui, tra un tweet al curaro e un altro, tra una battuta eccessiva e un’altra, tra un’aggressione verbale e un’altra, tra una parola violata e l’altra, i due funamboli dei social avevano raccolto il cosiddetto voto di opinione. Per la precisione, ne avevano raccolti molti di più di quelli che avrebbero preso separati. E viaggiavano spediti verso il grande Walhalla: le praterie del Centro*.
Oggi che quelle praterie d’un tratto si aprono, oggi che Meloni ha portato la Destra oltre Italo Balbo e il responsabile cultura del Pd attacca gli inceneritori, loro, i moderati, preferiscono mettersi alle calcagna di Mariotto Segni e Gianfranco Fini. E ci sarebbe quasi da divertirsi, osservando il wrestling verbale che ieri li illuse, oggi li illude. Perché a un certo punto i “comunisti” finiscono, e tocca cannibalizzarsi. Invece, per capire le prossime mosse di questa Dc piena di Redbull, basta spizzare le agenzie come fossero carte da poker. Intanto, si capisce perché quelli di Base Riformista sono rimasti nel Pd. Poi, si nota l’unica costante che ancora unisce i due fronti: l’accusa di voler rompere.
I miei cinque cent, per questo, li metto lì: sulla riconciliazione, sulla colpa riversata addosso alle iene dattilografe, e su Matteo Renzi che entro tre anni torna presidente del Consiglio. Sempre se non gli soffia il posto Berlusconi.
*“Praterie del Centro” è un marchio registrato dal Terzo Polo e appare per gentile concessione di Luciano Nobili.
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